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Politiche per una gestione sostenibile dei rifiuti. Può uno spreco diventare una risorsa?

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Politiche per una gestione sostenibile dei rifiuti

Può uno spreco diventare una risorsa?

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Politiche per una gestione sostenibile dei rifiuti.

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INDICE

INTRODUZIONE p.3

1 CAPITOLO 1

Un nuovo modello economico: Economia Circolare p. 5

2 1.1. Differenze dall’Economia Lineare p. 11

1.2. Modello ideale e modello reale p.14

1.3. La circolarità di un prodotto p.16

2 CAPITOLO 2

Il contesto europeo p.18

2.1. La plastica: una priorità d’azione in Europa p.20

2.2. Obiettivi di recupero e riciclaggio p.21

3 CAPITOLO 3

Alcuni virtuosi esempi europei p.22

3.1. Cosa prendere ad esempio dalla Germania p.23

4 CAPITOLO 4

Il contesto italiano p.26

4.1. Raccolta differenziata dei rifiuti urbani p.27

4.2. Gestione dei rifiuti urbani p.29

4.3. Tassa sui rifiuti: quanto paghiamo? p.33

4.4. I rifiuti e l’ambito di applicazione del Metodo Tariffario p.34

4.5. Agriturismi: un nodo ancora da sciogliere p.35

4.6. Riflessi della nuova definizione di rifiuto urbano sulle attività agricole e connesse p.36 5 CAPITOLO 5

Regioni, provincie e comuni italiani da prendere d’esempio p.34

5.1. Pordenone p.35

CONCLUSIONI p.38

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INTRODUZIONE

L’ambiente ha da sempre fornito all’uomo i mezzi necessari alla sua crescita ed evoluzione, assimilando i rifiuti che l’uomo quotidianamente ha prodotto. A tal proposito l’essere umano fino ad ora ha agito come se le risorse e la capacità di assimilazione dell’ambiente fossero illimitate.

Prima dell’industrializzazione le sostanze utilizzate dall’uomo erano naturali e di conseguenza non causavano evidenti impatti sull’ambiente. Proprio con l’industrializzazione iniziarono le prime dimostrazioni che l’ambiente risentisse del comportamento dell’uomo. Infatti, si ebbe un miglioramento della qualità di vita, determinando una crescita demografica della popolazione, tale da incrementare la richiesta di risorse (rinnovabili e non), che di conseguenza furono riversate nell’ambiente come rifiuti. Ci fu la scoperta e l’utilizzo di sostanze sintetiche, che migliorarono la qualità dei prodotti, ma che una volta immesse nell’ambiente quest’ultimo non è stato, e non è tutt’ora, in grado di assimilare, trasformare e neutralizzare velocemente e quindi ne consegue un suo degrado. A causa della velocissima crescita economica di quel periodo, l’uomo ha continuato a sfruttare a suo vantaggio l’ambiente senza prendere in considerazione le possibili conseguenze future.

Le due principali incongruenze tra uomo e ambiente sono:

 l’enorme differenza di velocità tra quella di prelievo delle risorse naturali (non rinnovabili) da parte dell’uomo, e quella di rigenerazione di queste da parte dell’ambiente.

 La linearità del processo produttivo che è alla base dell’economia, e la ciclicità dei processi naturali.

Questa sostanziale diversità di approcci ha portato alle problematiche ambientali che oggi si manifestano. Verso gli anni ‘70 si sviluppò l’idea per cui la salute umana sia strettamente legata alla salute del territorio, e che le azioni dell’uomo abbiano creato dei danni agli ecosistemi, per cui era necessario iniziare a studiare approfonditamente le dinamiche dell’ambiente e tutelarle.

La politica è lo strumento grazie al quale si possono indicare e migliorare i comportamenti dell’uomo nei confronti dell’ambiente.

I principali ambiti di interesse sono:

• Consumo di suolo

• Qualità dell’aria

• Qualità dell’acqua

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• Gestione dei rifiuti

• Biodiversità

Il presente documento riassume le metodologie e le diverse procedure che sono alla base della gestione dei rifiuti, in Europa e in Italia. Il primo capitolo si concentra sull’introduzione delle politiche di economia circolare, che sono in grado di ridurre al minimo lo sfruttamento dell’ambiente e incentivare la sua tutela. Ad oggi, i rifiuti sono considerati non più come un qualcosa di cui disfarsi, ma come materiale da gestire e da riutilizzare. Le politiche ambientali in materia di rifiuti devono porre attenzione sul miglioramento continuo della sostenibilità dei metodi di raccolta e di recupero e trattamento, ma è necessario sensibilizzare i propri cittadini riguardo i rischi ecologici e sulla salute umana che può provocare un’errata gestione dei rifiuti, e inoltre dimostrare quanto questi rischi si ripercuotano poi sui costi che è necessario intraprendere per risolvere il danno. Il secondo capitolo, sulla base di un’elaborazione dei dati ISPRA, esamina la situazione europea in merito alla gestione dei rifiuti. Nel capitolo successivo, ovvero il terzo, abbiamo voluto porre l’accento su una delle nazioni più virtuose del nostro continente, ovvero la Germania. Infatti, come avremo modo di vedere, i tedeschi già da tempo si dimostrano molto attivi sia nella raccolta differenziata sia nel riciclaggio dei materiali. Il quarto capitolo, sempre facendo riferimento ai dati ISPRA, riporta un’analisi della situazione a livello nazionale, per poi andare ad approfondire, nel capitolo quinto, alcune regioni e comuni da cui potremmo ispirarci per garantire una gestione più sostenibile dei rifiuti.

Crediamo profondamente che sia fondamentale parlare di questo argomento perché è un problema che interessa tutti sotto vari aspetti. È importante anche capire come meglio agire e cosa ci è possibile fare nel concreto per migliorare l’attuale servizio e forse, per farlo conviene guardarci attorno e osservare chi sta compiendo dei progressi che non possono essere ignorati. L’importante è non rimanere fermi, perché è ovvio che ciò che stiamo facendo oggi non è sufficiente, non basta.

La soluzione è dietro l’angolo, non resta che afferrarla. Altri paesi l’hanno già fatto, hanno già mostrato la via da percorrere, adesso tocca a noi.

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CAPITOLO 1

Un nuovo modello economico: Economia Circolare

Come abbiamo già accennato nell’introduzione che precede il primo capitolo, a causa dell’aumento demografico mondiale, della crescita di domanda di materie prime e dell’aumento delle disuguaglianze tra nazioni meno ricche, negli anni è venuto sempre più necessario il bisogno di un nuovo modello economico, basato su una gestione delle risorse naturali più sostenibile e razionale.

Il costo di questo crescente disequilibrio ecologico sta diventando sempre più lampante nel pianeta, lo notiamo sotto forma di siccità, deforestazioni, erosioni del suolo, accumuli di anidride carbonica nell’atmosfera etc… Le riserve di alcune risorse non rinnovabili, come i combustibili fossili, sono già altamente a rischio. Stiamo esaurendo i depositi più accessibili di parecchi metalli, per alcuni come il rame abbiamo già superato il livello massimo di produzione. In una situazione tale c’è bisogno di cambiare il modello economico: l’Economia Circolare o Circular Economy permette di passare da un semplice modello a ridotto impatto ambientale a un alternativo modello economico più attraente, basato sulla creazione di valore, economico, ambientale e più positivo a livello sociale. C’è bisogno di un cambiamento a monte, dove bisogna migliorare la gestione delle risorse naturali, aumentando la loro efficienza produttiva nei processi di produzione e consumo, riducendo gli sprechi e cercando di mantenere il più alto possibile il valore di prodotti e materiali. Tuttavia, occorre anche evitare di far smaltire in discarica tutto quello che possiede ancora una qualsiasi possibile utilità e anzi, cercare di recuperarlo e reintrodurlo nel sistema economico.

