• Non ci sono risultati.

LA RESPONSABILITA’ CIVILE SPORTIVA

Nel documento Fenomeno sportivo e responsabilità (pagine 66-114)

Sommario: 1. La responsabilità civile in generale: i principi-guida del codice civile - 2. La responsabilità civile sportiva - 3. Premessa. Fondamento della liceità dell’attività sportiva: la c.d. scriminante sportiva - 3.1. Ambito di operatività della scriminante sportiva - 4. Fondamento e criteri di valutazione della colpa sportiva: quando la condotta illecita dell’atleta sconfina nell’illecito civile - 4.1. Responsabilità dell’atleta: violazione delle regole tecniche e rischio sportivo - 5. - La responsabilità dell’atleta in alcuni contesti sportivi. La soglia del rischio nello sport del calcio e del pugilato - 5.1. - Il pugilato

1. – La responsabilità civile in generale: i principi-guida del codice

civile – In questo capitolo, prima di dedicarci sistematicamente allo scandagliamento del macrotema riguardante l’illecito (di natura civile) nello sport, ci occuperemo di passare in rassegna, esaminandoli, quelli che sono i capisaldi civilistici in materia di responsabilità che, come vedremo, può avere duplice natura.

Il codice civile, infatti, dispone all’art. 1173 una sorta di elenco122

delle varie fonti di obbligazione, dalla cui violazione possono sorgere due tipi di responsabilità: quella contrattuale, derivante dalle obbligazioni ex contractu, che trova la propria causa in un rapporto contrattuale posto in essere dalle parti e sul quale si modella, e quella

122Le obbligazioni infatti possono derivare “da contratto, da fatto illecito, o da ogni

altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, art. 1173 c.c., cit.

66

extracontrattuale o aquiliana che, derivante dalle obbligazioni ex delictu, ricorre ogni qualvolta si realizzi la violazione non già di un dovere specifico, nascente da un preesistente rapporto obbligatorio (nel qual caso si configurerebbe la responsabilità “contrattuale” di cui sopra), bensì di un dovere generico, solitamente indicato dalla dottrina con il brocardo latino “neminem laedere”.

Esistono poi delle ipotesi residuali (di responsabilità), diverse da quelle appena esaminate e ricollegabili alla nascita di obbligazioni a seguito di “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, che «si fondano su norme di legge, come

la gestione di affari altrui o l’arricchimento senza causa»123.

La norma fondamentale, a cui bisogna far riferimento quando si parla di responsabilità civile (derivante da fatto illecito), è l’art. 2043 c.c., secondo il quale “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Tale disposizione è considerata, dalla dottrina, come una sorta di

clausola generale di responsabilità, in quanto, riferendosi

espressamente a “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto”, individua in tal senso – ovvero attraverso una

espressione generica – il fondamento della responsabilità

extracontrattuale.

Vi sono124, però, anche altre categorie di fatti illeciti, creati ad hoc dal

legislatore in relazione a particolari rapporti o situazioni soggettive, e

123C. Mellone, Manuale di diritto privato, sezione ‘obbligazioni’, cit., 2007. Sempre

a titolo di esempio possiamo menzionare le ipotesi di responsabilità nascente dalla violazione di obblighi di formazione o dai doveri di protezione: si veda Giampetraglia, Riflessioni in tema di responsabilità sportiva.

124Pensiamo al rapporto tra i datori di lavoro e i loro dipendenti, tra chi è deputato

alla sorveglianza e chi è incapace di intendere e di volere.

Per quanto riguarda le figure a metà tra le due branche del diritto possiamo menzionare la L. 8/07/1986 n. 349, inerente il danno ambientale.

67

figure di confine tra diritto privato e diritto pubblico; ciò a dimostrazione di come le norme del codice non siano più sufficienti a regolare tale settore, venendo sempre più frequentemente integrate o modificate da leggi speciali che esprimono un’esigenza fortemente sentita di adeguamento del sistema della responsabilità al mutamento sociale.

Nel corso del secolo scorso abbiamo assistito ad un notevole mutamento a proposito del concetto di responsabilità civile.

