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ripeterlo, hanno una autorità meramente amministrativa, e non gliene confe­ risce una d altra natura l’esser appoggiate a una consultazione peritale, la

quale non ha nessun carattere di autorità giuridica l'erso i contribuenti sebbene

ne abbia certo una morale verso il Ministro che ne assume la responsabilità

col prenderle a fondamento della sua deliberazione. E se la parte interessata

impugnerà la decisione del Ministro, allora -è inteso che essa possa ricorrere

a quel Tribunale,

o

cui le nostre leggi, in materia di giurisdizione, è ammesso

che, si possa ricorrere

».

(6) Sent. 15-1-83, in

Boll. Uff. Gabelle,

1883 n. 13; 20-7-84 in

Foro Ital.

1884, I, 1077; 18-6-86, in

La Corte Suprema di Roma,

1886. p. 530; 19-7-86

ibidem

p. 532.

(7) Ci riferiamo in particolar modo alla motivazione della sentenza della

Cassazione di Eoma, 15 genn. 1883

(Foro Ital.

1884, I, 1077, con nota contra­

_ 385 —

l’opera dei periti è richiesta in molte altre cause dove può essere inte­ ressata la pubblica amministrazione; che le disposizioni di altre leggi tributarie, dalle quali erano sottratte all’a.g.o. alcune questioni di esti­ mazione, erano prova che quando il legislatore volle limitare

1

poteri dell’a.g.o. lo disse espressamente; che l’impugnabilità di qualsiasi pre­ tesa d’imposta avanti l’a.g.o. era stata sancita dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248 all, E. e il legislatore non aveva alcun obbligo di ripetersi; che il preteso duplicato fra il procedimento amministrativo e quello giudiziario non era nuovo, anzi, in materia tributaria, era la regola costante per prevenire liti lunghe e costose, ma non per impedirle in senso assoluto; che bastava leggere i lavori parlamentari per rendersi conto che l’intenzione di istituire una pura e semplice procedura ammi­ nistrativa risultava da dichiarazioni non vaghe e parziali, bensì con­ cordanti e inequivocabili.

Questo e altro si sarebbe potuto dire. Ma, ad oltre settant’anni di distanza, quella giurisprudenza dev’essere spiegata nel quadro del con­ trasto che si delineò, subito dopo l’emanazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, fra giurisprudenza e dottrina, per l ’applicazione di tale legge e in particolare dell’art. 2. Questo devolveva alla giurisdizione ordinaria tutte le materie in cui si facesse questione di un « diritto civile o politico ». La dottrina riteneva che tale espressione compren­ desse tutti i diritti subiettivi e faceva rilevare che, secondo i lavori preparatori, il criterio fondamentale posto dalla legge per separare la competenza giudiziaria da quella amministrativa era la distinzione fra i diritti, attribuiti alla prima, e interessi, lasciati alla discrezione della seconda; l ’autorità giudiziaria non poteva, quindi, negare il proprio ufficio a chi affermava la lesione di un proprio diritto soggettivo da parte della p. a. A tale indirizzo liberale della dottrina si opponeva quello, più conservatore e fiscale, della giurisprudenza, che, ispirata dalla preoccupazione di non invadere il campo dell’Amministrazione, adottò un’interpretazione strettamente letterale, secondo la quale i diritti ci­ vili comprendevano solo i rapporti di diritto privato e i diritti politici includevano solo quei diritti pubblici che erano garantiti dalla Costitu­ zione, ecc. In tale orientamento si spiega, se pure non si giustifica, l’indi­ rizzo della giurisprudenza in materia doganale.

E però ben comprensibile che la suesposta giurisprudenza in materia doganale fosse oggetto di preoccupazione alla Camera dove si fece notare (tornata del 4 giugno 1883) che, contrariamente alla chiarissima inten­ zione dei legislatori, il cittadino era stato privato di tutela giurisdizio naie in un settore importante e delicato.

