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Riflessioni sul modello

 

Già molteplici volte è stato affermato come il mercato immobiliare sia molto segmentato, infatti, esistono diverse tipologie che però potremmo raggruppare in delle macro-categorie.

Tali macro-categorie potremmo suddividerle in cinque sezioni, da una parte abbiamo gli immobili residenziali che distinguiamo tra quelli di pregio e non e dall’altra parte abbiamo gli immobili commerciali che distinguiamo tra quelli adibiti ad ufficio, quelli adibiti a negozio e infine i capannoni.

Tale distinzione risponde alle diverse esigenze e peculiarità che hanno queste classi di immobili e ciò si riflette anche a livello di erogazione e controllo del credito che devono basarsi a volte su criteri molto diversi.

Partendo da tale considerazione viene spontaneo domandarsi se tutto quanto visto con il modello di Moody’s assecondi tali prerogative o se invece le contrasta.

In particolare dovremmo chiederci da quali ipotesi parte il modello e se in esso ci siano limiti troppo stringenti o se, invece, ci siano dei principi abbastanza generici. Tale esigenza nasce dal fatto che, per poter implementare delle regole nel quadro normativo, un regulator deve individuare delle basi che non pongano limiti di nessun genere e che possano essere usate in qualsiasi ambito.

Detto ciò, già dall’analisi del titolo del modello, si capisce come esso sia stato costruito per gli istituti finanziari che effettuano anche investimenti in immobili e non solo per le banche che devono affrontare il rischio immobiliare.

Tuttavia se prendiamo in considerazione il processo con cui è affrontato il problema vediamo che in realtà la precisazione appena fatta risulta poco rilevante.

Lo specifico rischio immobiliare è, infatti, trattato come qualsiasi altro rischio cui è sottoposta la banca, ovvero viene calcolata la PD e la LGD in modo da ottenere l’EL e quindi capire quale sia il livello di rischio e la ponderazione più esatta per ogni singolo caso.

Se quindi a livello di concetti il modello è generalizzabile bisogna vedere se lo è anche in ogni singolo passaggio del calcolo per arrivare alla EL.

Prendiamo in esame quindi i cinque passaggi chiave che sono stati specificati nel riassunto del modello, ovvero:

• i simulazioni del valore del NOI e del valore dell’immobile;

• parametrizzazione variabili che influenzano NOI e valore immobile; • calcolo EDF condizionale e LGD per ogni realizzazione al tempo t; • trovo EDF da EDF condizionale;

• uso EDF e LGD per calcolare EL.

La prima osservazione che si può fare riguarda i fattori che sono considerati maggiormente indicativi per la valutazione del rischio immobiliare e del rischio di credito in generale.

Il modello prevede che vengano simulati i valori del NOI e del valore degli immobili e questo perché essi servono per calcolare il DSCR e il LTV, ovvero due parametri che la normativa già utilizza nell’ambito della valutazione del credito.

Si potrebbe così pensare che il primo punto della lista soprastante sia già abbastanza generico da poterlo utilizzare come punto di riferimento per il regulator.

In precedenza, era, però, stato segnalato come tale modello partisse dall’esigenza di valutare il rischio immobiliare anche dal punto di vista di un investitore.

In quest’ottica risultava quindi importante simulare anche il NOI e andare poi a trovare i fattori che lo determinavano in modo da capire se nel corso del tempo esso avrebbe potuto mantenere un livello accettabile per il rapporto DSCR.

Anzi, si potrebbe pensare di utilizzare al posto del NOI un fattore generico che sia rappresentativo della capacità di rimborso da parte del debitore e di utilizzare lo stesso nel calcolo del DSCR.

Tale ragionamento risulta, però, errato a priori.

bontà del livello di DSCR allora tale valutazione viene già effettuata al momento di erogazione del credito.

Esso non ci interessa nemmeno nella fase di vita credito perché viene già tenuta sotto controllo all’interno della valutazione e mitigazione del rischio di credito.