Sulla scia della prospettiva del legislatore del ’42, ancora negli anni ’60-’70 era dominante, sia in dottrina che giurisprudenza, «la c.d. concezione tradizionale dei fatti illeciti, secondo la quale la funzione che il sistema della responsabilità doveva assolvere era principalmente

sanzionatoria»125; in particolare, la teoria in esame, in funzione di tale

visione sanzionatoria della responsabilità – ovvero dell’art. 2043 – in relazione ad un sistema di illeciti tipici, focalizzava in modo preminente la sua attenzione sul fatto colposo meritevole di sanzione e quindi, in concreto, sulla figura del soggetto danneggiante chiamato a risponderne a titolo di colpa, a discapito del danno ingiusto subito dalla vittima, il cui risarcimento – sempre secondo la detta teoria – avrebbe dovuto accordarsi qualora il medesimo danno avesse dimostrato di incidere concretamente su interessi aventi natura essenzialmente patrimoniale. In sostanza era rilevante solo la culpa e non la iniuria, decretando tale prospettiva (di responsabilità) una sanzione nei confronti dei trasgressori resisi colpevoli della violazione di (preesistenti) precetti – c.d. norme primarie – posti a tutela di diritti soggettivi assoluti patrimoniali che, come tali, impongono a carico di tutti i consociati il dovere del neminem laedere.

125M. Paladini, Il sistema della responsabilità civile, Wikijus, www.e-glossa.it, cit.

68

Da quanto appena detto, si deduce come l’art. 2043 cc. avesse, in sostanza, una rilevanza di tipo secondario in quanto norma destinata ad operare solo in caso di comportamenti colpevoli lesivi di diritti soggettivi assoluti, ovvero nelle ipotesi tipiche di violazione dei divieti (precetti primari) posti a tutela dei suddetti diritti, e, pertanto, non in occasione della violazione di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti non patrimoniali (“poiché il danno non patrimoniale, ex art. 2059 cc., veniva ritenuto dal legislatore come risarcibile nei soli casi

previsti dalla legge”)126.

Tuttavia, l’inquadramento tradizionale (o, in altri termini, sanzionatorio) della responsabilità da fatto illecito, così come ricostruito nei suoi punti salienti, ha rivelato, ben presto, tutta la sua inadeguatezza di fronte alle complesse trasformazioni sociali.

A partire dagli anni ’60, infatti, la società italiana ha subito «uno stravolgimento totale: da un’economia di tipo rurale – al cui interno effettivamente una condotta diligente (era) in grado di escludere il prodursi di danni alla sfera dei terzi – si passa ad una società industriale, nella quale si moltiplicano occasioni di danni che sfuggono al controllo dei produttori e divengono, di conseguenza,

imprevedibili»127.

Si è assistito, così, ad un mutamento di prospettiva che ha segnato il superamento della visione tradizionale della responsabilità civile, totalmente incentrata sui concetti di colpa e sanzione – richiamanti, evidentemente, la figura del danneggiante –, a favore di una ‘nuova’ concezione, che, al contrario, si preoccupava di porre al centro della scena la persona del danneggiato, ingiustamente leso dalle conseguenze del danno patito, con lo scopo di sollevarlo dalle stesse;

126La responsabilità extracontrattuale, Area civile, Lezione I,

www.neldirittoformazione.it, 2015-16, cit. p 1.

127Si veda La responsabilità extracontrattuale, Area civile, Lezione I,

69

quest’ultimo da considerarsi realizzabile, in concreto, solo attraverso una più corretta e orientata interpretazione dei termini giuridici di danno e di risarcimento, precedentemente accantonati.

Non a caso, il fondamento di tale nuova concezione risiede proprio nel nuovo approccio interpretativo – sopra menzionato – assunto nei confronti del testo normativo dell’art 2043: in sostanza tale teoria ponendo maggiormente l’accento sul riferimento al danno del concetto di ingiustizia, operato testualmente dalla norma in oggetto fin dal ‘42, ha comportato uno spostamento di prospettiva o, come già anticipato, un nuovo orientamento della stessa verso il danneggiato e quindi verso una meritevolezza del risarcimento, inteso quale strumento di riparazione di un danno ingiusto, piuttosto che verso la sanzionabilità della condotta.

Comprendiamo, pertanto, come l’abbandono della concezione

sanzionatoria sia dipesa in gran parte «dalla evoluzione

giurisprudenziale della nozione di “danno ingiusto”, causato non più solo dalla lesione di diritti soggettivi (prima solo assoluti e poi anche di credito), ma anche di aspettative e posizioni di fatto o interessi legittimi; apertura che ha segnato, (come visto), l’avvento di una nuova concezione volta a riconoscere all’art 2043 c.c. una funzione precettiva»128.

La norma in esame ha perso, dunque, la sua portata meramente sanzionatoria di illeciti tipizzati per configurarsi, all’opposto, come regola generale, volta a fornire ristoro ad una molteplicità di interessi,

da individuarsi di volta in volta in sede interpretativa129.

