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Lo stress lavorativo può essere definito come un danno fisico e una risposta emotiva che interviene quando le caratteristiche del lavoro non corrispondono alle capacità, risorse o bisogni dei lavoratori (EU-OSHA, 2009). Attualmente la legge che disciplina la valutazione del rischio stress lavoro- correlato è il Decreto legislativo 81/08, art. 28 e successive modifiche e integrazioni. Tale decreto, in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, obbliga il datore di lavoro ad effettuare la valutazione dello stress lavoro-correlato secondo quanto previsto dall’Accordo Quadro Europeo, siglato a Bruxelles l’8 ottobre 2004.

Gestire lo stress lavoro-correlato è importante perché “…Considerare il problema dello stress sul lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme…” (Accordo Europeo sullo stress sul lavoro, Bruxelles, 8 ottobre 2004).

Il D.lgs 626/94, pur introducendo una maggiore garanzia di tutela attraverso un maggior diretto coinvolgimento dei lavoratori stessi nella fase di pianificazione e attuazione della valutazione dei rischi, non individua specificamente lo stress lavoro-correlato quale fattore di rischio.

Il D.lgs. N. 81/2008 e successive modificazioni ed integrazioni che riunisce le disposizioni contenute nelle precedenti normative in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, congiuntamente abrogate dal decreto stesso rileva ed esplicita che, per quanto concerne la valutazione dei rischi sono oggetto della stessa, “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari tra cui anche quelli

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collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell' 8ottobre 2004” (art. 28 D.lgs. 81/2008).

In particolare l’art. 28, stabilisce che nella valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, lo stress lavoro-correlato deve essere valutato come tutti gli altri rischi secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004. L’obiettivo finale è quello di individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e di elaborare un programma di miglioramento nel tempo.

Alla Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza del lavoro è stato affidato il compito di elaborare le indicazione per la valutazione dello stress lavoro-correlato.

Una delle novità del D.lgs. 81/2008 notevolmente importante è la definizione di “salute” mutuata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute), quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale non consistente in un’assenza di malattia o d’infermità”(art.2, comma1, lettera c). Tale definizione rappresenta la garanzia per i lavoratori di essere tutelati anche rispetto ai rischi psicosociali (Testo di Legge N. 81/2008).

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DISCUSSIONI

La sindrome del burnout rappresenta oggi un rischio troppo elevato per ogni contesto organizzativo: costi economici elevati, produttività ridotta, problemi di salute e il generale declino della qualità della vita personale o lavorativa (tutte possibili conseguenze di questa sindrome) sono un prezzo troppo alto da pagare. Il personale sanitario della riabilitazione, impegnato prevalentemente in attività a diretto contatto con la persona malata, costituisce una categoria lavorativa a rischio di burnout. La prevenzione della sindrome del burnout risulta pertanto fondamentale per ridurre l’incidenza e minimizzare gli effetti del fenomeno. In questo elaborato di tesi è risultato importante il ruolo del Dirigente Sanitario a tal fine che, primo fra tutti, ha il compito di far emergere per il rischio di burnout per prevenirlo e controllarlo.

Secondo la revisione della letteratura redatta da Barbosa et al. (2014), l’adozione di strategie individuali e organizzative risultano essere importanti per combattere la sindrome. Le ricerche svolte in questo elaborato di tesi, oltre a sostenere l’affermazione di Barbosa et al., forniscono un supporto all'idea che il burnout tra gli operatori sanitari può essere notevolmente migliorato. A tal proposito, malgrado il numero di studi che riguardano in particolare i terapisti della riabilitazione sia piuttosto molto limitato, la prevalenza e le conseguenze della sindrome in tale categoria professionale sottolinea una grande necessità di interventi per la sua prevenzione o riduzione. Il Dirigente Sanitario, quindi, può e deve intervenire in tal proposito.

Tra gli obiettivi che il Dirigente Sanitario dovrebbe quotidianamente perseguire per garantire un ambiente di lavoro gratificante e nello stesso tempo stimolante è quello di mettere in atto strategie preventive o di fronteggiamento del burnout al fine di ottenere un servizio di maggiore qualità e sempre più qualificato. Numerosi studi hanno infatti messo in evidenza le conseguenze

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negative della sindrome del burnout che rappresentano sia un rischio per gli operatori sanitari che per l’organizzazione ed i propri utenti.

Leggendo gli effetti negativi sulla salute dell’operatore portati dal burnout (cfr. capitolo 1.2) si può facilmente comprendere come la maggior parte di essi, per essere superati, richiedano modificazioni che è possibile attivare solo grazie ad un complesso intervento organizzativo (Cifiello, 2004). In particolare, per gli interventi a livello individuale, varie strategie cognitivo-comportamentali, appaiono utili per migliorare la capacità di coping e la riduzione del burnout. Tuttavia Murphy (1996) suggerisce spesso utile l'uso di molteplici strategie di intervento piuttosto che fare affidamento su una singola tecnica. Per quanto concerne i metodi cognitivo-comportamentali di terza generazione, in particolare di meditazione e la consapevolezza delle pratiche, appaiono promettenti. Questi sono programmi di prevenzione del burnout che aiutano le persone a far fronte non solo con lo stress, ma sviluppano qualità positive come un senso di significato, la gratitudine, e la realizzazione nel lavoro. Indipendentemente dal tipo di strategia di intervento, data la complessità del burnout, risulta che i programmi per essere più efficaci per sostenere risultati a lungo termine, dovrebbero essere conseguiti nel corso del tempo, piuttosto che in un solo giorno, incorporando le sessioni di richiamo (Awa, et al., 2010).

