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Rendere più efficienti i mercati dei prodotti e dei capitali

Il Consiglio del mercato interno ha concluso che i “mercati dei prodotti e dei capitali potranno dispiegare tutte le loro potenzialità solo quando saranno pienamente integrati e funzioneranno in modo efficiente ...” e per realizzare tale integrazione, esso afferma che “... è importante un’analisi regolare e sistematica degli sviluppi strutturali che influiscono sulla competitività dei mercati, per far sì che i cittadini approfittino della riforma economica.” Questa sezione sottolinea alcuni recenti, importanti sviluppi dell’integrazione dei mercati dei prodotti, rivelati dal controllo dei flussi commerciali nonché sviluppi nei mercati dei capitali e dei servizi finanziari. Il rallentamento della crescita economica rende indilazionabile la riforma strutturale, per minimizzare i suoi effetti negativi e anticipare il momento della ripresa.

3.1. Tendenze dei mercati di prodotti e servizi: l’integrazione commerciale del mercato interno manifatturiero procede bene, con effetti positivi sulle economie nazionali degli Stati membri ...

A quasi 10 anni dall’istituzione del mercato interno, il commercio continua a integrare i mercati degli Stati membri. Il commercio intracomunitario (UE-15) transfrontaliero di manufatti cresce più velocemente del PIL (grafico 8), sottopone i mercati degli Stati membri a pressioni competitive e offre ai consumatori scelte più ampie a prezzi inferiori.

Controllare i dati sulle importazioni è particolarmente importante, poiché esse stimolano la concorrenza sui mercati nazionali e permettono a uno Stato membro di acquisire altrove la miglior tecnologia disponibile, il che aumenta la produttività nazionale. In GB, si stima che un aumento dell’1% delle importazioni intraindustriali porti un progresso tecnico dello 0,31%8. Quanto sono aperti alle importazioni gli Stati membri? Il grafico 9 indica quanto pesino le importazioni degli Stati membri sulle economie nazionali: a un capo, c’è il Belgio-Lussemburgo con importazioni pari al 50% circa del PIL; all’altro, l’Italia con importazioni pari al 15% circa del PIL. Dal 1995, il peso delle importazioni degli Stati membri, dall’UE o dal resto del mondo, sono in genere aumentate - fino a 4 punti percentuali del PIL (v. grafico

7 I recenti progressi della direttiva sulla vendita a distanza di servizi finanziari sono un altro significativo passo verso la creazione di un mercato interno integrato per i servizi finanziari al minuto.

8 Hubert, F. and Pain, N. (2000) Inward investment and technical progress in the United Kingdom manufacturing sector, NIESR, London. Il progresso tecnico viene qui definito come incremento della produttività del lavoro non dovuta a effetti di scala o di struttura industriale. Lo studio non tiene conto di un’importante fonte di produttività, spesso anche se non necessariamente, associata agli IED - la trasmissione cioè di conoscenze tecniche dovuta alla mobilità della manodopera specializzataL’importanza di questo ulteriore canale di incremento della produttività rafforza l’urgenza di riforme politiche tese a facilitare la libera circolazione di manodopera qualificata.

10). Ma, mentre la loro importanza sul PIL è aumentata in Belgio-Lussemburgo di oltre 12 punti e, nei Paesi Bassi, di quasi 11, in GB, Danimarca e Italia ciò non è avvenuto. Di fatto, in GB e Danimarca il peso delle importazione dall’UE è lievemente diminuita.

Dal 1995, il valore delle esportazioni intra-UE di tutti gli Stati membri è aumentato, ad eccezione della Grecia. In parte, ciò è dovuto al fatto che la Grecia ha riorientato le esportazioni dai mercati dell’UE verso quelli dei paesi candidati (grafico 11) - soprattutto, Bulgaria. Ciò ha senso geograficamente e mostra che la Grecia ha saputo approfittare degli Accordi europei firmati tra l’UE e i paesi candidati. L’ampliamento, quando verrà, intensificherà tale processo.

