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I rapporti di lavoro nel trasferimento d'azienda in crisi

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale

Tesi di Laurea

I RAPPORTI DI LAVORO NEL

TRASFERIMENTO D’AZIENDA IN CRISI

RELATORE

Chiar.mo Prof. Pasqualino Albi

CANDIDATO

Margherita Nieri

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INDICE

INTRODUZIONE p.7

CAPITOLO I: IL LAVORO NELLA CRISI D’IMPRESA p.11

1. Diritto del lavoro e diritto fallimentare:

due ordinamenti a confronto p.11 2. Evoluzione della legge fallimentare e continuità

aziendale p.14

2.1. Le riforme fallimentari dal 2005 p.15 3. I rapporti di lavoro nell’impresa insolvente p.18

3.1. Cessazione o mancata continuazione

dell’attività d’impresa p.20 3.1.1. Il problema della sospensione dei rapporti

pendenti p.21

3.1.2. Gli strumenti di gestione della forza lavoro: la CIGS p.27 3.1.3. I licenziamenti collettivi e individuali p.31 3.1.4. L’illegittimità dei licenziamenti p.36 3.2. Prosecuzione dell’attività d’impresa p.38 3.2.1. I rapporti di lavoro nell’esercizio provvisorio p.39 3.2.2. L’affitto d’azienda e la retrocessione p.42 3.2.3. La vendita dell’azienda come strumento

di mantenimento dei livelli occupazionali p.44 3.3. La liquidazione coatta amministrativa p.47 3.4. Effetti giuslavoristici della amministrazione

straordinaria p.48 4. I rapporti di lavoro nelle soluzioni negoziali della

crisi d’impresa p.50 4.1. Effetti giuslavoristici del concordato preventivo p.52 4.1.1. Il concordato in continuità aziendale p.54 4.1.2. Il concordato con cessione dei beni p.57

(4)

4.2. Effetti giuslavoristici degli accordi di ristrutturazione dei debiti p.58 4.3. Gli effetti giuslavoristici dei procedimenti

di composizione della crisi da sovraindebitamento p.60

CAPITOLO II: I RAPPORTI DI LAVORO

NEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA p.63

1. Disciplina p.63 1.1 Premessa p.63 1.2 Evoluzione storica della normativa interna e

comunitaria p.64

1.3 Eterogenesi dei fini del nuovo art. 2112 c.c. p.66 1.4 Campo d’applicazione della disciplina: nozione

di trasferimento d’azienda e di azienda p.69 1.5 Titolo del trasferimento p.76 1.6 Nozione di ramo d’azienda p.78

1.6.1 Autonomia funzionale p.79 1.6.2 Preesistenza p.82 1.6.3 Autonomia delle parti e individuazione

del ramo p.87

1.6.4 Conservazione dell’identità del ramo p.88 1.7 Ramo d’azienda e decentramento produttivo p.89 1.8 Trasferimento d’azienda e frode alla legge p.93 2. Incidenza del trasferimento sul rapporto di lavoro p.96 2.1 Profilo individuale p.96 2.1.1 Continuità del rapporto p.96 2.1.2 Consenso del lavoratore ceduto p.99 2.1.3 Diritto alle dimissioni p.103 2.1.4 Responsabilità solidale p.105 2.1.5 Diritti che il lavoratore conserva

(5)

2.2 Profilo collettivo p.110 2.2.1 Contratti collettivi applicabili p.110 2.2.2 Problematiche relative alla sostituzione

automatica del contratto collettivo del cessionario p.111 3 Obblighi procedurali d’informazione e consultazione

sindacale p.114

3.1 Soggetti, termine, contenuto p.116 3.2 Esame congiunto p.119

3.3 Conseguenze del mancato rispetto della procedura

di informazione e consultazione p.121

CAPITOLO III: CRISI DELL’IMPRESA, TRASFERIMENTO

D’AZIENDA E RAPPORTI DI LAVORO p.125

1. La disciplina p.125 2. L’evoluzione della normativa alla luce delle

Direttive comunitarie p.127 2.1. La sentenza di condanna della Corte di Giustizia p.134 2.2. L’adeguamento del diritto interno p.138 3. La circolazione dell’azienda nelle procedure concorsuali

liquidatorie p.144 3.1. Il nuovo comma 5 dell’art. 47 della legge

n. 428 del 1990 p.144 3.2. L’accordo collettivo p.147 3.3. Le vicende circolatorie nel fallimento p.150 3.3.1. L’affitto d’azienda p.151 3.3.2. La retrocessione dell’azienda al fallimento p.154 3.3.3. La vendita dell’azienda p.158 3.4. Le vicende circolatorie nel concordato preventivo

con cessione dei beni p.161 3.5. Le vicende circolatorie nella procedura di

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4. La circolazione dell’azienda nelle procedure concorsuali non liquidatorie p.163 4.1. Le vicende circolatorie nello stato di crisi

aziendale p.166

4.2. Le vicende circolatorie nel concordato preventivo

4.3. con continuità aziendale p.167 4.4. Le vicende circolatorie a seguito dell’omologazione

dell’accordo di ristrutturazione dei debiti p.169 4.5. Le vicende circolatorie nei procedimenti di

composizione della crisi da sovraindebitamento p.170 4.6. Le vicende circolatorie nell’amministrazione

straordinaria p.171 4.6.1. …nell’amministrazione con finalità

liquidatoria p.173 4.6.2. Le vicende circolatorie delle aziende

in esercizio p.174 4.6.3. Le vicende circolatorie nelle imprese

operanti nei servizi pubblici essenziali p.177 4.7. Il caso Alitalia-Ethiad p.180 4.8. I labili confini della derogabilità da parte di un

accordo concluso nell’ambito delle procedure non liquidatorie o nella crisi d’impresa p.183 4.9. Una eterogenesi dei fini? p.187

RIFLESSIONI CONCLUSIVE p.192

BIBLIOGRAFIA p.195

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INTRODUZIONE

La tutela dei creditori è da sempre considerata la “stella polare”1 da seguire nell’analisi delle finalità delle procedure concorsuali.

A seguito delle più recenti riforme fallimentari si è rafforzata la ricerca di un contemperamento tra il perseguimento di tale primario interesse e l’insorgere di nuove finalità. Si è fatta strada l’idea che la disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza possa in alcuni casi simultaneamente perseguire anche interessi diretti alla stabilità del mercato e, soprattutto, alla tutela dei lavoratori.

La posizione dei dipendenti di un’impresa che versi in una condizione di debolezza economico finanziaria, reversibile od irreversibile, non può che essere compromessa.

Questo rappresenta il punto in cui vengono a convergere due ordinamenti opposti: il diritto del lavoro e il diritto fallimentare. La ricerca di un anello di congiunzione che riesca a coordinare le regole volte al superamento della crisi con la tutela degli interessi giuslavoristici è, nella recente legislazione, in continuo consolidamento. Lo si legge nel rinnovato ed accresciuto favor verso la conservazione dell’impresa in esercizio che protegge significativamente l’interesse dei lavoratori al mantenimento del posto di lavoro. E questo proprio partendo dal presupposto che il mantenimento, se non addirittura la creazione, di posti di lavoro corre sulla stessa lunghezza d’onda della continuità aziendale, sia essa diretta o indiretta.

L’evoluzione e l’adattamento della disciplina delle procedure concorsuali (con essa le riforme del diritto del lavoro), vede come nuovo spirito guida la conservazione degli elementi attivi dell’impresa in un’ottica di risanamento e superamento della crisi, ma anche in

1 L. Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto e economia. Le procedure di

(8)

vista della successiva cessione attraverso l’istituto del trasferimento d’azienda.

