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I trattamenti contenenti trastuzumab rappresentano oggi lo standard di cura nelle pazienti con diagnosi di carcinoma della mammella HER2-positivo, in tutti gli stadi di malattia. Tuttavia, un numero significativo di pazienti non risponde alla terapia iniziale con trastuzumab e coloro che rispondono possono successivamente ricadere durante il trattamento. Si stima che circa il 40% dei trattati sviluppino resistenza primaria o secondaria al farmaco (76). Queste osservazioni hanno condotto ricercatori e clinici a cercare di identificare i meccanismi alla base della resistenza al trastuzumab, per riuscire a sviluppare una corretta selezione delle pazienti e nuove strategie terapeutiche. Ad oggi sono stati individuati diversi determinanti molecolari che sembrerebbero implicati nei meccanismi di resistenza al trastuzumab, sebbene nessuno di questi sia ancora stato validato nella pratica clinica (FIGURA 1).

Figura 1. Meccanismi di resistenza a trastuzumab individuati nei modelli preclinici. [P De e al. Molecular determinants of trastuzumab efficacy: What is their clinical

37 Alcuni studi hanno identificato la presenza, sulla membrana delle cellule tumorali di donne affette da carcinoma mammario HER-2 positivo, di forme troncate del recettore, alcune delle quali costitutivamente attive, collettivamente chiamate p95HER-2. Poiché tali forme possiedono un’attività, ma sono prive del dominio extracellulare contenente il sito di legame per il trastuzumab, possono ragionevolmente rappresentare un potenziale meccanismo di resistenza alla terapia con questo anticorpo oltre che essere correlate,se presenti,ad una peggiore prognosi.

Le analisi in vitro e in vivo hanno postulato l’esistenza di diversi frammenti di p95HER-2. Sono stati identificati almeno due diversi meccanismi che condurrebbero alla loro formazione: proteolisi del dominio extracellulare del recettore integro e alterazioni nella traduzione dell’RNA messaggero codificante per HER-2. Il clivaggio di HER-2 (mediato dalla sheddasi ADAM10) provoca, dopo il rilascio del suo dominio extracellulare, la formazione di un frammento ancorato alla membrana, del peso molecolare di 95 kDa e costitutivamente attivo; la alterazione traduzionale dell’RNA messaggero genera due forme di p95 da 100-115 kDa e 90-95 kD, identificate con la sigla 611 CTF e 687 CTF (77) rispettivamente localizzate a livello della membrana plasmatica e del citoplasma (proteina solubile). Queste forme tronche presentano livelli disparati di attività. Pedersen e coll. (78) hanno evidenziato, lavorando con modelli di topi transgenici, una rimarchevole oncogenicità nella forma 611 CTF: essa contiene nel suo breve dominio extracellulare 5 cisteine, alcune delle quali stabiliscono fra di loro legami del tipo disolfuro, inducendo una costitutiva omodimerizzazione del recettore stesso. Altra caratteristica di 611 CTF è quella di regolare un set di geni (ANGPTL4,MET,CD44,PLAUR,EPHA4,IL-11,etc.), non attivati invece dalla forma integra di HER-2, che sembrano coinvolti nella progressione metastatica. Questa forma inoltre induce la migrazione cellulare più efficientemente della full-lenght HER-2 attraverso la fosforilazione della cortactina (una proteina che lega il citoscheletro) e questo va ad ulteriore conferma che le cellule tumorali esprimenti 611 CTF sono biologicamente più aggressive. Il frammento solubile ( 687 CTF), sebbene

38 dotato di un dominio avente attività chinasica, non è attivo (78). Al contrario il p95 generato per clivaggio ha mostrato di avere una certa attività, anche se ridotta rispetto a quella del 611 CTF.

Un’ analisi retrospettiva condotta da Molina e coll. (79) ha indagato, su 483 tessuti mammari neoplastici provenienti da pazienti operate, l’associazione tra l’espressione di p95 ed i fattori di rischio clinico-biologici, evidenziando, dopo un follow up mediano di 46 mesi, come alti livelli di p95 nel tumore primitivo siano correlati ad una riduzione della sopravvivenza libera da malattia a 5 anni (HR 2.55; CI 95%, 2.13-8.01; p<0.0001). La mediana di DFS è risultata di 32 mesi verso 139 nei pazienti con bassi livelli di p95.

