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Personaggi del dramma Regista

Un’attrice Auriga

Re, di nome Duṣyanta, della stirpe di Puru Tre eremiti

Śakuntalā

Anasūyā, amica di Śakuntalā Priyaṃvadā, amica di Śakuntalā

Buffone, di nome Māṭavya

Alcune donne straniere come seguito del sovrano Usciere, di nome Raivataka

Generale

Due giovani eremiti, di nome Nārada e Gautama Karabhaka, messaggero del re

Discepolo brahmano

Gautamī, eremita donna a capo della sezione femminile dell’eremo Durvāsas, un eremita, parla sempre fuori scena

Tre eremite donne

Kāśyapa, chiamato anche Kaṇva, abate dell’eremo Śārṇgarava, un eremita incaricato di condurre Śakuntalā dal re Haṃsapadikā, cantante presso la corte, parla sempre fuori scena

Ciambellano, di nome Vātāyana Portinaia

Due menestrelli

Śāradvata, un eremita incaricato di condurre Śakuntalā dal re Cappellano, di nome Somarāta

Uomo, un pescatore

Cognato del re, capo della polizia, di nome Mitrāvasu Due guardie, di nome Sūcaka e Jānuka

Sānumatī, una ninfa

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Caturikā, una serva Mātali, messaggero degli dèi

Bambino, di nome Sarvadamana, figlio di Śakuntalā e Duṣyanta Due eremite donne, di cui la prima ha nome Suvratā

Mārīca, talora chiamato Prajāpati, sapiente divino, maestro di Indra Aditi, dea madre di Indra

Discepolo di Mārīca, di nome Gārava

Prologo

Quella creatura del creatore che per prima egli recò opportunamente offerta in sacrificio, quella che è officiante del sacrificio e invocatrice, quei due che organizzarono il tempo, colei che, essendo udibile, poté penetrare ovunque, colei che dicono essere la custode di tutti i semi e colei tramite la quale i viventi emettono suono colui che è apparso nelle sue otto forme manifeste li protegga!4

(fine della preghiera di benedizione)

Regista (guardando verso il camerino) – Signora, quando la vestizione è completa, vieni qui! Attrice (entrando) – Signore, eccomi. Il signore comandi quale ordine deve ora essere eseguito. Regista – Signora, il pubblico che è qui è perlopiù composto di gente istruita. Oggi dovremo cimentarci con un originale dramma composto da Kālidāsa, che si chiama “Il riconoscimento di Śakuntalā”. Pertanto si metta impegno in ogni ruolo.

Attrice – Con il sapiente arrangiamento del mio signore non c’è nulla che sia ridicolo.

Regista – Signora, ti dico la verità: io non vengo onorato davvero nella mia coscienza di attore se non dal diletto degli uomini saggi. La profondità d’animo per le persone istruite è davvero sapienza.

Attrice – Certo, signore. Il signore renda noto ciò che si deve anzitutto fare.

Regista – Cos’altro è piacevole alle orecchie di questo pubblico? Si canti dunque facendo riferimento al tempo estivo, che è appena sorto e che è capace di rallegrare. Ecco, adesso, i giorni sono piacevoli al momento del tramonto, immergersi nell’acqua è motivo di gioia, le brezze soffiano fragranti fra i pāṭala ed è facile prender sonno in un posto all’ombra.

Attrice – Dunque: (canta) “Tenerissime e amabili fanciulle si inghirlandano con lisci boccioli di śirīṣa, che sono stati lievemente baciati dalle api”.

Regista – Signora, hai cantato bene. Ehi, il corso dei pensieri si è ovunque fermato grazie al canto, dipinto come fosse un quadro. Ora dunque rappresentando quale dramma intratteniamo un tale pubblico?