Il risanamento aziendale viene inquadrato come un fenomeno di positiva rilevanza sociale nell’ambito della crisi d’impresa in quanto il mantenimento dei livelli occupazionali è uno dei suoi principali obiettivi. D’altra angolazione i lavoratori esprimono un costo per l’azienda che deve essere necessariamente contemperato con piani di razionalizzazione delle spese necessari per l’effettivo risanamento dell’impresa.

Questo elaborato si propone di analizzare la disciplina del trasferimento d’azienda, o ramo di essa, in relazione agli effetti sui rapporti di lavoro concentrando particolarmente l’attenzione sulla disciplina prevista qualora l’impresa sia sottoposta ad una procedura concorsuale.

Lo scritto si suddivide in tre capitoli. Lo scopo del primo è quello di esporre la disciplina del lavoro nella crisi d’impresa. Verranno analizzate le scelte che l’imprenditore in dissesto o gli organi della procedura possono compiere alla luce di quanto consacrato dalla stagione di riforme della legge fallimentare fino ad oggi.

Sarà esaminata singolarmente ciascuna procedura concorsuale e sarà focalizzato l’interesse sulla sorte che in ciascuna possono avere i rapporti di lavoro pendenti. Senza entrare nel contenuto di ciascun paragrafo, pare doveroso anticipare il rilevante ruolo assunto dalla vendita in pendenza delle procedure concorsuali o all’interno delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa2. Vi è un forte incentivo all’utilizzo dell’istituto del trasferimento d’azienda come metodo non solo di massimizzazione del ricavato per i creditori, ma di conservazione della res aziendale. In questo modo viene soddisfatto l’interesse al mantenimento, anche parziale, dei livelli occupazionali.

2 A scapito della disgregazione aziendale con successiva vendita atomistica dei

(9)

La trattazione non potrà prescindere dall’analisi della disciplina degli effetti sui rapporti di lavoro della vicenda circolatoria di una impresa

in bonis, oggetto del secondo capitolo.

Vedremo come questa disciplina miri alla ricerca di un punto di equilibrio tra un diritto che da un lato rispetti e tuteli la dignità del lavoratore e dall’altro garantisca la libera iniziativa economica privata dell’imprenditore. Un contemperamento che è sicuramente il frutto dell’evoluzione legislativa interna e delle sollecitazioni comunitarie che hanno, da un lato, incrementato la tutela della posizione dei dipendenti e valorizzato il ruolo delle rappresentanze sindacali; dall’altro hanno incentivato la flessibilità organizzativa a scapito dei lavoratori.

Si noterà come questa evoluzione legislativa abbia portato la dottrina a parlare di una “eterogenesi dei fini” del nuovo art. 2112 c.c.

Il terzo capitolo dell’elaborato pone l’attenzione sulla disciplina speciale applicabile quando l’imprenditore o l’organo della procedura decidano di utilizzare l’istituto della circolazione d’azienda o di ramo d’azienda come metodo di risoluzione della crisi d’impresa.

In questo contesto sarà inquadrata la mutazione che la materia ha avuto grazie alle Direttive e alla condanna3 provenienti dall’Unione

Europea che hanno portato ad una netta demarcazione disciplinare che vede da una parte l’ipotesi in cui il trasferimento avvenga in pendenza di una procedura liquidatoria e dall’altra qualora venga disposto a seguito dell’apertura di una procedura conservativa.

L’enfasi verso l’utilizzo del trasferimento d’azienda come metodo indiretto di risanamento d’impresa solleva il tema della salvaguardia dell’occupazione. Avremo infatti modo di constatare come la disciplina prevista all’art. 47, legge n. 428/1990, commi 4 bis e 5, deroghi alla disposizione codicistica, in particolare alla regola della prosecuzione ex lege dei rapporti di lavoro in capo al cessionario.

3 Corte Giust. 11 giugno 2009, C-561/07, Commissione vs. Repubblica Italiana, in

(10)

L’art. 47, della legge n. 428/1990 rappresenta ancora oggi una “norma travagliata nella sua evoluzione fino alla formulazione attuale e tuttora di difficoltosa interpretazione”4. Sarà evidente l’importanza assunta ed il ruolo attribuito alle rappresentanze sindacali che regolano, attraverso accordi raggiunti con le altre parti della cessione, la sorte e le condizioni dei lavoratori.

In conclusione, l’obiettivo ultimo della tesi è l’analisi della sorte dei rapporti di lavoro in un contesto caratterizzato principalmente dalla propensione verso il miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali e di protezione del mercato imprenditoriale.

Questo fine ultimo dello scritto dovrà essere inquadrato alla luce di quanto delineato nello schema attuativo del Codice della crisi e dell’insolvenza volto ad armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza con le forme di tutela dell’occupazione anche attraverso gli incentivi predisposti all’istituto del trasferimento d’azienda che promette la conservazione, seppur parziale, dei livelli occupazionali.

4 R. Bellè, Il lavoro come variabile del risanamento concordatario, in Il fallimento,

(11)

Capitolo I:

Il lavoro nella crisi d’impresa

1. Diritto del lavoro e diritto fallimentare: due ordinamenti a confronto

Quando l’impresa versa in stato di dissesto, perché incapace di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, si applica una disciplina speciale volta a regolare la sorte dei rapporti di lavoro in questi particolari contesti.

L’impresa priva di liquidità può accedere ad una delle procedure concorsuali previste dalla legge quali il fallimento (o liquidazione giudiziale), la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo o l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi5.

Di crisi d’impresa si può parlare non solo con riguardo all’insolvenza, ma anche nei casi di dissesto temporaneo, non irreversibile, collegati a logiche di ristrutturazione e risanamento imprenditoriale.

La reciprocità degli influssi fra norme giuridiche e conseguenze economiche, è particolarmente evidente nel momento della crisi dell’impresa.

La definizione di crisi d’impresa deve necessariamente confrontarsi con i riflessi che essa ha sulla disciplina dei rapporti di lavoro.

Il tema degli effetti giuslavoristici della crisi d’impresa è assolutamente centrale nel diritto fallimentare, si tratta di una materia

5 Per un riesame e per approfondimenti sulle procedure concorsuali si veda G.F.

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collocata nella “terra di nessuno”6 a metà tra due discipline autonome

ed entrambe speciali: il diritto del lavoro e il diritto fallimentare. Sono corpi normativi che individuano due sistemi giuridici speciali7 con necessità talvolta contrastanti di tutela dell’impresa e del lavoro, tali da imporre il contemperamento dei diversi interessi che la crisi coinvolge: la soddisfazione dei creditori e la tutela occupazionale. Da un lato c’è la disciplina delle procedure concorsuali che vede la sua principale finalità nella tutela dei creditori e che detta regole volte alla “massimizzazione del ricavato dei creditori”8.

Dall’altro lato si presenta la disciplina giuslavoristica che regola soluzioni volte al mantenimento dei posti di lavoro con un chiaro

favor nei confronti dei diritti del lavoratore dipendente, anche per

ragioni di carattere costituzionale.

La diversità di ratio fa sì che risulti difficile trovare un punto comune, un equilibrio tra gli interessi perseguiti da queste discipline e l’esperienza pratica presenta numerosi casi in cui le norme dell’uno e dell’altro ordinamento sono confliggenti.

Sicuramente non potrà prospettarsi una rilettura delle procedure concorsuali esaltando solamente l’interesse giuslavoristico senza cadere in una violazione del diritto di credito, e lo stesso vale al contrario.