A seguito di tali osservazioni il Governo, che non aveva alcun inte­ resse a rinnegare una giurisprudenza tanto favorevole agli interessi fiscali, ma, d’altronde, voleva soddisfare almeno in parte le esigenze esposte in sede parlamentare, presentò alla Camera, il 5 aprile 1884, un progetto di legge, in forza del quale il Collegio dei periti modificava la sua composizione e si accrescevano le garanzie per i contribuenti. Caduto questo progetto per fine legislatura, ne fu presentato un altro, che teneva

conto dei voti espressi dalla Camera in sede di discussione del primo, e che fn poi approvato diventando la L. 13 novembre 1887, n. 5028 (serie III), con la qnale fu regolato il procedimento di qualificazione per le merci che, nelle linee fondamentali, è tuttora vigente.

Non risulta dai lavori preparatori che si volesse creare con ciò una nuova giurisdizione: la relazione ministeriale al progetto si espri­ meva bensì nel senso che la procedura dovesse essere di natura giu­ risdizionale e il decreto ministeriale di qualificazione fosse insindaca­ bile dall’a.g.o., conformemente alla giurisprudenza della Cassazione di Roma, ma la commissione della Camera dei Deputati apportò no­ tevoli emendamenti al progetto ministeriale e lo sostituì con un pro­ prio progetto definitivo, che fu poi la L. 13 novembre 1887, n. 5028, serie I I I (8). Con tale legge (poi coordinata nel T.U. 24 aprile 1911, n. 330, insieme alla L. 22 dicembre 1910, n. 869) le garanzie per un retto accertamento furono effettivamente accresciute, perchè il Collegio con­ sultivo dei periti assumeva formazione parzialmente elettiva, e ciò con­ validò l ’equivoco che il procedimento avesse natura giurisdizionale.

Equivoco che dura tuttora perchè la dottrina, occupandosi sempre en passant della questione, non vi accentrò tutta l’attenzione necessaria per una retta soluzione.

3- — Il primo autore che si occupò, con un certo impegno, del pro­ blema, fu poi il Mo r t a r a. Questi, trattando dell’art. 6 della L. 30 marzo 1865, n. 2248, all. E, e della competenza giudiziaria sulle controversie in

(8) Il relatore di tale prosetto alla Camera (discussione del 4 giugno 1887) nel discutere una proposta di emendamento nel senso ch e il Ministro fosse vincolato al parere del Collegio dei periti ricordava che «

quante volte un esame

di questa natura venne dinanzi alla Camera, autorevoli oratori sollevarono la

loro voce per fare osservare che, colla costituzione di un Collegio di periti,, si

veniva a creare un magistrato di contenzioso ammminist ratino, che le lèggi

generali dello Stato avevano creduto conveniente sopprimere

».

Respingeva perciò l'emendamento proposto osservando che «

veramente

una magistratura di contenzioso amministrativo verrebbe a crearsi tutte le

volte che il giudizio del Collegio dei periti giudicando, o vincolando l’azione del

Governo, verrebbe ad emettere una sentenza che può essere censurata: e contro

la quale non è possibile di reclamare; mentrechè quando la facoltà della riso­

luzione è stata intieramente riservata al Ministro, questo resterebbe sempre

responsabile delle sue determinazioni. 1Voi non avremo un vero giudizio ma

avremo un atto di potere, contro il quale si potrebbe ricorrere al Consiglio di

Stato, contro il quale non mancherebbe un sindacato parlamentare, laddove,

gl’interessi dell’economia nazionale potessero vedersi menomamente feriti... Noi,

col proporvi, l’accettazione di questa legge, non vi abbiamo proposto di recare

alcuna modificazione alla legge vigente, nè al modo onde la. giurisprudenza l’ha

intesa ed affermata, ma invece verremo con l’accettazione dì essa ad acquistare

dei, vantaggi che prima ci mancavano, meglio disciplinando il Collegio dei pe­

riti, ed aggiungendo a vantaggio del commercio novelle garanzie, delle quali

attualmente non gode. Il Collegio dei periti, creato colla legge del

'1878,

ora

assolutamente abbandonato alla cognizione che ne aveva fatta il Governo col

decreto del 5 agosto IH78, decreto con cui il Governo, comunque limitasse a se

medesimo la facoltà di scegliere i componenti il Collegio dei periti in taluni,

determinati ceti di funzionari pubblici, pure si conservava libero e pieno questo

diritto di scelta

».

