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Il riordino della medicina penitenziaria

La novità più significativa della recente evoluzione normativa italiana in tema di diritto alla salute in carcere è sicuramente rappresentata dalla riforma della

medicina penitenziaria avvenuta con il d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230140. Con

esso il Governo ha dato puntuale attuazione alla l. delega 30 novembre 1998, n. 415, la quale, nel quadro del più generale riordino del Servizio Sanitario Nazionale, faceva espresso riferimento (art. 5) al “riordino della medicina

penitenziaria”, prevedendo il trasferimento della sanità delle carceri dal

Ministero di giustizia al Servizio sanitario nazionale. La scelta del legislatore è stata definitiva: dall’emanazione del decreto 230 del 1999, attraverso un

139 Anno di approvazione della Riforma della Medicina Penitenziaria ,D. lgs. 22 giugno 1999,

n. 230.

140 B.BRUNETTI-G.STANINI definiscono la sanità penitenziaria come “l’insieme di strutture servizi, risorse finanziarie e professionali, dedicate al soddisfacimento della domanda di salute proveniente dagli Istituti penitenziari. Tale domanda di salute, niente affatto simile a quella che si può osservare all’esterno, necessita di studi capaci di individuare e rimuovere tutti quei fattori che esercitano una reazione reciproca tra uomo e ambiente confinato causando malattie e disagio per la persona detenuta e negli operatori penitenziari”, in Scenari

collaborativi tra sistema sanitario nazionale e sistema sanitario penitenziario, atti del

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percorso progressivo che ha impegnato le istituzioni nazionali e territoriali, ha cessato gradualmente di esistere quel sistema medico-sanitario che si era strutturato in seno all’amministrazione penitenziaria, e che aveva per anni vissuto in maniera autonoma e parallela rispetto al Servizio sanitario nazionale. Tutto ciò partendo dall’affermazione del principio di parità dei diritti tra detenuti e cittadini liberi in relazione all’erogazione di prestazioni sanitarie (artt. 1 e 2 d.lgs. 230/1999), in quanto il diritto alla salute viene assunto dal legislatore della riforma come un valore che appartiene all’uomo in quanto tale, a prescindere dalla condizione di detenzione o da qualsiasi altra contingenza141. Prima di questo intervento di riforma, la situazione della medicina penitenziaria si basava su quanto disposto dalla l. 9 ottobre 1970, n. 740, la quale, oltre a istituire servizi di guardia medica e infermieristica negli istituti di pena, creava la figura del “medico incaricato” che, non appartenendo al ruolo dell’amministrazione penitenziaria, intratteneva comunque un rapporto di tipo

fiduciario con questa142. Il sistema penitenziario era dunque dotato di un

141 La posizione dei sostenitori del processo di riordino della medicina penitenziaria si fonda

sui principi di uguaglianza del diritto di accesso alle cure fra liberi e reclusi, quello di garantire alla popolazione detenuta un servizio sanitario più efficace nel generale processo di recupero sociale, nonché quello di assicurare un sostegno efficiente da parte della realtà sanitaria territoriale alla situazione carceraria, già di per sé considerata patologica. Tale posizione, sottoscritta fra gli altri dall’on. Livia Turco (Ministro della salute dal 2006 al 2008), dall’on. Leda Colombini ( allora Presidente del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone detenute), dall’Avv. Angiolo Marroni (Garante dei diritti dei detenuti del

Lazio),è stata ben riportata da B.BENIGNI,Sani dentro, cronistoria di una riforma, Verona,

Noema ed., 2008.

142 Il medico incaricato veniva selezionato tramite pubblico concorso per titoli (art. 3, l.

740/70) e l’incarico veniva conferito con Decreto del Ministro della giustizia. Al medico incaricato non erano applicabili le norme relative alla incompatibilità ed al cumulo degli impieghi (art. 2, ivi).

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proprio ed autonomo apparato sanitario, dipendente e inglobato all’interno dell’Amministrazione penitenziaria143.

Successivamente all’entrata in vigore della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale nel 1978144, è venuto meno il modello di assistenza sanitaria mutualistica, parcellizzata e settoriale, con la contestuale creazione di un sistema sanitario basato sui principi della universalità dei destinatari, dell’eguaglianza di trattamento e della globalità delle prestazioni sanitarie145. La stessa normativa stabiliva in maniera tassativa quali fossero le uniche competenze sanitarie a rimanere autonome rispetto al S.S.N. e alla sua distribuzione capillare (art.6 comma 1, lett. v-z)146. Il fatto che il legislatore del 1978 non abbia specificato a quale regime dovesse considerarsi assoggettata la sanità penitenziaria ha determinato l’insorgere di dubbi circa la legittimità di un servizio sanitario penitenziario autonomo ed autosufficiente rispetto al S.S.N.: da un lato c’è stato chi ha interpretato il silenzio del legislatore come implicita abrogazione del servizio sanitario carcerario147, dall’altro invece si è andata formando una tesi che ne affermava la legittimità anche alla luce della l.