Il potenziale ruolo predittivo di resistenza a trattamento con trastuzumab è stato in primis studiato da Scaltriti e coll. (76), sia in vitro che in vivo. Linee cellulari di carcinoma mammario (MCF-7 e T47D), precedentemente transfettate con vettori contenenti la forma integra o quella troncata di HER2, sono state studiate sia prima che dopo esposizione a trastuzumab o lapatinib. I risultati hanno messo in evidenza che il trattamento con lapatinib inibisce la fosforilazione di entrambe le forme di HER2 e delle chinasi a valle (Akt e MAPKs); contrariamente trastuzumab non ha dimostrato avere alcun effetto sulle cellule che esprimevano p95HER2. Per confermare tali risultati in vivo la linea cellulare MCF-7, transfettata con le due forme del recettore HER2, è stata iniettata su cavie atimiche, successivamente divise in tre gruppi ed esposti a trastuzumab, lapatinib o placebo rispettivamente. Le cavie il cui tumore esprimeva la full-lenght HER2 hanno risposto sia a trastuzumab che a lapatinib mentre quelle che presentavano la p95HER2 sono risultate resistenti a trastuzumab e sensibili a Lapatinib. Infine gli autori hanno utilizzato 46 campioni tumorali in paraffina per valutare, tramite immunofluorescenza, l’associazione fra l’espressione di p95HER2 e la responsività al trattamento con trastuzamab (in monoterapia o associato ad un regime terapeutico chemioterapico od ormonale) in donne affette da carcinoma mammario metastatico. La presenza di p95HER2 è stata storicamente rilevata attraverso la metodica del Western blotting, condotta su tessuto

39 fresco congelato, raramente disponibile; il gruppo di Scaltriti ha introdotto l’utilizzo dell’immunofluorescenza come nuova tecnica di detezione partendo dall’osservazione che p95HER2, ma non la forma integra di HER2, è localizzata sia nel citoplasma che sulla membrana plasmatica. Lo score di positività per p95 è rappresentato dalla individuazione del segnale (in più del 50% delle cellule osservate) dell’anticorpo anti-HER2 sia sulla membrana che nel citosol. La presenza dell’anticorpo anti-HER2 nel citosol è dimostrata dalla co-localizzazione, in questa sede, dell’anti-HER2 e dell’anticorpo anti-citocheratina citoplasmatica (comparsa di una colorazione gialla al microscopio confocale, risultato della sommazione della fluorescenza rossa e verde data dagli anticorpi anti HER2 ed anti- citocheratina rispettivamente). Nello studio retrospettivo, 9 pazienti su 46 esprimevano p95 e le rimanenti 37 la forma integra di HER2 (la percentuale di soggetti risultati p95 positivi nella popolazione in esame è del 19,5%, in accordo con i dati riportati in letteratura). Una sola delle nove pazienti positive per p95 ha risposto (in maniera parziale) al trattamento con trastuzumab (11.1%), mentre 19 delle 37 pazienti (51.4%) HER2 full lenght positive hanno mostrato una risposta completa (n=5) o parziale (n=14),con un tasso di risposte globale pari a 11% vs 51.4% (p=0.029). Questi risultati sembravano confermare quanto emerso dagli studi in vitro e in vivo, cioè che i tumori esprimenti p95HER2 sono resistenti alla terapia con trastuzumab. In realtà, più tardi si è visto che l’abbondanza della forma inattiva non legata alla membrana potrebbe aver falsato la misurazione di p95 utilizzata in questo studio.

