• Non ci sono risultati.

IL RUOLO DEL DIRIGENTE SANITARIO NELLA PREVENZIONE E GESTIONE DELLA SINDROME DEL BURNOUT

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "IL RUOLO DEL DIRIGENTE SANITARIO NELLA PREVENZIONE E GESTIONE DELLA SINDROME DEL BURNOUT"

Copied!
70
0
0

Testo completo

(1)

1

RIASSUNTO

Il concetto psicologico del burnout si riferisce ad un esaurimento emotivo e diminuito interesse per il lavoro che svolgiamo. Data la misura in cui la sindrome del burnout costituisce un problema per i servizi sanitari, in termini di prevalenza e sua associazione con una serie di conseguenze per il personale, le organizzazioni e gli utenti, in questo elaborato di tesi ho cercato di rispondere a due quesiti: quali interventi sono risultati efficaci per la prevenzione o il trattamento del burnout negli operatori sanitari, e che cosa può, e deve essere fatto per affrontare il burnout tra gli operatori sanitari. Per rispondere a questi quesiti ho svolto una ricerca computerizzata della letteratura degli ultimi cinque anni tramite il portale Pubmed. Dopo aver fornito una panoramica di come il concetto di burnout è stato definito negli ultimi decenni, nonché discutere le cause ed i possibili interventi di prevenzione per affrontare questo problema dilagante, prendo quindi in esame gli aspetti legislativi ed il ruolo del dirigente sanitario nel prevenire o ridurre la sindrome.

(2)

2

INTRODUZIONE

La sindrome del burnout (Burnout Syndrome) o burnout è emerso come concetto importante durante la metà degli anni Settanta (Freudenberg 1974; Maslach 1976) imponendosi da subito come un problema sociale degno di attenzione e miglioramento. Catturando l’attenzione di ricercatori e professionisti oltre le sue origini statunitensi, ha stimolato quest’ultimi a cercare di capire meglio le sue cause e risoluzioni, divenendo un fenomeno di notevole importanza globale.

Con il termine “burnout” si fa riferimento ad una condizione di esaurimento psico-fisico in cui stressor troppo potenti, frequenti e prolungati determinano l’impossibilità di resistenza dell’organismo con conseguente inizio di processi patologici e comportamenti disfunzionali (40). “Bruciato”, esaurito, scoppiato: esprime con efficace la metafora del bruciarsi della persona, il suo cedimento psicofisico e la perdita di incapacità di adattamento rispetto alle difficoltà dell'attività professionale (Ferri, Giannone, 2006).

Tale processo stressogeno è legato alle helping professions (le professioni d'aiuto) e si sviluppa in particolari contesti, prevalentemente sociali e sanitari dove l’obiettivo dell’attività è la cura, l’aiuto, l’assistenza all’utenza (Gambassi G., 2006). Maslasch e Leiter (2000) hanno definito queste professioni high-touch in quanto implicano contatti continui e diretti con gli utenti (32).

Secondo la psichiatra americana C. Maslach, se la natura stessa delle professioni d’aiuto comporta un carico emotivo che può favorire l'insorgenza di una condizione di disagio psicologico, le persone che possono manifestare la sindrome provengono però da una vasta gamma di attività di lavoro: assistenti sociali, insegnanti, poliziotti, infermieri, medici, psicoterapeuti, consulenti, psichiatri, religiosi, assistenti all'infanzia, operatori dell'igiene mentale, personale

(3)

3

di centri di detenzione, avvocati addetti alla libertà vigilata, amministratori di enti. Benché abbiano compiti diversi, essi hanno tutti in comune un massiccio contatto con altre persone, in situazioni che spesso sono connotate da una "notevole carica emozionale" (32). Tali professioni contengono implicitamente nel loro mandato una finalità di aiuto, basata sul contatto interumano, e che fanno leva sulle capacità personali in misura spesso più consistente rispetto alle abilità tecnico-professionali (Malagutti, 2002). Poiché non sempre la soluzione dei problemi dell’utente è semplice o facilmente ottenibile, la situazione diventa ancora più ambigua e frustrante e lo stress cronico può logorare emotivamente l’operatore e condurlo al burnout (10).

Il termine “burnout” comparve per la prima volta all’inizio del Novecento nel contesto psichiatrico. Kraepelin sottolineava con tale termine come le scarse risorse pubbliche e le condizioni della vita professionale, oltre alla mancanza di speranza nei risultati e le condizioni economiche non soddisfacenti, portavano come conseguenza inevitabile “lavoro eccessivo di singoli, piacere nullo per la professione e il rapido esaurirsi del medico stesso” (20). Nel 1930 viene invece utilizzato in ambito sportivo per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, ad ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti. Successivamente, tale termine si è radicato e sviluppato in contesti socio-sanitari, esprimendosi come uno stato di affaticamento o frustrazione nato dalla devozione ad una causa, un modo di vita o una relazione che hanno mancato di riprodurre la ricompensa attesa.

È nel 1974 che il fenomeno del burnout, riscontrato negli operatori di una struttura psichiatrica, viene descritto nelle sue caratteristiche fondamentali ad opera dello psicoanalista statunitense Herbert J. Freudenberger in un articolo sulla rivista Journal of Social Issues (18). Successivamente il problema è stato approfondito da Christina Maslach che ha sviluppato una procedura valutativa basata su un questionario autosomministrato molto utilizzato nell’ambito della

(4)

4

ricerca: MBI - Maslach Burnout Inventory, uno specifico strumento psicodiagnostico standardizzato realizzato appunto dalla Maslach (30). Questo strumento di analisi, oltre ad i suoi contributi sperimentali, sono diventati un punto di riferimento fondamentale per le ricerche sull’argomento.

Secondo le approfondite ricerche legate a questo fenomeno, nell’ultima revisione di Maslach e Leiter (2000), il burnout è descritto come una specifica sindrome da stress cronico caratterizzata da tre dimensioni peculiari che ne rappresentano il cuore: “Sindrome da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale”.

L’“Esaurimento Emotivo” si caratterizza per la mancanza dell’energia necessaria per affrontare la realtà quotidiana e per la prevalenza di sentimenti di apatia e distacco emotivo nei confronti del lavoro. Rappresenta la componente centrale e più tipica del burnout e consiste nella sensazione della persona di aver «bruciato» tutte le energie psicologiche: il lavoratore si sente svuotato e senza più risorse fisiche ed emozionali per affrontare l’attività lavorativa. L’esaurimento è la dimensione maggiormente legata allo stress e al benessere fisico, oltre che psicologico, e costituisce anche l’aspetto più approfondito dalla ricerca scientifica.

Con il termine “Depersonalizzazione”, Maslach intende un atteggiamento caratterizzato da un esasperato distacco e ostilità nella relazione professionale d’aiuto, vissuta con fastidio, freddezza, cinismo e che si esprime nel trattare gli altri come oggetti piuttosto che come persone. La depersonalizzazione costituisce una reazione di difesa. Il soggetto di conseguenza tenta di sottrarsi al coinvolgimento, limitando la quantità e la qualità dei propri interventi professionali.

La “Ridotta Realizzazione Personale” rappresenta la componente di valutazione di sé del burnout, caratterizzata da un crescente senso di inadeguatezza, dalla mancanza di fiducia circa le proprie possibilità di riuscita nell’attività professionale, sottesa dalla consapevolezza del disinteresse e

(5)

5

dell’intolleranza verso la sofferenza degli altri, e dai conseguenti sentimenti di colpa per le modalità relazionali impersonali e disumanizzate che hanno ormai sostituito l’efficacia e la competenza nel trattare con altri esseri umani sofferenti (32).