Ciò che interessa alla banca non è quanto l’immobile possa rendere attraverso la locazione9, ma quanto un immobile vale al momento del default di un debito o al

momento di vendita.

Detto questo possiamo allora intuire come il modello qui presentato sia sotto un certo punto di vista forse anche troppo generale visto che per le esigenze di una banca basterebbe solo simulare il valore dell’immobile.

Detto ciò, se esaminiamo il secondo punto della lista, capiamo come metà di quel passaggio possa essere saltato andando a concentrarsi unicamente sulla ricerca delle variabili che influenzano il valore dell’immobile.

In particolare va subito detto che essendo il mercato immobiliare molto segmentato e che quindi ci sono diverse tipologie d’immobili, i fattori che ne condizionano il valore sono legati allo specifico segmento in cui sono inseriti.

Ne risulta che non è possibile definire delle variabili standard e valide per tutti i casi e in questo modo si ha il problema dell’impossibilità di definire variabili accettate in tutti casi.

Anche se può sembrare che il modello non possa essere generalizzato, si potrebbe adottare due diversi correttivi.

Un primo metodo per rendere il modello valido per tutti prevede che, a seconda del caso in esame, la banca decida di adottare una serie di fattori che ritiene più consoni e che poi faccia intervenire le autorità di vigilanza, le quali hanno il compito di validare la valutazione.

Ovviamente non essendo possibile fare ciò per ogni singolo caso le banche, sulla base della tipologia di garanzia immobiliare associata ai vari crediti, dovrebbero creare delle                                                                                                                

classi il più possibile omogenee a ciascuna delle quali assocerà specifici fattori che influenzano il valore degli immobili.

Anche in questo caso sarebbe poi necessaria una certificazione da parte delle autorità di vigilanza che andrebbero a confermare la validità di quanto proposto dagli istituti creditizi.

Un simile ragionamento potrebbe essere effettuato anche invertendo le parti e questo sarebbe il secondo correttivo che si può proporre in alternativa.

Ciò che si vuole affermare è che le autorità di vigilanza potrebbero direttamente individuare delle classi d’immobili abbastanza omogenee per caratteristiche, adottando ad esempio la divisione in cinque macro categorie prima detta e poi per ciascuna di essa elencare i fattori più generici che vanno ad influenzare il valore degli immobili.

Adottare variabili abbastanza universali permette alle banche di inserire nella stessa classe immobili dello stesso tipo, ma che per lei non erano sottoposti esattamente agli stessi identici fattori.

Questa considerazione appena fatta spiega in parte perché sotto un certo punto di vista questa seconda opzione è preferibile alla prima.

Nel primo caso, infatti, ogni banca avrebbe le sue specifiche categorie che con ogni probabilità sarebbero anche molto diverse le une dalle altre rendendo difficoltoso da parte delle autorità di vigilanza il controllo.

Quindi, da un punto di vista della semplificazione il secondo metodo è preferibile al primo, tuttavia la soluzione sarebbe l’opposto se dovessimo guardare il problema dal punto di vista delle singole banche.

Se consideriamo banche che accettano in garanzia qualsiasi tipo d’immobile il problema non si pone.

Viceversa se una singola banca, ad esempio, decide di concedere solo mutui ipotecari per l’acquisto di immobili residenziali, va da sé che non è interessata alle classi di immobili commerciali e per le due categorie di immobili residenziali preferirebbe poterle differenziare di più per poter gestire il rischio in modo ancora più efficiente.

Una terza via, che quindi si potrebbe attuare, è quella della designazione da parte delle autorità di vigilanza di ampie categorie che rispondono a determinati fattori, all’interno delle quali le singole banche sono autorizzate a determinare classi più specifiche.

In questo modo si riuscirebbe ad avere un compromesso tra la specificità delle attività delle singole banche e la semplicità richiesta da un metodo adottabile da tutti.