Successivamente è stato quindi introdotto il saggio VeraTag™, che utilizza un nuovo anticorpo in grado di legarsi a una sequenza nel dominio extracellulare di p95 non presente invece in p185HER2 e che consente quindi di quantificarne l’espressione con alta specificità in campioni tumorali fissati in formalina e inclusi in paraffina (FFPE). Utilizzando questo saggio all’interno di una coorte di pazienti metastatici valutati HER2- positivi tramite un saggio VeraTag e trattati con trastuzumab, gli studiosi (80) hanno correlato alti livelli di p95HER2 con una più breve sopravvivenza libera da progressione

40 (HR 1.9; p=0.017) e globale (HR 2.2; p=0.012). Per i pazienti valutati HER2-positivi tramite la FISH, allo stesso modo, l’elevata espressione di p95HER2 è risultata correlata con una più breve PFS (HR 1.8; p=0.022) e OS (HR 2.2; p=0.009). Il valore predittivo del cut-off stabilito in questo studio (p95 >2.8 RF/mm2) è stato poi retrospettivamente validato per la PFS e l’OS in un campione indipendente multicentrico di 240 pazienti metastatici trattati con trastuzumab (81). Nel sottogruppo validato con il saggio HERmark (Monogram Biosciences), i valori di p95 VeraTag sono risultati associati con una minor sopravvivenza libera da progressione (HR 1.43; p=0.039) e globale (HR 1.94; p=0.0055). Misurando invece l’espressione di p95 all’immunoistochimica con lo stesso anticorpo, non è apparsa nessuna correlazione con l’outcome. In particolare, l’associazione è stata riscontrata in termini di PFS (HR 2.41; p=0.0003) e OS (HR 2.57; p=0.0025) nel sottogruppo di pazienti ormono-positive (n=78) ma non in quello ormono-negativo. Quest’ultimo è un aspetto riscontrato solo nell’ambito della malattia metastatica, dove la maggior parte dei pazienti con tumori ormono-positivi sono già progrediti durante la terapia endocrina in adiuvante. Alcune di queste resistenze alla terapia endocrina sono probabilmente indotte da p95 e la relazione osservata tra i livelli di p95 e lo stato dei recettori ormonali è peraltro confermato da studi precedenti (82). Nonostante i limiti del lavoro di Duchnowska e coll. (studio retrospettivo, misurazioni effettuate su campioni di tumore primario per predire la storia naturale nel setting metastatico, confronto con l’IHC piuttosto che con un metodo più quantitativo come l’immunofluorescenza che potrebbe condurre a risultati simili al VeraTag e utilizzo di campioni FFPE processati pre-analiticamente) che possono aver provocato la modesta differenza in termini di PFS osservata nel sottogruppo p95-positivo (HR=1.43), il cut-off derivato dallo studio precedente è stato confermato come fattore predittivo della risposta clinica a trastuzumab. Il riscontro della validità di questo cut-off in differenti coorti di pazienti con malattia metastatica giustifica ad ogni modo ulteriori studi in cieco su un più ampio numero di pazienti. Qualora il valore clinico dell’espressione quantitativa della proteina p95 venisse confermato in studi clinici di controllo, come

41 marcatore di resistenza a trastuzumab, ciò potrebbe spingere verso la ricerca di strategie terapeutiche alternative che riescano a superare tale resistenza.

Ad esempio, Lapatinib è risultato in vari studi preclinici non cross-resistente nei confronti di trastuzumab. In tal merito, sempre il gruppo di Scaltriti ha analizzato nel 2010 (83) la responsività al lapatinib, sia su modelli animali che clinici, di tumori mammari HER2 positivi e coesprimenti p95HER2. Sono state condotte due diversi indagini su cavie atimiche. Nel primo esperimento si è utilizzata la linea cellulare MMV-HER2-Fo5, derivata da tumori refrattari al trattamento con trastuzumab e coesprimente sia la forma integra che quella troncata di HER2 e poi impiantata nelle cavie. Nel secondo caso, la crescita dei tumori era totalmente dipendente da p95HER2, in particolar modo dal suo frammento più attivo (611 CTF). In accordo con i risultati aspettati, entrambi i tumori si sono dimostrati refrattari al trattamento con trastuzumab ma molto responsivi a lapatinib.