Sulla base di questo presupposto, il 2043 cc. non viene più considerata norma secondaria, bensì quale norma primaria di protezione che,

128Area civile, La responsabilità aquiliana, Lezione I, 2015-16, p. 2.

129M. Paladini, Il sistema della responsabilità civile, Wikijus, www.e-glossa.it, cit.

70

fissando il principio del divieto di ingerirsi senza autorizzazione nella sfera giuridica altrui, in una prospettiva evidentemente vittimologica più coerente con il tenore letterale della norma, ha di fatto recuperato la funzione riparatoria della responsabilità che, in quanto tale, concepisce il risarcimento come mezzo per ristorare il danno ingiusto e quindi uno strumento destinato a rimuovere le conseguenze negative ricadenti sul patrimonio in occasione della lesione di situazioni giuridiche soggettive meritevoli di protezione.

Ne consegue, in definitiva, che ai fini della responsabilità extracontrattuale è necessario che il fatto dannoso scaturisca da un comportamento umano colpevole (determinato da dolo o colpa) e che il danno sia ingiusto, ovvero “antigiuridico”, capace di provocare la lesione di un diritto: tuttavia è opportuno precisare che «per aversi responsabilità non basta che vi sia la colpevolezza, ma è necessario che il soggetto agente sia imputabile e cioè, secondo l’art. 2046 c.c., è

necessario che sia capace di intendere e di volere»130.

Per dovere di completezza, bisogna inoltre aggiungere che ai fini della responsabilità è rilevante il c.d. nesso di causalità intercorrente tra fatto e danno, in base al quale il fatto umano dannoso deve essere la cagione del danno patito. Questa sorta di rapporto causa- effetto deve essere inteso dal punto di vista prettamente giuridico (tralasciandone il profilo fisico), onde evitare l’estensione della responsabilità a tutti gli eventi possibili: in tal senso, viene in soccorso l’art. 2056 c.c. che, nell’ambito della valutazione dei danni, richiama l’art. 1223 c.c., secondo il quale sono risarcibili quei danni che siano conseguenza “immediata e diretta” dell’atto umano; la dottrina, dal canto suo, ne modera l’interpretazione, nell’ottica di un adeguamento della teoria

130C. Mellone, Manuale di diritto privato, Cap. L’atto illecito, sez. Struttura dell’atto

illecito, 2011 cit. E’ evidente che, pur mancando la capacità di intendere e di volere, può anche esservi dolo o colpa, ma non ci sarà responsabilità dell’agente (es. minore).

71

della causalità, grazie al quale tende a considerare come causa di un certo evento solo quella che appare normalmente idonea a produrlo, escludendo, pertanto, quegli aventi sopravvenuti da considerarsi eccezionali131.

Tornando al profilo dell’antigiuridicità del danno, posto ormai che per danno rilevante – e quindi ingiusto – si intende quel danno che cagiona la lesione di un diritto, sia esso costituzionalmente garantito o, altrimenti, meritevole di tutela, resta ora da chiarire come si proceda nel merito all’individuazione degli interessi giuridicamente rilevanti ovvero di quelli meritevoli di protezione, che come tali non sono a

priori determinabili132.

Infatti, sulla scorta di quanto affermato dalle stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di risarcibilità, è necessario procedere alla

determinazione di tali interessi nell’ambito del giudizio

sull’ingiustizia del danno, a cui è chiamato a provvedere il giudice. Pertanto, benché sussista, in linea di principio, la tutela risarcitoria ogniqualvolta si verifichi un danno ingiusto – a prescindere dalla qualificazione formale della situazione lesa – occorre sempre formulare un giudizio comparativo tra gli interessi in conflitto, e, cioè, «dell’interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, da un lato, e dell’interesse che il comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire, dall’altro»133, al fine di stabilire su chi è giusto

che ricadano le conseguenze dannose del fatto.

131In argomento, C. Mellone, Manuale di diritto privato, Cap. L’atto illecito, sez.

Struttura dell’atto illecito, 2011.

132Le S.U. Corte di Cassazione hanno, infatti, rilevato tale impossibilità di

determinazione degli interessi in esame e in relazione ad essi hanno chiarito che “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della situazione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all’ingiustizia del danno contraddistinto dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante”.

72

Occorre, in sostanza, valutare134 se per l’ordinamento sia meritevole di

maggior protezione l’interesse perseguito dal danneggiante con la condotta dannosa ovvero il sacrificio patito dal danneggiato: ne consegue che la comparazione sfocia in un giudizio di prevalenza in relazione al caso concreto.