Un punto di equilibrio rilevante perché i lavoratori assumono nei confronti della crisi d’impresa la loro posizione di credito all’interno del passivo della procedura, ma anche l’esigenza di mantenere i loro livelli occupazionali che pacificamente costituiscono elementi di organizzazione aziendale.

L’impianto originario della legge fallimentare evidenzia chiaramente un disinteresse per le istanze sociali coinvolte dalla crisi d’impresa se

6 M.L. Vallauri, Il lavoro nella crisi d’impresa. Garanzia dei diritti e salvaguardia

dell’occupazione nel fallimento e nel concordato preventivo, FrancoAngeli, Milano,

2013, p. 9.

7 Ciascuno di essi è regolato da principi base che derogano alle norme fondamentali

del diritto privato.

(13)

non per il profilo economico della tutela del credito. Neanche la riforma del 2005 ha portato al superamento di tale indifferenza, per cui lo sguardo alla salvaguardia dell’occupazione era volto solamente al fine di raggiungere un miglior soddisfacimento dei crediti.

Nell’ultimo periodo, però, è entrata fortemente nel dibattito dottrinale e legislativo la domanda relativa alla possibilità che, all’istaurarsi di una procedura concorsuale, siano perseguibili solamente gli interessi dei creditori o debbano essere tutelati anche interessi diversi. Se è vero che spesso in vari ambiti i due ordinamenti in esame entrano in conflitto tra loro, finendo per far prevalere sull’ago della bilancia alcuni interessi rispetto ad altri, non è possibile prescindere dalla possibilità che tra essi vi sia coincidenza. In alcuni casi, infatti, tutti gli interessi possono essere soddisfatti9.

In seguito alle più recenti riforme fallimentari, la ricerca di un contemperamento tra tutela dei creditori, garanzie individuali dei singoli lavoratori e salvaguardia dei livelli occupazionali sembra essere ispirata ad una maggiore attenzione del legislatore “verso la

conservazione delle componenti positive dell’impresa”10.

Un possibile anello di congiunzione tra le due discipline11 è rappresentato dalla istanza di conservazione dei complessi produttivi e di prosecuzione dell’attività d’impresa. Tali istanze rappresentano per i lavoratori lo strumento per il mantenimento del posto di lavoro, mentre per i creditori tali strade possono significare la massimizzazione del ricavato della liquidazione.

Come vedremo nei paragrafi successivi, nell’ultimo decennio ha cominciato a farsi spazio un’anima nuova ispirata alla volontà di

9 M.L. Vallauri, Il lavoro nella crisi, op. cit., p. 11; L. Stanghellini, Le crisi di

impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, p. 94 e

ss.

10 Relazione illustrativa del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. 11 M.L. Vallauri, ult. op. cit., p. 201.

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salvaguardare la res azienda laddove questo risulti possibile e vantaggioso in un’ottica di risanamento e superamento della crisi12.

Possiamo intravedere che la direzione presa verso la conservazione dei complessi produttivi possa divenire, ed è diventato, un criterio guida nella conduzione delle procedure ed un punto di incontro tra i due ordinamenti.

Questo aspetto lo vedremo soprattutto in relazione alla disciplina degli effetti che il trasferimento d’azienda in crisi ha sui rapporti di lavoro, evidenziando gli incentivi legislativi predisposti per l’utilizzo di tale strumento come forma di risoluzione della crisi.

2. Evoluzione della legge fallimentare e continuità aziendale Di fronte ai problemi causati da un’alluvionale stratificazione normativa, da tempo appare necessaria una riforma organica dell’intera materia dell’insolvenza e della crisi d’impresa.

Innanzitutto, perché la disciplina ancora oggi è costituita dal regio decreto 19 marzo 1942, n. 267 il quale, nonostante le numerose modifiche a partire dal d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, continua a riflettere un impianto nato in un contesto diverso da quello presente. Molti interventi del legislatore hanno cercato di adattare la materia fallimentare all’evoluzione socio-economica e di migliorare l’originaria regolamentazione rendendola conforme al nuovo contesto nazionale ed europeo. Le tante novelle però hanno incrementato l’incertezza normativa.

In secondo luogo, la necessità di una riforma deriva anche dai numerosi solleciti europei, in particolare dalla raccomandazione n. 2014/135/UE che contiene obiettivi rilevanti anche dal punto di vista giuslavoristico.

12 V. Anniballi, Trasferimento di “ramo d’azienda” nel fallimento e

nell’amministrazione straordinaria: compatibilità della disciplina italiana con la normativa europea, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, p. 347.

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La prima indicazione è quella per la quale la procedura dovrebbe intervenire precocemente, anticipando l’intervento di risanamento13 e

cercando di evitare l’aggravarsi della crisi e lo sfociare dello stato di insolvenza con uno sguardo sempre volto al soddisfacimento del ceto creditorio. Inoltre, altro scopo a cui deve puntare la riforma, secondo quanto raccomandato dall’Unione, è quello di considerare la liquidazione giudiziale come una possibile conseguenza del rischio d’impresa che mantenga aperta l’opportunità agli imprenditori meritevoli in stato di dissesto di ricominciare da capo.

I mutati scenari economici e finanziari hanno portato alla necessità di attuare strumenti maggiormente idonei a rispondere ad esigenze non solo di tutela del credito, ma soprattutto di conservazione dell’attività d’impresa piuttosto di cessarla ed eliminarla dal mercato14.

Tale cambiamento di mentalità è costituito essenzialmente dalla progressiva affermazione della concezione che vede le procedure concorsuali come istituti orientati non all’eliminazione, bensì alla salvaguardia delle aziende in crisi.

Si può sostenere che la disciplina fallimentare abbia ormai spostato la sua attenzione dallo stato di insolvenza allo stato di crisi, permettendo ad una nuova finalità di farsi spazio nella disciplina: preservare l’attività d’impresa e di conseguenza i livelli occupazionali.

2.1. Le riforme fallimentari dal 2005

Avvisaglie della svolta verso il perseguimento di un fine conservativo dell’impresa in crisi sono affiorate con la “riforma organica” della legge fallimentare delineata dal d.lgs. n. 5/2006. Con tale decreto il legislatore ha inserito nel regio decreto del ‘42 alcune disposizioni in tema di revocatoria e di concordato preventivo con l’intento di rendere

13 G. Lo Cascio, Legge fallimentare attuale, legge delega di riforma e decreti

attuativi in fieri, in Il Fall., 2018, p. 525.

14 A. Caiafa, I rapporti di lavoro nel codice della crisi e della insolvenza, in COIS

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le procedure concorsuali non più strumenti tesi alla eliminazione dell’impresa dal mercato, quanto volti alla conservazione della stessa anche attraverso l’istituto del trasferimento d’azienda.

La legge fallimentare con tale riforma ha visto accresciuta la possibilità di conservazione del valore dell’impresa in dissesto anche facilitando soluzioni di c.d. liquidazioni riallocative rispetto a quelle disgregative.

Considerando che la sopravvivenza e la continuazione dell’impresa possano procurare alla collettività maggior soddisfacimento anche attraverso la tutela dei posti di lavoro.

Ma, come una autorevole dottrina15 ha evidenziato, la riforma del 2005-2006 “lungi dal costituire un punto di arrivo, ha segnato una

sorta di big bang, l’avvio di una stagione di cambiamento oggi non ancora conclusa resa necessaria dalla difficile ricerca di un punto di equilibrio tra le ragioni dell’efficienza economica e quelle di evitare abusi e comportamenti opportunistici in danno di creditori e altri stakeholders”.