Inoltre gli stessi autori, sempre rimanendo nell’ambito della malattia metastatica, hanno eseguito un’analisi clinica retrospettiva su campioni di tumore mammario ottenuto da pazienti che avevano partecipato a due differenti studi: EGF20009 (84) e EGF100151(85). Nel primo studio le pazienti erano state randomizzate a ricevere in I linea un trattamento orale con Lapatinib (1500 mg una volta/die o 500mg due volte/die), mentre nel secondo, dopo una terapia con antracicline, taxani e trastuzumab, avevano ricevuto 2500 mg/m2 o 2000 mg/m2 di capecitabina + lapatinib (1250 mg una volta al giorno continuativamente). Complessivamente, sul campione considerato, il 26% delle pazienti iperesprimenti HER2 erano risultate positive per p95HER2, un’incidenza leggermente superiore a quella stimata in letteratura (circa il 20%). Per determinare la correlazione tra l’espressione di p95HER2 e l’outcome clinico è stato analizzato il PFS in relazione allo stato di espressione di p95HER2. Nelle pazienti che avevano ricevuto Lapatinib come trattamento in I linea non sono state osservate differenze significative nel PFS tra le p95HER2 negative e quelle positive (HR, 1.35; 95% CI; p=0.417). Similmente il PFS nelle pazienti trattate con capecitabina + Lapatinib non era significativamente differente tra i due gruppi

42 (HR: 1.30; 95% CI; p=0.471). Ciò che è possibile dedurre da questo studio è che Lapatinib usato in monoterapia od in combinazione è ugualmente efficace sia in pazienti che esprimono p95HER-2, sia in quelli che sono p95HER-2 negativi ma iperesprimenti p185HER-2. Dal momento che i tumori che presentano p95HER-2 sono resistenti al Trastuzumab (76), tali risultati suggeriscono che, in questi casi, il Lapatinib potrebbe rappresentare una migliore opzione terapeutica. Rimangono tuttavia aperti degli interrogativi a cui al momento non siamo ancora in grado di rispondere. Non sappiamo se la resistenza al Trastuzumab sia primitiva oppure acquisita e derivante, in questo ultimo caso, da un processo di selezione di cloni cellulari tumorali trattati con l’anticorpo per un periodo di tempo prolungato. Se la resistenza fosse secondaria, un trattamento ab initio con Trastuzumab e Lapatinib in associazione potrebbe ritardare la sua comparsa. Inoltre l’espressione di p95HER2 potrebbe coesistere con altri potenziali meccanismi di resistenza al Trastuzumab, quali mutazioni attivanti PI3K o la perdita di funzione di PTEN.

Valutando l’attività degli agenti anti-HER2 senza chemioterapia in pazienti metastatici, Montemurro e coll. (86) hanno identificato recentemente un pannello di biomarcatori in grado di predire il beneficio clinico ottenibile. Gli autori hanno randomizzato i pazienti a trastuzumab o lapatinib come terapia di prima linea. La chemioterapia è stata aggiunta alla terapia anti-HER2 nei pazienti che non hanno ottenuto regressione tumorale dopo 8 settimane e in coloro che sono progrediti in qualsiasi momento. Utilizzando il pannello PAM50, sono stati individuati i sottotipi intrinseci. Inoltre sono stati valutati quantitivamente i livelli di espressione delle proteine HER2 (H2T) e p95HER2 (p95) attraverso i saggi HERmark® e VeraTag®, rispettivamente. Nei 19 pazienti arruolati, la sopravvivenza mediana globale è risultata di 43 mesi e la persistenza nel protocollo (PP) mediana di 3.8 mesi, con 4 pazienti (21.1%) che hanno continuato la terapia con singolo agente per più di 12 mesi. L’analisi dell’espressione genica ha rivelato che livelli elevati di espressione dei geni dell’amplicone 17q12-21 (HER2 e GRB7) e il profilo molecolare HER2-enriched sono significativamente associati con una più lunga permanenza nel

43 protocollo di studio (PP). Emerge inoltre come un incremento del rapporto H2t/p95 sia significativamente associato con una più lunga PP (HR 0.56 per un incremento di 2 volte, p=0.0015). Questi dati suggeriscono che i pazienti appartenenti al sottotipo “HER2- enriched” e/o che possiedono un alto rapporto H2T/p95 sono fortemente sensibili agli agenti anti-HER2 e quindi potenzialmente candidabili per studi con lo scopo di stabilire regimi senza chemioterapia.