387 —

materia d’imposte indirette (9), rilevava che originariamente non si volle, relativamente ad esse, scemare la pienezza dei poteri all’ordinaria giu­ risdizione civile. Aggiungeva però che questo principio sarebbe stato par­ zialmente derogato in seguito con la legge 13 novembre 1S87, n. 5028 (serie III), che disponeva « un esame amministrativo » delle controversie concernenti i dazi doganali, «con un insieme di disposizioni molto sin­ golari ». Riteneva che le Camere di Commercio svolgessero una funzione «semi-consultiva e semi-arbitrale»; giudicava che come «istituto giu­ risdizionale è difficile immaginare cosa meno organica»; infine conclu­ deva, benché senza la minima dimostrazione, che dovesse trattarsi di un giudizio di estimazione sottratto alla cognizione giudiziaria.

Più avanti lo stesso autore, riesaminando la funzione delle Carnei e di Commercio per la qualificazione delle merci ai fini doganali (10), osservava che la legge attribuiva alle Camere un potere di emettere un « parere » e non una decisione, ma inclinava a, credere egualmen e che si trattasse di funzione giurisdizionale, perchè l’art. 3 della L. 13 no­ vembre 1887 concedeva il « termine » di quindici giorni per proporre «appello» al Ministro e l ’assegnazione del termine sembra diretta a conferire autorità di decisione al «parere».

Queste due parole « appello » e « termine », unite alla considera­ zione che le controversie di qualificazione delle merci ai fini del tributo doganale investono un diritto subiettivo patrimoniale, indussero il Mor-

t a r a a fargli concludere che le Camere di Commercio, nel pronunciare i pareri di qualificazione di merci ai fini doganali, svolgessero funzione giurisdizionale. L’argomentazione si svolgeva in forma molto perplessa, il Mo r t a r a riconosceva che « tutto questo è abbastanza confuso e inor­ ganico » ma, ciò malgrado, affermava « nel dubbio, giovando attenersi al partito che meglio assicura la difesa del diritto;, parmi che sia giurisdì* zionale la funzione della camera di commercio». E di conseguenza le decisioni della camera di commercio, benché la legge le denominasse « pareri », e non fosse nè obbligatorio chiederle nè obbligatorio accet­ tarle, gli sembravano impugnabili avanti le Sezioni Unite della Cassa­ zione di Roma, a norma della L. 31 marzo 1877, per eccesso di potere

giurisdizionale. .

Se era funzione giurisdizionale quella delle camere, doveva esseilo necessariamente anche quella del ministro delle finanze che si pronun­ ciava in grado di « appello », sembrando assiomatico al Mortara che un provvedimento giurisdizionale non tollerasse sindacato se non fosse della sua medesima natura. È vero che il ministro delle finanze poteva pro­ nunciarsi in materia anche senza che le Camere di Commercio fossero state investite della controversia, ma poiché in tal caso il conteniv o della controversia e del relativo provvedimento non mutano, al Mortara appariva certo che anche in tal caso il Ministro compiesse funzione giurisdizionale^ ^ ^ ^ legge del i887 sul Consiglio di Stato

(9) op. cit., 329.

prevedesse il ricorso a tale organo contro le decisioni in materia doga­ nale, trattandole quindi come atti amministrativi, non induceva a con­ trario avviso il Mortara, che risolveva il contrasto fra la propria tesi e la legge, sostenendo che, nel caso, le parole incompetenza o eccesso di potere equivalevano non a vizio dell’atto, ma ad eccesso di potere giu­ risdizionale del preteso giudice. La norma era da ritenersi «singolare» e si limitava a demandare al Consiglio di Stato la funzione di regola­ tore di giurisdizione che in ogni altra materia era attribuita alla Cassa­ zione di Boma, per una pretesa incongruenza del legislatore (11)

