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Le responsabilità del “sistema Italia”

Capitolo 3 – Il caso FIAT

3.2 La storia dell’impresa simbolo italiana

3.3.1 Le responsabilità del “sistema Italia”

Prima di analizzare questa prima causa che ha portato Fiat Auto in crisi, è importante sottolineare come la forza competitiva di una azienda, in generale, è positivamente correlata alla competitività del sistema Paese di cui fa parte. Specificatamente, per quanto riguarda il settore automobilistico, in Italia l’elevata incidenza fiscale sull’automobile, e sul relativo uso (carburanti, bollo di circolazione, assicurazione), ha fatto prevalere una domanda orientata verso vetture di piccole dimensioni. Questo ha comportato in Fiat Auto un aumento della specializzazione per i modelli di quel tipo, ma ciò si opponeva con quanto accadeva nei mercati più evoluti (Europa, Usa, Giappone), i quali manifestavano preferenze sempre più crescenti nei confronti delle vetture di più grandi dimensioni. Paradossalmente, anche i provvedimenti concepiti ad hoc nell’interesse

215 A. ENRIETTI, R. LANZETTI, “Fiat Auto: le ragioni della crisi e gli effetti a livello locale”, in

Quaderni di ricerca del Dipartimento di Scienze Economiche “Hyman P. Minsky”, n. 7, 2007, pp.

2-3.

216 T. ANTONUCCI, D. CASTELLANI, G. FERRERO, “La crisi della Fiat. Strategie di impresa e politiche industriali”, in Economia e politica industriale, n. 116, 2002, p. 17.

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dell’industria automobilistica italiana hanno avuto nel lungo termine un effetto boomerang: ci si riferisce all’erezione di tutte quelle barriere legali ed economiche che hanno impedito ai costruttori stranieri di installarsi in Italia o di acquisire altre case automobilistiche italiane prima del loro assorbimento da parte di Fiat217. Tuttavia, al di là degli errori della politica industriale che hanno interessato il settore automobilistico, è importante sottolineare che una delle cause principale della crisi è che l’Italia è orba di una politica industriale.

In linea generale, il sistema Paese non è stato in grado di fornire adeguati supporti e servizi atti a favorire la riqualificazione produttiva; gli interventi posti in essere infatti, hanno privilegiato l’innovazione di processo, finalizzata alla riduzione dei costi, piuttosto che favorire l’innovazione di prodotto, che è la leva su cui agire per conquistare e difendere posizioni non marginali nei mercati globalizzati.

In sintesi, la politica era una strategia basata sulla leadership di costo piuttosto che di differenziazione.

Inoltre, la politica industriale italiana non ha attuato nessuna azione e nessun intervento per porre rimedio ed arrestare il progressivo indebolimento delle grandi imprese nazionali.

L’indebolimento di questa categoria di imprese mina lo stato di salute dell’economia nazionale, senza che ciò possa essere compensato dal miglioramento della competitività delle piccole-medie imprese, le quali, negli ultimi anni, si sono rivalutate, dimostrando doti pregevoli sia dal punto di vista organizzativo, che dal punto di vista tecnologico, anche se alcuni investimenti, come quelli per la R&S in campo farmaceutico, genetico e biotecnologico, ed alcuni processi formativi sono stati caratteristici della grande impresa218.

Per concludere l’analisi della responsabilità del sistema Italia, come una delle cause della crisi di Fiat, il nostro Paese non è stato in grado di compiere alcuna scelta in settori nevralgici per lo sviluppo industriale di un Paese evoluto, quali la chimica, l’elettronica, l’informatica e l’aeronautica civile.

217 G. VOLPATO, “Una crisi che viene da lontano. Il marketing strategico di Fiat Auto”, in

Economia e politica industriale, n. 116, 2002, p. 64.

218 G. VOLPATO, “Una crisi che viene da lontano. Il marketing strategico di Fiat Auto”, in

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A questo proposito, si prenda come caso eclatante la legge 675 del 1977219, la quale promuoveva, sotto la responsabilità del CIPI (Comitato dei ministri per il coordinamento della politica industriale) indirizzi singolarmente avanzati di politica industriale: stimolare la trasformazione, l’ammodernamento e lo sviluppo del sistema industriale italiano, sia per elevarne il livello tecnologico, sia per adeguare la struttura dell’offerta alle esigenze poste da una migliore collocazione nei mercati internazionali e dallo sviluppo, all’interno, dei consumi collettivi e sociali, sia per favorire il risanamento ecologico degli impianti e dei processi produttivi220; così come la legge prevedeva vari strumenti attuativi dei seguenti indirizzi: trasferimenti di denaro pubblico a sostegno di comparti industriali definiti nevralgici per lo sviluppo del Paese, forme di agevolazioni alle imprese e di consultazione tra organi pubblici, sindacati ed imprenditoria.

Questa legge, che sulla carta si presentava come il maggior tentativo della storia repubblicana di procedere ad una profonda ristrutturazione dell’industria italiana, si è rivelata assolutamente inefficace a causa di insensate decisioni della classe dirigente pubblica e privata in merito a finanziamenti di improbabili progetti industriali, a salvataggi aziendali condotti con spirito clientelare ed al peso da attribuire di volta in volta al primato della politica, da una parte, ed alla razionalità economica, dall’altra221.

Nonostante la politica industriale italiana ha un’innegabile responsabilità nel non aver saputo garantire al Paese il giusto connubio “competitività & sviluppo”, ciò non permette di spiegare da sola l’entità e la gravità della crisi della società torinese, anzi, l’origine del profondo stato di emergenza e di dissesto in cui si è trovata l’azienda, va rintracciata nelle carenze di natura manageriale nella conduzione di

219 La legge 675/77 è stata ispirata da una linea di politica economica, poi denominata “dirigismo”, che stabiliva nuovi criteri per la concessione del credito agevolato all’industria e più in generale per i trasferimenti di denaro pubblico a sostegno dell’attività economica con l’obiettivo riqualificare il sistema industriale italiano per porlo in condizioni di maggior forza nel mercato internazionale e di riformare l’apparato industriale italiano in direzione di una sua maggiore diffusione territoriale e di una maggiore diversificazione settoriale.

220 Articolo 2 della Legge del 12 agosto 1977, n. 675.

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Fiat Auto, le quali devono essere analizzate con attenzione per giungere ad una piena comprensione del fenomeno.

Le colpe del management di Fiat Auto si manifestano a tre livelli: il primo livello, il più profondo, latente e forse il meno indagato, è quello culturale; il secondo livello concerne l’incapacità di affrontare efficacemente e con successo l’arena competitiva; il terzo livello è rappresentato dall’incapacità del management di attuare efficientemente strategie e processi che, nonostante siano razionali, condotti maldestramente aggravano i problemi relativi ai primi due livelli sotto il profilo economico, finanziario ed organizzativo.

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