Questi due aspetti fondamentali rappresentano l’essenza dell’economia circolare che punta a far diventare le attività economiche più efficienti e a meno impatto sull’ambiente grazie all’innovazione tecnologica e ad una migliore gestione. La transizione verso un modello economico basato sull’economia circolare che possa gestire in maniera più razionale ed efficiente le risorse ha bisogno di un sistema di strumenti regolatori ed economici e la sensibilizzazione di tutti i partecipanti al sistema sociale (imprese, pubblica amministrazione, consumatori, associazioni).

Negli ultimi quaranta anni il modello basato sull’economia circolare si è molto evoluto.

Molti temi come il reperimento sostenibile delle materie prime, la produzione e la progettazione ecologica, la distribuzione e il consumo più sostenibili, sono diventati temi chiave per l’economia circolare. Un modello di economia circolare che coinvolge grandi imprese, ma soprattutto piccole e medie imprese, è in grado di creare nuovi posti di lavoro e contemporaneamente diminuire

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notevolmente la domanda di materie prime vergini. In un futuro sempre più prossimo si cercherà di progettare e sviluppare sistemi di rigenerazione, riuso e riparazione di beni in maniera sempre più efficiente con lo scopo di facilitare la manutenzione dei prodotti e aumentarne la vita. Si proverà a far concepire agli operatori una consapevolezza che i propri prodotti una volta utilizzati saranno destinati ad essere riparati e riutilizzati.

Nelle economie agricole antecedenti la rivoluzione industriale veniva riutilizzato o riciclato qualsiasi cosa potesse essere riconvertita. Vecchi vestiti venivano usati dalle donne per ricreare cose utili alla casa, con l’olio d’oliva facevano il sapone, con il vino l’aceto, con il legno il carbone per scaldarsi e con gli scarti degli animali si fertilizzavano i campi. Successivamente si attuò un sistema economico che si fondava sullo sfruttamento immediato, i beni avevano un ciclo di vita abbreviato che divenne un ciclo lineare. L’economia odierna è basata sull’approccio lineare, “take, make, use, dispose” (prendi, produci, usa e getta). Si parla di “lineare” in quanto una volta terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto che diventa un rifiuto. I prodotti sono pensati per rispondere ad un solo bisogno e la diversificazione sembra essere più importante del bisogno stesso.

I beni vengono acquistati, usati e gettati di continuo invece di essere riparati o riusati. Questo a livello ambientale ed economico è insostenibile per via delle materie prime e delle energie limitate, ma anche per la volatilità del prezzo delle materie prime e dei rischi che ne comporta.

Nell’ecosistema naturale non esistono discariche, i “materiali” vanno e vengono. Tutto quello che è scarto per una specie è un alimento per un’altra specie. Il sole fornisce l’energia, le cose crescono, muoiono e rendono alla terra i loro elementi nutrienti. Il ciclo ricomincia da capo ogni volta. Questo modello naturale funziona da millenni in maniera impeccabile, ed è proprio a questa tipologia di economia che si sta cercando di ispirarsi. Se si desidera essere competitivi bisogna trarre il massimo dalle risorse, reimmettendole all’interno del ciclo di produzione invece di gettarle in discarica e facendole diventare rifiuti.

In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. Per capire meglio come dovrebbe funzionare questo sistema bisogna immaginare di progettare prodotti in maniera da poter riconsegnare, dopo averli usati, i materiali di cui sono formati a chi li ha prodotti e restituire all’ambiente le parti biologiche. A questo si aggiunga l’ipotesi che questi prodotti siano creati e trasportati utilizzando solo energie rinnovabili e pulite.

Un sistema perfetto di economia circolare dovrebbe funzionare così. Per quanto riguarda i rifiuti biologici dovremmo iniziare a riprogettare i prodotti nelle loro parti e nelle loro confezioni, usando

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materiali sicuri e compostabili che possano aiutare i cibi e le piante a crescere meglio.

Quando invece si parla di materiali tecnici ci si riferisce a prodotti non costruiti con materiali biodegradabili. Qui avviene un recupero di un altro tipo, un sistema capace di riciclare metalli, polimeri e leghe, in maniera che continuino a mantenere le loro qualità e che possano essere ancora utili oltre il loro progetto di utilizzo originale. Così facendo i prodotti dei giorni nostri potrebbero diventare le risorse del domani, un modello a ciclo chiuso dove “waste equals food” (rifiuti=cibo).

Con il termine “circolare” si indica appunto questo flusso continuo che prevede un sistema basato sul “take, make, use, return” (prendi, produci, usa e riusa o ricicla). Una strategia tale favorisce una gestione dei rifiuti con una sempre più grande diminuzione di produzione di rifiuti grazie all’eco-innovazione e all’utilizzo di nuovi modelli di business. Una concezione che farebbe bene all’ambiente, alla società e all’economia.

Un tipo di economia strettamente legato a quella circolare è la “Green Economy”, che si basa su un efficiente uso delle risorse, su una produzione di beni pulita e sicura e sul ridimensionamento dell’inquinamento. La green economy può quindi considerarsi anche circolare in quanto l’uso efficiente delle risorse è strettamente correlato alla minimizzazione degli scarti e alla loro trasformazione in nuove materie prime.

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L’economia circolare è quindi un sistema economico pianificato per il riuso dei materiali in cicli produttivi successivi, riducendo gli sprechi al minimo. In un’economia circolare prendono sempre più piede concetti come eco-design, riparazione, riuso, manutenzione, condivisione dei prodotti, ricostruzione, prevenzione della produzione di rifiuti e loro riciclaggio. Un’economia con zero rifiuti, o quasi, dove ogni prodotto viene consumato e smaltito senza lasciare scarti.

L’idea che sta alla base dell’economia circolare è rappresentata dalla formula “fare di più con meno”. Questo tipo di economia non solo protegge l’ambiente e permette un risparmio sui costi di produzione e gestione, ma produce anche un utile. Il modello dell’economia circolare non è solo di approccio ambientale o etico, può creare posti di lavoro in Europa, favorire l’innovazione che dia un vantaggio competitivo e una maggiore protezione per persone e ambiente di cui l’Europa possa andare fiera, offrendo contemporaneamente ai consumatori beni più durevoli nel tempo e innovativi, che possano creare risparmi e migliorare la qualità della vita. Inoltre, con la riduzione dell’utilizzo delle risorse non rinnovabili, l’economia circolare, è uno dei modelli strategicamente più efficace per combattere le calamità ambientali come la lotta all’inquinamento atmosferico, il surriscaldamento globale, i rifiuti terrestri e marini e la tutela della biodiversità.

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Il modello di economia circolare si basa sulle tre “R”: Ridurre, Riusare, Riciclare.

L’economia circolare, si tratta di un modello ripensato radicalmente rispetto al modello di produzione classico che si basa sul massimo sfruttamento delle risorse naturali ed è volto all’obiettivo di massimizzare il profitto attraverso la riduzione dei costi di produzione.