Tale argomentazione è quanto mai fragile, ma occorre ricordare la teoria del Mo r t a r a circa il concetto di giurisdizione; l’insigne processua- lista sosteneva che « la funzione giurisdizionale costituisce quella difesa del diritto obiettivo per virtù del quale ottengono protezione le facoltà soggettive al medesimo conformi » (12). ITn significato così largo del termine giurisdizione comprendeva necessariamente tutti i procedimenti di attuazione del diritto obiettivo effettuati dall’Amministrazione senza esercizio di poteri discrezionali amministrativi, e quindi anche la fun­ zione ministeriale di cui trattiamo. Al quale proposito è da rilevare che il Mo r t a r a previde in anticipo le critiche che gli sarebbero state mosse, perchè, concludendo l’illustrazione della tesi della giurisdizionalità, af­ fermava : « Così ragionando mi tengo fedele a quel sistema che sempre finora procurai di seguire con rigore di logica e con scrupolo di analisi diligente: perciò non temo la censura di forzare artificiosamente Vinter­ pretazione della legge per comodo della tesi sostenuta » (13).

La debolezza di tale costruzione non sfuggì al Ko m a n o i l quale os­ servava (14) che la pretesa giurisdizione ministeriale manca a tal punto dei reqiiisiti formali di cui una giurisdizione dovrebbe essere dotata, che la si può qualificare tale soltanto come « semplice espediente tecnico, e si potrebbe quasi dire convenzionale, cui si ricorre per non ammettere che ci siano diritti sforniti di garanzie giurisdizionali, il che poi. sia

, (11) te r r o r e del Mortara è anzitutto metodologico. La giurisdizionalità camera di commercio poteva, al massimo, valere come ipotesi, e come tale li Mortara 1 aveva posta inizialmente, osservando che la legge del 1887 disponeva un « esame amministrativo » delle controversie doganali e che la funzione delle Camere di Commercio gli sembrava « semi-consultiva e semi-arbitrale ». Questa ipotesi era poi smentita dall’impugnabilità dei pareri della camera avanti al Mi­ nistro delle Finanze, e delle decisioni di questo avanti al Consiglio di Stato.

Li art. 22 del T .U . doveva dunque servire per dimostrare ad absurdum l’infonda­ tezza della ipotesi. Ma il Mortara. con involontario sofisma, nel corso della dimo­ strazione dimenticava di aver posto la tesi giurisdizionale come premessa incerta e la poneva come proposizione dimostrata : conseguentemente perveniva alla con- seguenza che il legislatore avesse commesso un’ anomalia e violato il sistema ; cne le disposizioni in materia erano strane e confuse; che era difficile immagi- nare un istituto giurisdizionale meno organico ecc. Il Mortara non essendosi ac- corto del proprio errore d’interprete, doveva di necessità attribuire l ’errore al legislatore.

(12)

op. cit.,

p. 20.

(13)

op. cit.,

p. 710. Il corsivo è nostro.

J Giudizi sui conflitti delle competenze amministrative,

In

Primo Trat­

tato compì, di dir. amm. ital.

Milano, 1901.

— 389

pur eccezionalmente, non sarebbe, nel campo di diritto amministrativo, impossibile ».