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La preghiera iniziale, che doveva precedere ogni rappresentazione teatrale (lo apprendiamo dal Nāṭyaśāstra), è qui dedicata al dio Śiva nelle sue otto manifestazioni (Rudra, Bhava, Sarva, Īśāna, Paśupati, Bhīma, Ugra e Mahādeva). La prima creatura del Creatore è l’acqua, la creatura officiante del sacrificio e invocatrice delle divinità è il fuoco, i due che organizzarono il tempo sono il sole e la luna, colei che è udibile ma invisibile e può penetrare ovunque è l’aria, che ha infatti la capacità di veicolare i suoni, mentre la terra è la custode dei semi e il soffio vitale è infine la creatura che permette ai viventi di emettere suono. Per tutte queste creature si chiede al dio Śiva protezione.

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Attrice – Al nobile pubblico non si è già annunciata la realizzazione in questo spettacolo del dramma chiamato “Il riconoscimento di Śakuntalā”?

Regista – Signora, hai ragione a ricordarmelo. In questo momento mi era completamente sfuggito, perché a causa del tuo canto ammaliatore io mi sono decisamente distratto, come il re Duṣyanta fu distratto da una rapidissima antilope.

(escono) Fine del prologo.

Primo atto

(a questo punto entrano il re, che sta inseguendo un’antilope su un carro, e l’auriga)

Auriga (osservando il re e l’antilope) – Sire dalla lunga vita, rivolgendo il mio sguardo al nero animale e a te, che tieni l’arco con la corda ben tesa, mi sembra di vedere l’armato di pināka5 in persona all’inseguimento dell’antilope.

Re – Auriga, l’antilope ci ha dato un notevole distacco. Ora essa di nuovo, con la grazia permessale dalle piegature del collo, repentinamente si slancia tenendo lo sguardo fisso sul carro, per paura che venga scagliata una lancia, penetrandole alle spalle fin nella parte anteriore del corpo. Il percorso è pieno di frammenti d’erba mezzi masticati caduti dalla bocca e perduti per la fatica, indicazione chiaramente visibile; procede sempre più in là. (in maniera sorpresa) Come mai si è celata a me, divenendo difficile da vedere, benché inseguita?

Auriga – O re dalla lunga vita, il terreno qui è irregolare. Io, con uno strattone alle biglie del carro, lo lanciavo in velocità. Così quest’animale si è allontanato, benché inseguito. Ma adesso che ti trovi su un terreno piatto, la cosa non sarà complicata.

Re – Orsù, dunque, si liberino le redini!

Auriga – Come il sire dalla lunga vita comanda! (mettendo il carro in movimento) Sire dalla lunga vita, guarda, guarda! Una volta liberate le briglie, i cavalli con il corpo sporto in avanti, le punte delle creste immobili e le orecchie ritte sul capo, senza che li raggiungano le polveri da loro stessi sollevate, corrono come se fossero insofferenti della velocità dell’antilope!

Re (gioiosamente) – È vero! Stanno superando i cavalli del sole e i cavalli di Indra. Pertanto, ciò che alla vista appare piccolo all’improvviso s’ingigantisce, ciò che è diviso a metà diventa come unito e parimenti ciò che è curvo diventa dritto ai miei occhi: a causa della velocità del carro, non c’è nulla che mi sembri o lontano o vicino.

Auriga – Guardala che muore! (fa il gesto di caricare una freccia)

Voce fuori scena – Ehi! Ehi! Re! Questa è un antilope dell’eremo! Non va uccisa! Non va uccisa! Auriga (ascoltando e guardando) – Sire dalla lunga vita, adesso, stando a tiro di freccia, gli asceti si vanno a mettere fra te e quell’antilope pezzata!

Re (con aria perplessa) – Orsù, dunque, si trattengano i cavalli. Auriga – Ecco. (il carro si ferma)

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(dopodiché entra un eremita assieme ad altri due)

Eremita (alzando la mano) – Re, questa è un’antilope dell’eremo, non va uccisa, non va uccisa! Non ora, non ora! In questo dolce corpo di antilope questa freccia giammai dovrà conficcarsi, come non si appiccherebbe il fuoco sui fiori. Oh, com’è fragile l’esistenza dei cervi! E come son facilmente caduchi, rispetto alle tue lance adamantine! Metti via questo dardo perfetto, pronto per essere scoccato: le vostre armi servono per difendere dalle ingiustizie, non per dar morte all’innocente!

