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RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Arrivati alla conclusione di questa analisi non resta che compiere alcune valutazioni finali.

Alla luce delle riforme intervenute a modificare la legge fallimentare rispetto all’impianto originario delineato nel ‘42, è chiara la prospettiva del legislatore: favorire il mantenimento in vita dell’impresa, la conservazione degli elementi attivi per favorire il risanamento della stessa.

Premettendo che la condizione di dissesto in cui versa l’impresa giustifica l’affievolimento delle tutele individuali dei lavoratori coinvolti, diviene prioritario cercare soluzioni che garantiscano l’occupazione in una prospettiva collettiva.

La salvaguardia dell’occupazione rappresenta un interesse generale e costituzionalmente rilevante che fa da limite esterno alla libertà di iniziativa economica e, quindi, deve essere tendenzialmente perseguita486.

Le soluzioni volte a raggiungere l’obiettivo della conservazione dei complessi produttivi vengono rappresentate dalla valorizzazione della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, dei piani di risanamento e ristrutturazione dei debiti. Ma anche qualora non fosse possibile la prosecuzione diretta, vengono enfatizzati strumenti di circolazione del complesso aziendale che consentono il mantenimento in esercizio dell’impresa presso un soggetto cessionario nuovo imprenditore.

Abbiamo sottolineato la tendenza delle riforme fallimentari ad incentivare percorsi di conservazione delle entità economiche in situazioni di crisi d’impresa, sia attraverso piani volti alla ristrutturazione, sia attraverso vicende circolatorie soprattutto di segmenti d’azienda.

Un metodo per favorire la commercializzazione delle imprese è ammettere che al trasferimento consegua il passaggio anche parziale dei lavoratori in capo al cessionario perché questa soluzione spesso è l’unica in grado di garantire la conservazione dell’attività ed evitare (o almeno posticipare) i licenziamenti487.

La peculiarità della disciplina fallimentare non di rado tende a prevalere su quella lavoristica proprio in virtù dei diversi valori in gioco; tali diversi interessi portano ad avere una disciplina applicabile alle ipotesi di trasferimento d’azienda che si allontana da quella prevista per un’impresa in bonis.

La disciplina sul trasferimento d’azienda di una impresa che non versa in stato di difficoltà economico-finanziaria mostra un forte sguardo verso la tutela dei lavoratori attraverso l’applicazione di quanto delineato all’art. 2112 c.c.

Al contrario, emerge chiaramente come, nel contesto della crisi d’impresa, il trasferimento di ramo d’azienda costituisca una tipologia di esternalizzazione sui generis488 perché scaturisce da una scelta volta non tanto ad esprimere una volontà imprenditoriale individuale di riorganizzazione aziendale, ma finalizzata alla gestione dello stato di dissesto attraverso una prospettiva di risanamento.

Una prospettiva che finisce per proteggere i diritti dei lavoratori non più sotto un piano individuale, bensì sotto un profilo collettivo, di mantenimento anche parziale dei rapporti di lavoro e che viene rappresentata dalla derogabilità della disposizione codicistica prevista dall’art. 47, legge n. 428/1990.

Nel momento in cui sono in atto procedure concorsuali accresce il rischio che le parti individuino come oggetto della cessione articolazioni prive del requisito dell’autonomia funzionale richiesto dall’art. 2112 c.c. Ciò non implica che occorra modificare la tradizionale nozione di ramo d’azienda in ossequio alle specificità

487 V. Aniballi, Il trasferimento di “ramo d’azienda”, op.cit., p. 359. 488 M.L. Vallauri, Lavoratori e trasferimento, op.cit., p. 371.

concorsuali, ma viene richiamata l’attenzione sul complesso di beni organizzabile in modo da salvaguardare “il bene impresa” come elemento imprenditoriale ben distinto dal soggetto suo titolare.

La materia della circolazione del complesso aziendale come strumento di tutela dei diritti dei lavoratori sotto il profilo collettivo ha suscitato, e continua a suscitare, forte interesse.

L’attuale situazione economico-politica mostra diverse situazioni della crisi di impresa che rappresentano sia tradizionali momenti di “crisi di solvibilità” sia, e sempre più forti, momenti di “crisi di occupazione”489.

Nell’impianto attuale della legge fallimentare è assente ogni considerazione delle istanze di matrice sociale che, invece, trovano spazio solamente nelle disposizioni lavoristiche speciali che cercano di limitare i sacrifici dei lavoratori coinvolti dalla crisi.

Su questo contesto si basa l’impostazione della riforma attuativa del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza la quale mira all’individuazione di misure volte all’emersione anticipata della crisi maggiormente incentrate sulla conservazione dell’impresa come sede di esercizio del diritto al lavoro. Una nuova riforma, quindi, attenta a cercare strumenti di armonizzazione delle procedure di superamento della crisi del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione.

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