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Riflessi della nuova definizione di rifiuto urbano sulle attività agricole e connesse

Alcuni virtuosi esempi europei

CAPITOLO 4 Il contesto italiano

4.6. Riflessi della nuova definizione di rifiuto urbano sulle attività agricole e connesse

Di recente sono state introdotte delle novità dal D.lgs. n. 116/2020 con riferimento alla nuova definizione di rifiuto urbano, in vigore dal 1° gennaio 2021, che vanno ad impattare anche sul settore agricolo.

In alcuni Comuni è in atto l’interruzione del servizio di raccolta dei rifiuti agricoli assimilati agli urbani, a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 116/2020; problema che in particolare sta coinvolgendo le seguenti tipologie di attività: Agriturismi, negozi di vendita di prodotti agricoli e aziende orticole (es. per la raccolta di teli per serre, insilati, pacciamatura, fasciame, reti per rotoballe, vasellame, manichette per irrigazione ecc.).

Il MiTE, a proposito della definizione di rifiuto urbano, precisa che: “tale nuova definizione deve essere pertanto applicata nell’ottica generale di raggiungimento degli obiettivi imposti dalla direttiva e non con il fine di stravolgere una gestione dei rifiuti già strutturata ed efficace, tanto da non voler incidere con la ripartizione delle competenze tra pubblico e privato nell’ambito della gestione medesima.”

Inoltre, il quadro delle modifiche si completa con ulteriori due novità apportate dal D.lgs.

n.116/2020 con particolare riferimento alla TARI legata alle utenze non domestiche:

 il comma 2 bis dell’articolo 198 sulle competenze dei Comuni introduce la possibilità per

“le utenze non domestiche di conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi. Tali rifiuti sono computati ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani”;

 al comma 10 dell’articolo 238 sulla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani precisa che,

“qualora detti rifiuti vengano conferiti al di fuori del servizio pubblico, serve la dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi. In tale ipotesi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il

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gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell'utenza non domestica, di riprendere l'erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale.”

Alla luce del quadro descritto e in attesa di indicazioni da parte delle amministrazioni competenti, si ritiene che per il settore agricolo la situazione sia la seguente:

1. i rifiuti agricoli prodotti da utenze domestiche continuano ad essere classificati urbani e possono essere conferiti nell’ambito del servizio pubblico per cui si paga la TARI;

2. i rifiuti prodotti da attività di impresa agricola in senso stretto continuano ad essere classificati rifiuti speciali e devono essere conferiti ad un soggetto di gestione rifiuti privato, o nell’ambito di un circuito organizzato di raccolta o tramite una convenzione con il gestore del servizio pubblico;

3. i rifiuti generati dagli uffici/bagni/mense della struttura aziendale dell’azienda agricola, salvo diversi chiarimenti, dovrebbero essere classificati rifiuti speciali e devono essere conferiti ad un soggetto di gestione rifiuti privato, o nell’ambito di un circuito organizzato di raccolta o tramite una convenzione con il gestore del servizio pubblico;

4. i rifiuti generati da attività connesse a quella agricola, come ad esempio l’attività di ristorazioni per gli agriturismi e la vendita diretta di prodotti agricoli sono classificati rifiuti speciali e devono essere conferiti ad un soggetto di gestione rifiuti privato, o nell’ambito di un circuito organizzato di raccolta o tramite una convenzione con il gestore del servizio pubblico.

Di seguito riportiamo alcuni aspetti che necessitano di approfondimento sulla tematica a livello aziendale e territoriale:

 TARI corrisposta nel 2020 e una previsione di costi per l’affidamento del servizio ad un soggetto privato, mediante l’eventuale estensione del servizio già svolto per i rifiuti agricoli non assimilati;

 la tipologia e codici CER dei rifiuti gestiti fino ad ora nell’ambito del servizio pubblico.re

 la presenza nel territorio di Accordi di programma o Convenzioni per la realizzazione di circuiti organizzati di raccolta di rifiuti speciali non assimilati o Convenzioni con i Comuni per la gestione dei rifiuti assimilato.

Un importante aspetto da far presente è che la Confederazione, dopo essersi fatta parte attiva per promuovere uno specifico emendamento nell’ambito del provvedimento milleproroghe 2021, non approvato, si sta attivando per segnalare al alle Amministrazioni competenti la necessità di

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garantire un periodo transitorio che consenta agli operatori agricoli interessati di organizzarsi autonomamente nella gestione di ulteriori rifiuti e/o di stipulare, in accordo con i Comuni stessi, apposite convenzioni per la gestione dei rifiuti speciali non più assimilati.

Infine, per meglio inquadrare la situazione sulle ricadute delle principali modifiche apportate dal D.lgs. 116/2020 e dall’assenza di un coordinamento tra la disciplina tributaria e la normativa ambientale, si condivide (allegato 2 e 3) anche la lettera di ANCI al MiTE e al Ministero delle Finanze a fine gennaio 2021. I Comuni chiedono linee interpretative e l’apertura di un tavolo con un focus prioritario su due aspetti:

1. il mantenimento della quota fissa (es. per spazzamento e abbandoni) per tutte le categorie di utenze non domestiche che non intendono conferire i rifiuti al servizio pubblico e per la categoria delle attività industriali. Non vengono citate le attività agricole;

2. la fissazione di una quantità massima di rifiuti urbani conferibili al sistema pubblico. A seguito dell’eliminazione della potestà comunale di assimilazione, la fissazione di limiti alla conferibilità, infatti, a loro avviso sarebbe necessaria anche per ragioni di carattere gestionale-organizzativo, con riferimento alla tenuta del sistema, in termini di dotazione dei contenitori di raccolta o della frequenza dei ritiri; ragioni che comunque presentano inevitabili riflessi ambientali, anche in un’ottica di prevenzione dell’abbandono del rifiuto.

In tale ambito ANCI solleva anche la questione delle attività agricole con queste parole:

“Infine, la questione delle attività agricole, che restano escluse dal perimetro di applicazione del prelievo sui rifiuti. Questo implica che sono esenti anche i piccoli rivenditori dei propri prodotti (negozi o banchi di mercato), gli agriturismi o le grandi industrie alimentari ove vengono lavorati i prodotti derivanti dall’agricoltura e ciò determina un vuoto tariffario che dovrà essere colmato da tutti gli altri utenti del servizio. Posto che è indiscutibile che queste non siano più tenute a corrispondere la Tari, producendo solo rifiuti speciali non conferibili al pubblico servizio, anche se simili ai rifiuti urbani (in base all’allegato L-quater), appare opportuno precisare se queste attività sono comunque tenute a presentare una dichiarazione e a rendicontare le modalità e i quantitativi di “raccolta e smaltimento” dei loro rifiuti speciali. Diversamente, c’è il rischio che tali rifiuti siano immessi comunque all’interno del circuito pubblico, senza alcun controllo dell’effettivo flusso dei rifiuti”.

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