In conclusione, è importante aggiungere che, accanto alla clausola generale di responsabilità prevista dall’art. 2043 c.c. che, come detto, oltre a delineare un modello di atipicità di fatti illeciti, codifica due importanti principi – “nessuna responsabilità senza colpa” e quello secondo il quale solo la lesione di un interesse giuridicamente

rilevante può dar luogo ad un danno ingiusto – esistono le c.d.

previsioni speciali di responsabilità (artt. 247-254), il cui tratto caratteristico è dato, generalmente, dall’abbandono del criterio generale di imputazione della colpa: ogni ipotesi speciale, infatti, ha una propria disciplina per quanto riguarda il criterio di imputazione del danno, il regime di delimitazione dell’ambito di operatività e quello di eventuali cause di esonero da responsabilità.

Tra questi casi speciali, tassativamente previsti dalla legge, si distinguono, normalmente, le ipotesi di responsabilità oggettiva (art. 2049) e le ipotesi di responsabilità aggravata (artt. 2047-48-50-51-52- 53-54): in particolare, in relazione a tali fattispecie, il legislatore, a ben vedere, si è discostato dalla disciplina generale del 2043 cc., prevedendo, nel primo caso, una fattispecie di responsabilità completamente svincolata dall’indagine sulla colpevolezza (si fonda, come vedremo, sul nesso causale tra incombenze del preposto e danno), nell’ambito della quale, in virtù di tale presupposto, non è consentita al responsabile alcuna prova liberatoria, e nel secondo caso, una forma di responsabilità basata sul concetto di colpa presunta,

73

vincibile – da parte del soggetto responsabile – con la prova di non aver potuto impedire il danno, o del caso fortuito o della forza maggiore (c.d. prova liberatoria).

Quindi, secondo l’impianto della responsabilità oggettiva, un soggetto «risponde del danno cagionato sulla base del mero nesso di causalità

tra l’evento dannoso ed il comportamento dell’agente,

indipendentemente dalla sussistenza dell’elemento psicologico del

dolo o della colpa»135; si intuisce come tale responsabilità non sia

legata «ad un fatto colpevole da parte del soggetto tenuto a risarcire il danno ingiusto, ma al particolare rapporto che lega chi materialmente abbia causato il danno stesso a chi poi sia chiamato a risarcirne, per l’appunto, gli esiti»136: si tratta del c.d. rapporto di preposizione, se

siamo in presenza di un soggetto che utilizza e dispone del lavoro altrui, altrimenti ricadiamo nelle altre ipotesi di responsabilità “indiretta”.

Infatti, a proposito del particolare rapporto, anche nei casi di responsabilità aggravata, seppur non rilevi alcun rapporto di preposizione (datore-lavoratore), il responsabile viene comunque individuato in base ad una determinata qualifica che gli appartiene (custode, proprietario ecc.) ovvero in base a determinati fatti (svolgimento di un’attività pericolosa, ecc.).

135Giampetraglia, Riflessioni in tema di responsabilità sportiva, cit., p.89. A tal

proposito è opportuno ricordare la responsabilità senza colpa dell’art. 2049, che non concede a padroni e committenti di fornire la prova contraria quando è loro imputato un fatto dannoso arrecato dal dipendente o commesso, e l’art. 2054 ultimo comma ove si precisa che il proprietario, l’usufruttuario, l’acquirente con patto di riservato dominio e il conducente dell’autoveicolo sono in ogni caso responsabili per i danni provocati da vizi di costruzione o difetti di manutenzione del veicolo.

74

2. – La responsabilità civile sportiva – Anche se può sembrare non pertinente, un tema di possibile indagine nell’ambito del sistema sport è rappresentato dalla c.d. responsabilità civile sportiva.

E’ argomento, infatti, che ha una certa importanza, «oltre che per ragioni di carattere ricostruttivo, soprattutto a causa della notevole estensione della pratica sportiva nella società moderna, cui

conseguono frequenti e numerosi incidenti»137: è doveroso, perciò,

interrogarsi sulla responsabilità e risarcibilità di quei danni che derivano dalla pratica sportiva, ormai divenuta, soprattutto a certi

livelli, una sorta di complessa “macchina da soldi”138, come tale, non

più classificabile in toto tra le semplici attività a carattere ludico motorio a cui l’uomo da sempre si è dedicato per il suo benessere psicofisico.

E’, dunque, a causa dei numerosi eventi dannosi che si possono verificare in occasione delle più varie discipline sportive, che assume rilevanza, anche in questo campo, la tematica della responsabilità e, più precisamente, l’aspetto extracontrattuale della stessa.