Il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, è intervenuto per colmare alcune lacune del precedente testo introducendo nuovi parametri di fallibilità ed incentivando soluzioni negoziali del dissesto dell’impresa.

Successivamente, la legge 7 agosto 2012, n. 13416 ha novellato

ulteriormente alcune disposizioni della legge fallimentare con lo scopo di rispondere all’esigenza di conservare il complesso aziendale per una miglior tutela dei livelli occupazionali qualora questa sia favorevole per il soddisfacimento del ceto creditorio. Ha modificato i c.d. piani attestati disciplinati dall’art. 67 l.f. e le procedure di concordato preventivo (introducendo il concordato “con riserva”) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

15 A. Corrado- D. Corrado, Crisi di impresa e rapporti di lavoro, Giuffrè Editore,

Milano, 2016, p. 15.

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È intervenuta poi la legge 9 agosto 2013, n. 98 la quale ha previsto una serie di obblighi precisi di informazione periodica relativa alla gestione economica e finanziaria della impresa e dell’attività ai fini della presentazione della proposta di concordato preventivo. In tale prospettiva si è sostenuta la volontà di promuovere la continuità aziendale attraverso l’impiego dell’istituto del concordato preventivo fortemente valorizzato e di altri metodi volti alla emersione anticipata e composizione negoziale della crisi incentivando la continuità aziendale.

Nonostante il Ministro della Giustizia avesse istituito una Commissione allo scopo di riordinare i frammentari interventi legislativi in materia di diritto fallimentare allo scopo di avere una disciplina organica, il d.l. 27 giugno 2015, n. 8317 ha introdotto misure urgenti su profili specifici e settoriali per favorire aziende in difficoltà e mantenere l’occupazione.

La Commissione Rordorf18 ha mirato a pervenire ad un unico e nuovo Testo dell’insolvenza restituendo organicità alla disciplina delle procedure concorsuali. Tra i suoi contenuti si evidenzia la volontà di incentivare strumenti che consentano l’emersione anticipata dei sintomi della crisi, strumenti di allerta, volti ad evitare l’aggravarsi del

17 Convertito in legge 6 agosto 2015, n. 132 con il quale il legislatore ha introdotto

forti modifiche soprattutto circa il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, reintroducendo una percentuale minima di riparto per favorire i creditori chirografari, ha eliminato il meccanismo del silenzio assenso per la approvazione del concordato, introdusse la facoltà di presentare le c.d. offerte concorrenti, ecc.

18 Istituita con D.M. 28 gennaio 2015 al fine di elaborare proposte di interventi di

riforma e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. La Commissione prende il nome dal suo Presidente, il Dott. Renato Rordorf, all’epoca Presidente della I Sezione Civile della Corte di Cassazione. La Commissione al termine dei lavori ha predisposto una prima bozza dello schema di d.d.l. delega recante la delega al Governo per la riorganizzazione delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza ( d.d.l. n. 3671). Questo schema venne poi approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 2016 e dopo la seduta del 18 maggio 2016 divenne d.d.l. n. 3671 bis. In seguito, il 1° febbraio 2017 la Camera ha approvato il d.d.l. n. 3671

bis A che alla data dell’11 ottobre 2017 venne approvato anche al Senato e divenne

d.d.l. n. 2681. Conclusivamente il 19 ottobre 2017 venne approvata la legge n. 155 contenente “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”.

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dissesto. Dando seguito alla Raccomandazione della Comunità Europea del 201419 il decreto di legge delega propone di istituire

apposite procedure stragiudiziali di allerta20 e composizione assistita della crisi volte ad anticiparne l’emersione e rendere tempestivo l’intervento. Tali strumenti sono stati inseriti nel contesto della procedura di concordato in continuità attribuendo a questa un forte

favor qualora integri una finalità conservativa e di risanamento.

La Commissione ha inoltre ritenuto necessario un unico procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza.

Preme ancora una volta sottolineare come l’interesse alla continuità dell’impresa e alla conservazione aziendale sia il motore dell’intero disegno di legge delega approvato dalle Camere e del successivo d.lgs. n. 155/2017.

3. I rapporti di lavoro nell’impresa insolvente

Come è noto, il fallimento (o liquidazione giudiziale) è una procedura concorsuale riservata agli imprenditori in stato dichiarato di insolvenza.

La locuzione “stato di insolvenza”, come, a maggior ragione, quella di “crisi aziendale” non godono di una definizione chiara ed univoca nel nostro ordinamento.

Una ricostruzione possibile attraverso il dettato dell’art. 5 l.f. chiarisce che lo stato di insolvenza si manifesta nell’incapacità dell’imprenditore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni21.

19 Raccomandazione CE, 2014/135/UE.

20 Procedura che può essere promossa anche dai singoli dipendenti dell’impresa e

che può svolgere il ruolo di salvaguardia del patrimonio aziendale e conservazione dei livelli occupazionali.

21 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. I, Utet Giuridica, p. 342 e ss.; L.

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Conformemente alla concezione liberale che la ispirò22, la legge

fallimentare istituì la procedura fallimentare in un’ottica di salvaguardia dei creditori dal dissesto del loro debitore imprenditore attraverso la fuoriuscita dell’impresa dal mercato.

Tuttavia, nonostante la finalità tipica fosse la liquidazione dei beni del debitore, non si escludeva che il complesso produttivo aziendale, qualora presentasse elementi di positività, potesse essere salvaguardato.

Come abbiamo analizzato, all’indomani della stagione di riforme fallimentari intervenuta a partire dal 2005, sono stati incentivati strumenti che conservano i complessi produttivi e tutelano il mantenimento dei posti di lavoro. Si allude agli istituti dell’esercizio provvisorio dell’impresa e dell’affitto endofallimentare, che rappresentano mezzi idonei a mantenere in vita il complesso aziendale in vista di una più proficua liquidazione e soprattutto, in ordine a quanto a noi interessa, rendono possibile la salvaguardia, almeno parziale, dei rapporti di lavoro.

A tale scopo mirano più efficacemente, come vedremo, altri istituti come gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento23 che puntano, tramite la conservazione degli assets, al

recupero dell’impresa. Tra tali strumenti vi è anche il concordato preventivo in grado, potenzialmente, di trovare una soluzione anticipatoria allo stato di insolvenza mediante accordo con i creditori per il superamento della crisi24. A differenza di quest’ultimo istituto, l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda rimangono strumenti volti alla successiva dismissione del patrimonio fallimentare nella volontà di valorizzare il complesso produttivo in vista di una proficua cessione.

22 M. L. Vallauri, Il lavoro nella crisi, op.cit., p. 59; F. D’Alessandro, Rapporti di

lavoro e crisi d’impresa, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, p.

1210.

23 Rispettivamente delineati art. 182 bis e art. 67, comma 3, lett. d), l.f. 24 M.L. Vallauri, Il lavoro nella crisi, op.cit., p. 60.

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È usuale evidenziare come l’impresa non cessi automaticamente con la dichiarazione di fallimento, anzi si dice che la stessa sopravvive sostituendo una gestione per fini produttivi con una gestione per fini liquidatori25.

3.1. Cessazione o mancata continuazione dell’attività d’impresa La sorte dell’attività produttiva a seguito della dichiarazione di insolvenza è rilevante perché alcune discipline speciali del lavoro nella crisi d’impresa vengono applicate solo se “la continuazione

dell’attività non sia disposta o sia cessata” oppure, al contrario, se

esistono i presupposti per il risanamento tramite la continuazione aziendale.