Un’impostazione circolare volge alla revisione di tutte le fasi della produzione.

Questa focalizzazione passa attraverso tre principi:

1. preservare e aumentare il capitale naturale, controllando i depositi limitati e bilanciando il flusso di risorse rinnovabili;

2. ottimizzare il rendimento delle risorse tramite la circolazione di prodotti, componenti e materiali di altissimo valore, in ogni momento, in entrambi i cicli, biologici e tecnici;

3. individuazione ed eliminazione delle esternalità negative che possono scoraggiare l’efficacia del sistema.

Il primo principio indica che il sistema, nel momento in cui ne ha bisogno, deve decidere quali risorse utilizzare e preferire i migliori processi e tecnologie che utilizzano risorse rinnovabili bilanciandone il flusso. Il secondo principio parla della differenza tra cicli biologici e tecnici.

I cicli biologici gestiscono tutti i nutrienti rinnovabili che devono essere reintegrati nella biosfera in modo che con la decomposizione tornino ad essere materia prima per altri cicli successivi. I cicli tecnici gestiscono tutti i materiali non rinnovabili che non possono essere re immessi nella biosfera e che devono quindi essere progettati per circolare il più a lungo possibile, non necessariamente

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soltanto tramite riciclo. Per entrambi i cicli sono preferibili cicli ristretti con i quali si permette la conservazione di più valore ed energia. Così facendo non si progetta soltanto per riciclare, ma anche per ristrutturare e rigenerare. Il terzo principio presta attenzione all’importanza di evitare esternalità negative come inquinamento dell’aria e dell’acqua, inquinamento acustico e il rilascio di sostanze tossiche. Queste esternalità creano seri danni all’ambiente e scoraggiano l’efficacia del sistema economico.

Il modello economico circolare in linea con i principi elencati è diventato una priorità strategica dell’Unione Europea in quanto rappresenta delle opportunità di sviluppo e di crescita economica.

Gli obiettivi europei puntano in particolar modo a:

 COMPETITIVITA’: modelli di business che non utilizzano materie prime permettono di creare una struttura di costi con meno rischio di volatilità dei prezzi in presenza di interventi normativi o anche solo per dinamiche di prezzo;

 INNOVAZIONE: il sistema circolare prevede una forte spinta riguardante l’innovazione.

Molto importante in questo campo è la digitalizzazione che porta le aziende a rivedere i processi fornendo nuove opportunità in tutti i campi di business;

 AMBIENTE: come previsto dall’accordo di Parigi una limitazione dell’impatto ambientale è un apporto importante per la lotta all’inquinamento terrestre, marino e atmosferico, inoltre aiuta a contenere il surriscaldamento globale;

 OCCUPAZIONE: l’aumento di servizi che aggiungono valore al prodotto e la riduzione di materie prime utilizzate dovrebbero permettere una traslazione dei costi dalle materie prime al lavoro umano (manutenzione, riparazione, servizi) favorendo un aumento dell’occupazione.

Importanti aziende italiane già impegnate nell’economia circolare si sono riunite e hanno formato un’Alleanza economica che ha come obiettivo il rafforzamento dell’impegno al miglioramento dell’innovazione, la competitività e le azioni ambientali delle aziende made in Italy.

E’ stato presentato il Documento di Posizionamento Strategico Nazionale dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, un importante atto per la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Con questo documento si definiscono gli obiettivi per i modelli di produzione e consumo sostenibili e sull’uso delle risorse in modo efficiente. Negli ultimi anni, in Italia, la sensibilizzazione verso il fronte rifiuti è cresciuta molto, alcune stime del Conai (Consorzio Nazionale degli imballaggi) dicono che nel corso del 2018, il tasso di riciclo salirà fino al 68,7% e

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l’11,8% sarà destinato al recupero energetico. Per quanto riguarda carta e cartone oggi ricicliamo l’80% contro le ben più basse percentuali di circa vent’anni fa che si aggiravano attorno al 37%.

Molto bene anche lo scenario del vetro che, grazie alla sua possibilità di essere riciclato infinite volte mantenendo le sue caratteristiche, ha permesso il risparmio dell’estrazione di circa 3 milioni di tonnellate di materie prime. Nel 2015, per quanto riguarda la plastica, si parla di 540.000 tonnellate di rifiuti di imballaggio riciclati. Attualmente i rifiuti valgono circa 10 miliardi di euro, ma la tariffa che dovrebbe premiare chi fa la raccolta differenziata si applica a meno di una persona su venti.

Althesys, una società di consulenza strategica legata all’ambiente, ha stimato che il settore del riciclaggio dei rifiuti cresce ad un ritmo doppio rispetto al Pil, ma che il sistema normativo attualmente non aiuta la green economy e andrebbe messo a punto. Servirebbe elaborare un vero e proprio piano d’azione capace di stimolare l’approccio all’economia circolare delle aziende italiane visto che attualmente incertezza normativa e ostacoli burocratici limitano le operazioni in ottica circolare. Un dato estremamente positivo arriva dai dati Eurostat, dove l’economia circolare dimostra un peso occupazionale maggiore rispetto agli altri Paesi europei. In Italia la circular economy offre lavoro a 502.598 addetti (secondi solo alla Germania) e nel totale degli occupati complessivi il settore ha un peso del 2,1%, maggiore di tutti gli altri Paesi europei.

Unicircular nasce con l’obiettivo di far crescere la “cultura circolare” e si propone come punto di riferimento per tutte le imprese che sono interessate al modello di economia circolare con l’intento di aiutarle nel loro percorso rappresentando le loro esigenze con le istituzioni e diventando luogo di confronto.

1.1. Differenze dall’Economia Lineare

L’approccio economico lineare “take-make-use-dispose” si basa sulla disponibilità di un grande quantitativo di risorse ed energia ed è sempre meno adattabile alla realtà in cui viviamo.

Le azioni che sostengono la diminuzione del consumo delle risorse e dell’energia fossile per unità di produzione riescono solo a ritardare la crisi del sistema economico, ma non bastano per risolvere il problema del numero limitato dei depositi. Diventa quindi necessario un cambiamento, una transizione dal sistema economico lineare ad un sistema circolare, che prendendo in analisi tutte le fasi (progettazione, produzione, consumo, destinazione a fine vita) riesca a cogliere ogni occasione

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di diminuire gli ausili di materia ed energia in ingresso e di ridimensionare significativamente gli scarti e le perdite.

Nel modello economico lineare la creazione del valore è data dal prodotto, la differenza tra prezzo di mercato e costo di produzione dai reali margini di profitto e per massimizzare il profitto è necessario vendere più prodotti possibili e minimizzare i costi di produzione. L’innovazione tecnologica sempre più incalzante cerca di rendere i prodotti obsoleti molto velocemente e a incentivare i consumatori a comprare prodotti nuovi. I prodotti a lunga durata e le riparazioni vengono evitate in quanto è molto più conveniente vendere prodotti nuovi che riparare e mantenere quelli vecchi, inoltre i prodotti di breve durata sono favoriti perché sono più a buon mercato.