Gli investimenti esteri diretti hanno effetti molto positivi sul risultato economico ...

Anche gli investimenti esteri diretti (IED) integrano i mercati, e contribuiscono all’obiettivo di Lisbona di risultati economici migliori nell’industria e nei servizi. In GB, si stima che le ditte manifatturiere di proprietà estera producano tra il 10 e il 40% in più per dipendente di quelle di proprietà interna e abbiamo una produttività totale del 5¼% superiore. Esse rappresentano circa un terzo della R&S totale delle imprese, 1/6 più di 10 anni fa. Un aumento dell’1% di investimenti interni intraindustriali porta un progresso tecnico dello 0,82%9 (cioè, l’aumento di IED ha effetti tecnologici superiori a quello delle importazioni).

Ma l’impatto economico positivo dei flussi di IED varia a seconda della loro fonte - la produttività del lavoro delle imprese USA in GB è supera del 36% circa quella delle imprese britanniche, la produttività del lavoro delle imprese UE è superiore del 22% circa.

I flussi di IED intracomunitari hanno subito un’accelerazione geometrica, ma restano concentrati appena in pochi Stati membri ...

Nella UE, i flussi di IED sono rapidamente cresciuti, soprattutto se intra-UE (grafico 12). Di fatto, i flussi di IED intra-UE sono cresciuti di gran lunga più velocemente del commercio di manufatti, del PIL comunitario o degli afflussi di IED dal resto del mondo. Data l’efficacia degli afflussi di IED, è una buona notizia per le prospettive di crescita dell’economia europea.

Ma il potenziale effetto positivo sarà molto concentrato: l’afflusso di IED da tutte le fonti è l’8% o più del PIL in Belgio-Lussemburgo, Irlanda e Svezia (v. grafico 13), ma meno del 2%

in otto Stati membri. E perché un investitore straniero (interno o esterno all’UE) è attratto da uno Stato membro piuttosto che da un altro? Aiuti di Stato, incentivi fiscali, contesto imprenditoriale e profondità della riforma strutturale sono tutti plausibili motivi, ma occorre indagare più in profondità.

Ostacoli tecnici al commercio: per meglio integrare il mercato con il commercio, occorrono norme europee e una più ampia applicazione del principio di riconoscimento reciproco ...

Affinché cittadini e consumatori approfittino delle riforme economiche, una delle conclusioni del Consiglio del mercato interno del 12 marzo 2001, afferma che “l’eliminazione dei residui ostacoli tecnici al commercio va perseguita con più vigore, ricorrendo anche a una più efficace normalizzazione europea e a un’effettiva applicazione del principio di reciproco riconoscimento … Progressi significativi si attendono dal seguito della risoluzione del Consiglio sulla normalizzazione, grazie soprattutto a provvedimenti concreti che completino il quadro giuridico per il buon funzionamento del mercato interno nel campo dei prodotti da

9 op. cit.

costruzione.” Le tre sottosezioni che seguono riportano recenti attività della Commissione in questo campo e danno un’idea dei vantaggi economici che ne possono risultare.

Far sì che gli Enti europei di normalizzazione siano interamente aperte, trasparenti e rispondenti alle forze di mercato...

Per la Commissione10, gli accordi di normalizzazione adottati da appositi enti indipendenti e riconosciuti producono buone norme standard. Ciò è giustificato da due principi particolari che caratterizzano il modo con cui tali enti sviluppano le norme. In primo luogo, le esigenze di mercato guidano la scelta e lo sviluppo della maggior parte del sempre crescente numero di norme. Perché altrimenti gli operatori coprono il 90% dei costi di normalizzazione? Poi, frutto del consenso, se possibile, di tutte le parti interessate (produttori, utenti, consumatori), le norme si sviluppano in modo aperto e volontario.