Nelle forme tumorali precoci, l’iniziale entusiasmo dovuto agli studi in vitro e a qualche dato retrospettivo, non sempre ha trovato riscontri in ampi studi prospettici. Un piccolo studio su pazienti trattate in neoadiuvante con trastuzumab ha mostrato una tendenza verso un tasso più alto di risposte patologiche complete nei tumori con bassa espressione di p95HER2 (p=0.074) (87), ma gli studi randomizzati non sono riusciti a validare p95 come biomarcatore di efficacia di trastuzumab in questo setting. Ad esempio, nello studio randomizzato di fase II CHER-LOB (60) che metteva a confronto chemioterapia pre- operatoria più trastuzumab, lapatinib, o trastuzumab più lapatinib, non sono state rilevate differenze significative in termini di pCR tra i tumori p95-positivi e quelli p95-negativi in nessuna delle tre braccia di trattamento. La maggiore sensibilità al lapatinib riscontrata in pazienti p95-positivi nei modelli preclinici, è venuta meno anche in altri trials clinici retrospettivi (88). Allo stesso modo, nel NEOSPHERE (n=149), non si sono riscontrate associazioni tra il rapporto dominio extracellulare di HER2: dominio intracellulare di HER2 e il valore della pCR in alcun braccio di trattamento (docetaxel più trastuzumab, pertuzumab o entrambi, oppure trastuzumab più pertuzumab da soli) (58). Gli inconsistenti risultati di questo studio vanno attribuiti probabilmente agli errati metodi di misurazione della proteina p95 attiva: anche se l’espressione delle varie forme tronche sembra in qualche modo correlato, l’ampia variabilità nelle misurazioni ha portato, come visto, allo sviluppo di un anticorpo specifico anti-M611-HER2-CTF (80, 89).

Il valore predittivo di p95HER2 è stato valutato anche nei 145 pazienti arruolati nello studio GeparQuattro (90) che hanno ricevuto trastuzumab più chemioterapia in

44 neoadiuvante, utilizzando un nuovo saggio immunoistochimico che sfrutta un differente anticorpo a una concentrazione abbastanza alta da dare 82% di positività di p95. Contrariamente alle aspettative degli autori, la positività di p95HER2 (segnale anti- 611CTF in più del 10% delle cellule) è risultata associata a un tasso di pCR significativamente più alto (59% vs 24%; p<0.0001) e la sua espressione si è rivelata in grado di predire indipendentemente la pCR (OR 3.74; CI 95% 1.51-9.28; p=0.004). Non è noto se questo risultato sia da attribuire all’inavvertita misurazione di forme p185HER2 o se il differente setting terapeutico abbia un ruolo. In supporto della prima ipotesi, i livelli di mRNA di HER2 analizzati nel GeparQuattro (91) sono risultati associati a un incremento del tasso di pCR almeno nei tumori HR-positivi. Tuttavia, quanto osservato combacia con il fatto che la produzione di p95HER2 avviene prevalentemente attraverso il clivaggio del dominio extracellulare di HER2 e che questo processo è inibito dal trastuzumab (92). Un’ipotesi recente sostiene che la presenza contingente di p95 determinerebbe un minore ingombro sterico dell’antigene, facilitando così il legame del trastuzumab al suo epitopo su p185HER2 (93).

Una analisi di Scaltriti e coll. molto attuale (94), ottenuta da saggi VeraTag sui pazienti arruolati nello studio NeoALTTO, va ad alimentare il sospetto che l’espressione di p95 nel setting neoadiuvante abbia un ruolo diverso rispetto a quello ricoperto nel setting metastatico, e questa differenza potrebbe essere attribuita a differenze fenotipiche fra i tumori primitivi e quelli metastatici, indotte specialmente dalla pressione selettiva del trattamento. Il lavoro mostra un’associazione positiva tra p95HER2 e tasso di pCR nel braccio con lapatinib più trastuzumab e in quello con solo trastuzumab, ma non nel braccio con solo lapatinib. L’odds ratio per log2(p95HER2) è rispettivamente 1.60 (CI 95% 1.11-2.31), 1.67 (CI 1.06-2.64) e 0.97 (CI 0.69-1.37) con p=0.08. Dal momento che lo stato dei recettori ormonali ha rappresentato un forte determinante per la risposta patologica completa nella coorte analizzata nel NeoALTTO (40), gli autori hanno esaminato i due sottogruppi separatamente. L’espressione di p95 è risultata predittiva per