A partire da queste dimensioni teoriche, la Maslach mette a punto il diffuso questionario Maslach Burnout Inventory (MBI), uno specifico strumento psicodiagnostico standardizzato realizzato appunto dalla Maslach (30). Sebbene questo costrutto sia nato in riferimento alle helping profession (le professioni di aiuto), in seguito diversi Autori hanno cercato di estenderne l’applicabilità e la pertinenza ad un numero maggiore di contesti professionali, riadattando ciascuna delle tre dimensioni con un carattere più generale, dimensioni valutabili attraverso il MBI-General Survey (Maslach & Leiter 1999; Maslach, Schaufeli & Leiter, 2001, cit. in Borgogni & Consiglio, 2005). Le tre dimensioni costitutive vengono articolate con item meno caratterizzanti il contesto socio-sanitario e definite come: esaurimento (exhaustion), disaffezione lavorativa (cynicism) ed efficacia professionale o inefficacia (professional efficacy o inefficace). La disaffezione lavorativa è quella che si discosta maggiormente dall’originaria formulazione (Leiter e Schaufeli, 1996 cit. in Borgogni & Consiglio, 2005). Con depersonalizzazione ci si riferiva ad una modalità disfunzionale di affrontare la richiesta emotivamente coinvolgente dell’utente (attraverso il distacco da quest’ultimo), invece con disaffezione lavorativa si intende riferirsi ad un generico atteggiamento di indifferenza, freddezza e distanza emotiva dal lavoro ed alla risposta difensiva nei confronti di vari aspetti della vita lavorativa (Maslach e Leiter, 1999; Borgogni, Armandi, Consiglio e Petitta, 2005 cit. in Borgogni & Consiglio, 2005).

Specificatamente legato all'ambiente lavorativo, il fenomeno del burnout, se diverso nella sua eziologia, ha però esiti sintomatologici simili a quelli tipici da iperstress (Albano, 2002). Alla situazione psicologica e relazionale sopra descritta,

(6)

6

si associano infatti generalmente sintomi fisici sotto forma di vaghi malesseri, astenia, cefalea, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), algie diffuse, turbe dispeptiche. Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool o di farmaci. La sindrome del burnout rappresenta la risultante di uno squilibrio tra le richieste professionali e la capacità individuale di affrontarle. È quindi una condizione che esprime una sollecitazione emozionale di frustrazione e demoralizzazione, con difese inadeguate e comportamenti maladattivi.

Dopo la sua introduzione nella letteratura psicologica ad opera di Freudenberg nel 1974, ben presto il termine burnout cominciò ad imporsi e svariati sono stati i modelli teorici elaborati nel corso degli anni successivi (Cherniss, Maslach, Pines e Aronson, in Italia Del Rio e Contessa, Sirigatti e Stefanile, ecc.) che hanno cercato di spiegare il complesso processo del burnout. Benché il concetto di fondo sia lo stesso, vale la pena ricordare di seguito altre definizioni della sindrome del burnout.

Uno grosso contributo allo studio del fenomeno è stato dato da C. Cherniss che con "burn-out syndrome" definisce la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l'individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla (10), una ritirata psicologica dal lavoro in risposta all’eccesso di stress e insoddisfazione, “rappresenta una risposta ad una situazione di lavoro intollerabile” (Cherniss, 1980, p.3). Un paio di anni più tardi l’Autore ha dato una definizione della sindrome più completa affermando che il burnout è un processo molto complesso articolato in più fasi: entusiasmo idealistico, stagnazione, frustrazione. Cherniss colloca la sindrome del burnout in un preciso contesto socio-culturale ed economico collegato a cambiamenti sociali avvenuti negli Stati Uniti d’America durante gli anni Sessanta, cambiamenti che si sono poi propagati nel resto del mondo occidentale.

(7)

7

Burnout pertanto è il “non farcela più”, l’insoddisfazione e l’irritazione quotidiana, la frustrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori, di attività nelle quali il rapporto operatore-utente ha un’importanza fondamentale in termini di significato e di lavoro in sé. In casi estremi tale sindrome può comportare gravi danni psicopatologici (insonnia, problemi coniugali o familiari, incremento nell’uso di alcol o farmaci) e deteriora la qualità delle cure o del servizio prestato dagli operatori, provocando assenteismo e alto turnover.

G. Contessa (1982) ha dato il primo contributo allo studio della sindrome in Italia. Egli utilizza una “metafora elettrica” per spiegare ciò che avviene agli operatori sanitari. L’Autore definisce infatti l'operatore in burnout “cortocircuitato” in quanto il sovraccarico di energie interne e le richieste esterne eccessive conducono l’individuo ad una voglia di evadere e scappare che si fa sempre più forte. Questa impostazione è stata poi ripresa alcuni anni più tardi da G. Del Rio (1990).

Edelwin e Brodsky (1982) hanno specificato e chiarito che la frustrazione non è il burnout, errore in cui in passato si è frequentemente incorso: burnout è apatia. Il “cortocircuito” è la progressiva perdita dell’idealismo, energia e scopi vissuta dagli operatori sociali come risultato delle condizioni in cui lavorano.

Per Perlman e Hartman (1982) burnout è la risposta ad uno stress emozionale cronico caratterizzato da esaurimento emotivo, ridotta produttività nel lavoro e deterioramento delle relazioni con l’utente, mentre nel 1981 Pines, Aronson e Kafry definiscono il burnout con esaurimento fisico, sensazione di mancanza d’aiuto, disperazione, esaurimento emotivo, sviluppo negativo del concetto di sé, attitudini negative nei confronti del lavoro, della vita e delle persone, oltre ad un senso di dolore, insoddisfazione e insuccesso nella ricerca di ideali.

(8)

8

Le motivazione che mi hanno portata alla scelta di questo elaborato tesi sono la consapevolezza che la sindrome del burnout sia un rischio con conseguenze negative per gli operatori dei servizi sanitari, rischio che deve quindi essere preventivamente riconosciuto per poter essere gestito.

Lo scopo di tale elaborato è la presentazione di una ricerca progettata per indagare quali interventi sono risultati efficaci per la prevenzione o il trattamento del burnout negli operatori sanitari, e che cosa può, e deve essere fatto dal Dirigente Sanitario per prevenire o fronteggiare il burnout tra gli operatori sanitari.

(9)

9

Capitolo primo

LA SINDROME DEL BURNOUT

1.1 EZIOLOGIA

Riconoscere la sindrome del burnout non è sempre facile. Vi è infatti spesso la tendenza a ridurre tutto come un mero problema dell’individuo, ad esempio l’inadeguatezza del soggetto nello svolgere il proprio ruolo, e non del contesto lavorativo nel suo insieme, frutto cioè di un mancato adattamento tra il lavoratore e il posto di lavoro.

I fattori che possono predisporre all'insorgenza della sindrome del burnout hanno costituito oggetto di numerose ricerche a cura di vari Autori e negli ambienti lavorativi più diversi. Nella letteratura prodotta sull'argomento si possono riconoscere due orientamenti: il primo tende a sottolineare la prevalenza del contesto sociale nel quale opera (Chernis, 1980), il secondo invece l'incidenza delle caratteristiche personali, le persone vale a dire manifesterebbero tale disturbo a causa di difetti/caratteristiche del loro carattere, del loro comportamento o della loro capacità lavorativa (Maslach e Leiter, 2000). Grazie a recenti studi (Tomei, 2003), oggi sappiamo che la sindrome del burnout risulta essere un fenomeno multidimensionale e che quindi le cause sono da ricercare nell’influenza reciproca tra fattori bio-psicosociali e individuali. In tale prospettiva un ruolo rilevante viene attribuito alle condizioni lavorative considerate sotto il profilo delle mansioni esplicate, degli stili organizzativi, del sostegno sociale assicurato da colleghi e supervisori. A tal riguardo, si pone l'accento sull'ambiguità nella definizione dei compiti professionali, sulla contraddittorietà tra le varie domande di prestazione, sull'eccesso delle richieste assicurato dalla rete dei rapporti in relazione alle risorse disponibili, sulle carenze di supporto

(10)

10

sociali stabiliti. Il burnout sarebbe pertanto determinato, oltre che da un rapporto conflittuale con l'utenza, anche dal rapporto con altre condizioni negative strettamente organizzative, ossia chi è soggetto a questa patologia percepisce uno squilibrio tra risorse investite nel lavoro e riscontri ottenuti, favorendo una ritirata psicologica, emozionale e spesso fisica dal lavoro. Tuttavia, per il manifestarsi della sindrome le ricerche indicano la necessità dell'interazione tra variabili organizzative e caratteristiche di personalità.

I fattori di rischio che possono provocare la sindrome del burnout sono quindi riconducibili a tre categorie di fattori, spesso tra loro correlate: individuali, socio-culturali ed organizzative.