Re – Ecco, l’ho tolta. (fa come detto sopra)

Eremita – Questa è cosa giusta da parte tua, ché tu sei luce della stirpe di Puru. A te, la cui origine è la stirpe di Puru, è appropriato agire così. Che tu possa ottenere un figlio dunque pieno di virtù e capace di governare il mondo!

I due eremiti restanti (alzando il braccio) – Che tu possa ottenere un figlio capace di governare il mondo da ogni parte!

Re (tenendo l’arco) – Va bene.

Eremita – Re, noi siamo usciti per far legna. Questo, in verità, è l’eremo del capostipite Kaṇva6, sulla riva del fiume Mālinī. Se non hai altri impegni, entra e accetta la nostra ospitalità. E inoltre, prendendo parte ai piacevoli rituali degli asceti, nei quali gli impedimenti sono allontanati, comprenderai da me con quale uso giovi l’atto di tendere la corda dell’arco.

Re – Il capo dell’eremo è qui?

Eremita – Proprio adesso, dopo aver incaricato dell’accoglienza degli ospiti la figlia Śakuntalā, per placare l’avverso destino di lei egli è andato a fare un pellegrinaggio a Somnāth.

Re – Va bene. Voglio dunque vederla. Lei certamente parlerà al saggio di me e della mia profonda devozione.

Eremita – Noi adesso ci rimettiamo in cammino. (escono seguiti dai novizi)

Re – Auriga, incita i cavalli: con la visita al puro eremo purifichiamo davvero le nostre anime. Auriga – Come sire dalla lunga vita comanda! (rimettendo il carro in movimento)

Re (guardandosi attorno) – Auriga, benché non indicato da segnale alcuno, è palese che qui c’è il limite di un bosco sacro.

Auriga – Perché?

Re – Se uno è qui, come può non accorgersene? Qui, sotto gli alberi, c’è del riso selvatico caduto dalle aperture delle cavità dei tronchi abitate da pappagalli, altrove ci sono sassi ben preparati per rompere i frutti assai oleosi di iṅgudī, i cervi sopportano il rumore, senza cambiar direzione per l’abitudine7, i percorsi lungo gli specchi d’acqua hanno ai lati canali per il drenaggio con i bordi rivestiti di corteggia. Inoltre gli alberi hanno le radici bagnate dalle acque dei canali increspate dal vento, la splendida lucentezza dei germogli è attenuata dall’innalzarsi del fumo del burro chiarificato8 e lì vicino cerbiatti camminano con delicatezza sull’erba strappata.

Auriga – Tutto giusto.

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Si tratta di Kāśyapa, il capo dell’eremo che apparirà poi.

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Ci si riferisce all’abitudine al rumore dei carri: i cervi infatti non lo temono, perché sanno che gli eremiti che sono soliti passarvi non fanno loro alcun male.

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Re (percorrendo una breve distanza) – Non si disturbino gli abitanti del bosco sacro! Ferma qui il carro, affinché io scenda.

Auriga – Le redini sono salde. Scenda pure il re dalla lunga vita!

Re (scendendo e guardandosi) – Auriga, nei sacri boschi bisogna di certo entrare abbigliati solo d’un mantello (consegna all’auriga gli ornamenti e l’arco). Auriga, finché io non sarò tornato dopo aver fatto visita agli abitanti dell’eremo, si facciano rinfrescare i cavalli.

Auriga – Certamente. (esce)

Re (passeggiando e guardandosi attorno) – Questa è la porta dell’eremo. Adesso entro (entrando e percependo un presagio9). Quest’eremo è un posto tranquillo, eppure il mio braccio trema: da cosa potrebbe dipendere in un posto così? O piuttosto le porte del destino sono ovunque?

Voce fuori campo10 – Qui, venite qui voi due, amiche mie!