La Commissione si limita a mantenere un ambito di normalizzazione aperto e imparziale. Agli interessati dalle risorse limitate (consumatori, esperti di igiene e sicurezza, PMI), che di regola non parteciperebbero ad attività di normalizzazione, vengono dati aiuti finanziari. Aiuti simili possono completare lo sforzo di “rinverdire” il processo di normalizzazione.

Gli aspetti ineludibili delle sfide degli enti di normalizzazione ...

Le norme devono soddisfare esigenze di mercato ed essere sviluppate rapidamente. La celerità è una sfida inevitabile per enti di normalizzazione che sono aperti a tutti gli interessati (il che rende certo più difficile trovare il consenso). Là dove gli enti di normalizzazione non sono stati abbastanza veloci sono nati consorzi privati e associazioni. Come riferisce il Quadro di valutazione del novembre 2001, il CEN, uno degli enti di normalizzazione europei (ENE), impiega oggi 8 anni per elaborare e ottenere il consenso su una norma europea, rispetto ai 4 o 5 del 1995. Gli ENE affrontano tale sfida soprattutto in due modi. Innanzitutto, migliorando le loro prestazioni (usando più IT e valutando pratiche esemplari). Gli enti di normalizzazione nazionali (ENN) li imitano, talvolta con il contributo finanziario della Commissione. Poi, sviluppando una vasta gamma di prodotti, come gli accordi informali, anche se non sempre debitamente sostenuti a livello nazionale. Scambi regolari di informazioni dovrebbero migliorare la situazione.

Con raccolte di norme sempre più simili e TIC che ne facilitano la diffusione, anche transfrontaliera, il contesto in cui operano gli ENN è sempre più competitivo, li sottopone a pressioni finanziarie, che essi trasferiscono sugli ENE, che si fidano della capacità degli ENN di organizzare la partecipazione di esperti al loro lavoro (nel 2000, il 93% dei 700 milioni del costo del CEN è stato sostenuto da contributi industriali). E la situazione si sta acutizzando.

Gli ENN fanno risaltare il fatto che ormai oltre l’80% della normalizzazione avviene a livello europeo o internazionale, mentre 15 anni fa l’80% della stessa avveniva a livello nazionale.

Tuttora il tempo necessario ad ottenere una norma europea ostacola il lavoro di eliminazione delle barriere al commercio tra Stati membri; ciò è preoccupante e deve far riflettere.

10 Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle attività intraprese in seguito alle risoluzioni in tema di normalizzazione europea adottate dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel 1999 - COM(2001) 527.

... ma il progresso nella normalizzazione è in atto ...

Ciononostante, in vari campi (strumenti di pesatura, apparecchi a gas e recipienti a pressione) sta avvenendo il “nuovo approccio” alla normalizzazione. Dopo anni di stasi, è stato infine raggiunto un accordo sulle prime norme armonizzate per i prodotti da costruzione (cemento, appoggi di travature, impianti di sollevamento). Altre seguiranno nei prossimi anni. Nel settore si aprono nuovi e più vasti mercati e aumenta la concorrenza. La Commissione bloccherà i contributi là dove non avvengono progressi. Dati i crescenti problemi finanziari degli ENN, tale minaccia può rivelarsi un’arma potente per la Commissione.

Ci sono ancora vantaggi da trarre da una migliore applicazione del principio di riconoscimento reciproco ...

Il riconoscimento reciproco (PRR) si applica a prodotti per i quali non esiste una completa armonizzazione comunitaria in seno all’UE e a quelli che gli Stati membri sono concordi nel supporre sufficientemente protetti dalle normative nazionali. Nonostante che solo il 21% della produzione industriale o il 7% di PIL dell’UE sia coperta dal riconoscimento11 reciproco, i problemi emersi applicando il principio hanno un impatto economicamente significativo.