1.1.1 Fattori individuali

I fattori individuali hanno un ruolo determinante. Le persone rispondono, infatti, in maniera diversa alle situazioni stressanti in rapporto a caratteristiche di personalità e a stili di vita acquisiti. Non è facile individuare delle analogie tra caratteristiche di personalità e l’instaurarsi della sindrome, non è cioè ancora stata riscontrata una “personalità standard” soggetta a burnout. Maslach (Stefanile, 1984) suggerisce che la persona particolarmente vulnerabile al burnout è piuttosto debole e remissiva nei rapporti con gli altri, è sottomessa, ansiosa, teme il coinvolgimento, ha difficoltà nel definire i limiti tra coinvolgimento personale e professionale. Questa persona è spesso incapace di esercitare un controllo sulla situazione e si rassegna passivamente alle richieste che essa gli pone anziché limitarle alla propria capacità di dare. Il sovraccarico emozionale è quindi facile in questo soggetto e pertanto il suo rischio di esaurimento emozionale è elevato. Il soggetto con tendenza al burnout è inoltre impaziente e intollerante provando facilmente collera e frustrazione per qualsiasi ostacolo che trova sul suo cammino e controlla con difficoltà i propri impulsi ostili. È probabile che proietti questi

(11)

11

sentimenti sulle persone che aiuta e segue nel suo lavoro, trattandole in modo spersonalizzato e cinico. Infine, l'individuo che tende al burnout non ha fiducia in sé stesso, ha poca ambizione, è riservato e convenzionale; non ha né un insieme definito di obiettivi, né la determinazione e la sicurezza per conseguirli. Il soggetto si rassegna e si adatta alle limitazioni imposte dalla situazione, anziché affrontare le difficoltà cercando di essere più intraprendente e più incisivo. Vive quindi una posizione passiva e di impotenza anziché attiva e autonoma. Tale quadro, che trova certe conferme anche nei lavori di Cherniss (1980) e Freudenberger (1974), può includere anche una scarsa fiducia in se stessi, dipendenza, ricerca di approvazione. Egli tenta di superare i dubbi su se stesso e cerca di stabilire il senso del proprio valore personale conquistando l'approvazione e l'accettazione degli altri; per far questo può diventare tanto accomodante da essere sempre sotto pressione. Lo svantaggio di una tale dipendenza dagli altri per ottenere una convalida personale è il probabile senso di annientamento emozionale se gli altri non danno tale convalida. Il bisogno di essere accettato dalle persone con cui lavora diventa eccessivo quando nella vita dell'operatore ci sono poche altre fonti di contatto affettivo. E' più facilmente di altri scoraggiato dalle difficoltà e non avverte la sensazione di essere realizzato ed efficiente nel trattare con le persone.

Esiste inoltre un tratto di personalità che è correlato alla sindrome (il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo).

1.1.2 Fattori socio-culturali

Le variabili socio-culturali sono definite come tutti quei fattori che hanno un’origine mediata o immediata nell’organizzazione sociale collettiva, nella sua storia politica e culturale, suscettibili di determinare, a danno dei lavoratori, delle situazioni a rischio di stress e burnout. Alcuni di questi fattori sono stati messi in

(12)

12

evidenza da C. Cherniss nella sua importante opera del 1983 sul burnout (Cherniss, 1986; Rossati, Magro, 1999) descritte di seguito.

 Incremento della domanda. La disgregazione del tessuto sociale comporta un grave aumento delle varie forme di disagio psicosociale e quindi un aumento della domanda ai servizi sociali. Conseguentemente gli operatori sanitari si trovano a fronteggiare un maggior numero di utenti con maggiori problemi, spesso senza un proporzionale aumento delle risorse a loro disposizione. Questa situazione aumenta lo stress degli operatori e può portare al burnout.

 Diminuzione del sostegno informale. Contemporaneamente all'aumento del disagio, si è verificata una diminuzione od una scomparsa totale delle istituzioni informali di sostegno sociale (per esempio, la parrocchia non possiede la stessa influenza morale e psicologica di un tempo). Così, tutto il sostegno sociale e psicologico dei soggetti disagiati è a carico delle istituzioni formali (centri di igiene mentale (CIM), servizi per tossicodipendenti, comunità terapeutiche). Di conseguenza, lo stress degli operatori delle istituzioni formali tende ad aumentare.  Sfiducia da parte degli utenti. Gli utenti non hanno più fiducia nei servizi sociali/sanitari e nei loro addetti ai quali, però, sono costretti a ricorrervi spesso, rivolgendosi così con astio e aggressività: ciò favorisce il burnout negli opratori.

 Svalutazione del lavoro in se stesso. Un quarto aspetto importante è costituito dalla svalutazione sociale del lavoro in se stesso a favore del successo personale e del guadagno economico, con conseguente svalutazione di tutte le professioni sanitarie, professioni notoriamente poco pagate, nell'ambito delle quali il successo personale è molto relativo (Rossati, Magro 1999).

Per quanto concerne il contesto italiano, al momento attuale ci sono due aspetti che giustificano ampiamente la componente di delusione presente nei soggetti coinvolti: la forte tendenza alla riduzione delle spese per la sanità, l'assistenza, l'educazione, nonché i tagli alle sovvenzioni.

(13)

13

1.1.3 Fattori organizzativi

Oltre a condizioni ambientali sfavorevoli ( ad esempio rumore, inadeguata illuminazione, eccessive temperature, ecc.), ad orari lunghi e stressanti, allo scarso controllo sui tempi e sui ritmi di lavoro, all'insoddisfazione per la retribuzione e per le limitate prospettive di carriera, vi sono altre variabili, meno note ma parimenti stressanti, connesse all’organizzazione dei rapporti nell’ambito della struttura, quali:

 scarsa o difficile comunicazione con i colleghi e con i superiori;

 bassi livelli di sostegno nella risoluzione di problemi e nello sviluppo personale;

 insufficiente chiarimento e definizione degli obiettivi organizzativi;  prestazioni lavorative con una forte componente routinaria;

 leadership gestita autoritariamente e con poca disponibilità a far partecipare al processo decisionale;

 ambiguità di ruolo (la mancata consapevolezza da parte del lavoratore di quali siano i propri compiti e le proprie competenze);

 conflitti fra un ruolo ed un altro, o contraddittorietà all’interno dello stesso ruolo;

 responsabilizzazione personale sproporzionata al ruolo o all’autonomia.

A tali condizioni, riscontrabili in diversi settori lavorativi, per gli operatori sanitari si aggiunge l’elevato costo emotivo insito nella loro professione determinato dal dover trattare situazioni oggettivamente gravi e penose. Quando questi problemi, costantemente presenti nella relazione terapeutica, non vengono attentamente presi in considerazione nella fase di assetto organizzativo della struttura e nella pianificazione delle risorse, essi possono alimentare nell’operatore disagio e sofferenza psicologica che possono manifestarsi a diversi livelli (comparsa di conflitti nel rapporto operatore- paziente, acuirsi di tensioni e

(14)

14

contrasti nel gruppo degli operatori, accentuazione dei sintomi e del malessere del paziente) e portare a quei meccanismi di “distacco emozionale” e di “evitamento” caratteristici del burnout. Se non viene quindi data un'adeguata rilevanza alla gestione delle risorse umane è facilmente comprensibile come le variabili organizzative possano avere un peso rilevante sulle condizioni di benessere dei lavoratori che vi operano.

(15)

15

1.2 EPIDEMIOLOGIA

Tra gli aspetti epidemiologici della sindrome del burnout, in base a quanto viene affermato a livello letterario dai differenti Autori, tra i quali non sembra esistere un accordo unanime, si riscontra un determinato livello di coincidenza per il ruolo influente di alcune variabili quali: età anagrafica, sesso, stato civile, titolo di studio, anzianità professionale, stile di coping, locus control, abilità empatiche e comunicative, aspettative e valori personali (Del Rio, 1990).