Re (porgendo orecchio) – Ehi! Si sente una voce sulla destra, nel boschetto di alberi! Ci vado subito (camminando e guardando). Ehi! Quelle sono figlie di asceti con contenitori per l’acqua di grandezza proporzionata a quanto ciascuna può portarne, per annaffiare le piante nate da poco. Per questo sono in cammino (osservando attentamente). Ah, è dolce guardarle! La gente che vive in un eremo ha una tale bellezza che difficilmente si potrebbe ritrovare in un harem, così come vengono davvero superate per le qualità le piante rampicanti dei giardini da quelle selvatiche. Adesso mi metto a osservarle standomene qui all’ombra. (si mette a guardarle)

(dopodiché, agendo come detto, Śakuntalā entra con le due amiche) Śakuntalā – Qui, qui, amiche!

Anasūyā – Cara Śakuntalā, penso che le piante dell’eremo di padre Kāśyapa gli siano più care anche di te, giacché ha nominato te, che sei dolce come un fiore di navamālikā, per il riempimento dei loro bacini11.

Śakuntalā – Non è solo obbedienza al padre: da parte mia, è anche affetto fraterno per loro.

Re – Come! Costei è figlia di Kaṇva! Certo che il venerabile Kāśyapa, se sapeva ciò, non ha agito bene, lui che la relega alla cura dell’eremo! Infatti il saggio che intendesse considerare adatto alla fatica questo corpo semplicemente splendido è come se decidesse di appenderlo a un albero di śamī con la sommità piena di foglie di loto blu. E sia. Anche se celato fra gli alberi, adesso la guardo senza spaventarla (quindi fa così).

Śakuntalā – Cara Anasūyā, ho i movimenti ostacolati dalla corteccia legatami sulle spalle da Priyaṃvadā. Allentami dunque i nodi.

Anasūyā – Va bene (le allenta i nodi).

Priyaṃvadā (ridendo) – Adesso il seno, più accentuato, rivela la tua giovane età. E per questo mi critichi?

Re – Lei ha davvero ragione! Questo suo giovane corpo, celato dalla corteccia che copre l’espandersi dei seni e che adorna le spalle con un delicato intreccio, non mostra il proprio

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Ci si riferisce a un tremore del braccio destro (come d’altronde specificato subito dopo), che presagisce un incontro con una bella donna. La cosa, ovviamente, stupisce il re, che non si aspetta di fare un simile incontro in un eremo.

10 In pracrito. 11

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splendore, come un fiore posto in una corona di pallide foglie. Oppure, pur non essendo la corteccia un ornamento per la sua figura, ciò non tocca la desiderabilità del suo corpo.

D’altronde, il loto, anche se pieno di muschio, è bello; nonostante l’oscurità le macchie della luna ne aumentano il fascino12. Questa dolce fanciulla è ancor più attraente con la corteccia addosso: cosa infatti non sarebbe un ornamento per dolci donne inadatte alla fatica?

Śakuntalā (guardando innanzi a sé) – Quest’albero di kesara mi piace, con le punte delle foglie agitate dal vento: ora mi ci avvicino. (gli si fa presso)

Priyaṃvadā – Cara Śakuntalā, adesso sta’ ferma un momento! Śakuntalā – E perché mai?

Priyaṃvadā – Perché se tu ti avvicini all’albero di kesara sembra che esso sia attaccato da un rampicante!

Śakuntalā – Ma davvero ti si addice il nome Priyaṃvadā13!

Re – Davvero condivisibile! Ciò che Priyaṃvadā dice a Śakuntalā è la verità! Certo, le sue labbra hanno il colore dei germogli, le sue braccia sono simili a teneri boccioli … è attraente come un fiore la giovinezza, che si spande nelle sue membra.

Anasūyā – Ehi, Śakuntalā, è questa la pianta di navamālikā, che tu hai nominato “splendore del bosco”: te ne sei dimenticata?