Si fa riferimento alla legislazione speciale, che più ci interessa, relativa agli effetti del trasferimento d’azienda (in crisi) sui rapporti di lavoro delineata all’art. 47 della legge n. 428/1990 che prevedere deroghe alla disposizione codicistica art. 2112 c.c. solo nelle ipotesi in cui sia aperta una procedura concorsuale con finalità liquidatoria in cui sia definitivamente cessata o non sia stata disposta la continuazione dell’attività d’impresa26.

Al contrario, la prosecuzione dell’attività d’impresa e la sussistenza di prospettive di risanamento aziendale furono poste come condizione necessaria per l’accesso alla Cassa integrazione guadagni c.d. concorsuale a seguito delle riforme introdotte nel 201227.

Qualora non si profilino possibilità di continuazione dell’attività dell’impresa fallita, o comunque non sussistono prospettive per la sua ripresa, si pone al curatore il problema di gestire la sorte dei rapporti pendenti. Gli è pertanto rimessa la valutazione in ordine alla

25 Cass. 21 giugno 1979, n. 2367, in Il fallimento, 1980, p. 280. 26 Infra cap. III in cui vedremo le condizioni di tale derogabilità. 27 Infra par. 3.1.2.

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risoluzione dei rapporti pendenti che devono essere il risultato di “scelte gestionali consapevoli”28.

Il secondo comma dell’art. 2119 c.c. fa sì che si debba escludere che il curatore abbia piena libertà di recedere dai contratti di lavoro. Si intende in questo modo qualificare il recesso nei termini di licenziamento in senso stretto. Da tale qualificazione discende la inapplicabilità delle regole privatistiche derivanti dall’art. 1372 c.c. a favore dell’assoggettamento a tutte le disposizioni previste in materia di licenziamenti29.

3.1.1. Il problema della sospensione dei rapporti pendenti

A seguito della dichiarazione di fallimento, il curatore entra nella amministrazione del patrimonio fallimentare e, qualora l’attività d’impresa sia cessata e non venga disposto l’esercizio provvisorio, egli dovrà gestire i contratti pendenti e liquidare i beni del fallito. Il primo problema che si pone è quello della sorte dei contratti di lavoro, capire cioè quali sono gli effetti che la procedura ha sulla disciplina della risoluzione dei rapporti di lavoro ancora pendenti30. La mancanza di una specifica disposizione che regoli, all’interno della legge fallimentare, le conseguenze della dichiarazione di fallimento sui rapporti di lavoro pendenti31, ha reso la questione oggetto di forte

dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

28 P. Tullini, Tutela del lavoro nella crisi d’impresa e assetto delle procedure

concorsuali: prove di dialogo, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, p. 202.

29 Non solo la regola del preavviso, ma vedranno applicazione tutte le regole inserite

all’interno del complesso di disposizioni che regolano il potere di recesso, a partire dal necessario fondamento giustificativo. V. in questo senso Alleva, Fallimento e

tutela dei diritti dei lavoratori, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ.,1975, p. 220 e ss.; M.L.

Vallauri, ult. op. cit. p. 82.

30 G. Marazza- V. Aniballi, Crisi d’impresa e tutele del lavoro, in M. Marazza (a

cura di) Contratto di lavoro e organizzazione, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da M. Persiani e F. Carinci, Padova 2012, p. 2241.

31 La Commissione Trevisanato (istituita con D.M. del 27 febbraio 2004) nel

regolare gli effetti sui rapporti pendenti, in particolare su quelli di lavoro, si era limitata a evidenziare la necessità di norme di coordinamento con le vigenti disposizioni in materia di lavoro.

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Esiste una previsione generale, l’art. 72 l.f.32 che disciplina gli effetti

del fallimento sui contratti pendenti perfezionati, ma ancora ineseguiti (o non eseguiti integralmente), la quale prevede la sospensione33 di tali negozi fino a quando il curatore scelga di subentrarvi assumendone i relativi obblighi in luogo del fallito, oppure decida di sciogliersi dagli stessi.

Si attribuisce al curatore il potere di valutare, previa autorizzazione del comitato dei creditori, la convenienza per la procedura della prosecuzione dei negozi pendenti sia dal punto di vista economico che organizzativo, potendo considerare strategica la conservazione, anche parziale, degli elementi aziendali per preservare il valore di avviamento dell’impresa.

Nell’originaria formulazione della legge fallimentare, in ragione della finalità unicamente liquidatoria della procedura, era giustificata la mancanza di una specifica disposizione regolatrice della sorte dei contratti di lavoro a seguito della dichiarazione dello stato di insolvenza. La ratio di una siffatta scelta era la diversa condizione sociale del lavoratore rispetto al datore di lavoro contrassegnata da una netta inferiorità contrattuale e di subordinazione che ha portato il legislatore a predisporre una serie di istituti volti a garantire effettive condizioni di uguaglianza e libertà. Meno giustificata è la sua attuale mancanza.

L’unica eccezione a tale silenzio può rinvenirsi nell’art. 2119 c.c. il quale però non spiega quale sia la sorte dei contratti di lavoro ancora in corso d’esecuzione al momento dell’apertura della procedura. Come anticipato, dottrina e giurisprudenza si interrogarono sull’applicabilità o meno dell’art. 72 l.f. ai rapporti di lavoro e quindi sulla sorte che tali contratti hanno fino alla avvenuta risoluzione.

32 Questa norma nella versione previgente la riforma del 2006, era rivolta a

disciplinare gli effetti della dichiarazione di fallimento sul contratto di compravendita non ancora integralmente eseguito.

33 I contratti entrano in uno stato di quiescenza tale da evitare che questi possano

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Un primo filone interpretativo riteneva perfettamente applicabile tale disposizione fallimentare anche a questi specifici contratti facendo sì che a seguito della dichiarazione di fallimento emanata dal Tribunale i rapporti di lavoro venissero sospesi fino a quando il curatore non avesse deciso sulla ricorrenza o meno dei presupposti per recedere o continuare gli stessi.

All’interno di tale orientamento vi erano coloro che, inoltre, sostenevano che la scelta del curatore di sciogliersi dai contratti di lavoro fosse libera, discrezionale, legittima anche in mancanza di giustificazione34; altri al contrario propendevano per la necessaria applicazione delle regole giuslavoristiche previste in materia di recesso35.

Questa soluzione appare in linea con le esigenze del fallimento e la volontà di evitare il perdurarsi di rapporti che creerebbero crediti di natura prededucibile nella procedura.

Il fatto che non vi sia traccia di disposizioni che riguardano gli effetti dell’insolvenza sui rapporti di lavoro ha incentivato e in qualche modo giustificato l’applicabilità della regola fallimentare ai contratti di lavoro.

È stata offerta un’altra interpretazione della disposizione in base alla quale è possibile, all’interno della normativa lavoristica, individuare un nucleo speciale in relazione ai rapporti di lavoro nella crisi d’impresa che andrebbe a differenziarsi prevalendo sull’art. 72 l.f.36.

La specialità della disciplina dei rapporti di lavoro nelle procedure concorsuali rende la disciplina lavoristica, per tale tesi, prevalente

34 A. Riva, Fallimento e rapporti di lavoro, in S. Sanzo, Procedure concorsuali e

rapporti pendenti, Milano, 2009.