Nel modello circolare i prodotti fanno parte di un business integrato, incentrato sulla fornitura di un servizio. Non è solo il valore della vendita di un prodotto a creare la competizione, bensì la formazione di un valore aggiunto del servizio ad esso associato. Tra gli asset di un’impresa vi sono anche i prodotti e la durata della vita del prodotto, il riuso, la riparabilità e la riciclabilità sono guidate dalla responsabilità estesa del produttore. Il cliente reagisce in maniera maggiore al fornitore del servizio, questo lo porta a dare una maggiore importanza al prodotto locale, quindi userà anche la prossimità come criterio di scelta in quanto gli sarà necessaria l’accessibilità al fornitore del servizio.

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Nell’economia lineare il consumatore cerca sempre nuovi prodotti che siano al passo con la moda e con l’avanzamento tecnologico, grazie anche ai nuovi store online sono alla continua ricerca della versione più economica nei vari mercati internazionali. Le politiche nazionali sociali e ambientali sono guidate dalla competizione a livello globale. Vi è una forte connessione fra produzione di massa di beni e taglio dei costi, anche se questo spesso comporta una diminuzione delle retribuzioni e un abbassamento del tasso di occupazione. Il possesso del prodotto è il metodo più riconosciuto per poterlo utilizzare. La riparazione del prodotto è considerata difficile e costosa.

I prodotti che giungono a fine vita, ovvero che sono rotti od obsoleti, vengono considerati un peso da smaltire spendendo il meno possibile.

Nell’economia circolare l’accessibilità del prodotto e la soddisfazione che deriva dal suo utilizzo prendono importanza per soddisfare le necessità del cliente. I consumatori possono avere accesso ai servizi offerti dal prodotto senza esserne per forza i possessori. Il contratto di utilizzo del servizio incentiva il cliente alla cura del prodotto e dopo l’utilizzo a farlo ritornare al fornitore.

Oltre ad una maggiore forza lavoro più specializzata, nel modello economico circolare è richiesta la gestione dei prodotti come beni locali, i quali sono difficilmente delocalizzabili.

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1.2. Modello ideale e modello reale

Il modello ideale dell’economia circolare dovrebbe essere un modello chiuso che purtroppo però alcune volte non riflette la realtà del sistema produttivo attuale nel quale viene a mancare questa chiusura. Enormi quantità di scarti e rifiuti vengono comunque prodotte in ogni fase del modello circolare nonostante vengano attuate molte iniziative volte alla circolarità. Per questo motivo si è ancora molto lontani dall’idea di poter recuperare, riutilizzare o riciclare tutto ciò che finisce per essere scartato, la “chiusura del ciclo” quindi non viene raggiunta.

Nel sistema produttivo circolare reale vi è quindi una fuoriuscita di materiale che potrebbe essere utile e di grande valore se riutilizzato, recuperato o riciclato. I punti dove avviene questa perdita di efficienza vengono chiamati “leakages” e come si vede in figura il flusso dei materiali si assottiglia sempre di più man mano che i leakages aumentano.

Oltre ad esserci ancora un grande limite nella capacità di recupero vi è anche un quantitativo in eccesso di materie prime utilizzate nella filiera produttiva. L’economia circolare non presuppone solo la possibilità di riutilizzare, recuperare o riciclare gli scarti dei vari leakages, ma anche per l’opportunità di prevenirli con una riduzione di quantità e flusso di materie prime e risorse naturali nel ciclo economico. In altre parole, bisognerebbe diminuire il flusso di materie prime in ingresso per far aumentare la possibilità di recuperare una quantità maggiore di scarti.

Il GEO (Green Economy Observatory) ha fatto una ricerca relativa all’economia circolare incentrata sulla scoperta delle cause dell’inefficienza del modello circolare, i leakages. Le cause possono essere immaginate come forze centrifughe dovute a diversi fenomeni che creano sprechi e

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inefficienze a causa della fuoriuscita di materiale e quindi della perdita di valore. Esse sono molteplici e possono riguardare qualsiasi fase del modello circolare:

• asimmetrie informative: mancanza di conoscenza di produttori e consumatori riguardo gli impatti ambientali causati da prodotti e/o servizi che quindi vengono sottovalutati;

• priorità di business: maggiori priorità ad obiettivi di breve periodo e mancanza di progettazione sul lungo termine, come un obiettivo di miglioramento ambientale;

• barriere di mercato: una delle più grandi barriere è sicuramente la distorsione del prezzo dei prodotti che non riflette i costi di impatto ambientale delle filiere produttive, queste distorsioni sono chiamate “bias” di prezzo. Le imprese che inquinano di più non investono nell’innovazione per diminuire l’impatto ambientale e quindi hanno dei costi inferiori, di conseguenza possono applicare a prodotti e servizi dei prezzi minori ed essere avvantaggiati nella scelta del consumatore che preferisce un prodotto o un servizio più conveniente;

• abitudini e cultura: molti consumatori hanno l’abitudine di acquistare prodotti non riciclati perché hanno la convinzione che abbiano una performance migliore rispetto a prodotti creati con materie prime seconde. Inoltre, vi è ancora una profonda cultura del consumo che crea difficoltà alla circular economy;

• geografia e sviluppo infrastrutturale: le grandi distanze e l’estensione dei confini geografici dovuta alla globalizzazione intralciano la “reverse logistics”, la gestione e il movimento dei prodotti a ritroso nella supply chain. Risulta complesso per il produttore iniziale recuperare, smaltire o riutilizzare i resi dei prodotti;

• tecnologia: possono verificarsi freni alla velocità di sviluppo dell’innovazione tecnologica;

• regolamentazione: possono essere poste limitazioni di natura normativa che complicano la chiusura del ciclo e quindi la buona riuscita del modello circolare.

Queste cause di leakages derivano da diverse forme di inoperosità e soltanto una volta superate sarà possibile creare un vero modello economico circolare.

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1.3. La circolarità di un prodotto

L’energia circolare ha una concezione di prodotto più virtuosa rispetto all’economia lineare.

 Prevede che si utilizzino innanzitutto solo fonti di energia rinnovabile, che tra l’altro sono un elemento fondamentale della sostenibilità.

 Richiede una progettazione del prodotto più intelligente, in maniera che duri nel tempo e che sia riparabile, riciclabile o riutilizzabile per intero o nelle sue parti, e questo richiede una grande capacità di innovazione. a sostituzione di materie prime con materie seconde.

 Un prezzo accessibile per il consumatore aiuterebbe a favorire inoltre la diffusione del sistema di circolarità.

 Le aziende dovrebbero porsi come obiettivo la misurazione della circolarità di un prodotto o servizio per capire le quantità e le tipologie di risorse naturali impiegate, soprattutto in termini di risorse: rinnovabili e non rinnovabili, riciclate, riciclate permanenti e riciclabili, biodegradabili e compostabili, sostenibilità economica ed ambientale del prodotto per cui vengono utilizzate.

Sarebbe necessario creare un bilancio input/output che prenda in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto. Per non creare errori nella stesura del bilancio, nella fase di inventario bisogna essere molto accurati. I dati utili per la fase di produzione, che in poche parole sono le specifiche tecniche di ogni prodotto, sono già in possesso delle aziende. A questi dati vanno aggiunti quelli degli imballaggi, quelli della fase d’utilizzo (manutenzione, sostituzione di parti del prodotto) e quelli di smaltimento e riciclo (dati in possesso alle aziende private, consorzi o organismi nazionali che gestiscono lo smaltimento rifiuti). Requisiti fondamentali per una valutazione di circolarità del prodotto sono durabilità, frequenza d’uso o riuso e condivisione del prodotto.