45 la pCR principalmente nei pazienti HR-positivi trattati con trastuzumab oppure con la combinazione lapatinib più trastuzumab. Nei pazienti HR-positivi il rapporto tra l’espressione di p95 di coloro che hanno ottenuto la pCR e coloro che non l’hanno raggiunta è stato di 1.0 (CI 95% 0.50-1.87, p=0.92) nei trattati con Lapatinib, 1.6 (1.0- 2.71, p=0.05) nei trattati con trastuzumab e 2.1 (1.2-3.7, p=0.01) nei trattati con la combinazione. Nei pazienti HR-negativi invece, p95 non è stata in grado di predire la risposta patologica completa in nessun braccio di trattamento. Come noto, il ruolo della pCR in qualità marcatore surrogato per il controllo della malattia a lungo termine è ancora argomento di dibattito. In particolare, Von Minckwitz e coll. hanno mostrato come questo non sia valido nei pazienti con malattia HR-positiva/HER-2 positiva (62), nei quali come visto prima (81) l’espressione di p95 nell’ambito metastatico è fortemente correlata con una prognosi peggiore.

Sempre nello studio suddetto (94), si è riscontrata una correlazione positiva tra i livelli di p95HER2 e HER2 nei 274 casi (60%) in cui la quantificazione di entrambi i marcatori è stata possibile. L’elevata espressione del recettore HER2, quantificata tramite il saggio HERmark, si è dimostrata un fattore predittivo più forte di risposta patologica completa se messo a confronto in un modello di regressione logistica sia con p95 da sola sia con l’associazione di entrambi. In particolare, l’odds ratio per log2(HER2) nel braccio di combinazione (OR 2.02; CI 95% 1.42-2.87) è risultata maggiore rispetto al braccio con solo trastuzumab (OR 1.21; CI 95% 0.93-1.57), implicando che i pazienti con i più alti livelli di espressione di HER2 nei loro tumori ricevono il beneficio maggiore dall’aggiunta di lapatinib a trastuzumab. L’espressione di HER2 non è stata in grado di predire inoltre la pCR nei pazienti HR-negativi inseriti nei bracci di monoterapia con lapatinib o trastuzumab, e solo debolmente è riuscita a predire la pCR nei pazienti HR-positivi con rapporti delle medie geometriche di 1.7 (CI 95% 0.79-3.82; p=0.17) e 1.9 (CI 95% 0.81- 4.26; p=0.14), rispettivamente. Tuttavia, prendendo il braccio di combinazione lapatinib più trastuzumab, essa correla fortemente con la pCR nei pazienti sia HR-positivi (rapporto

46 3.1, CI 95% 1.61-5.81; p=0.001) sia HR-negativi (rapporto 2.5, CI 95% 1.44-4.20; p=0.001). Questo peraltro si traduce in un’associazione tra l’incremento della sopravvivenza libera da progressione e l’incremento di log2(HER2) con un hazard ratio di 0.66 (p=0.01). Sembra dunque che, nel setting neoadiuvante, l’associazione tra p95 e la risposta alla terapia anti-HER2 sia una conseguenza della forte correlazione fra i livelli di p95HER2 e quelli di HER2. Queste conclusioni potrebbero spiegare, almeno in parte, i risultati ottenuti da Loibl e al. nel GeparQuattro (90).

Un altro potenziale meccanismo di resistenza al trastuzumab sembra essere l’upregulation delle vie di trasmissione del segnale intracellulare innescate da HER2; in particolare i risultati di studi preclinici hanno dimostrato come la perdita della funzione di PTEN (phosphatase and tensin homolog) e la mutazione PI3K (phosphatidil-inositol kinase) attivino costitutivamente la via di trasduzione del segnale mediata da PI3K/Akt. La perdita della funzione di PTEN risulta conseguenza di vari meccanismi, tra cui alterazioni mutazionali del gene PTEN, aploinsufficienza (condizione in cui la quantità di proteina prodotta dalla singola copia del gene non è sufficiente per assicurare la normale funzione) derivante dalla perdita di eterozigosi nel locus di PTEN ed infine alterazioni epigenetiche (96).

Sebbene alcuni studi abbiano associato la perdita di funzione di PTEN con un andamento peggiore durante la terapia con trastuzumab nella malattia metastatica, i dati raccolti fino

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