Applicato uno dei tre correttivi proposti il modello diventa adottabile e quindi possiamo andare ad esaminare le fasi successive, prima delle quali c’è quella riguardante la determinazione della LGD.

Abbiamo detto che la LGD è una funzione delle variabili LTV e Y, dove quest’ultima rappresenta i costi per l’inefficienza del mercato.

Qualsiasi sia l’immobile considerato tale funzione non cambia anche nel caso in cui consideriamo solo la variabile Y.

Tale variabile, infatti, dipende da altri due fattori che sono la dimensione dell’immobile, che rappresenta i costi fissi, e il tempo di risoluzione, che approssima invece i costi variabili.

Tuttavia anche se la funzione così formulata si presta ad essere applicata ad un modello generale, sarebbe più opportuno e più completo fare delle precisazioni.

In particolare, è vero che i costi fissi non mutano, ma è anche vero che sono molto differenti se consideriamo diverse tipologie di immobili.

Prendiamo in esame i costi amministrativi nel caso in cui l’immobile dato in garanzia appartenga alla categoria residenziale non di lusso e confrontiamolo con un immobile della classe dei capannoni industriali.

Come è facile intuire i costi legali rimangono costanti nel tempo, ma il punto di partenza è completamente diverso.

Lo stesso identico discorso può essere fatto per i costi variabili, considerando gli stessi immobili di prima pensiamo all’andamento dei costi di manutenzione.

Qui con il passare del tempo i costi aumentano, ma l’incremento nel caso dell’immobile residenziale è minore rispetto a quello dell’immobile commerciale.

Visto che le banche focalizzano la loro attenzione sulle perdite e quindi sulla LGD ne consegue dagli esempi appena fatti che anche per il fattore Y devono essere fatte delle distinzioni a seconda della tipologia d’immobile considerato.

La differenziazione potrebbe prevedere anche qui la divisione nelle cinque macro categorie in ciascuna delle quali viene da una parte assegnato uno specifico livello minino dei costi fissi e dall’altra si prevede uno specifico andamento dei costi variabili.

C’è poi da considerare che il livello minimo e l’andamento non possono essere tenuti immobili, ma necessitano di una definizione che sia flessibile in modo da tenere conto dell’andamento dello specifico segmento di mercato e dell’economia in generale. In altre parole, prendendo ad esempio l’andamento dei costi variabili, non è detto che in un’economia in fase recessiva abbiano lo stesso andamento di quando l’economia era in fase espansiva o allo stesso modo non è detto che data la domanda/offerta attuale per quel tipo di immobile, l’andamento sia uguale alla domanda/offerta che ci sarà fra dieci anni.

Capito che il modello resta generalizzabile a livello di calcolo della LGD, resta anche in questo passaggio il problema di capire chi fra banca, in modo autonomo, o Autorità di Vigilanza, in modo coercitivo, sia il soggetto più adatto nel definire la suddivisione nelle varie classi e i parametri da usare.

Chiarito tale passaggio, per quanto riguarda le fasi successive non c’è nessun problema nel generalizzare il modello.

L’EDF condizionale è una funzione definita dalle variabili LTV, DSCR, forza del mercato, etc… che possiamo mantenere costanti per qualsiasi situazione andiamo ad esaminare.

Trovate LGD e EDF condizionale, si può facilmente trovare la EDF e poi la EL senza avere problemi nel rendere il modello adatto per molteplici casi.

In realtà, per il settore bancario che stiamo esaminando, queste ultime fasi non ci interesserebbero nemmeno perché quello che conta per una banca è al momento del default la perdita che viene registrata e non la probabilità che tale perdita si verifichi.

In particolare la curva della LGD ci fornisce due valori che sono fondamentali per qualsiasi valutazione.

Un primo valore fornito è quello della Expected Loss ovvero della perdita che mediamente ci si attende, valore ottenuto combinando la funzione di perdita con la probabilità di default.