Indicatori fisici (materiali impiegati e rifiuti) e indicatori di utilizzo possono presentare delle difficoltà ad essere confrontati fra loro e anche nel dover includere nei fattori fisici sia risorse materiche che energetiche. Si può risolvere questo problema adottando delle KPI (Key Performance Indicators), chiavi di indicatori di performance che aiutano a mettere in relazione fra loro i cinque elementi fondamentali dell’economia circolare, e quindi sia indicatori fisici che indicatori di utilizzo per giungere a un unico risultato. In ogni fase del ciclo di vita del prodotto, vicino ai dati che indicano i fattori fisici e i fattori di utilizzo, deve esserci un dato economico che valuti l’economicità di processo. Le imprese, in questo modo, avranno la possibilità di definire uno

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scenario di mercato, per esempio, intervenendo sulla scelta dei materiali del prodotto o sulla scelta di vendere il bene come un prodotto o un servizio. Le componenti economiche, insieme a quelle fisiche, permettono di individuare un quadro di circolarità e di valutare ad esempio se l’utilizzo di alcune risorse, piuttosto di altre, garantisce al prodotto una maggiore durabilità, riparabilità e riciclabilità.

La circolarità del prodotto può essere un buon riferimento per azioni di fiscalità e di incentivi pubblici. Essa da un lato porta l’impresa al raggiungimento di un risultato, dall’altro spinge verso una domanda di mercato più sostenibile. Essendo gli strumenti di fiscalità e di incentivi delle azioni simili a dei premi, il legislatore deve impostare dei criteri ben definiti per stabilire l’assegnazione del merito alla circolarità del prodotto o del servizio. A questo punto per il legislatore risulterà più facile avere un quadro generale del sistema e stabilire, per il consumatore in fase di acquisto, delle forme di incentivi.

Il consumatore, in fase di acquisto, in quanto protagonista dell’economia del paese, recita un ruolo chiave e deve essere coinvolto attivamente in modo che commetta azioni responsabili e sostenibili. Perché questo accada è necessario mettere il consumatore in grado di comprende e valutare la circolarità di un prodotto o servizio. Serve una comunicazione in grado di essere applicata ad ogni tipologia di prodotto o servizio e allo stesso tempo che sia semplice e riconoscibile, in modo che il consumatore possa capire e confrontare le informazioni in piena autonomia.

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CAPITOLO 2 Il Contesto europeo

In Europa ci stiamo abituando a sentir parlare sempre di più di economia circolare. Nel nostro continente si punta molto al settore “verde”, più specificatamente sul riciclaggio di rifiuti e risorse.

Dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento Europeo, è stato approvato un pacchetto di direttive sui rifiuti e sull’economia circolare, in vigore da Luglio 2018. Certamente una grande svolta, più grande della riforma avviata venti anni fa che ci ha avviati dalla discarica al riciclo.

La commissione europea ha chiesto ai Paesi membri che riciclino almeno il 65% dei rifiuti urbani e l’80% di quelli da imballaggio; ha vietato di gettare in discarica rifiuti biodegradabili e riciclabili;

richiesto una diminuzione del 50% degli sprechi di cibo e un aumento della responsabilità dei produttori. Tutte norme che dovrebbero comunque essere pienamente in vigore tra il 2030 e il 2035 per dare il giusto tempo ai Paesi membri di potersi adeguare.

La ricerca dell’eliminazione degli scarti e l’ottimizzazione dei processi produttivi non porterà soltanto l’economia verso una crescita sostenibile, ma creerà nuovi posti di lavoro, nuove sfide competitive per le aziende, ma soprattutto porterà ad un aumento del PIL.

Il pacchetto di norme a cui abbiamo accennato fa una previsione sugli obiettivi richiesti, in quanto presume che il riciclo di rifiuti urbani possa alzarsi al 55% nel 2025, al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Per raggiungere le stime nel 2035 è necessario portare la raccolta differenziata almeno al 75%.

Scendendo più nel dettaglio, da ciò che emerge dal rapporto ISPRA, nel 2018, il 31% dei rifiuti urbani è avviato a riciclaggio, il 28% è avviato a recupero di energia, il 17% a compostaggio e digestione anaerobica, mentre il 23% e l’1% è, rispettivamente, smaltito in discarica o incenerito.

La figura riportata nella pagina successiva mostra un’estrema variabilità di approccio alla gestione dei rifiuti urbani tra i diversi Stati membri. Con riferimento allo smaltimento in discarica, si passa dallo 0% della Svizzera al 100% della Serbia. Svizzera, Svezia, Finlandia, Germania, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Austria e Norvegia allo smaltimento in discarica (sotto il 3,2%) privilegiano l’incenerimento con recupero energetico (R1) con percentuali che vanno dal 31% della Germania al 57% della Finlandia. L’incenerimento senza recupero di energia (D10) è poco

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Incenerimento(D10) Discarica e altre operazioni (D1-D7, D12) Riciclo di materia Compostaggio e digestione aerobica/anaerobica Recupero di energia (R1)

utilizzato e la percentuale maggiore si rileva nel Regno Unito (3,4%). I Paesi con le più alte percentuali di rifiuti urbani avviati a compostaggio e digestione sono Austria (33%), Lituania (32%), Paesi Bassi (29%).

Per quanto riguarda il riciclaggio, 23 Paesi su 31 hanno percentuali superiori al 20% del rifiuto urbano trattato, con la Slovenia (54%) e la Germania (50%) capofila. L’Italia avvia a riciclaggio il 32% dei rifiuti urbani trattati, e a compostaggio e digestione il 23% con una quota di riciclo totale del 55%.

Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani nell’UE, anno 2018 (dati ordinati per percentuali crescenti di smaltimento in discarica)

Fonte: elaborazioni ISPRA su dati Eurostat

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2.1. La plastica: una priorità d’azione in Europa

Nel Piano d’azione dell'UE per l’economia circolare (COM (2015) 614) la Commissione europea ha individuato la plastica come priorità chiave e si è impegnata a elaborare una strategia che pone le basi per una nuova economia della plastica, in cui la progettazione e la produzione di questo materiale e dei suoi prodotti rispondano pienamente alle esigenze di riutilizzo, riparazione e riciclaggio, e in cui il loro sviluppo avvenga all’insegna della sostenibilità, sottolineando i vantaggi che deriverebbero da un maggior riciclaggio e riutilizzo delle materie plastiche (ad esempio, in termini di riduzioni di emissioni di CO2). Tale approccio prevede, pertanto, il coinvolgimento di tutti gli attori lungo la catena del valore, a partire dall'industria, dai produttori e dalle imprese operanti nella trasformazione della plastica fino alle imprese pubbliche e private di gestione dei rifiuti così come anche la comunità scientifica, le istituzioni locali e i consumatori.

L’obiettivo della Strategia è, dunque, di promuovere una progettazione della plastica e dei prodotti che la contengono che aumenti la durabilità e ne incentivi il riutilizzo e il riciclaggio, assicurando entro il 2030 la piena riciclabilità di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nell’Unione Europea, nonché il riciclaggio di oltre la metà dei rifiuti plastici.

Al fine di diminuire la produzione dei rifiuti di plastica e il loro abbandono in mare, anche attraverso campagne di sensibilizzazione, particolare attenzione viene posta nella Strategia ai prodotti in plastica monouso e agli attrezzi per la pesca contenenti plastica; inoltre, è prevista l’adozione di nuove misure per limitare l’uso delle microplastiche nei prodotti e stabilire l’etichettatura delle plastiche biodegradabili e compostabili.