1.2.1 Età anagrafica

Sembra che l’età, rispetto alle altre caratteristiche associate al burnout, sia uno dei fattori più importanti per cercare di comprendere e spiegare il fenomeno. Molti studi sembrano confermare la correlazione tra età anagrafica, anzianità lavorativa e burnout. Sembra che i lavoratori più giovani e con minor esperienza lavorativa siano meno sottoposti e predisposti al fenomeno; all'inizio della propria carriera il soggetto viene esposto di solito alla discrepanza tra proprie aspettative e realtà lavorativa. Visto che il burnout non è assolutamente un fenomeno immediato ma che ha bisogno di un certo tempo di sviluppo, sembra proprio che i soggetti più a rischio siano quelli più anziani e che operano da diversi anni in un certo settore (tra i due e i quattro anni minimo) (Santinello, Negrisolo, 2009). Da alcuni studi (Pedrabissi e Santinello, 1993; Santinello et al., 2003; ) emerge che il burnout non è legato all'inserimento lavorativo iniziale, ma si tratta di un fenomeno che si sviluppa e peggiora nel tempo, amplificandosi dopo diversi anni di lavoro, e sembra proprio che quei soggetti colpiti da burnout fin dai primi tempi, abbiano molte più probabilità di abbandonare precocemente il proprio posto di lavoro.

(16)

16

1.2.2 Sesso

Inizialmente, soprattutto nei primi studi sul fenomeno, sembrava che il genere femminile fosse considerato maggiormente a rischio a causa del carico lavorativo e dello stress subito in ambito familiare, dovuto alla cura della casa. Ci sono però risultati contrastanti riguardo a questa variabile: le prime ricerche sostenevano che l'elevato impegno femminile, sia a livello organizzativo, che familiare e la sensazione di sentirsi richieste da più setting contemporaneamente, e quindi il dover ricoprire più ruoli, potesse favorire l'insorgenza del burnout. Ad oggi altri studi ritengono che questo favorisca le capacità di fronteggiamento della donna e che in realtà il rischio sia maggiore nel genere maschile (Maslach, Schaufeli e Leiter, 2001).

Indipendentemente dal ruolo del genere nel rischio di insorgenza, uomini e donne si differenziano nei punteggi ottenuti nelle sottoscale della sindrome: la depersonalizzazione sembra essere più grave negli uomini, mentre l'esaurimento e la realizzazione personale nel genere femminile sembrano essere più frequenti. Questi risultati potrebbero essere collegati sia agli stereotipi sociali relativi ai diversi ruoli nel genere, ma anche ampiamente influenzati dalla correlazione tra genere e tipo di professione. Risulta pertanto abbastanza complesso trarre conclusioni certe relative al ruolo di genere, visto che risulta impossibile prescindere da fattori come:

 ruolo ricoperto nel contesto familiare e delle responsabilità ad esso connesse;

 tipologia di lavoro svolto;

(17)

17

1.2.3 Stato civile e titolo di studio.

La relazione tra stato civile e sviluppo del burnout appare poter esser rilevata negli anni. Le persone nubili sembrano essere più a rischio rispetto ai soggetti sposati e i single sono più a rischio delle persone divorziate. Questo dimostra già come la costruzione di reti sociali, soprattutto a livello familiare possa notevolmente proteggere il soggetto dal rischio. Nel 1994 Pedrabissi, Santinello e Vialetto hanno affermato che l'assenza di un rapporto stabile e soddisfacente sembra poter essere correlata a tutte e tre le variabili del burnout, tra cui depersonalizzazione, esaurimento emotivo e scarsa realizzazione personale; infatti le condizioni lavorative di stress possono essere controbilanciate dalla condivisione delle proprie esperienze all'interno del contesto familiare.

Per quanto riguarda invece il livello scolastico e quindi anche il livello di cultura, le persone diplomate e laureate corrono un maggior rischio di sviluppo, rispetto a soggetti con titoli inferiori, perché il livello educativo si sovrappone solitamente al ruolo occupazionale, e quindi, molto spesso, i soggetti laureati ricoprono ruoli con elevate responsabilità e nutrono aspettative maggiori nei confronti del proprio operato, tali da poter causare frustrazione e insoddisfazione (Payne, 2011).

1.2.4 Anzianità professionale

Alcuni Autori hanno trovato una relazione positiva tra la sindrome e l’anzianità professionale, altri hanno evidenziato una relazione inversa, individuando nei soggetti con più anni lavorativi un minor livello di associazione con la sindrome.

(18)

18

1.2.5 Stile di Coping

Anche le strategie di coping che vengono adottate dai soggetti nelle situazioni di difficoltà, sembrano essere fattori fondamentali nella genesi del fenomeno.

Il coping è stato definito da Lazarus e Folkman (1984) come l'insieme degli sforzi che il soggetto mette in atto per cercare di gestire le richieste interne e/o esterne percepite come gravose o eccessive rispetto alle risorse a disposizione. Lazarus e Folkman nei loro studi sul coping ne distinguono due tipi:

 coping focalizzato sull'emozione che ha come scopo principale la regolazione delle reazioni emotive negative derivanti dalla situazione di stress;

 coping focalizzato sul problema, ha come scopo principale la risoluzione della situazione che in quel momento rappresenta una minaccia per l'individuo.

Tra le due, le strategie di coping centrate sul problema sembrano avere una correlazione positiva col burnout in quanto l'uso di queste strategie riduce il rischio e la probabilità di insorgenza del fenomeno, rappresentando quindi una forma di prevenzione; contrariamente quelle basate sull'emozione, sembrano invece aumentare la probabilità di insorgenza; sembra che le strategie centrate sull'emozione favoriscano una risposta individuale inadeguata rispetto alla situazione causa di stress, in quanto sembrano ritardare la messa in atto di soluzioni perché si focalizzano sulla fonte di stress aumentandone l'importanza (Santinello, Negrisolo, 2009).

In generale le strategie di coping più efficaci nel prevenire il fenomeno del burnout sono quindi quelle che riguardano il coping focalizzato sul problema, cioè gli sforzi che l'individuo fa nel tentare di risolvere la situazione. Alcune strategie sembrano pertanto più adeguate per la prevenzione del fenomeno piuttosto che altre e questo mette in evidenza quanto potrebbe essere importante informare

(19)

19

adeguatamente gli operatori all'uso di un'ampia possibilità di strategie da utilizzare (Santinello, Negrisolo, 2009).

1.2.6 Locus of control

Nei fattori individuali il locus of control è uno dei fattori che viene preso in considerazione. Il concetto è stato introdotto per la prima volta nell'ambito della teoria dell'apprendimento sociale da Rotter, (Rotter, 1966) secondo cui i soggetti attribuiscono una diversa gradazione di controllo agli eventi che vivono e percepiscono. Tale gradazione si estende su una linea che va dal controllo interno al controllo esterno. Il locus of control può quindi essere definito come il grado di percezione che il soggetto ha su un determinato evento o su una determinata condizione. Parliamo di locus of control interno quando il soggetto si riferisce ad esempio alle proprie capacità e alle proprie risorse, mentre con locus of control esterno quando si attribuisce un mancato controllo della situazione a fattori esterni, come ad esempio al caso o ad altre persone.

In particolare il locus of control esterno sembra associarsi con le dimensioni del burnout: si ritrova in associazione a bassi livelli di autorealizzazione ed alti livelli di depersonalizzazione ed esaurimento emotivo. Non è un caso se i soggetti con locus of control interno hanno la capacità di considerare i fattori più stressanti come controllabili e quindi tendono a mettere in atto strategie basate sul problema. Contrariamente i soggetti con una prevalenza di utilizzo di locus of control esterno sono molto più a rischio nello sviluppo della patologia a causa della loro vulnerabilità allo stress.

Diversi studi hanno evidenziato la relazione tra locus of control e burnout e come questa relazione vada conseguentemente a influenzare la percezione individuale dello stress che si riversa successivamente sul fenomeno in questione. Si ipotizza che gli individui con bassi livelli di locus of control interno sviluppino

(20)

20

delle strategie di coping adeguate ed efficaci rispetto alla situazione, presupponendo una carenza di rinforzi positivi ricevuti in passato relativamente alle capacità di gestire situazioni in cui era necessaria una adeguata strategia di coping (Santinello, 2009).

1.2.7 Abilità empatiche e comunicative

Il contatto quotidiano è una delle caratteristiche principali che definisce la categoria delle professioni di aiuto, qualcosa che richiede un'ampia serie di abilità relazionali che vanno oltre le competenze apprese durante gli studi e per il proprio ruolo di professionista, si tratta piuttosto di abilità sia relazionali che comunicative che si creano col tempo ed esperienza. Farber nel 2000 ha affermato che per tentare di aiutare i lavoratori che operano nel settore pubblico a contatto con gli utenti, è fondamentale enfatizzare, ampliare ed esercitare le abilità comunicative e di coping dei soggetti. Lo studioso ritiene che ci siano soprattutto tre competenze relazionali e comunicative che permettono di prevenire il fenomeno del burnout, tra cui: l'assertività, l'empatia e l'ascolto attivo.