Nonostante l’importanza di questo parametro, che definisce quali debbano essere le svalutazioni preventive, un altro è il parametro fondamentale ovvero la Unexpected Loss.

Tale valore esprime la perdita potenziale, oltre a quella già prevista, che la banca potrebbe conseguire dato un certo intervallo di confidenza.

Per cui tanto più ristretto è l’intervallo di confidenza, tanto più sarà grande l’UL perché si andranno a considerare sempre più situazioni potenziali.

L’UL risulta quindi fondamentale per le banche nel momento in cui si va a valutare se il capitale a disposizione riesce a coprire gli effetti della più sfavorevole delle ipotesi. Tutto quello che è stato appena detto fa capire come sia importante calcolare nel modo più corretto possibile la funzione della LGD e tutto ciò passa attraverso la considerazione del rischio immobiliare e la sua conseguente implementazione all’interno delle normative internazionali e nazionali.

CONCLUSIONI

Il tema del rischio immobiliare negli ultimi tempi viene sempre più considerato in virtù del fatto che è stato uno dei fattori alla base della recente crisi finanziaria.

A questa maggiore importanza in ambito economico, tuttavia non è seguita una legiferazione adatta ed in particolare nei nuovi accordi di Basilea, sia 2 che 3, non c’è una sezione dedicata al problema.

Ciò si riflette sulla normativa e per quanto riguarda il caso italiano né la precedente circolare 263, né l’ormai attuale circolare 265, hanno sopperito a tale lacuna.

Il punto debole di tutta la situazione è che il rischio immobiliare, anche se considerato, risulta sempre sottostimato e marginale.

Se consideriamo le istruzioni di vigilanza, ed in particolare il metodo standard, è impossibile far fronte alla complessità del rischio immobiliare in quanto vengono definiti dei parametri fissi per ciascuna categoria di attività in essere.

In questo modo vengono quindi definite delle ponderazioni, che limitano il livello delle attività dato un certo patrimonio minimo, e che sono assegnate in base alla tipologia di rischio di credito.

Per quanto riguarda il rischio immobiliare, esso è considerato all’interno del rischio di credito attraverso la definizione della particolare classe delle esposizioni garantite da ipoteca su immobili.

La criticità sta, però, nel fatto che, a parte la basilare distinzione tra immobili residenziali e non, tutte le tipologie d’immobili vengono accomunate sotto queste due categorie.

Come sappiamo il mercato immobiliare non è così omogeneo, ma è molto segmentato perché anche a piccole differenti caratteristiche, possono corrispondere grandi differenze sul valore degli immobili e sulla variazione di tali valori.

Accomunare quindi tutti i possibili segmenti in due sole categorie risulta limitante e dannoso perché nello stesso insieme possono finire attività che dovrebbero essere ponderate in maniera più pesante e attività che al contrario contribuiscono al rischio

totale in maniera inferiore rispetto alla ponderazione assegnata e che, quindi, consumerebbero minore patrimonio.

Fatta tale considerazione, capiamo che la metodologia standard è controproducente per le banche stesse perché in alcuni casi vedrebbero inutilmente assorbita una parte di patrimonio che invece si può sfruttare per aumentare le attività in essere, e dall’altra parte vedrebbero alcuni prestiti con una sottostima del rischio e con possibili disastrose conseguenze.

Fortunatamente il metodo standard è solo una delle due possibilità che lascia la normativa, infatti, è possibile – e per quanto detto è consigliabile – utilizzare per la valutazione del rischio di credito il metodo IRB.

Che si utilizzi poi il metodo semplice o quello avanzato, al momento ha poca importanza, ciò che è fondamentale è che comunque si tenga molto più in considerazione il rischio immobiliare e che lo si possa dividere in tutte le sue varie sfumature.

Col metodo IRB è data molta liberta10 alle banche, le quali possono scomporre il

rischio di credito in molte più componenti di quante sono contemplate dal metodo standard.

Tuttavia la libertà concessa è troppo ampia perché non esistono linee guida base sulla struttura del modello da utilizzare.