Il conseguimento degli obiettivi illustrati nella Strategia richiederà notevoli investimenti in infrastrutture, innovazione e soluzioni che garantiscano un’economia circolare.

Il Parlamento europeo ha, inoltre, approvato la Risoluzione su una strategia europea per la plastica nell’economia circolare (2018/2035 (INI)) per incentivare gli Stati membri a raggiungere gli obiettivi preposti. Nel dettaglio, nel 2019, tutte le frazioni merceologiche, ad eccezione dell’acciaio e della carta, presentano un incremento dei quantitativi immessi al consumo rispetto al 2018. L’aumento registrato conferma i cambiamenti degli stili di consumo, che incidono sulla qualità e sulla tipologia di imballaggi utilizzati, e che sono correlati a fattori sociali e demografici.

La frazione merceologica che mostra la maggior crescita percentuale è rappresentata dall’alluminio (+5,8%), seguita dal vetro (+4,2%), dalla plastica (+1%) e dal legno (+0,7%). Risultano in calo,

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recupero: 60%

obiettivo di riciclaggio: 55%

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invece, come evidenziato, i quantitativi di imballaggi in acciaio immessi sul mercato (-2,7%), e quelli della carta (-1,1%).

2.2. Obiettivi di recupero e riciclaggio

A livello europeo, con l’entrata in vigore, a partire dal 4 luglio 2018, delle direttive facenti parte del "pacchetto economia circolare", che modificano le principali norme comunitarie in materia di rifiuti, gli obiettivi di recupero e riciclaggio sono stati innalzati. Nel 2019, il recupero complessivo dei rifiuti di imballaggio è pari all’80,8% dell’immesso al consumo, in aumento di quasi due punti percentuali rispetto al 2018.

Percentuali di recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio, anni 2015 – 2019

2015 2016 2017 2018 2019

% recupero energetico 11,1 11,1 10,5 10,6 10,8

% riciclaggio 66,8 66,9 67,1 68,3 70,0

Fonte: Elaborazioni ISPRA su dati CONAI e Consorzi di filiera

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CAPITOLO 3

Alcuni virtuosi esempi europei

Nella classifica europea, dove si distingue il nord, spiccano i tedeschi. Già nel 2010, riciclavano il 62% dei rifiuti urbani raccolti, superando i target europei che impongono il 50% al 2020.

Il riciclo rappresenta una vera e propria industria, capace di creare posti di lavoro e sostenere il settore manifatturiero. La Germania rappresenta da tempo un esempio virtuoso, capace di anticipare i tempi sugli obiettivi.

Nell’Europa del riciclo spiccano Germania, Austria, Danimarca, Svezia, Belgio, Olanda.

Si tratta di Paesi che hanno praticamente abolito il ricorso alla discarica e che hanno affrontato il tema dello smaltimento dei rifiuti attraverso la termovalorizzazione e il recupero. Del resto, la legislazione europea parla chiaro: entro il 2020 occorrerà portare il riciclo dei rifiuti almeno al 50%.

La Germania rappresenta un caso piuttosto interessante, perché è al contempo tra i Paesi europei che producono il maggior il maggior quantitativo di rifiuti e tra quelli che ha la maggiore percentuale di riciclo. L’attenzione dei tedeschi ai temi ambientali è proverbiale, impossibile infatti non notare la cura con cui i cittadini conferiscono i propri rifiuti, separando in modo capillare e corretto tutte le frazioni riciclabili di cui sono composti.

Per i tedeschi la riduzione dei rifiuti è una priorità, per questo la Germania ha investito nel settore del riciclo dei rifiuti al punto di trasformarsi da esportatore a importatore per quanto riguarda il recupero di packaging leggero e carta (importava carta dall’Italia negli anni ’90, ora il nostro Paese è al secondo posto in Europa in questa attività). Nel 2010 la Germania riciclava già il 62% dei rifiuti urbani raccolti (il ricorso all’incenerimento, in questo Paese, è pari al 37%, mentre il conferimento in discarica è stato eliminato). I tedeschi, quindi, hanno già da tempo superato il target sul riciclo imposto dall’Unione Europea al 2020. Questo vale anche per le indicazioni relative al minor ricorso alla discarica. Le proiezioni al 2020 vedono la Germania con un tasso di riciclo che salirà tra il 70 e l’80%, a riprova della validità del sistema adottato da questo Paese in materia di gestione dei rifiuti.

Il successo della Germania è dovuto a decisioni lontane, che hanno affrontato il problema del riciclo alla radice, ovvero partendo dal settore produttivo. Già nel 1996 i legislatori tedeschi, in seguito all’aumento di discariche nel Paese, emanarono un provvedimento sulla gestione dei rifiuti

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che richiedeva alle aziende di affrontare la loro produzione in termini di riduzione, recupero e smaltimento ecologicamente compatibile. Le imprese tedesche sono state incoraggiate a progettare i loro processi di produzione e confezionamento eliminando gli sprechi. I rifiuti inevitabili devono essere il più possibile recuperati, riciclandoli o convertendoli in energia. Se questo non è possibile, occorre smaltirli nel modo meno inquinante possibile. Coloro che creano i rifiuti, quindi, sono responsabili del loro smaltimento e devono provvedere nel modo più consono alla tutela dell’ambiente e al recupero dei materiali. Questo vale anche per i rifiuti liquidi, per i residui gassosi e per i rifiuti pericolosi, radioattivi e medici.

3.1. Cosa prendere ad esempio dalla Germania

La Germania è il produttore che finanzia lo smaltimento degli oggetti divenuti rifiuti, in quanto il costo per tale operazione è già compreso nel prezzo di acquisto. Al cittadino rimangono i costi per lo smaltimento del secco.

I tedeschi investono molto per diffondere la fondamentale e primaria regola dell’evitare le immondizie il più possibile, sopratutto nella scuola e nelle famiglie. Ove questo non è possibile, viene insegnato a separare i rifiuti.

In Germania la raccolta differenziata dei rifiuti domestici incomincia verso la metà degli anni ’70, ma dal 1990 si è intensificata regolando il riciclaggio e valorizzandone le materie prime contenute. Parallelamente al fiorire del business del riciclaggio lo smaltimento in discariche è notevolmente diminuito. Dal 1° giugno 2005 è proibito poi lo smaltimento dei rifiuti non trattati, mentre il secco viene eliminato in inceneritori e trasformato in energia elettrica o calore (circa 17 milioni di tonnellate nel 2006). La legislazione vigente, la Kreislaufwirtschaftsgesetz, però impone priorità, prima il riutilizzo e la rivalorizzazione e solo dopo, per il rimanente, la trasformazione in energia.

La suddivisione dei rifiuti in varie categorie è simile a quella italiana. Carta, vetro, umido, imballaggi e secco vengono ritirati dagli addetti presso le abitazioni, negozi o condomini; medicine, materiale elettrico, pile, verde, lubrificanti, legno, ferrovecchio, macerie, vestiti sono da portare all’apposito punto di raccolta (equivalenti alle nostre isole ecologiche).

 Per il cittadino, lo smaltimento è per la maggior parte gratuito in quanto il costo già compreso nel prezzo di acquisto (quindi è il produttore che finanzia lo smaltimento), oppure

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il riuso e la valorizzazione dei materiali contenuti è sufficiente a coprirlo (pagato quindi dal guadagno di chi “lavora” il rifiuto riciclato). Al cittadino rimangono i costi per lo smaltimento del secco, infatti si paga a volume per dimensioni e numero di bidoni o cassonetti richiesti.