L’assertività è la capacità del soggetto di riuscire ad esprimere le proprie sensazioni i propri pensieri e i propri bisogni senza violare i diritti o la libertà altrui, è quindi una abilità comunicativa che permette di esprimere completamente la propria persona e le proprie sensazioni in modo aperto, senza escludere l'opinione altrui. È stato dimostrato da diversi studi (Shimizu et al., 2003) che tentare di migliorare le abilità comunicative del soggetto soprattutto per quanto riguarda la caratteristica dell'assertività, migliora la possibilità di prevenire il fenomeno del burnout, oltre ad aumentare le probabilità che il soggetto possa realizzarsi a livello personale (Santinello, Negrisolo, 2009).

L'empatia può essere suddivisa in: condivisione delle emozioni del paziente; preoccupazione empatica per il paziente; comunicazione efficace con il

(21)

21

paziente e la sua famiglia. Le dimensioni dell'empatia sembrano predire i livelli di burnout. La depersonalizzazione, ad esempio, sembra essere strettamente collegata a una bassa preoccupazione empatica per il paziente e ad una comunicazione scarsamente efficace. La realizzazione personale del soggetto sembra essere correlata ad una scarsa comunicazione empatica e ad un'elevata condivisione delle emozioni del paziente, mentre l'esaurimento emotivo sembra essere influenzato anch'esso dalla condivisione delle emozioni del paziente.

Con ascolto attivo si intende la capacità del personale sanitario di comprensione reciproca e intenzionale durante l'ascolto. Si tratta di un'abilità strettamente connessa sia all'affettività che all'empatia. Proprio per questa connessione l'ascolto attivo influenza ed è influenzato dalle altre due abilità precedenti ed è in grado di migliorare la capacità di ascolto del soggetto nei confronti di pazienti e famiglie.

L'atteggiamento di ascolto attivo che spesso viene adottato da parte dei superiori corrisponde, nel lavoratore, alla percezione di un ambito lavorativo caratterizzato dal sostegno e collegato conseguentemente a una minor percezione dello stress. Ciò ovviamente può diminuire indirettamente i livelli di burnout (Santinello, Negrisolo, 2009).

1.2.8 Aspettative e valori personali

Le aspettative e i valori personali ricoprono un ruolo fondamentale nella comprensione del burnout. Le aspettative iniziali riguardano aspetti relativi alle particolarità del proprio lavoro, relativi alla possibilità di raggiungere i propri scopi ed obiettivi, ad esempio la realizzazione personale e promozioni lavorative, sia relativi a un'eventuale collaborazione lavorativa con colleghi e gruppi di lavoro. Volontariamente o involontariamente, dopo un certo periodo lavorativo il soggetto metterà a confronto le aspettative iniziali con le esperienze effettuate in

(22)

22

ambito professionale, e si potrà riconoscere in almeno una di queste due situazioni tipiche: se si verificherà uno scompenso troppo marcato tra le aspettative iniziali e le condizioni reali questo potrà predisporre al burnout; se invece la differenza tra ciò che il soggetto si era prospettato e quello che si è successivamente verificato è minima, la persona non sarà predisposta.

Di solito chi si ritrova nella prima condizione e chi sviluppa aspettative non realistiche sarà motivato maggiormente a lavorare in modo troppo impegnativo ed esagerato sia dal punto di vista fisico, che dal punto di vista psichico che dal punto di vista emotivo, e questo predisporrà la persona allo sviluppo di esaurimento emotivo e depersonalizzazione soprattutto nel caso in cui gli sforzi non verranno adeguatamente ricompensate.

Per quanto riguarda i valori professionali vengono riconosciuti: valori sociali, l’ importanza che il lavoratore attribuisce al rapporto con superiori colleghi e utenti; valori estrinseci, l’importanza attribuita ai fattori materiali del proprio operato lavorativo, ad esempio lo stipendio; valori intrinseci, l’importanza che il lavoratore attribuisce a fattori non tangibili del proprio lavoro come l'espressione di sé.

È importante cercare di adattare i valori personali ai valori organizzativi in modo che non si crei conflitto tra questi. Questo sembra essere strettamente collegato a tutte e tre le dimensioni del burnout (Maslach, Leiter, 2000).

I valori personali sono fondamentali nel predire la gravità del fenomeno perché un'ampia condivisione di valori tra l'individuo e l'organizzazione in cui opera si collega ad un alto senso di efficacia personale professionale, e bisogna anche tenere in considerazione che l'adattamento tra i due tipi di valori non è isolato, ma collegato ad altre variabili tra cui le caratteristiche di personalità o il sostegno familiare. È chiaro come la mancata coincidenza tra valori obiettivi, credenze del soggetto, e caratteristiche lavorative predisponga all'insorgenza del fenomeno (Santinello, Negrisolo, 2009).

(23)

23

1.3 SINTOMATOLOGIA

Il quadro sindromico generale del burnout risulta complesso. I sintomi sono infatti molteplici e richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo sottolineando la particolare tendenza alla somatizzazione e allo sviluppo di disturbi comportamentali. È forte la correlazione sintomatologica con condizioni di distress. Tali disturbi possono essere raggruppati in tre grandi aree: sintomi somatici, sintomi psicologici, sintomi comportamentali e sociali. (Pellegrino F., 2016).

1.3.1 Come insorge la sindrome del burnout.

Negli operatori sanitari la sindrome del burnout si manifesta generalmente seguendo quattro fasi: fase preparatoria, fase di stagnazione, fase di

frustrazione e fase di apatia.

La prima, fase preparatoria, è quella dell’entusiasmo idealistico che spinge l’individuo a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.

Nella seconda fase, fase di stagnazione, l’individuo, sottoposto a carichi di

lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L’entusiasmo, l’interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano quindi a diminuire.

Nella terza fase, fase della frustrazione, il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla

percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato. Il soggetto tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e

lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a

(24)

24

delle persone delle quali dovrebbe occuparsi, dei colleghi e dei familiari. Talvolta mette in atto atteggiamenti aggressivi verso se stesso o verso gli altri.

Nel corso della quarta fase, fase dell’apatia, l’interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all’empatia subentra l’indifferenza,

fino ad una vera e propria “morte professionale“.

Per quanto concerne l’aumento della frequenza di assenteismo, si sottolinea che il manager sanitario può considerare l'espulsione del soggetto come una soluzione del problema. In realtà l'organizzazione ha perso un lavoratore, magari esperto e potenzialmente motivato, e i problemi generati dall'ambiente di lavoro non sono stati risolti. Con tale soluzione il lavoratore pagherà il prezzo psicologico e personale del fallimento. Per evitare quindi che la sindrome del burnout deteriori sia la vita lavorativa, sia la vita privata della persona, bisogna intervenire con efficacia.

1.3.2 Sintomi somatici

Secondo alcuni autori la sindrome del burnout provoca, o più spesso aggrava, alcuni o molti dei disturbi psicosomatici, tra i quali (Bernstein, Halaszyn, 1999; Cherniss, 1986):

 disfunzioni gastrointestinali (gastrite, ulcera, colite, stitichezza, diarrea);  disfunzioni a carico del SNC (astenia, cefalea, emicrania);

 disfunzioni sessuali (impotenza, frigidità , calo del desiderio);  malattie della pelle (dermatite, eczema, acne, afte, orzaiolo);  allergie e asma;

 insonnia e altri disturbi del sonno;  disturbi dell'appetito;

(25)

25

1.3.3 Sintomi psichici

I sintomi psichici sono probabilmente quelli che acquisiscono un peso più rilevante per il soggetto. Essi investono sia la sfera cognitiva che quella emotiva. Nel suo lavoro del 1982, rimasto il testo di riferimento sui sintomi del burnout, Maslach descrive tre gruppi di sintomi (esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione professionale) a cui Folgheraiter (1989) aggiunge quelli descrivibili globalmente come perdita di controllo. In base a questo criterio, i sintomi possono essere raggruppati in quattro categorie di seguito riportate.