35 A. Corrado- D. Corrado, I rapporti di lavoro nel fallimento, Giappichelli, 2007, p.

35; A. Caiafa, I rapporti di lavoro nella crisi d’impresa, CEDAM, 2004 secondo i quali il fallimento non costituisce giusta causa di licenziamento, tuttavia il curatore non subentra automaticamente nei contratti di lavoro che rimarranno sospesi fino al quando il curatore non abbia valutato la sussistenza di presupposti oggettivi fondanti il recesso dai rapporti di lavoro, oppure abbia valutato conveniente il subentro negli stessi; Cass., 23 settembre 2011, n. 19405, in Giust. Civ. Mass., 2011, p. 1330.

36 G. Marazza- V. Aniballi, op. cit., p. 2251. M.L. Vallauri, Il lavoro nella crisi,

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rispetto alla disciplina fallimentare. Evidenzia che la incidenza della crisi sui rapporti di lavoro era in qualche modo regolata da una disciplina speciale regolatrice della CIGS, ovvero la legge n. 223/1991. L’art. 3 di tale legge stabiliva che l’organo della procedura potesse richiedere l’intervento dell’integrazione salariale. Nelle ipotesi in cui si verifichi la sussistenza dei requisiti idonei ad esperire la procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria c.d. concorsuale, non sorgeva la problematica dell’applicazione della disposizione fallimentare in quanto solo attivando quella procedura era possibile conseguire l’effetto della sospensione dei rapporti di lavoro e dei relativi obblighi37.

Tale interpretazione invece considera operante la disciplina dettata dall’art. 72 nei casi in cui le imprese non abbiano i requisiti dimensionali previsti per l’intervento della CIGS.

Un ultimo filone dottrinale nega integralmente l’applicabilità dell’art. 72 l.f. ai contratti di lavoro ammettendo il subentro automatico del curatore in questi rapporti e subordinando un eventuale recesso alle regole vigenti in materia di licenziamento38.

Qualora si optasse per l’applicabilità dell’art. 72 l.f. come norma generale, si avrebbe una situazione di quiescenza dei rapporti che comporterebbe l’interruzione del sinallagma39, quindi da una parte

viene meno l’obbligo del lavoratore di prestare la propria attività lavorativa, dall’altra per la procedura è interrotto l’obbligo di corrispondere la retribuzione40.

37 Vedremo che tale soluzione ha subito un “durissimo colpo” a seguito

dell’abrogazione dell’art. 3 della legge n. 223/1991 in relazione al trattamento di cassa integrazione guadagni speciale.

38 P.G. Alleva, Fallimento e tutela, op.cit., 1975, p. 212 che si basa sulla

considerazione sistematica per cui l’art. 2119 nel suo secondo comma regoli integralmente la materia e non vi sarebbe spazio per l’applicazione della disposizione fallimentare.

39 C. Zoli, La disciplina dei rapporti di lavoro e l’esercizio provvisorio nel

fallimento, in Mass. Giur., aprile 2017.

40 A. Caiafa, I rapporti di lavoro nel codice, op.cit. che, citando Cass. 14 maggio

2012, cit., evidenzia che, laddove l’attività risulti cessata, il rapporto di lavoro, pur permanendo, rimane sospeso e non è configurabile una retribuzione in ragione

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La sospensione produce effetti anche nei confronti dell’obbligo contributivo degli enti previdenziali e assistenziali41.

Il rapporto di lavoro, secondo tale impostazione che trova maggiori consensi in dottrina e in giurisprudenza42, rimarrà sospeso fino a quando il curatore decida di recedervi motivando la risoluzione con la impossibilità della prosecuzione dell’attività d’impresa o con altre esigenze. Tale dichiarazione ha efficacia retroattiva in modo tale che gli effetti dello scioglimento retroagiscono alla data della sentenza dichiarativa di fallimento.

Secondo la tesi dell’inapplicabilità dell’art. 72 l.f. ai contratti di lavoro, invece, questi proseguono in maniera automatica a seguito dell’apertura della procedura con il subentro, in questi, del curatore e facendo sì che nasca in capo ai lavoratori il diritto a percepire in prededuzione le retribuzioni maturate dopo la data del fallimento. Rimane il fatto che la tesi della sospensione dei rapporti di lavoro è stata avvalorata dalla Corte di Cassazione43 per la quale il rapporto di lavoro è sospeso dal momento dell’apertura del fallimento fino a quando il curatore non abbia deciso per la risoluzione o il subentro. È bene sottolineare che una dottrina ha considerato tale tematica degli effetti giuslavoristici della dichiarazione di fallimento una querelle irrisolta ed ancora attuale44. Tanto che meritano un cenno le previsioni

contenute nello schema di riforma organica delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza elaborato dalla c.d. “Commissione Rordorf” dove si afferma come occorra “armonizzare le procedure di

dell’assenza della prestazione lavorativa. Non è neanche configurabile un credito contributivo dell’istituto previdenziale in ragione della quiescenza.

41 Trib. Santa Maria Capua Vetere, 21 febbraio 2013, in Dir. Fall., 2013.

42 A. Corrado- D. Corrado, Crisi d’impresa e rapporti di lavoro, op.cit., p. 31

afferma che “l’articolo 72 l.f. sia divenuto a tutti gli effetti la norma generale che

trova applicazione ai rapporti giuridici pendenti alla data di apertura del fallimento non oggetto di specifica disciplina e che non possano più trovare spazio quelle soluzioni ermeneutiche basate sull’applicazione analogica di norme di legge (…)”.

43 Da ultimo Cass. 11 gennaio 2018 n. 522, inedita a quanto consta; Cass. 14 maggio

2012, n.7473 in Foro.it, 2012, p. 2357 la quale stabilisce “posto che la dichiarazione

di fallimento del datore di lavoro che abbia cessato l’attività aziendale comporta la sospensione del rapporto di lavoro pendente (…).

(26)

gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella Carta sociale europea e nelle Direttive 1980/987/CE e 2002/74/CE nonché nella Direttiva 2001/23/CE come interpretata dalla Corte di Giustizia”. In particolare, per la

liquidazione giudiziale, gli effetti di questa procedura sui rapporti di lavoro devono essere coordinati con la disciplina lavoristica in relazione alla materia del licenziamento, ma anche delle forme assicurative e di integrazione salariale.

L’elaborazione della Commissione ha fatto nuovamente sorgere il dibattito in materia di effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro. Ha reso necessario ed opportuno l’introduzione di una specifica disciplina che regoli tali effetti in modo da coordinare la disciplina delle incidenze della procedura di liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro con le regole giuslavoristiche sui licenziamenti45.

Lo schema di decreto legislativo delegato di emanazione del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza regola la materia dei rapporti di lavoro nella crisi in tre distinti articoli. L’art. 189 circa la sorte del rapporto di lavoro subordinato prevede la sospensione, con la possibilità di subentro da parte del curatore, ovvero il recesso ai sensi della disciplina lavoristica vigente mediante una procedura particolare46.

45 P. Albi, La tutela del lavoro nella crisi di impresa, in Atti del Convegno 5

settembre 2016, Aula Magna, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, (a cura di) L. Calvosa, p. 177 il quale sottolinea come “L’attuale soluzione, ricavata dall’art. 72 l.f. che impone una quiescenza al rapporto, mal si concilia con il generale impianto di tutela del dipendente che permea il nostro sistema di diritto del lavoro”.