Ma se si toglie tale precisa critica del Ro m a n o, la dottrina non si occupò più del problema. L ’ Or l a n d o (15) accenna alla tesi della natura giurisdizionale come un dato ammesso, ma senza minimamente affron tare il problema. Parimenti il Ra n e l l e t t i (16) e il Ch io v e n d a (17) se­ guono la tesi della natura giurisdizionale, ma senza alcuna indagine diretta e senza il minimo tentativo di dimostrazione. Pienamente con­ vinto della natura giurisdizionale è il Ra g n is c o (18), ma anche questo autore esaminò il problema molto sommariamente e il suo avviso appare fondato sopratutto sulla supposizione che la dottrina e la giurisprudenza sarebbero sempre state d’accordo nel ritenere giurisdizionali le attribu­ zioni del ministro delle finanze in questa materia (supposizione che, per quanto sopra esposto, deve ritenersi non del tutto esatta). Il fatto, poi, che il decreto ministeriale di qualificazione, secondo alcuni autori, in­ cluso lo stesso Ra g n is c o, sarebbe impugnabile avanti al Consiglio di Stato (il che costituisce un chiaro segno di natura amministrativa) non lo preoccupa molto perchè, diceva il Ra g n is c o seguendo il Mo r t a r a, si tratta di un ricorso « anomalo », e in tale materia, come in quella dei ricorsi contro le decisioni ministeriali in materia di leva, il Consiglio di Stato fungerebbe non da giudice di legittimità degli atti ammmini- strativi, bensì da regolatore di giurisdizione (19).

È solo con I ’ Al l o r io che si inizia una revisione dell’orientamento tra dizionale. Questo autore già nella prima edizione del Diritto Processuale tributario (Milano, 1942, pp. 327-29) inclinava invece a credere che la fun­ zione de qua fosse di natura amministrativa, e ciò sopratutto in conside­ razione del fatto che la legge disporrebbe l’impugnativa delle decisioni

(15) op. cit., p. 896. (16) op. cit., p. 416. (17) op. cit., I I , p. 6. (18) op. cit., p. 485 segg.

(19) È interessante rilevare che il Ragnisco fu poi sostenitore della tesi

secondo cui le Commissioni amministrative per le imposte dirette e le imposte indirette sugli affari svolgono funzione esclusivamente amministrativa e non giu­ risdizionale (in questa rivista, Sul carattere giurisdizionale delle Commissioni tributarie, 1943, I, p. 1 segg.). Molti argomenti da lui addotti a sostegno di tale tesi dovevano anche valere per fargli riconoscere il carattere amministrativo della funzione svolta dal Ministro delle Finanze nella qualificazione delle merci soggette a dogana. Ond’è che molto probabilmente, se l ’ A. fosse potuto tornare sul problema dopo i recenti dibattiti avrebbe riveduto la sua posizione. Non è stato, però, di tale avviso il Rossano, che, ristampando e in tale occasione ab­

bondantemente rifacendo « / ricorsi amministrativi » del Ragnisco (Roma 1954), non ha elencato fra tali procedimenti quello per la qualificazione delle merci a dogana, lasciando così arguire che, secondo i sua convinzione, debba trattarsi di un rimedio giurisdizionale. Comunque il Rossano non si pone il problema, e si limita a rilevare, con una certa perplessità, che tale procedimento dovrebbe ritenersi giurisdizionale perché l ’attività del Ministro delle finanze gli sembra sostitutiva a quella delle parti contendenti. Si direbbe che sfugga al Rossano che rufficio di dogana e il Ministro delle finanze sono due organi di una stessa persona, e non due persone (p. 324); altro è la sostituzione gerarchica, altro la sostituzione giurisdizionale.

ministeriali in materia di controversie doganali avanti al Consiglio di Stato, giudice della legittimità degli atti amministrativi, e non giurisdi zionali. Ed è un mero espediente verbale, secondo I ’ Ai x o r i o, voler supe rare tale argomento con la semplicistica affermazione che si tratti di un ricorso « anomalo ».