 Collasso delle energie psichiche. In questa categoria rientrano molti sintomi tipici degli stati ansioso-depressivi. I principali sintomi sono: alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, apatia, demoralizzazione, difficoltà di concentrazione, disagio, disperazione, incubi notturni, irritabilità , preoccupazioni o paure eccessive o immotivate, sensazione di inadeguatezza, sensi di colpa, senso di frustrazione o di fallimento.

 Collasso della motivazione. In questa categoria rientrano tutte le disfunzioni psichiche che portano alla depersonalizzazione dell'utente e quindi ad un progressivo scadimento della qualità professionale. i sintomi sono: distacco emotivo, perdita della capacità empatica, rigidità nell'imporre o applicare norme e regole, cinismo, disinteresse oppure ostilità o rifiuto, anche fisico, verso gli utenti, o meno frequentemente verso i colleghi, infine pessimismo.

 Caduta dell'autostima. L'operatore non si sente realizzato sul lavoro e comincia a svalutarsi sia sul piano professionale, sia, successivamente, su quello personale. Nonostante si sforzi, non riesce a frenare questo crollo della fiducia nelle proprie capacità e risorse. I nuovi impegni gli sembrano insostenibili, ha la sensazione di non essere "all'altezza" dei problemi nel lavoro e nel privato: la comparsa di questi sintomi psichici infatti si ripercuote poi anche nella vita

(26)

26

familiare dell'operatore vista la sovrapposizione sempre più forte tra vita lavorativa e privata.

 Perdita di controllo. L'operatore non riesce più a controllare lo spazio o l'importanza del lavoro nella propria vita. Ha la sensazione che il lavoro lo "invada", non riesce a "disimpegnarsi mentalmente". Il pensiero degli utenti o i problemi con i colleghi sono sempre presenti, anche oltre l'orario di lavoro e ciò determina grande fonte di malessere.

Da un punto di vista psicopatologico la sindrome del burnout si differenzia dalla sindrome da disadattamento (sociale o lavorativo o familiare o relazionale) verificandosi all’interno del mondo emozionale della persona e scatenata spesso da una vicenda esterna.

1.3.4 Sintomi comportamentali e sociali

Tale situazione di disagio può molto spesso stimolare comportamenti che mettono a repentaglio la salute dell’individuo colpito dal burnout. Per rilassarsi alcuni lavoratori ricorrono al tabagismo o all'assunzione di sostanze psicoattive (alcool, psicofarmaci, stupefacenti), altri invece cercano conforto nel cibo (aumentano il rischio di obesità e di conseguenti patologie cardiovascolari e diabete). Altra valvola di sfogo è rappresentata dall'aggressività, dalla violenza o da altri tipi di comportamento antisociale. L’individuo affetto da burnout può reagire con cinismo e sarcasmo nella relazione con i colleghi (fuga dalla relazione), e vi è la possibilità che la persona trascorra più tempo del necessario in attività che non richiedano interazioni con utenti e colleghi. Egli troverà inoltre difficoltà a scherzare sul lavoro, talvolta anche solo a sorridere. Nella relazione con gli utenti farà ricorso a misure di controllo o allontanamento come maggiore ricorso alla sedazione, contenzione fisica, espulsione. (Cherniss, 1986).

(27)

27

1.4 CONSEGUENZE

La sindrome del burnout è associata a numerose conseguenze negative per il singolo individuo, l’organizzazione, e in qualche misura, a livello della qualità dei servizi forniti.

1.4.1 I costi del burnout

Lo stress lavoro correlato, inclusa la sindrome del burnout, ha costi notevoli per le organizzazioni in termini di assenza per malattia e calo della produttività. Secondo l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) i lavoratori quando soffrono di stress lavoro-correlato e di altri problemi di natura psicologica sono portati ad assentarsi dal lavoro per lunghi periodi. Talvolta i lavoratori tendono a presentarsi al lavoro pur non essendo in grado di svolgere le proprie mansioni in modo efficace (fenomeno noto come "presenzialismo"), ciò porta a una riduzione della produttività, con conseguente diminuzione dei ricavi per l’impresa.

I costi complessivi dovuti ai disturbi di salute mentale in Europa (legati al lavoro o meno) sono stimati a 240 miliardi di euro l'anno.

Meno della metà di

questa somma deriva dai costi diretti, come le cure mediche; circa 136 miliardi di

euro la perdita di produttività, compreso l’assenteismo per malattia. (Agenzia

europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, 2014)

Lo stress lavoro-correlato può, inoltre, far notevolmente aumentare gli incidenti sul lavoro poiché l’eccessiva stanchezza, la ridotta capacità di concentrazione e le pressioni temporali sul luogo di lavoro inducono l’operatore ad utilizzare delle “scorciatoie”, quali ad esempio comportamenti troppo rischiosi, con conseguenti danni per l’organizzazione e per loro stessi. Nel caso di operatori sanitari con un alto livello di burnout, questo può portare ad un rallentamento nel

(28)

28

processo decisionale che, nel caso di un emergenza clinica, può comportare seri rischi per l’incolumità del paziente.

I problemi di salute mentale e gli altri disturbi legati al burnout sono riconosciuti come tra le principali cause di pensionamento anticipato dal lavoro, gli alti tassi di assenza e la bassa produttività organizzativa. Le persone a rischio di burnout possono infatti peggiorare le proprie prestazioni di lavoro, avere un maggiore assenteismo, una diminuzione della produttività, e possono avere un effetto negativo nei collaboratori (Tennant, 2001).

Tab. 1.1 Il costo del Burnout secondo Maslach e Leiter (2000).

Conseguenze del burnout per l’individuo Conseguenze del burnout per

Problemi fisici: mal di testa, disturbi gastrointestinali, ipertensione, tensione muscolare, affaticamento cronico,maggiore vulnerabilità alle malattie e sintomi psicosomatici, cambiamento nelle abitudini alimentari

Problemi psichici: ansia,depressione e disturbi del

sonno, sensi di colpa, isolamento, alterazione del tono dell’umore; poca capacita di ascolto.

Per fronteggiare lo stress alcune persone incrementano l’uso di alcool e droghe. L’esaurimento e i sentimenti negativi possono compromettere i rapporti di amicizia e familiari.

Declino della qualità e quantità del lavoro svolto.

Al lavoro gli individui si sentono più stressati e perdono la capacita di gestire i problemi. Si ritirano dal lavoro tanto psicologicamente quanto fisicamente: assenteismo, turnover. Investono meno energia e tempo nelle attività, facendo lo stretto necessario. Si riduce la creatività. Le persone non sono più disposta ad offrirla.

La sindrome del burnout può quindi provocare costi diretti e indiretti elevati.

I costi diretti comprendono i costi di posti vacanti, la perdita di costi di produttività, di reclutamento e di amministrazione, di formazione ed i costi di start-up di nuovi apprendisti.

(29)

29

I costi indiretti comprendono l'instabilità della forza lavoro, la riduzione della produttività, l'aumento dello stress ed il rischio di burnout tra il restante personale dipendente, e un diminuito l'impegno nel lavoro.

La scarsa salute e la ridotta capacità di lavoro dei lavoratori possono causare una perdita economica fino al 10-20% del prodotto nazionale lordo (PNL) di un paese.

A livello globale, professionisti morti e malati possono rappresentare una perdita stimata del 4% del PIL (WHO 1995). Anche se il vero costo finanziario del burnout individuale è sconosciuto, è calcolata in alcuni studi l'associazione tra burnout e perdita del lavoro. Una stima di una ricerca canadese ha calcolato che le assenze a causa dello stress lavoro-correlato costano ai datori di lavoro canadesi circa 3,5 miliardi di dollari l'anno (Williams e Normand, 2003). In Australia, è stato stimato che 1,5 milioni di lavoratori soffrono di depressione a causa di un eccessivo stress da lavoro, con un costo di affari di più di 8.000 dollari a persona ogni anno (McConnell, 2010). Nei Paesi Bassi, il costo di assenze a lungo termine e le disabilità causate da forme di stress lavoro-correlato e burnout è stato stimato essere di 4 miliardi di euro l'anno, circa l'1,5% del PIL. Scarsi sono i dati riguardanti i costi nei paesi in via di sviluppo.