A scopi politici, è interessante avere un’idea dell’ordine di grandezza dei potenziali massimi vantaggi commerciali che è lecito attendersi dalla perfetta applicazione del principio di riconoscimento reciproco in un mercato interno perfettamente integrato. Si stima che in seno all’UE il valore del commercio di prodotti coperti dal riconoscimento reciproco è di un buon 45% inferiore a quanto potrebbe essere (v. riquadro 5), cioè l’1,8% circa del PIL comunitario, poco meno dell’intero PIL danese e poco più di quello finlandese. Certo, le differenze tra il commercio in un mercato interno perfetto e in quello reale di oggi non sono dovute solo al mancato riconoscimento reciproco. Oltre a questo fattore, il commercio transfrontaliero ne deve affrontare molti altri (come il vantaggio di essere primo, la base industriale, la distribuzione delle competenze, aspetti linguistici, geografici, …). Il perfetto esercizio del riconoscimento reciproco dei prodotti in seno all’UE non aumenterà, secondo tali stime, il commercio UE più dell’1,8% del PIL. Ciononostante, tale cifra va ritenuta una stima eccessiva.

Problemi con il principio del riconoscimento reciproco esistono in pochi mercati e dipendono soprattutto da incertezze sull’ampiezza e le potenzialità del principio ...

Problemi di riconoscimento reciproco esistono soprattutto per taluni alimenti, prodotti da costruzione, veicoli privi di omologazione CE, servizi finanziari e qualifiche professionali. La Commissione cerca di individuarne esattamente i principali, per migliorare la situazione e, tra novembre 2000 e settembre 2001, ha perciò tenuto numerose tavole rotonde per discutere la questione con operatori economici e funzionari degli Stati membri. Una chiara conclusione emersa è stata il significativo grado di incertezza che tra essi serpeggia circa l’ampiezza e il potenziale del riconoscimento reciproco. Molti operatori economici sostengono che, potendo scegliere tra adeguare i loro prodotti a specifiche tecniche nazionali o sostenere l’applicazione del riconoscimento reciproco, preferirebbero la prima opzione. Sarà costoso, ma certo meno rischioso che gli Stati membri di destinazione si attengano ciecamente alle proprie norme tecniche nazionali senza tener conto del livello di protezione del prodotto. Alcuni operatori economici ritengono poi che adeguare i prodotti sia un risparmio di tempo rispetto all’oneroso compito di convincere un’amministrazione nazionale riluttante o, addirittura, a una causa

11 The single market review, subseries III, volume 1: Barriere tecniche al commercio

giudiziaria, e, se si porta un prodotto sul mercato, risparmiare tempo è una virtù. Comunque, l’adeguamento a specifiche tecniche nazionali incide poco sui beni prodotti in serie, e, sui prodotti ad hoc, non incide affatto. Il problema nasce soprattutto per le PMI, la cui produzione può non essere abbastanza durevole da ammortizzare il costo di adeguamento alle specifiche tecniche nazionali o per i prodotti a conservabilità assai limitata (soprattutto prodotti tecnologici). L’incertezza dei funzionari nazionali, invece, li rende spesso troppo prudenti, e dunque riluttanti ad applicare il riconoscimento reciproco tranne i casi in cui esso non pone dubbi.

Nei prodotti da costruzione sono state appena approvate le prime norme - che possono finalmente sbloccare il commercio transfrontaliero ...

La direttiva prodotti da costruzione, approvata nel 1989 (direttiva 89/106 del Consiglio), ha atteso il 1° aprile 2001, prima norma armonizzata di un prodotto da costruzione (cemento), per entrare in vigore. Da tale data, il cemento comune può avere l’etichetta “CE” ed essere, in teoria, venduto liberamente oltreconfine senza certificato di conformità. A quella sul cemento sono seguite numerose norme per geotessuti, attrezzature antincendio e isolanti.