833/1978148. E’ evidente come si fosse venuta a creare una situazione di

ambiguità e incertezza in merito alle competenze e alle responsabilità tra

143 Le ragioni tale scelta possono ritrovarsi all’interno del parere del Consiglio di Stato del 7 luglio 1978, n. 305 che confermò l’esclusiva competenza dell’Amministrazione penitenziaria in tema di salute delle persone recluse, ritenendo tale assistenza “tra i compiti riservati allo Stato, da svolgere con le preesistenti strutture del servizio sanitario penitenziario.

144 L. 23 dicembre 1978, n. 833, Gazzetta Ufficiale, Suppl. Ord., 28 dicembre 1978, n. 360.

145 L’art. 1, comma 3 prevede infatti che a tutti i cittadini, gli stranieri e gli apolidi,

indipendentemente dalla loro condizione o stato venga garantita la stessa forma di assistenza medico sanitaria (art. 1 l. 833/1978).

146 In particolare rimangono competenze sanitarie autonome rispetto al S.S.N.:

l’organizzazione sanitaria militare (n.1), l’assistenza sanitaria alle forze armate (n.2), ai corpi di polizia (n.3), agli agenti di custodia (n.4), al Corpo forestale dello Stato (n.5) e al personale delle FF. SS.

147 G.TERRANOVA, la tutela della salute in carcere, in Quaderni del CSM, Roma, 1983, I, 42.

148 G. MAROTTA GIGLI, L’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari,in Rass. Penit. e

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Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e Servizio sanitario nazionale in ordine all’assistenza sanitaria nelle carceri, con pregiudizio della qualità del servizio offerto149. Solo per portare alcuni esempi, i problemi più importanti derivavano dal conflitto di norme in materia di iscrizione agli elenchi delle A.s.l. territoriali e legge sull’ordinamento delle anagrafi150; dalla mancanza di un ricettario regionale per l’acquisto straordinario ed urgente di farmaci di fascia “A” o “B”, acquisto che può essere fatto solo da un medico dipendente o convenzionato con la A.s.l. locale151, ed in generale ad una serie di ritardi diagnostico-terapeutici dovuti ad una eccessiva burocratizzazione del sistema. A questo stato di incertezza e di carenza di programmi sanitari concordati, ha cercato di porre rimedio l’Amministrazione penitenziaria con lo strumento

delle circolari amministrative152. Tuttavia il mondo del carcere stava

conoscendo mutamenti consistenti, fra cui l’accrescersi della popolazione detenuta con problemi di tossicodipendenza, di sieropositività e di ulteriori rilevanti patologie infettive. Queste problematiche (evidenziate oltretutto dal Documento conclusivo dell’indagine parlamentare istituita nel 1994), richiedevano un intervento di riforma strutturale in materia sanitaria che

149 M. CANEPA- S. MERLO, op. cit.,143. Gli autori mettono in luce come già da prima

dell’entrata in vigore della riforma del 1999 il Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti (d.P.R. 309/1990) prevedesse forme di cooperazione fra Ministero di giustizia e servizi sanitari territoriali al fine di garantire le cure necessarie ai programmi terapeutici per le tossicodipendenze all’interno degli istituti di pena.

150 Ai sensi della l. 7 agosto 1982, n. 526 sono assistiti dalla A.s.l. territoriale coloro che

hanno la propria residenza o il luogo di abituale dimora nel Comune in cui l’azienda sanitaria esercita la propria competenza. Tuttavia secondo l’ordinamento anagrafico (l. 24 dicembre 1954, n. 1228) ciascuno ha l’obbligo d’iscriversi all’anagrafe del Comune di abituale dimora, salvo i condannati, per i quali è conservata l’iscrizione al Comune di residenza per non più di 5 anni.

151 Per tale discrasia normativa il Direttore d’istituto si vedeva in dovere di acquistare il

farmaco a prezzo intero.

152 Da segnalare è la Circolare D.A.P., n. 3327/5787 del 1992, che istituiva in ciascun istituto di pena un’area sanitaria e una infermieristica, con la definizione dei rispettivi compiti e delle

relative figure professionali. Cfr. B. BENIGNI, Sani dentro, cronistoria di una riforma,

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permettesse di abbandonare il previgente sistema frammentario e disarticolato153.