46 Il curatore dovrà trasmettere all’Ispettorato Territoriale del Lavoro l’elenco dei

dipendenti dell’impresa. Egli ha la possibilità di poter recedere dagli quando non sia possibile la continuazione dell’attività e non risultino sussistenti “…manifestate

ragioni economiche inerenti l’assetto dell’organizzazione del lavoro” senza che sia

immaginabile il trasferimento di azienda o di suo ramo. In ogni caso, decorsi quattro mesi dalla apertura della liquidazione giudiziale e non sia stata comunicato il subentro, il rapporto di lavo si considera risolto. È possibile che gli organi richiedano, in presenza di sussistenti possibilità di ripresa o trasferimento, la proroga di tale termine.

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Il successivo art. 190 dello schema di decreto regola un apposito ammortizzatore sociale c.d. “Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego nella liquidazione giudiziale- Naspilg47”. Con la previsione di tale ammortizzatore, la sospensione del rapporto di lavoro viene equiparata ad uno stato di disoccupazione al quale viene attribuito un trattamento equivalente alla Naspi. L’erogazione della Naspi viene anticipata ai lavoratori di un’impresa insolvente che sono stati sospesi48.

Si tratta di una regolamentazione che esclude ogni richiamo alla regola generale delineata all’art. 72 l.f. e che impone al curatore di manifestare la propria volontà di subentrare o meno nei rapporti. Evidenziando una differenza tra la comunicazione dello scioglimento e il licenziamento.

3.1.2. Gli strumenti di gestione della forza lavoro: la CIGS Deve ritenersi che il responsabile della procedura dispone delle medesime facoltà e poteri delineati in capo all’imprenditore. In questo senso si attribuiva al curatore, al ricorrere di determinati requisiti, la possibilità di richiedere la concessione del trattamento straordinario di cassa integrazione definita “concorsuale”49 per un periodo massimo di

dodici mesi (prorogabile a determinate condizioni).

La concessione era subordinata alla sussistenza dei presupposti qualitativi e quantitativi d’impresa delineati dalla legge n. 223/1991. È uno strumento la cui disciplina ha subìto una notevole evoluzione nel tempo.

Originariamente, al fine di sostenere il reddito dei lavoratori e preservare la procedura da gravosi oneri, l’art. 3 della legge del 1991

47 i.e. Naspi nella liquidazione giudiziale.

48 R. Bellè, Strumenti giuridici di gestione del personale nell’azienda in procedura

concorsuale”, in Fallimento, 2018, p. 1160.

49 In virtù del fatto che la domanda di concessione può essere presentata a seguito

della dichiarazione di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di sottoposizione all’amministrazione straordinaria.

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prevedeva una speciale ipotesi di CIGS attuante la sospensione dei rapporti di lavoro con il contestuale riconoscimento di un salario integrativo.

Era una procedura limitata alle ipotesi in cui la continuazione dell’attività imprenditoriale non fosse disposta o fosse cessata50 e, in ragione della connotazione assistenzialistica di tale trattamento all’interno delle procedure con finalità liquidative, era ritenuta un vero e proprio obbligo per il curatore. Tale obbligatorietà era considerata un metodo per evitare o ritardare la scelta del curatore di non subentrare nei contratti di lavoro considerati eccedenti in mancanza di prospettive di continuazione dell’attività. In questo contesto la ratio consisteva nel ritardare la dissoluzione del complesso aziendale e valutare il salvataggio dell’azienda mediante il trasferimento51.

Pur non mancando opinioni differenti a tal riguardo52 si faceva discendere da tale impostazione l’automaticità della concessione del trattamento. Potendo l’Autorità concedente, solamente in caso di richiesta di proroga, valutare la sussistenza dei requisiti.

Il trattamento di integrazione si prospettava, così, come uno strumento volto alla successiva decisione del curatore di procedere alla cessione dell’azienda evitando la disgregazione del complesso aziendale anche a favore del mantenimento dei livelli occupazionali.

Ne deriva che fino alla legge n. 92/2012 esisteva una procedura tipica e speciale di sospensione del rapporto in grado di far dubitare dell’applicabilità ai rapporti di lavoro della norma generale dettata all’art. 72 l.f.

50 Oltre alle ipotesi in cui l’obiettivo fosse sostenere le imprese in presenza di

programmi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale.

51 Inoltre, l’obbligatorietà sarebbe stata sostenuta anche dalla finalità che il

trattamento d’integrazione salariale ha nella prospettiva del diritto fallimentare: alleggerisce il costo della conservazione dei posti di lavoro e quindi tutela il ceto creditorio.

52 S. Liebman, Liquidazione o conservazione dell’impresa nelle procedure

concorsuali: insolvenza dell’imprenditore e strumenti di tutela del lavoro subordinato, in Dir. Rel. Ind., 1995, p. 23; M.L. Vallauri, Il lavoro nella crisi, op.cit., p. 74; Trib. Palermo, 4 marzo 2004, in Il Fall., 2005, p. 195.

(29)

Successivamente53 venne modificato l’art. 3 della legge n. 223/1991 e

il riferimento alla mancata continuazione o cessazione dell’attività venne sostituito con il requisito della sussistenza di “prospettive di

continuazione o ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione” valutabili grazie ad un piano prospettato dal

curatore e presentato insieme alla richiesta del trattamento54.

In tale contesto il Ministero del lavoro doveva valutare oggettivamente la sussistenza delle prospettive di risanamento e salvaguardia dell’impresa o anche solo di una porzione dei complessi produttivi evidenziando la necessità di sospensione dell’attività produttiva. Eliminando in tal modo l’assunto dell’automaticità e del carattere dovuto dell’intervento si può sottolineare che il novellato art. 3 della legge n. 223/1991 non potesse più essere considerata norma derogatoria della regola generale delineata all’art. 72 l.f.

Con la legge Fornero55 e con il d.lgs. n. 148/201556 ed a decorrere del 1° gennaio 2016, il legislatore ha abrogato la CIGS nella sua variante concorsuale.

Con tale mutazione di assetto, a partire da quella data, non è stato più possibile fruire del trattamento di integrazione salariale nella sua versione c.d. concorsuale neanche nella variante introdotta a seguito della novella del 2012.

Inoltre, con la riforma degli ammortizzatori sociali57 non è più

esperibile per il curatore che intenda procedere alla cessazione dell’attività d’impresa richiedere l’ammissione al trattamento di cassa integrazione straordinaria (normalmente previsto per le aziende in

53 Con le modifiche introdotte dall’art. 2 comma 70 della legge n. 92/2012.

54 Questa impostazione fu confermata con il successivo d.lgs. n. 148/2015 che in

attuazione delle disposizioni del Jobs Act, ha riformato la disciplina degli ammortizzatori sociali che ha messo mano sui presupposti causali dell’intervento della CIGS escludendo la cessazione dell’attività produttiva dell’azienda.

55 Legge n. 92/2012 così come modificata dal d.l. n. 83/2012. 56 Attuativo della legge n. 183/2014 c.d. Jobs Act.

57 Art. 21 lett. b, D.lgs. n. 148/2015, che destina l’istituto ai soli casi in cui “la

sospensione o la riduzione sia determinata da crisi aziendale, ad esclusione dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa”.

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bonis) a meno che non dimostri “concrete e rapide prospettive di cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale”.

La scelta è sicuramente volta a condurre di nuovo l’istituto alla sua originaria finalità assistenziale, ammessa in presenza di presupposti per la riorganizzazione e la ristrutturazione aziendale che, nella disciplina per le imprese in bonis, ne legittima il ricorso58. La direzione è ammettere l’intervento esclusivamente a condizione che vengano presentati programmi di recupero occupazionale e di prosecuzione dell’attività d’impresa.