Agevolando il commercio transfrontaliero, le norme sui prodotti da costruzione possono incrementare il commercio di questi nell’UE. È provato che il commercio dei prodotti da costruzione è stato penalizzato in passato. Il grafico 14 mostra che il commercio comunitario dei prodotti da costruzione si è sviluppato più lentamente di quello dei manufatti. Questo è vero in generale, ma anche per i prodotti cementizi e isolanti, entrambi gruppi merceologici di recente normalizzazione. Il commercio intracomunitario di cemento Portland è inoltre assai ridotto. Un’industria UE come quella cementizia dovrebbe registrare flussi commerciali tra Stati membri in media 4 volte maggiori di quelli che registra. Il commercio transfrontaliero di cemento è dunque assai limitato: gran parte della produzione degli Stati membri soddisfa consumi interni. I costi di trasporto contribuiscono certo a tale situazione, un aspetto che non mancherà di essere esaminato a fondo.

Sempre se si risolvono i problemi di rodaggio del nuovo contesto normativo …

Purtroppo, i dati commerciali non sono così aggiornati da individuare ogni possibile impatto commerciale dell’introduzione delle norme sul cemento. Ed esso è fonte di preoccupazione; la Federazione europea dell’industria edilizia afferma che il modo in cui vari Stati membri reagiscono al nuovo contesto normativo complica ancor più il commercio transfrontaliero, almeno dei prodotti soggetti ora a norme armonizzate. Poiché gli Stati membri hanno tuttora il diritto di fissare proprie norme di tutela dei manufatti (ingegneria e servizi in campo edile), possono non accettare prodotti con il marchio CE: manufatti che incorporano prodotti, anche normalizzati, devono conformarsi alle norme nazionali degli Stati membri sui manufatti.

Perciò, non è detto che i progressi normativi sui prodotti da costruzione sblocchino davvero il commercio. Ciò comporta due conseguenze: innanzitutto, la Commissione terrà d’occhio la situazione in caso fossero necessarie nuove iniziative; in secondo luogo, la contestazione delle restrizioni sui prodotti va accompagnata a quella delle restrizioni sui relativi servizi.

Nel campo dei servizi, le azioni mirate sono dirette a eliminare gli ostacoli transfrontalieri al mercato ...

Il Consiglio del mercato interno ha concluso nel marzo 2001 che “migliorare il mercato interno dei servizi è una sfida strategica cruciale per la Comunità. Nei servizi occorre alimentare la concorrenza, eliminando gli ostacoli al commercio transfrontaliero e ai nuovi operatori ...”. In risposta, nel gennaio 2001, la Commissione ha lanciato la Strategia dei

servizi12, nel cui contesto essa ha cercato, durante il 2001, di risolvere problemi di settori specifici (riconoscimento delle qualifiche e promozione delle vendite) e di individuare con un’indagine gli ostacoli che si oppongono alla circolazione transfrontaliera di servizi. I risultati, per ora in corso di analisi, saranno presentati l’anno prossimo, insieme alle risposte scritte delle parti interessate e degli Stati membri. Per il 2002, essa ha fissato precise scadenze agli Stati membri perché eliminino ostacoli specifici individuati, presentino misure di sostegno non legislative (codici di condotta) e propongano norme armonizzate per la fornitura di servizi solo se strettamente necessarie. Il summenzionato Libro verde sulla tutela dei consumatori individua opzioni per l’armonizzazione in alcuni di questi settori.

Servizi diversi, prestazioni diverse ...

Certo, non tutte le prestazioni del settore UE dei servizi sono ugualmente buone. Un’indagine recente13 svolta per la Commissione su otto sottosettori di servizi alle imprese dimostra che utenti e fornitori ritengono non competitivi i sottosettori contabilità e revisione e quello prove tecniche. I servizi fiscali, reclutamento personale e consulenza gestionale sono, invece, considerati competitivi da entrambi.

I risultati per contabilità e revisione sono tali forse perché la concorrenza sui mercati nazionali è debole e il commercio transfrontaliero scarso. Certo, il fatto che per i servizi di contabilità esistano numerose e divergenti norme e regolamenti nazionali si presta a frammentare il mercato. Poiché il settore è piuttosto vasto (oltre 260.000 addetti solo in Italia e Francia), il tentativo di ridurre tale frammentazione può avere effetti rilevanti. La rimozione di siffatti ostacoli al mercato interno procura enormi vantaggi non solo al settore stesso ma anche a tutte le aziende obbligate a servirsi di tali servizi, grazie alla riduzione dei costi che ne risulta.