In ragione dell’esigenza concreta (poc’anzi richiamata), si è a lungo discusso in dottrina circa la rilevanza giuridica da attribuirsi alla categoria della responsabilità civile sportiva, con l’intento di fornire una adeguata declinazione della stessa in riferimento ai danni che si possono verificare durante lo svolgimento e l’organizzazione di attività sportive.

Una volta preso atto che l’illecito sportivo, «normalmente rilevante solo in ambito sportivo, possa costituire anche.. un illecito civile ai

sensi dell’art. 2043 c.c.»139, portando tale circostanza determinate

137A. P. Benedetti, Responsabilità civile sportiva. Un esempio di diritto

consuetudinario?, in AA.VV., Sport e ordinamenti giuridici, Pisa, 2008, cit. p. 189.

138Si rimanda a M. Conte, Il risarcimento del danno nello sport, Torino, 2004, p.1-3. 139B. Agostinis, La responsabilità civile dell’atleta, uniurb.it, 2014, cit. p. 13.

75

conseguenze sotto il profilo sanzionatorio140, bisogna soffermarsi

sull’intricato tema riguardante l’autonomia concettuale della “responsabilità sportiva” rispetto alla categoria tradizionale della responsabilità civile tout court, atteso che tale particolare istituto – per il fatto di racchiudere in sé tutti quei fatti posti in essere da soggetti impegnati nella pratica sportiva o che comunque gravitano intorno ad essa (si pensi agli atleti, ai gestori di impianti sportivi, agli organizzatori, alle società sportive ecc.), che sono causa di conseguenze dannose nei confronti di altri soggetti, partecipanti o non, alla competizione – è stato oggetto di numerose e contrapposte disquisizioni in ambito dottrinario.

Nello specifico possiamo ricondurre le varie argomentazioni degli interpreti a due autorevoli teorie in materia: la prima, decisamente più rivoluzionaria della seconda.

I sostenitori della prima tesi141 guardano alla responsabilità civile

sportiva come a una forma di responsabilità sostanzialmente autonoma rispetto alle altre figure presenti nel nostro ordinamento, in quanto ritengono che la stessa, trovando giustificazione in un corpus di norme e principi informatori, quale è quello dell’ordinamento sportivo, non possa che seguire, per tale ragione, quei criteri peculiari propri della materia, conformi alle statuizioni generali di settore, che le valgono,

140Si rimanda sempre a B. Agostinis, La responsabilità civile dell’atleta,

www.ojs.uniurb.it, 2014. Sul punto AA.VV., Diritto sportivo, in Giur. Sist. Dir. Civ. comm., W. Bigiavi, Torino, 1998, afferma – appunto – che “l’illecito sportivo può dare luogo alla sola reazione dell’ordinamento sportivo.. ma può anche essere fonte di responsabilità penale e civile con l’applicazione da parte dell’ordinamento statale rispettivamente della sanzione penale o della sanzione civile sotto forma di risarcimento del danno”.

141Si veda A. Scialoja, Responsabilità sportiva, in Digesto delle discipline

privatistiche, Sez. civ., Torino, 1998, p. 415 “l’autonomia concettuale dell’espressione responsabilità sportiva trova fondamento nell’indispensabile qualificazione della responsabilità giuridica alla luce dei principi e delle disposizioni dell’ordinamento sportivo”.

76

perciò, l’esclusione dall’alveo della clausola generale di responsabilità prevista dal codice.

Tale impostazione comporta inevitabilmente che l’autorità giudiziaria dovrà rifarsi, nell’elaborazione del giudizio sulla responsabilità civile (sportiva), «ai principi e alle regole proprie dell’ordinamento sportivo, compiendo, pertanto, una valutazione dei fatti diversa rispetto a quella cui sarebbe tenuta nell’accertare la responsabilità per danni cagionati in altre occasioni»142.

È evidente, tuttavia, che tale valutazione dei fatti, operata dal giudice, poggerà su un modello di imputazione della responsabilità ogni volta

diverso143, a seconda del tipo di sport e delle regole tecniche stabilite

per ciascuna disciplina sportiva.

Totalmente di orientamento opposto sono i fautori della seconda teoria, quella più conservatrice, secondo la quale non possono trovare applicazione, nei giudizi sulla responsabilità sportiva, «se non con riguardo alle competizioni agonistiche, principi diversi da quelli

codicistici»144, che, se ritenuti qualificanti, giustificherebbero la

creazione di una categoria autonoma di responsabilità.

In effetti, non potrebbe riconoscersi un’autonomia specifica alla responsabilità sportiva, data l’ormai assodata autonomia, solo sul

Nel documento Fenomeno sportivo e responsabilità (pagine 66-114)

Documenti correlati