Anche i costi derivanti dal turnover dato dal burnout sono rilevanti. Quando i lavoratori provano una bassa soddisfazione sul lavoro e hanno frequente esperienza di scarsa motivazione, basso morale, conflitti o pressione eccesiva, essi sono spinti ad avanzare richieste di trasferimento in altro reparto, con una perdita per l’organizzazione in termini d’investimento di formazione specifica e di unità di lavoro che devono essere sostituite (Donaldosn et al., 2013).

Inoltre si potrebbe assistere ad una maggior disattenzione o negligenza, una minore rispetto per le scadenze, con un aumento nell’uso di fumo o alcool per supplire alle richieste lavorative (Compare & Grossi, 2012).

(30)

30

1.4.2 Il contagio emotivo

Dalla rassegna condotta da Bakker e Westman (2008) sul crossover del burnout tra gli operatori sanitari, emerge il fenomeno secondo cui la sindrome si possa trasferire da un individuo ad un altro. Gli Autori invitano ad operare una distinzione concettuale tra i termini “crossover” e “contagio emotivo”, precisando che la ricerca sul crossover si è concentrata principalmente sul trasferimento di stress e tensione dai lavoratori ai partner, e viceversa, mentre la ricerca sul contagio emotivo ha origine in laboratorio, ed è stato applicata allo studio del trasferimento del burnout dai dipendenti ai loro colleghi.

Il “contagio emotivo” è definito come la tendenza a imitare in modo automatico, ossia sincronizzare espressioni facciali, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un altra persona e di conseguenza convergere emotivamente (Hatfield, Cacioppo e Rapson, 1994; p.5 cit. in Bakker e Westman, 2008). Tale processo sarebbe non-conscio. La ricerca ha infatti dimostrato che, nelle conversazioni, le persone automaticamente imitano le espressioni facciali, voci, posture e comportamenti degli altri. Esiste tuttavia un secondo modo in cui le persone possono catturare le emozioni degli altri. Il contagio può verificarsi anche attraverso un processo cognitivo cosciente di sintonizzazione alle emozioni altrui. Questo processo si verifica quando una persona cerca di immaginare come si sarebbe sentita nella posizione di un altro, e, di conseguenza esperire gli stessi sentimenti.

La prima indicazione empirica per un effetto socialmente indotto di burnout deriva da Rountree (1984, cit. in Bakker e Westman 2008 ). L’autore ha studiato 186 gruppi di lavoro in 23 organizzazioni trovando che l’87,5% degli impiegati con i punteggi più elevati di burnout, lavoravano in gruppi di lavoro in cui almeno il 50% del personale era in una simile fase avanzata di burnout ed anche impiegati con bassi punteggi di burnout, hanno mostrato una tendenza

(31)

31

simile ma con cluster meno marcati. Sulla base di analoghi risultati Stevenson e coll. (1986, citato in Bakker & Schaufeli, 2000) hanno concluso che “…l'affinità dei gruppi di lavoro per i punteggi estremi sembra sostanziale” (p. 184). Gli individui con punteggi molto alti o molto bassi di burnout, quindi, possono essere trovati spesso all'interno di un gruppo di lavoro, suggerendo la possibilità che i membri del gruppo di lavoro “si infettino con il virus del burnout”.

Come tuttavia suggerito da Bakker e colleghi (2005), il risultato di trovare all’interno di un gruppo di lavoro individui con punteggi molto alti o molto bassi di burnout non implica necessariamente un processo di contagio emotivo, ma potrebbe invece essere imputabile all’elevato carico di lavoro di quel gruppo. Bakker, Le Blanc e Schaufeli (2005) hanno condotto uno studio più sistematico su un unità di infermieri di terapia intensiva volto ad indagare l’ipotesi che la sindrome del burnout sia contagiosa. Le variabili analizzate in questo studio furono: domanda lavorativa, carico di lavoro oggettivo per gli infermieri, denunce di burnout percepita tra colleghi, burnout. L'analisi delle varianze indicava che vi sia un accordo considerevole nell’unità di terapia intensiva per quanto riguarda la prevalenza di burnout. Inoltre, i risultati delle analisi multilivello hanno mostrato che le denunce di burnout tra colleghi nelle unità di terapia intensiva hanno dato un contributo statisticamente significativo e unico a spiegare la varianza nelle esperienze individuali dell’infermiere del burnout, ossia esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Inoltre, sia per esaurimento emotivo e depersonalizzazione, le denunce di burnout percepite tra i colleghi sono state il fattore predittivo più importante del burnout a livello individuale, anche dopo aver controllato l’impatto dei fattori di stress organizzativo come concettualizzati nel modello di domanda-controllo. Gli autori hanno quindi concluso che il burnout è contagioso dato che può essere trasferito da un infermiere a un altro.

(32)

32

individuo all’altro è stato quello condotto da Bakker, Westman e Schaufeli, (2007). Articolato in due studi sperimentali, gli insegnanti, nel primo dei due, vennero esposti in modo casuale ad un finto articolo di giornale, in cui un collega forniva la sua esperienza negativa del suo lavoro (condizione di burnout) o ad un tema non correlato al lavoro (condizione di controllo). I risultati dimostrarono che coloro che avevano partecipato alla condizione sperimentale (burnout) avevano punteggi più alti nelle dimensioni dell’esaurimento e della depersonalizzazione rispetto ai partecipanti alla condizione di controllo. Nel secondo studio, con setting analogo, venne impostato su un campione di soldati, da cui emerse che il contagio di burnout è intensificato dalla somiglianza con la persona stimolo.

Hatfield e coll. (1994, cit. in Bakker e Westman, 2008) hanno sostenuto che vi sono circostanze diverse nelle quali le persone dovrebbero essere particolarmente suscettibili al contagio emotivo, come, per esempio, prestare attenzione agli altri e percepire se stessi in interazione ad altre persone piuttosto come indipendenti e unici. Tenuto conto dell’aumento nelle organizzazioni di modelli di squadra è infatti probabile che i dipendenti sperimentino maggiori livelli di interdipendenza, diventando maggiormente sensibili agli stati emotivi dei propri colleghi. Dalle rassegna sul contagio emotivo tra gli operatori sanitari condotta da Bakker e Westman (2008) emerge che le condizioni che rendono più probabile il contagio emotivo sono: empatia, suscettibilità e frequenza di scambio di opinione.

 Empatia. Westman e Vinokur (1998, citato in Bakker & Westman , 2008) hanno sostenuto che l’empatia può essere un moderatore del processo di contagio. Starcevic e Piontek (1997, cit. in Bakker & Westman, 2008) definiscono l’empatia come la comunicazione interpersonale, che è prevalentemente di natura emotiva ed implica la capacità di essere influenzati dallo stato affettivo degli altri. Questa variabile non è stata testata direttamente in relazione al burnout, ma uno studio condotto da Bakker e Demeruti (2009), su un campione di 175 coppie di

(33)

33

lavoratori tedeschi, ha ipotizzato che l’empatia fosse un moderatore del crossover del work engagement, considerato come il diretto opposto del burnout. In questo studio l’empatia venne misurata usando due scale dell’interpersonal reactivity index (Davis, 1980, cit. in Bakker e Demeruti, 2009). Gli autori trovarono che solo la prima dimensione dell’empatia aveva un effetto di moderazione.

 Suscettibilità. Bakker e Schaufeli (2000) nel loro studio su 154 insegnanti tedeschi di scuola superiore, hanno ipotizzato che la suscettibilità personale degli insegnanti al contagio aumentasse il rischio del contagio di burnout. Nello specifico si ipotizzò che gli insegnati che erano maggiormente vulnerabili alle emozioni e agli stati d’animo negativi espresse dai loro colleghi avessero maggiore probabilità di essere a loro volta affetti da burnout. Questa variabile venne misurata attraverso sette item della scala sul contagio emotivo sviluppata da Stiff e al. (1988, citato in Bakker & Schaufeli, 2000).