Ed è inevitabile sottolineare come la soppressione dell’ammortizzatore concorsuale comporti una diminuzione dei tempi della procedura della crisi. Potrebbe darsi che fin dall’avvio della procedura possa attendersi una tempestiva consultazione sindacale necessaria per procedere a un trasferimento d’azienda o di rami. Ma è anche necessario immaginare un’opposta conclusione della procedura consistente nell’irreversibilità del dissesto senza soluzione alternativa alla cessazione dell’attività. In questo ultimo contesto l’eliminazione della CIGS concorsuale rende “più facile ed immediata realizzazione

di valore attraverso la liquidazione”59 e un ricorso velocizzato ai

licenziamenti collettivi o comunque alla dispersione dei posti di lavoro60.

Con la dichiarazione della crisi aziendale sono stati concessi altri rimedi sostitutivi del ricorso all’ammortizzatore sociale: si pensi

58 M. Marazza- D. Garofalo, Insolvenza del datore del lavoro e tutele del lavoratore,

Giappichelli Editore, Torino, 2015, p. 18; P. Tullini, Tutela del lavoro, op.cit., p. 203 che sottolinea come in questo modo ai lavoratori dell’impresa in stato d’insolvenza non è attribuita una tutela inferiore rispetto a quella prevista per i lavoratori di un’impresa in bonis.

59 P. Tullini, Tutela del lavoro nella crisi, op.cit., p. 204.

60 Una parte della dottrina ha sottolineato l’incongruità di dover aprire una procedura

di licenziamento collettivo cercando di concluderla rapidamente attraverso un’intesa con i rappresentanti sindacali al fine di far più velocemente godere i lavoratori, in assenza di retribuzione e integrazione salariale, dell’indennità di disoccupazione, vedi M. Magnani, Crisi d’impresa tra diritto del lavoro e mercato, in WP CSDLE

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all’applicabilità di una agevolata e incentivata disciplina relativa al trasferimento d’azienda in stato di dissesto o alla prorogabilità del trattamento di disoccupazione previsto dagli artt. 8 e 9 della legge n. 1115 del 1968.

Con l’entrata in vigore di questa riforma, di fronte all’impossibilità di prevedere, anche tramite terzi, la continuazione dell’attività d’impresa attraverso l’esercizio provvisorio finalizzato ad un’eventuale cessione d’azienda o parte di essa, il curatore non potrà che procedere al licenziamento dei lavoratori in esubero.

La prospettiva del licenziamento collettivo, quindi, si fa più concreta ed immediata61.

3.1.3. I licenziamenti collettivi e individuali

La qualificazione in termini di licenziamento del recesso eventualmente intimabile da parte del curatore discende dal secondo comma dell’art. 2119 c.c. che stabilisce che “non costituisce giusta

causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda”.

Ai sensi di tale articolo il fallimento non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro. Questo significa che l’organo della procedura, in assenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dovrà seguire le regole relative non solo al preavviso, ma tutto il complesso di disposizioni che regolano il recesso, soprattutto in relazione alle cause giustificative sottostanti62.

61 M. Magnani, op.cit. p. 18.

62 Cass. 3 ottobre 1996, n. 8670, in Not. Giur. Lav., 1997, p. 91 ; M.L. Vallauri, Il

lavoro nella crisi, op.cit., p. 82; Posizione contraria di G. Marazza- V. Aniballi, op. cit., p. 2248 il quale sottolinea che “sussistono valide argomentazioni per sostenere che la motivazione del licenziamento individuale intimato dal curatore fallimentare al di fuori del campo di applicazione della legge n. 223/ 1991 può esaurirsi anche nel semplice fatto dell’avvenuta attivazione della procedura concorsuale e della volontà di non continuare nell’esecuzione del rapporto”.

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Anzitutto si deduce la qualificazione del recesso dal rapporto di lavoro in concomitanza del fallimento in termini di licenziamento. Successivamente si specifica che l’aprirsi di una procedura concorsuale non giustifica di per sé i licenziamenti dei lavoratori neppure in caso di dissoluzione dell’impresa63.

Ne discende che il licenziamento intimato dal curatore dovrà trovare fondamento in un giustificato motivo consistente nell’impossibilità di disporre la continuazione dell’attività imprenditoriale o di salvaguardare anche solo in parte i rapporti di lavoro, sia qualora si tratti di licenziamento individuale, sia che si tratti di licenziamento collettivo.

A ragion del vero, la giurisprudenza64 ha ritenuto obbligatorio l’esperimento della procedura di cui alla legge n. 223/1991. Infatti, si ritiene inefficace il licenziamento collettivo intimato senza l’esperimento della procedura di mobilità.

Il curatore, in presenza dei requisiti qualitativi e temporali65 che rendono una pluralità di licenziamenti un licenziamento collettivo, non potrà recedere liberamente dai rapporti.

Il curatore dovrà necessariamente iniziare una procedura66 di riduzione del personale delineata agli artt. 4 e 24 della legge n.

63 Cass. 3 marzo 2003, n.3129, in Giust. Civ., 2003, p. 1213. 64 Cass. 8 luglio 2004, n. 12645, in Foro.it., 2005.

65 Art. 24, comma 1, legge n. 223/1991 stabilisce che la procedura di mobilità si

applica ai datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione o cessazione dell’attività lavorativa, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni in ciascuna unità produttiva.

66È necessario constatare che lo schema del decreto legislativo delegato in

emanazione del codice della crisi e dell’insolvenza prevede all’art. 189: “Nel caso in

cui il curatore intenda procedere a licenziamento collettivo secondo le previsioni di cui agli articoli 4, primo comma e 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991 n. 223, trovano applicazione, in deroga a quanto previsto dall’articolo 4, commi da 2 a 8, della stessa legge, le seguenti disposizioni:

a) il curatore che intende avviare la procedura di licenziamento collettivo è tenuto a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali (…)

b) la comunicazione di cui alla lettera a) deve contenere sintetica indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre

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223/1991 motivandola con la situazione di dissesto economico e l’impossibilità di proseguire i rapporti pendenti.

Ai sensi dell’art. 24 la causa del recesso potrà consistere nella cessazione dell’attività e nella disgregazione aziendale oppure nella non convenienza della continuazione dell’attività d’impresa e nell’impossibilità di cederla a terzi.

Quando invece, al licenziamento collettivo consegua l’integrazione di un periodo di cassa integrazione salariale, secondo quanto disposto dall’art. 4, esso sarà giustificato dall’impossibilità di reinserire i lavoratori sospesi all’interno del complesso aziendale.

rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo e del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva;

c) entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui alle lettere precedenti, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero le rappresentanze sindacali unitarie e le rispettive associazioni formulano per iscritto al curatore istanza per esame congiunto; l’esame congiunto può essere convocato anche dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro, nel solo caso in cui l’avvio della procedura di licenziamento collettivo non sia stato determinato dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo. Qualora nel predetto termine di sette giorni sia mancata istanza di esame congiunto o lo stesso, nei casi in cui è previsto, non sia stato fissato dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro in data compresa entro i quaranta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui alla lettera a), la procedura si intende esaurita.

c) l’esame congiunto, cui può partecipare il direttore dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro o funzionario da questi delegato, ha lo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell'ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano opportuno, da esperti;

f) la consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio,

non sia stato raggiunto un accordo sindacale, salvo che il giudice delegato, per giusti motivi ne autorizzi la proroga, prima della sua scadenza, per un termine non superiore a dieci giorni.

g) raggiunto l’accordo sindacale o comunque esaurita la procedura di cui alle lettere precedenti, il curatore provvede ad ogni atto conseguente ai sensi dell’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991 n. 223.”

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