 Il sistema duale di smaltimento Der grüne Punkt è un metodo per la separazione e la rivalorizzazione dei rifiuti introdotto dalla società Duales System Deutschland GmbH (DSD). La DSD garantisce che i rifiuti smaltiti o rivalorizzati in proprio o da ditte da lei autorizzate rispettano le richieste della legge del 1991, il Verpackungsverordnung, la quale attribuisce al produttore la responsabilità dello smaltimento dei rifiuti derivati dai suoi prodotti. Il servizio viene spesso affidato a imprese locali, comunali o regionali. I costi sia per l’uso del marchio che per la partecipazione al sistema duale vengono scaricati sul consumatore col prezzo di acquisto. Dove è praticato il sistema duale, l’unità famigliare o il condominio dispone di un bidone o cassonetto di colore giallo dove introdurre contenitori e imballaggi col marchio Grüner Punkt. È compito di chi raccoglie i rifiuti occuparsi direttamente dello smaltimento o trattamento, oppure inviarli a chi lo farà per lui. Secondo alcuni studi, grazie alle tecniche impiegate, la quota rivalorizzata dal sistema duale è conveniente anche senza una precedente separazione manuale del contenuto dei bidoni/cassonetti, l’unica condizione è che il rifiuto sia asciutto e non mescolato con residui di cucina.

 La cauzione per il multiuso di bottiglie e contenitori. Il consumatore paga una cauzione all’acquisto di bottiglie di vetro o di plastica PET multiuso (le bottiglie di plastica dell’acqua minerale sono multiuso ma non le lattine di alluminio). La cauzione verrà restituita alla riconsegna del vuoto presso lo stesso punto dove é avvenuto l’acquisto (supermercato/negozio). Bottiglie vuote di vetro non restituite vanno a finire nel bidone del vetro, contenitori di plastica nel secco. La cauzione è persa. La cauzione per un vuoto di bottiglia di vino è 2-3 €Cent, 8 per un vuoto di birra, 15 per una di PET, Yogurt o latte.

Al contrario delle bottiglie e contenitori usati una-sola-volta che devono essere lavorati (esempio la plastica ridotta a granuli e poi fusa nuovamente), quelli multiuso vengono semplicemente lavati chimicamente e poi riusati. Una bottiglia di vetro può venire usata fino a 50 volte e una bottiglia di plastica fino a 25; non ne guadagna solo il clima ma anche i posti di lavoro che vengono conservati.

 Oltre a quanto detto sopra (contenitore giallo per imballaggi e per il vetro) il servizio per lo smaltimento dei rifiuti prevede in ogni casa/condominio tre tipi di bidoni/cassonetti: per

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carta, per secco e umido. Questi vengono vuotati in genere una volta la settimana, nei giorni prestabiliti. Se non si producono tanti rifiuti ci si può associare col vicino.

 Per il secco i rifiuti vengono bruciati nell’inceneritore. I costi dello smaltimento del secco vanno da 287 €/anno per uno svuotamento settimanale del bidone da 120 litri (150 € se quindicinale) fino a 1696 €/anno per cassonetto da 1100 litri (920 € se quindicinale). Non sono accettati rifiuti oltre il bordo del contenitore o per terra.

 Compostaggio. Il secco contiene all’incirca il 48% di rifiuto di natura biologica che il cittadino, piuttosto di smaltire nell’umido o nel proprio compostaggio, getta nel secco. Dal 2005 in Germania i rifiuti biologici vengono bruciati negli inceneritori. Sembra che la temperatura nell’inceneritore sia troppo alta a causa del materiale per imballaggi nel secco.

Bruciare rifiuti biologici di potere calorico inferiore diminuisce la temperatura e contrariamente a quanto si pensa i gestori degli inceneritori la accettano poiché diminuisce la manutenzione delle griglie nel forno. Il risparmio dei costi supera la perdita di calore.

 In ultimo e da non dimenticare, umido e rifiuti biologici sono biomasse (energia rinnovabile) e le biomasse vengono poi bruciate per produrre energie, quello che alla fine fa un inceneritore.

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CAPITOLO 4 Il contesto italiano

Da quanto emerge dal rapporto Rifiuti urbani 2019 dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), notiamo che gli italiani nel 2018 hanno prodotto 30,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (+2% rispetto al 2017). La maggioranza dei rifiuti urbani è prodotta al Nord (47,5%) seguito dal Sud (30,5%) e infine dal Centro (entro il 22%). La media nazionale di raccolta differenziata ha raggiunto il 58,1% (+2,6 punti percentuale rispetto al 2017) mentre il 22%

finisce in discarica. A livello di aree geografiche, primeggia in raccolta differenziata anche in questo caso il Nord (67,7%) seguito dal Centro (54,1%) e Sud (46,1%). Le percentuali più elevate e al di sopra del 70% si registrano in Veneto (73,8%), Trentino-Alto Adige (72,5%), Lombardia (70,7%); le più basse e sotto la soglia del 40% in Sicilia (appena il 29,5%) e Molise (38,4%).

Andamento della produzione totale dei rifiuti urbani per macroarea geografica, anni 2015 – 2019

29.524,34 30.112,08 29.572,18 30.158,28 30.078,70

2015 2016 2017 2018 2019

Nord 13.719,27 14.152,35 13.955,44 14.328,31 14.398,68

Centro 6.555,16 6.613,63 6.473,50 6.581,31 6.566,06

Sud 9.249,91 9.346,09 9.143,24 9.248,65 9.113,96

Italia 29.524,34 30.112,08 29.572,18 30.158,28 30.078,70

Fonte: ISPRA

Come possiamo osservare dalla figura appena proposta, nel 2019 la produzione di rifiuti urbani cresce nelle regioni settentrionali (+0,5%), mentre nelle altre macroaree geografiche diminuisce; in particolare, al Centro si rileva un calo dello 0,2%, mentre al Sud la produzione decresce in modo più marcato, -1,5%.

Produzione RU (1.000*t)

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4.1. Raccolta differenziata dei rifiuti urbani

Grazie a questo sistema è possibile risparmiare sul costo di smistamento e differenziazione di un materiale totalmente indifferenziato: i costi che richiede l’impianto che si occupa di selezionare e trattare i rifiuti, sono proporzionali alla quantità, ma soprattutto alla qualità della raccolta differenziata. In questo modo, lo stesso impianto deve investire di meno per lo smistamento e il trattamento del rifiuto, che viene suddiviso per tipologia e venduto ai consorzi che riutilizzano il materiale.

Le diverse aziende dei settori di produzione, che sono iscritte ai consorzi, comprano il rifiuto specifico per la loro attività, lo riciclano e lo introducono nuovamente nel commercio. Infine, i consorzi pagano una quota al comune che ha prodotto i rifiuti, a seconda della quantità e della qualità che gli viene assegnata. Questo processo permette di riutilizzare e di trasformare il rifiuto in materia prima, promuovendo un’economia circolare e sostenibile per l’ambiente.