Śakuntalā – Finirò per dimenticarmi anche di me stessa! (guardandola, si avvicina alla pianta) Cara, certo è durante la bella stagione che avviene l’unione di questa coppia14 formata da pianta e rampicante: lo “splendore del bosco”, la cui giovinezza si manifesta in novelli boccioli, e il mango, splendido per le tenere foglie.

Priyaṃvadā (sorridendo) – Anasūyā, sai per quale motivo Śakuntalā indugia così tanto a guardare lo “splendore del bosco”?

Anasūyā – In realtà lo ignoro. Dimmi.

Priyaṃvadā – Perché come lo “splendore del bosco” sta attaccato all’albero, anch’io vorrei davvero che lei ottenesse un marito così desiderabile.

Śakuntalā – Questo magari è quello che vuoi tu per te! (versa il contenuto del recipiente)

Re – Magari lei fosse sì la figlia del capo dell’eremo, ma nata da una moglie di casta inferiore! Altrimenti si agirebbe nel dubbio. Di sicuro è una moglie appropriata per uno kṣatriya, giacché la mia nobile mente ha posto in lei il suo desiderio. In questioni dubbie il cuore è la guida da seguire15. Io dunque la conoscerò com’è lecito.

12

Da notare il gioco di parole, impossibile da riprodurre in italiano, fra lakṣman, “macchia”, e lakṣmī, “fascino”, “bellezza”. Il voluto accostamento di questi due termini serve ovviamente ad accentuare come quello che sembra essere un difetto possa in realtà diventare motivo stesso della bellezza.

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Priyaṃvadā non si fa problemi a prendere in giro l’amica Śakuntalā, dicendole che, se si sarà avvicinata a

quell’albero, vi rimarrà attaccata come un rampicante. E Śakuntalā ribatte giocando, non senza ironia, sul significato del nome dell’amica: “colei che parla gentilmente”. Quello che però sembra essere solo uno scherzo fra ragazze finirà per realizzarsi davvero: sotto quell’albero si cela infatti il re, di cui Śakuntalā finirà per innamorarsi.

14

Continua la descrizione del gioco amoroso, con chiaro riferimento a quello che dovrà avvenire fra Śakuntalā e il re Duṣyanta, fra le due piante: il mango e la navamālikā, ribattezzata vanajyotsnā (in pracrito vaṇajosiṇī) dalle tre ragazze.

15

Il re spera che Śakuntalā abbia almeno un genitore di casta inferiore a quella dei brāhmaṇa cui, invece, appartiene il padre, in quanto capo degli eremiti. Le caste sono infatti rigidamente endogame. Il re tuttavia cerca già una via d’uscita: non sapendo di chi sia figlia la ragazza, può provare a conquistarla seguendo ciò che gli suggerisce il cuore, nell’attesa di accertare la verità.

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Śakuntalā (agitandosi) – Oh, mamma! A causa dell’innalzamento provocato dal travaso di acqua un’ape, allontanatasi dalla navamālikā, è venuta a ronzarmi in faccia! (manifesta il fastidio causatole dall’ape)

Re (visibilmente invidioso) – Ovunque l’ape vada a ronzare, lei gira gli occhi. La sua fronte è corrucciata; lei oggi fa ruotare gli occhi per il pericolo e non per amore. Inoltre, (con fare un po’ sdegnato) tu16 spesso tocchi l’occhio tremulo dalla coda sussultante! Tu ronzi girandole delicatamente attorno all’orecchio come se le dicessi un segreto! Mentre lei muove nervosamente le mani, tu suggi la dolce essenza del suo splendore! Noi, pur cercando, o ape, la verità, restiamo disperati, mentre tu ottieni soddisfazione.

Śakuntalā – Quest’essere insistente non la smette! Me ne andrò da un’altra parte! (si sposta di un passo, gettando un’occhiata in giro) Ehi! Mi vien dietro! Amiche, salvatemi, ché sono stata sopraffatta da quest’ape ostinata e malvagia!

Entrambe (ridendo) – Chi saremmo noi per salvarti? Chiedi aiuto a Duṣyanta: a esser precisi, salvaguardare i boschi sacri è compito del re.

