1. ACHIEVEMENTS, PROSPECTS AND FURTHER CHALLENGES
1.21 Riforme economiche in Cina
Durante la terza sessione dell’XI Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese avvenuto nel dicembre del 1978 furono prese delle decisioni che diedero una importante svolta nello sviluppo politico ed economico della Cina.
La lotta di classe che in quegli anni era il punto centrale della politica cinese fu messa da parte, la rivoluzione culturale fu archiviata e si dette inizio allo studio di centinaia di dossier di “destra” che dal 1957 furono messi da parte dal potere ed
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emarginati dalla società. Venne presa in considerazione e rielaborata anche quella riforma economica della quale ora si contano i risultati positivi, una riforma che si concentrava alla progressiva inegrazione dell’economia cinese con le economie delle altre potenze mondiali, in particolare con quelle dei paesi industrializzati. Alla base delle riforme c’è il cambiamento delle priorità economiche su cui si concentravano i piani di sviluppo. L’industria pesante, che fino allora aveva sempre rappresentato il settore principale, cedette il posto all’agricoltura e all’industria leggere. Invece di trainare l’economia, l’industria pesante avrebbe solo ricevuto i fondi necessari per modernizzarsi ed essere adeguata alle esigenze degli altri settori. Deng Xiaoping e i suoi collaboratori erano intenzionati a puntare sulle campagne perché consideravano la Cina come un Paese fortemente agricolo, in cui i contadini rappresentavano quasi la totalità della popolazione.
La produzione agricola cinese non era piu in grado di soddisfare le esigenze della popolazione e del mercato e il problema principale consisteva nel fatto che le tradizionali tecniche di coltivazione erano rimaste immutate per secoli. Infatti l’economia agricola cinese era caratterizzata in quegli anni da tecniche di coltivazione arcaiche che non consentivano l’ottimizzazione delle risorse. Inoltre accanto al grave problema tecnico si affiancava quello della forte pressione demografica.
Il sistema che vigeva prima delle riforme, chiamato “comune popolari”, si sovrapponeva allo sviluppo naturale dell’organizzazione rurale. Al centro del sistema c’era la brigata di produzione, che corrispondeva al villaggio tradizionale; al di sotto agivano le squadre di produzione, che raccoglievano fino a quaranta nuclei familiari; al vertice si trovava la comune popolare.
Il sistema maoista si concentrava principalemnte sul potenziamento della forza lavoro trascurando però quello degli altri fattori della produzione, capitale e tecnologia.
Il sistema delle comuni aveva comunque dei limiti che si concretizzavano nel fatto che il livello di vita dei contadini era rimasto inalterato. In sostanza si lavorava di piu, ma il guadagno rimaneva lo stesso. Inoltre se da un lato la produzione di beni di base era garantita, essa non era sufficiente per spingere il decollo industriale e la necessità di beni importati era sempre maggiore. Le comuni popolari furono smantellate tra il 1982 e il 1983. Vennero sostituite dal sistema di responsabilità a
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livello familiare che segnò una svolta determinante per la produzione agricola. La famiglia contadina tornò ad essere la base dell’economia cinese.
Negli anni 80 si verificò in Cina un vero miracolo economico. In meno di dieci anni le riforme che erano state attuate produssero non solo un enorme aumento della produzione agricola e dei redditi dei contadini ma anche un’impennata nei consumi e nel livello di vita della città.
La riforma dell’agricoltura infatti rappresentò il punto di partenza per un più profondo progetto di ristrutturazione economica che, per fasi successive, coinvolse anche il settore industriale. I riformatori erano intenzionati a modellare un sistema in cui l’industria fosse lasciata libera dall’ingerenza dell’amministrazione statale. Si volle quindi procedere alla suddivisione e specializzazione del lavoro per consentire un più stabile collegamento tra imprese locali , statali e collettive con l’obiettivo di abbattere le barriere amministrative che ostacolavano la fluidità del lavoro.
Particolare attenzione fu posta nella preparazione del personale tecnico specializzato, molti studenti cinesi furono mandati all’estero per imparare le piu moderne tecniche produttive. L’attenzione inoltre fu incentrata sulle richieste del mercato, che avrebbe guidato le scelte produttive ed impegnato gli imprenditori ad aumentare la competitività e la produzione.
Fu presa come oggetto di regolamentazione anche la legislazione riguardante le licenze e i marchi di fabbrica.
Importanti e decisive furono le iniziative focalizzate nell’incoraggiamento degli investimenti esteri. A questo fine furono instituite le “zone ad economia speciale” nel sud est del paese nelle province del guangdong e del fujian Zhuhai, Shenzhen, Shantou e Xiamen, seguite poi, nel 1988, dall'intera isola di Hainan elevata a provincia. In queste zone vennero previsti dei trattamenti preferenziali riservati agli stranieri che avevano intenzione di investire in Cina.
Il cardine del disegno politico di Deng Xiaoping era proprio l’apertura verso l’estero e l’introduzione del libero mercato. L’intuizione della dottrina “un Paese, due sistemi” consentì di giungere tra il 1984 e il 1987 agli accordi fra pechino e londra e fra pechino e lisbona per il ritorno di hong kong e macao alla madrepatria
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rispettivamente nel 1997 e nel 1999. I due territori avrebbero avuto lo status di “zone economiche speciali”; un alto grado di autonomia e poteri legislativi e giudiziari indipendenti.
Le riforme applicate all’economia cinese hanno portato all’”economia socialista di mercato”, definita cosi dallo stesso Deng Xiaoping, che prevedeva una nuova struttura economica che combinava il socialismo, che influenzava la struttura amministrativa ed istituzionale, ad un sistema economico che si incentrava sul libero mercato e il libero scambio.