Dopo I ’Al l o r io le critiche alla teoria del Mo r t a r a sono diventate sempre più frequenti e convincenti. Il Fr a g o l a (20), annotando una deci­ sione del Consiglio di Stato, confuta la tesi della funzione giurisdizio­ nale, sostenendo che la decisione del ministro delle finanze è di natura amministrativa. Inoltre secondo l’A. il ministro, nel qualificare le merci, gode di un ampio potere discrezionale, potendo addirittura secondo il proprio apprezzamento classificare la merce o in questa o in quella categoria, speeialmente in taluni casi limite, con il che il diritto per­ fetto del privato si affievolirebbe ad interesse legittimo. Conseguente­ mente le decisioni ministeriali sarebbero impugnabili soltanto avanti al Consiglio di Stato, escluso il motivo di violazione di legge, mentre non sarebbe proponibile aleuna azione avanti l’autorità giudiziaria ordinaria.

Il Mi e l e (21) sostiene con molti validi argomenti che la decisione del Ministro è amministrativa, per la presunzione della conformità « della natura dell’atto alla natura dell’organo », presunzione che può cadere solo ove l’atto «rechi univocamente impressi i segni formali di una diversa funzione»; che la decisione stessa è sindacabile dall’a.g.o. perehè la controversia concerne diritti soggettivi, in quanto l’errata classificazione di una merce obbliga a pagare un’imposta non dovuta. L ’Az z a r i t i (22) muove molti dubbi sulla natura giurisdizionale del pro­ cedimento, e conclude che se detta tesi dovesse ritenersi esatta, il capov. art. 26 del T.U. sul Consiglio di Stato dovrebbe ritenersi abrogato per effetto degli articoli 111 e 113 della Costituzione. Il Gi a n n i n i A . D. (23) ritiene « battuta in breccia » la vecchia opinione comune della natura giurisdizionale, e aderisce alla tesi della natura amministrativa.

Fino a tutta la sesta edizione del suo Corso di, diritto ammini­ strativo anche lo Za n o b in i era fra gli autori che propendevano a rite­ nere come giurisdizionale la funzione del Ministro delle finanze che decide le controversie di qualificazione delle merci, ma con la settima edizione (24) egli ha radicalmente modificato il suo orientamento proce­ dendo ad un riesame dell’art. 26 della legge sul Consiglio di Stato. Osserva l’A.: « L ’art. 26, nella sua prima parte, detta una regola gene­ rale che vale per gli atti amministrativi. Nella seconda parte, espressa in forma di eccezione, lo stesso articolo non può riferirsi se non alla impugnativa di atti egualmente amministrativi. In altre parole, gli accennati decreti in materia d’imposte doganali e di leva militare, non

(20)

Giustizia amministrativa,

cit. col. 192. (21)

Riflessi

cit. p. 847 segg.

(22)

L’abrogazione

cit. (23)

Ist.

cit. p. 450 n. 73. (24) Milano, 1954, voi. II, p. 200

3 9 1 _

definiti come atti giurisdizionali da nessun’altra legge, non possono rite­ nersi tali per quello che di essi è detto nell’art. 26, che mostra riferirsi, tanto nella prima come nella seconda parte, agli atti amministrativi. L’eccezione fatta nel secondo comma non può avere per oggetto se non atti della stessa natura di quelli per i quali è posta la regola- generale nel comma precedente. Perciò la restrizione della loro impugnativa ai soli vizi d’incompetenza ed eccesso di potere è fra quelle limitazioni della tutela giuridica, che l’art. 113 della Costituzione ha voluto sop­ primere ».

4. — A nostro avviso, per sapere se la legge 12 novembre 1887, oggi T.U. 9 aprile 1911, n. 330, abbia istituito una giurisdizione speciale, occorre anzitutto ricercare quale sia il concetto di giurisdizione, secondo i dati desumibili dalle fonti del diritto positivo; poi vedere se l’azione svolta dalle camere di commercio e dal ministro rientri in tale concetto. Si deve cioè evitare di ripetere l’errore metodologico di quegli autori che costruiscono il concetto di giurisdizione, del tutto o in gran parte, con dati ricavati dalla teoria generale del diritto o dello stato, errore tanto più grave in quanto, almeno per l’ordinamento italiano, il pro­ blema è tutt’altro che teorico (25).

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