Re – Ecco un’opportunità per uscire allo scoperto. Ma non deve spaventare (interrompendosi a metà discorso e spostandosi di lato) la conoscenza del mio stato regale. E sia. Parlerò dopo.

Śakuntalā (si sposta di un altro passo, gettando ancora un’occhiata in giro) – Ehi! Mi segue anche qui!

Re (avvicinandosi di corsa) – Ah! Mentre un discendente di Puru regola il mondo, sì, lui, che è un regolatore delle cose indisciplinate, chi è colui che compie un tale atto rude nei confronti di giovani figlie di eremiti?

(tutte e tre, vedendo il re, sono oltremodo perplesse)

Anasūyā – Signore, invero non c’è nulla di così sconcertante: questa nostra cara amica è infastidita e spaventata da un’ape. (indica Śakuntalā)

Re (essendosi diretto verso Śakuntalā) – La vostra meditazione prospera!17 (Śakuntalā rimane zitta per timidezza)

Anasūyā – Adesso, giacché è arrivato un ospite di riguardo, cara Śakuntalā, va’ al casolare e porta in dono di benvenuto acqua mista a frutti18. Fungerà da pediluvio.

Re – L’ospitalità è soddisfatta dal vostro solo parlar gentile.

Priyaṃvadā – Dunque il signore si riposi solo un momento dalle fatiche alla fresca ombra di quest’albero di saptaparṇa.

Re – Certamente anche voi siete stanche per questo19.

Anasūyā – Cara Śakuntalā, è compito nostro la cortesia nei confronti degli ospiti. Sediamoci qui. (a questo punto tutti si siedono)

Śakuntalā (a se stessa) – Com’è mai possibile? Vedendo costui, io mi ritrovo a percepire uno stravolgimento che non è in armonia con l’ambiente del bosco.

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Il re inizia a parlare direttamente all’ape, invidiandole il fatto che lei si trovi vicino a Śakuntalā.

17

Formula di saluto usata nei confronti di un brahmano.

18 Per onorare un ospite importante, si usava offrirgli un pediluvio di erbe, fiori e frutti immersi in acqua. 19

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Re (guardandole tutte) – Davvero il vostro affetto è piacevole al pari di età e bellezza.

Priyaṃvadā (da una parte) – Anasūyā, chi è costui che appare di una profondità affascinante, maestoso pur nel suo dolce parlare?

Anasūyā – Amica, son curiosa anch’io. Ora glielo chiedo. (a voce alta) La confidenza, che emerge nel tuo dolce parlare, tipica di una persona nobile, mi incoraggia. Quale discendenza di regale saggio è adornata dal tuo essere nobile? O ancora quale popolo è in ansia per la tua lontananza? Quale bel territorio? O ancora perché la tua alquanto delicata persona si è assunta il peso della fatica di venire in questo sacro bosco?

Śakuntalā (a se stessa) – Cuore mio, non affannarti! Quest’Anasūyā suggerisce i pensieri al posto tuo!

Re (a se stesso) – In che modo adesso mi rivelo? Oppure come mi celo? E sia. Ecco cosa dirò! (a voce alta) O donna, io, che, essendone stato incaricato, amministro la legge per conto del re, il discendente di Puru, sono arrivato in questo bosco sacro per controllare che i rituali vengano svolti senza problemi.

Anasūyā – Adesso quanti obbediscono alle leggi hanno un patrono!

(Śakuntalā si mostra intimidita a causa del fatto che si è innamorata)

Anasūyā e Priyaṃvadā (parlando da una parte dopo aver osservato l’aspetto dei due) – Cara Śakuntalā, se solo oggi il padre fosse qui con noi!

Śakuntalā – Perché, cosa succederebbe?

Anasūyā e Priyaṃvadā – Lui soddisferebbe questo distinto ospite con la piena essenza della sua vita20!

Śakuntalā – Ma smettetela voi due! Cosa dite! Cosa vi siete messe in animo! Non ascolterò più la

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