 Frequenza degli scambi di opinione. Questa variabile è stata analizzata da Bakker e Schaufeli (2000) i quali hanno testato l’ipotesi che la prevalenza di burnout tra colleghi avesse un impatto positivo sull’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la riduzione del’efficacia personale per quegli insegnati che frequentemente parlavano con altri relativamente ai problemi correlati al lavoro. Questa variabile venne misurata con quattro item riferiti alla frequenza con la quale gli insegnanti parlavano con i loro colleghi dei problemi incontrati nel loro lavoro. L’analisi di questo processo, non esplorato nella presente ricerca, potrebbe configurarsi pertanto come suggerimento per future ricerche.

(34)

34

1.5 PREVENZIONE

Maslach e Leiter (2000) affermano essere più importante affrontare il burnout a livello organizzativo e non a livello individuale, in quanto le sei - carico di lavoro, controllo, ricompense, senso comunitario, equità, valori - discrepanze descritte tra le persone e il lavoro sono questioni organizzative. L’approccio organizzativo al burnout ha ottime possibilità di realizzare un cambiamento efficace in quanto:

 si rivolge ai problemi di un gruppo di persone invece di essere focalizzato su un individuo alla volta;

 accresce tanto la produttività quanto la qualità della vita lavorativa dei dipendenti andando così a migliorare la gestione complessiva delle risorse umane, migliorare il funzionamento di un ambiente lavorativo ha più possibilità di promuovere un impegno di alta qualità nel lavoro.

Un intervento realizzato a livello individuale, con lo scopo di far tornare ad una singola persona “bruciata”, ad un livello base di funzionamento (cioè allo stato di non esaurimento), raramente supera questo punto di arrivo per diventare proattivo.

Prevenire il burnout promuovendo l’impegno nel lavoro, secondo Maslach e Leiter, non consiste nel ridurre gli aspetti negativi del posto di lavoro, ma di aumentare quelli positivi. Nel raggiungimento di tale obiettivo, i due Autori propongono un processo di problem solving che può assumere come punto di partenza una qualsiasi delle sei discordanze tra la persona e il lavoro e indicano due percorsi di intervento per prevenire o bloccare il burnout, che possono essere posti in essere sia dal lavoratore che dall’organizzazione.

L’impegno deve essere promosso attraverso un processo sociale e collaborativo, così da favorire la comunicazione tra le persone e l’organizzazione che può essere attuato da un individuo con la collaborazione di un gruppo che lo

(35)

35

collega all’organizzazione, oppure dal dirigente sanitario che lo promuove a progetto organizzativo per collegarlo alle persone, il tutto in un processo di tipo continuo per incidere efficacemente sulle sei discrepanze.

I due possibili approcci al processo di problem solving sono l’approccio individuale e l’approccio organizzativo.

 L’approccio individuale parte da una persona che si contraddistingue per un ruolo di stimolo e convince il gruppo di lavoro a prendere in considerazione i suoi problemi con il burnout e il suo bisogno di aiuto. (Maslach e Leiter, 2000, p. 82). Una persona può dare inizio al processo, ma per svilupparlo e sostenerlo è necessaria la presenza di un gruppo, indispensabile per correggere ciò che non va nel posto di lavoro. Tutti i partecipanti devono individuare l’area di discrepanza su cui convogliare attenzione e energie e prendere ogni iniziativa per risolverla. In questa fase i partecipanti devono aiutarsi per “mantenere lo slancio in direzione del cambiamento” (Maslach e Leiter, 2000, p. 82). Qualunque soluzione proposta per trattare il burnout deve essere attivata all’interno del contesto organizzativo.

Per incidere sul burnout e promuovere l’impegno al lavoro, essendo le sei

aree organizzative collegate tra loro, l’intervento va rivolto a tutte e sei le aree di discordanza individuate da Maslach e Leiter: l’intervento rivolto ad una migliora almeno parte delle altre. Il risultato è costituito da un processo continuo: per i due Autori, infatti, il risultato importante è un continuo ed assiduo processo di adattamento a un contesto lavorativo in continua evoluzione (Maslach e Leiter, 2000, p. 83).

 L’approccio organizzativo anziché partire dalla specificità dei singoli e dalle loro crisi, riflette sulle condizioni del posto di lavoro, inquadra le strutture e i processi dell’organizzazione, richiede uno sforzo collaborativo all’interno dell’organizzazione per individuare soluzioni e realizzarle. Per contrastare la discordanza lavoro-persona, quest’approccio parte dall’ottica del posto di lavoro e non da quella del lavoratore e analizza successivamente le aree della vita

(36)

36

organizzativa. Le sei aree in questione sono regolate dalle prassi e dalle strutture organizzative. Il processo in questo caso parte dal dirigente sanitario in quanto, per la posizione occupata, può avere una visione ampia dell’organizzazione nel suo insieme ed è in grado di valutare il potenziale impatto dei cambiamenti nelle politiche organizzative. Diventa quindi un intervento organizzativo finalizzato alla creazione dell’impegno, un progetto “inclusivo” “che non è qualcosa fatto alle persone, ma con le persone” (Maslach e Leiter 2000, p. 102). La visione dello scopo del progetto e del suo valore per l’organizzazione deve essere condivisa da tutta l’organizzazione, ognuno deve essere parte del progetto, ad ogni persona vanno cioè affidati ruoli importanti da svolgere nel processo. Se il progetto è condiviso il suo risultato avrà un forte impatto sulla politica organizzativa. In questo processo, la comunicazione è essenziale in quanto le informazioni sono indispensabili per costruire un ambiente di lavoro migliore, per approfondire il rapporto dipendenti-lavoro e conoscere i temi caldi del personale per assumere i provvedimenti sui problemi critici. (Maslach e Leiter 2000, p. 103). Il progetto organizzativo deve poi avere un rapporto diretto con le persone di tutta l’organizzazione in modo che i dipendenti possano vedere il modo in cui il progetto è pertinente con l’attività che svolgono. Infine il risultato influenza le discrepanze interessate. Il progetto organizzativo può mirare a stabilire come obiettivo una o più discrepanze per un tentativo di intervento. Indipendentemente dal risultato che si prefigge, il processo può influire su aree particolari, come ad esempio il senso di comunità, l’equità e i valori; se è volto a migliorare la comunicazione e la collaborazione tra gruppi di lavoro, può aumentare la reciproca conoscenza e comprensione tra persone, migliorando così il loro senso di comunità; se infine se si focalizza su valori organizzativi e sulla loro attinenza con il lavoro svolto dalle persone per portare a termine la missione organizzativa, la chiarificazione dei valori può attenuare i conflitti di valore e i loro effetti negativi. Infine il risultato sarà un processo continuo. Gli interventi volti alla promozione dell’impegno e alla prevenzione del

(37)

37

burnout, ottimizzano la capacità dell’organizzazione di perseguire la propria missione e di conseguire il risultato di una comunità organizzativa più armoniosa. Attraverso un processo continuo, l’organizzazione si adatta continuamente a circostanze sempre mutevoli in modo da promuovere l’impegno al lavoro. In altre parole “l’investimento in questo processo organizzativo non è solo per benefici immediati, ma anche a lungo termine” (Maslach e Leiter, 2000 p.105).

Riferimenti

Documenti correlati

Moreover, some of the genotypes investigated, such as Senatore Cappelli, Solex, Svevo and Orobel, pre- sented intriguing nutritional and phytochemical profiles, with high lev-

una recente ricerca condotta su diverse categorie professionali (Matti- la, Poutanen, Koivisto, Salokangas, Joukamaa, 2007) si è, infatti, riscon- trato che l’alessitimia – così come

Il Grafico 20 mostra chiaramente come, sia per i medici (suffisso m) sia per gli infermieri (suffisso i), il lavoro in pediatria determini una differenza significativa

La sindrome delle apnee ostruttive del sonno è una condizione spesso associata all’obesità centrale: studi recenti mostrano infatti che circa la metà delle perso- ne affette

Le prove effettuate dimostrano come l’utilizzo del tampone acetato consenta la separazione di tutte e cinque le vitamine esaminate, un risultato che non è stato

Questa sensazione di dispersione intellettuale, suscitata da Kessler, riuscì però a essere mirabilmente superata proprio nella sua biografia di Rathenau: la

In altri tre studi sono stati riscontrati livelli medi di stress e ansia nel lavoro: Hackett in uno studio del 2009 dimostra che, se pur i professionisti sanitari in

La revisione della letteratura condotta in questo lavoro ha permesso di rispondere a tutti i quesiti di ricerca e a fornire informazioni utili per affermare che il rischio