Anche il settore prove tecniche è affetto da scarso commercio transfrontaliero, il che fa pensare alla probabile presenza di forti ostacoli al mercato interno che, di nuovo, danno luogo a una scarsa concorrenza.

Al contrario, se i partecipanti all’indagine esprimono un parere relativamente positivo sul reclutamento di personale ciò riflette forse l’enorme vastità del sottosettore, con un milione di addetti di cui la metà nel solo Regno Unito. Questa concentrazione implica un commercio transfrontaliero probabilmente abbastanza significativo. Il settore è cresciuto velocemente negli ultimi 20 anni, grazie a sviluppi come la liberalizzazione del mercato del lavoro, l’esternalizzazione della selezione e del reclutamento e la tendenza generale verso una maggior flessibilità del mercato del lavoro. Si stima che 1,8 milioni di persone lavorino nell’UE su base temporanea (l’1,5% circa dell’occupazione totale).

I prezzi dei servizi nell’UE sono stati più stabili dei prezzi globali, ma con tendenze simili.

L’aumento della variazione annua è stato di 1 solo punto percentuale (dall’1,9% del giugno 1999 al 2.9% del maggio 2001), rispetto ai 2,1 punti percentuali dell’indice globale per lo stesso periodo. La tendenza generale maschera però tendenze diverse in due settori dei servizi: nella comunicazione (i cui prezzi diminuiscono ancora in misura ragionevole), le vacanze “tutto compreso” e affitti, dove i prezzi sono aumentati molto velocemente e con la maggior deviazione.

12 Formulata in una comunicazione della Commissione dal titolo “Una strategia per il mercato interno dei servizi”, COM(2000) 888.

13 CSES, “Study on obstacles to trade in business services” per la Commissione europea (2001).

Eliminare gli ostacoli transfrontalieri al commercio dei servizi potrebbe avere effetti significativi ...

Sono molte le ragioni per cui il Consiglio ha evidenziato la sfida cruciale posta dal settore comunitario dei servizi. La Commissione ha provato14 l’importanza dei servizi per la creazione di occupazione nell’UE. Dati regionali indicano che alla fine degli anni ’90 i servizi sono stati di gran lunga il vero motore della crescita dell’occupazione nella comunità (riquadro 6).

In base a un’indagine sui servizi per le imprese svolta per la Commissione (riquadro 6), emerge che eliminare gli ostacoli al commercio transfrontaliero nei servizi alle imprese aumenterebbe il PIL dell’attuale UE tra l’1,1% e il 4,2%. Ma, poiché tali servizi rappresentano solo un terzo di tutti i servizi, l’impatto dell’integrazione di tutti i mercati dei servizi nell’UE può essere anche maggiore.

Ciò sarebbe comunque solo l’impatto iniziale dell’eliminazione degli ostacoli al commercio.

Se i servizi potessero essere liberamente venduti oltreconfine, ne risulterebbe un secondo importante impatto economico: il libero scambio darebbe ai fornitori di servizi la possibilità di riorganizzare e ristrutturare la loro produzione in modo più razionale, senza vincolarla a confini nazionali e con vantaggi di efficienza e competitività. Insomma, non c’è dubbio che si otterrebbero vantaggi economici sostanziali dalla creazione di un mercato interno dei servizi.

Se i servizi potessero essere liberamente venduti oltreconfine, ne risulterebbe un secondo importante impatto economico: il libero scambio darebbe ai fornitori di servizi la possibilità di riorganizzare e ristrutturare la loro produzione in modo più razionale, senza vincolarla a confini nazionali e con vantaggi di efficienza e competitività. Insomma, non c’è dubbio che si otterrebbero vantaggi economici sostanziali dalla creazione di un mercato interno dei servizi.

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