Fatta tale considerazione si potrebbe suggerire l’adozione dei principi del modello generico Real Estate Risk e la loro successiva trascrizione nelle norme in modo da poterli rendere vincolanti.

In questo modo si riuscirebbe ad avere uno schema di riferimento valido per tutti, partendo dal quale ognuno riesce a trovare un modello efficace per affrontare il problema del rischio immobiliare.

Definire solo i principi base, però, potrebbe portare al problema di avere una miriade di modelli di valutazione del rischio immobiliare tutti differenti tra loro e poco                                                                                                                

omogenei con la conseguenza dell’impossibilità di poter controllare la loro reale efficacia uno per uno.

Risulta quindi più opportuna trovare un modello più specifico con la definizione dei passaggi per arrivare ad un corretto calcolo della LGD che tenga conto anche delle garanzie immobiliari come fattore di rischio.

Tra i vari modelli, molti dei quali tengono in considerazione i principi elencati nel modello RER, ne va segnalato uno in particolare, ovvero il modello sul Commercial Real Estate Loan Credit Risk.

Oltre ad essere abbastanza recente e quindi conforme alle norme internazionali in materia, presenta diversi vantaggi.

Un primo pregio del modello è la suddivisione del rischio totale in rischio sistematico e rischio idiosincratico.

In questo modo abbiamo due componenti, una derivante dal mercato e valida per tutti, ovvero la parte sistematica, e l’altra derivante dalle specifiche dell’immobile e che differisce di volta in volta, ovvero la parte idiosincratica.

Grazie a tale divisione il modello prevede anche la possibilità di mitigare il rischio già andando a diversificare sugli immobili messi a garanzia, diversificazione che può essere effettuata in base al fattore geografico, in base al fattore della tipologia, etc… L’inclusione della parte idiosincratica trova comunque il massimo vantaggio nel fatto che il valore stimato sia quello che risponde meglio alla realtà.

Il rischio specifico, infatti, fa si che la volatilità delle variazioni del valore dell’immobile sia più ampia e ciò porta a considerare maggiori possibili valori futuri che rendono la stima più efficace.

Come appena detto il modello si basa quindi su stime dei valori futuri degli immobili e anche questo è un punto di forza del modello.

La valutazione non si basa quindi solo sul valore contemporaneo del bene, ma la valutazione è basata sia sui dati passati, che rappresentano la base di partenza, sia su quelli previsti sempre nell’ottica di fornire la stima più accurata sul futuro andamento dell’immobile.

Successivo punto di forza del modello presentato è che si adatta sia al metodo IRB sia al metodo IRB avanzato.

Nel primo caso ciò che deve essere trovato autonomamente dalla banca è la sola PD mentre nel metodo avanzato è necessario calcolare anche la LGD; entrambi i valori possono essere stimati tramite il modello.

Infine, ultimo punto di forza del modello è quello di essere abbastanza flessibile e adattabile a più situazioni.

Tutto quanto è stato appena detto rende il modello presentato un punto di partenza molto valido, tuttavia, affinchè un regulator riesca a definire delle norme guida valide in qualsiasi ambito devono essere fatte delle piccole correzioni.

Tali correzioni nascono dall’esigenza di eliminare le ipotesi e i passaggi che mal si prestano ad essere generalizzati, ovvero quelli troppo legati alle esigenze da cui il modello considerato trae origine.

Un primo passo è allora quello di non considerare come fattore il NOI, perché la banca non può essere un investitore immobiliare e non può nemmeno mettere al suo posto un fattore generico rappresentativo della capacità di ripagare il debito perché tale valutazione è già stata fatta al momento di erogazione del credito.

Il modello sul Commercial Real Estate Credit Risk si presenta quindi addirittura troppo generico per le finalità degli istituti di credito e per questo deve essere sintetizzato lasciando da parte la PD.

Questo sembra in contrasto con quanto detto in precedenza sul fatto che il modello

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