I risultati della ricerca qui condotta avvalorano l’ipotesi secondo cui le organizzazioni per poter accrescere e migliorare necessitano di periodiche indagini mirate ad rilevare la fiducia ed il clima organizzativo in quanto capaci di incidere sullo stato di burnout degli operatori sanitari. I sistemi sanitari producono infatti benessere per gli utenti attraverso il benessere degli operatori, ovvero producono benessere solo se sanno prevenire il malessere conseguente al burnout degli operatori. Il clima di un servizio sanitario è insieme causa ed effetto degli stati d’animo degli individui che ne fanno parte e delle loro relazioni. Un clima depressivo o conflittuale o disgregato è insieme spia e causa di una situazione

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generale che può facilmente esitare in un burnout diffuso. Il controllo e l’azione di miglioramento del clima organizzativo è dunque una delle possibili leve di prevenzione della sindrome. In termini operativi è essenziale la periodica rilevazione del clima dell’organizzazione complessiva e l’intervento per la sua tenuta a livelli soddisfacenti. Il contesto ed il clima lavorativo, con le sue variabili, costituiscono fattori decisivi in grado di influenzare lo stato di salute globale, nonché la qualità del lavoro. Per tali ragioni mettere in atto strategie a livello organizzativo per favorire una condizione di benessere globale in un clima, migliorare le relazioni interpersonali nello staff e l’adesione alla mission aziendale, sviluppare adeguate competenze comunicativo-relazionali nel contesto lavorativo.

I ricercatori che sostengono questo approccio sostengono che i fattori organizzativo-ambientali sono antecedenti al burnout individuale e dovrebbero quindi essere gli obiettivi adeguati di intervento piuttosto che singoli individui. In effetti, la ricerca sui correlati e antecedenti di burnout suggeriscono che un certo numero di variabili organizzative-ambientali sono legati al burnout, tra cui un eccessivo carico di lavoro, la pressione del tempo, il conflitto di ruolo, l'ambiguità di ruolo, l'assenza di risorse di lavoro (in particolare di vigilanza), il feedback di lavoro limitato, limitata partecipazione al processo decisionale in questioni che riguardano il dipendente, la mancanza di autonomia, iniquità o ingiustizia nei luoghi di lavoro, e ricompense insufficienti (compreso il riconoscimento sociale) (Maslach, et al., 2001; Parigi e Hoge 2010; van Dierendonck, Schaufeli, e Buunk 2001). Inoltre, variabili organizzative-ambientali tendono ad essere predittori più potenti del burnout rispetto alle caratteristiche individuali.

Ricerche precedenti hanno suggerito una serie di possibili cambiamenti che riguardano differenti modalità di comunicazione (Burke & Richardsen, 1993; Halbesleben & Buckley, 2004); l’aumentare l'autonomia del singolo dipendente e il coinvolgerlo nei processi decisionali; ridurre i conflitti tra i dipendenti (Stalker & Harvey 2002); porre in essere una regolare supervisione,

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inclusa una supervisione dei pari (Feingold 2005); infine la diminuzione di carichi di lavoro e la promozione della cura di sé come un valore all'interno della cultura organizzativa (Feingold 2008).

Da numerosi studi svolti si evidenzia la necessità di investire risorse e apportare strategie atte a ridurre la frequenza del burnout negli operatori a rischio, sia per aumentare i livelli di produttività, ma soprattutto per favorire un rapporto di collaborazione e serenità tra gli stessi operatori sanitari e tra questi gli assistiti. Il Dirigente Sanitario, inoltre, nella realizzazione di interventi di prevenzione sul burnout tra i suoi collaboratori, deve tempestivamente intervenire, dove si renda necessario, con piani strategici mirati a migliorare e rafforzare le relazioni interpersonali dei membri dell’equipe.

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CONCLUSIONI

La sindrome del burnout negli operatori sanitari può, e deve, essere gestita dal Dirigente Sanitario con strategie organizzative e/o individuali di prevenzione o fronteggiamento. Dai risultati degli studi presi in esame in questo elaborato di tesi, risultano essere numerosi i fattori organizzativi che possono favorire l’insorgenza della sindrome del burnout, come già affermato da Maslach e Leiter (2016). Quelli riconosciuti sono il sovraccarico di lavoro, mancanza di controllo, ricompense insufficienti, mancanza di equità, crollo del senso di appartenenza ad un gruppo. Tali fattori possono essere modificati attraverso specifici interventi e strategie organizzative messe in atto dal Dirigente Sanitario quali . Per quanto riguarda a livello individuale, il Dirigente Sanitario può fronteggiare o prevenire la sindrome del burnout con il controllo periodico della salute fisica e mentale degli operatori sanitari in modo tale da individuare gli operatori a rischio, e mettere in atto terapie di terza generazione quali lo Psycap .

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