Nel 2019, la più alta percentuale di raccolta differenziata è conseguita, analogamente al 2018, dalla regione Veneto, con il 74,7%, seguita da Sardegna (73,3%), Trentino Alto Adige (73,1%), Lombardia (72%), Emilia Romagna (70,6%) e Marche (70,3%). Superano il 65% e, quindi, l’obiettivo fissato dalla normativa per il 2012, altre due regioni: Friuli Venezia Giulia (67,2%) e Umbria (66,1%). Tra le regioni sopra riportate, quelle che fanno registrare i maggiori incrementi delle percentuali di raccolta sono, nell’ordine la Sardegna (+6,3 punti), l’Emilia Romagna (+3,3) e l’Umbria (+2,7).

Si attestano al di sopra del 60% di raccolta differenziata la Valle d’Aosta (64,5%), il Piemonte (63,2%), l’Abruzzo (62,7%) e la Toscana (60,2%).

La Liguria si colloca al 53,4%, mentre la Campania, che fa registrare una percentuale di raccolta differenziata pressoché invariata nel triennio 2017-2019, si attesta al 52,7%.

Il Lazio si pone al 52,2%, la Puglia al 50,6%, e il Molise al 50,4%. Quest’ultimo è la regione che fa registrare il maggiore incremento della percentuale di raccolta differenziata (+12 punti rispetto al 38,4% del 2018).

Al di sotto del 50% risultano la Basilicata (49,4%) e la Calabria (47,9%).

La Sicilia si colloca al di sotto del 40%, ma fa registrare un aumento di 9 punti rispetto alla percentuale di raccolta differenziata del 2018 (dal 29,5 al 38,5%).

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Percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani per regione, anni 2018 - 2019

Fonte: ISPRA

Come nei precedenti anni, tutte le regioni del Nord, fatta eccezione per la Liguria, si collocano al di sopra della media nazionale di raccolta pro capite, pari a 306 chilogrammi per abitante per anno. Superano tale media anche le Marche, la Toscana (entrambe con 368 chilogrammi), l’Umbria (341 chilogrammi) e la Sardegna (332 chilogrammi).

I valori più bassi si rilevano, invece, per la Calabria (191 chilogrammi), il Molise (186 chilogrammi), la Basilicata (175 chilo- grammi), e la Sicilia (173 chilogrammi). Quest’ultima fa, comunque, rilevare una crescita di 38 chilogrammi rispetto al 2018.

80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0

2018 2019

obiettivo 2012 obiettivo 2011

obiettivo 2009

percentuale RD (%) 73,8 74,7 72,5 73,1 70,7 72,0 68,6 70,3 67,3 70,6 67,0 73,3 66,3 67,2 63,4 66,1 62,3 64,5 61,2 63,2 59,6 62,7 58,2 61,3 56,1 60,2 52,7 52,7 49,6 53,4 47,8 52,2 47,3 49,4 45,4 50,6 45,2 47,9 38,4 50,4 29,5 38,5

Veneto Trentino Alto Adige LombardiaMarche Emilia Romagna Sardegna Friuli Venezia Giulia Umbria Valle d'Aosta Piemont

e Abruzzo Italia Toscana Campania Liguria Lazio Basilicata Puglia Calabria Molise Sicilia

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4.2. Gestione dei rifiuti urbani

L’analisi dei dati evidenzia la necessità di imprimere una accelerazione nel miglioramento del sistema di gestione, soprattutto in alcune zone del Paese, per consentire il raggiungimento dei nuovi sfidanti obiettivi previsti dalla normativa europea che sono sinteticamente rappresentati nella figura che segue.

Principali obiettivi previsti dalla normativa europea

(Fonte: elaborazione ISPRA)

Lo smaltimento in discarica nei prossimi quindici anni dovrà essere dimezzato, la percentuale di rifiuti che vengono avviati ad operazioni di recupero di materia dovrà essere notevolmente incrementata per garantire il raggiungimento del 60% di riciclaggio al 2030 e del 65%

al 2035. Appare ancor più urgente la necessità di un cambio di passo se si considera che con i nuovi obiettivi sono state introdotte anche nuove metodologie di calcolo sia per il riciclaggio che per la valutazione dello smaltimento in discarica che appaiono decisamente più restrittive di quelle ad oggi utilizzate.

A tal riguardo si evidenzia che le quote di rifiuti avviate ad incenerimento senza recupero di energia dovranno essere computate nello smaltimento. Analizzando il dato delle operazioni di smaltimento (D1 + D10) rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani si rileva che, a livello nazionale, ancora il 20,9% dei rifiuti urbani prodotti vengono smaltiti in discarica (D1) e lo 0,9%

dei rifiuti urbani prodotti vengono inceneriti (D10). Nel complesso, quindi, nell’anno 2019,

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vengono smaltiti il 21,8% dei rifiuti urbani prodotti. Come già rilevato, tale percentuale dovrà, secondo quanto prevede la direttiva 2018/850/UE che modifica la direttiva 1999/31/CE, scendere al 10% entro il 2035.

Lo smaltimento in discarica, nel 2019 ha interessato quasi 6,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani facendo registrare, rispetto alla rilevazione del 2018, una riduzione del 3,3%, pari a circa 213 mila tonnellate.Il dato per macroarea geografica evidenzia un incremento al solo Centro (+19,4%) pari, in termini assoluti a circa 311 mila tonnellate di rifiuti. Il Nord non fa registrare variazioni significative (-0,9%), mentre si rilevano riduzioni consistenti nel ricorso alla discarica al Sud (-15,2%) da ascrivere anche ai miglioramenti in termini di raccolta differenziata nelle stesse aree.

Va rilevato che quote considerevoli di rifiuti prodotte nelle aree del centro e sud Italia vengono trattate in impianti localizzati al Nord. La sola Lombardia riceve da fuori regione quasi 373 mila tonnellate provenienti prevalentemente dal Piemonte, Lazio e Campania.

Analizzando i dati relativi alle diverse forme di gestione messe in atto a livello regionale si evidenzia che, laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l’utilizzo della discarica. In particolare, in Lombardia lo smaltimento in discarica è ridotto al 4% dei rifiuti prodotti, in Friuli-Venezia Giulia al 8%, in Trentino-Alto Adige al 11% ed in Veneto al 14%. Nelle stesse regioni la raccolta differenziata è pari rispettivamente al 72%, 67,2%, 73,1% e 74,7% e consistenti quote di rifiuti vengono trattate in impianti di incenerimento con recupero di energia.

Vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è molto carente o del tutto inadeguato; è il caso della Sicilia, dove i rifiuti urbani smaltiti in discarica rappresentano ancora il 58% del totale dei rifiuti prodotti, ma anche del Lazio e della Campania, che non riescono a chiudere il ciclo all’interno del territorio regionale.

L’analisi dei dati evidenzia che, i maggiori quantitativi di rifiuti organici derivano dalla Campania (circa 425 mila tonnellate) e dal Lazio (oltre 245 mila tonnellate); tali regioni, pur facendo rilevare delle riduzioni dei quantitativi destinati fuori regione pari al 12,7% (Campania) e al 9,2% (Lazio), rispetto al 2018, risentono, comunque, di una dotazione impiantistica non adeguata ai quantitativi prodotti, che devono in parte essere avviati a trattamento fuori regione, soprattutto, in impianti localizzati nel Nord del Paese.

Le regioni del Nord sono dotate di 172 impianti in esercizio che operano, mediamente, per il 68,8% della quantità autorizzata (circa 3 milioni di tonnellate). Tra il 2018 ed il 2019, il settore non

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