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È prassi risalente l’inserimento, negli accordi di coopera- coopera-zione conclusi dalla Comunità e dall’Unione, di disposizioni

dedicate alla riammissione dei cittadini di paesi terzi. Sin dal 1999 il Consiglio ha inteso fissare un nesso tra il rimpatrio di persone irregolarmente presenti sul territorio di uno Stato membro e la conclusione di accordi europei di associazione e di cooperazione, accordandosi su clausole di riammissione da inserire in tali accordi143.

In tutti questi accordi il rimpatrio delle persone in sog-giorno irregolare in uno Stato membro è indicato come un obiettivo della politica dell’immigrazione. Appare invece differenziato il contenuto delle singole clausole: accanto a semplici dichiarazioni d’intenti di collaborazione nella lotta

all’immigrazione clandestina che tengano conto del prin-cipio della riammissione, si rinvengono clausole che affer-mano l’obbligo di riammettere i propri cittadini, così come previsto dal diritto internazionale consuetudinario, con il formale impegno a stipulare accordi in materia144.

Tali clausole sono successivamente state introdotte in ac-cordi di cooperazione allo sviluppo, per meglio perseguirne gli obiettivi generali. In particolare, l’art. 13 dell’accordo di Cotonou, adottato sulla base giuridica dell’art. 300 TCE, ha inserito per la prima volta nell’accordo di partenariato l’ob-bligo di negoziare accordi bilaterali di riammissione fra Co-munità europea e Stati membri, da un lato, e i singoli paesi ACP, dall’altro145.

La Corte di giustizia non è stata adita per valutare la compatibilità della base giuridica posta a fondamento dell’accordo di Cotonou con tale clausola. Ma nel giugno 2014 essa si è pronunciata sull’inserimento in un accordo di cooperazione con le Filippine di una clausola di riammis-sione, non espressiva solo di intenti generali ma anche di impegni giuridici specifici146. Nel caso di specie, il 6 settem-bre 2010 la Commissione europea aveva adottato una pro-posta di decisione del Consiglio relativa alla stipula di un accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall’altra, sulla base giuridica degli articoli 207 (politica commerciale comune) e 209 TFUE (coopera-zione allo sviluppo), in combinato disposto con l’art. 218, par. 5, TFUE.

L’art. 26 della proposta di accordo conteneva, accanto a dichiarazioni di intenti e generici impegni a cooperare, l’in-dicazione specifica dei mezzi con i quali porre in essere tale cooperazione, e dei risultati che si intendeva raggiungere all’esito della stessa. Nello specifico, il terzo e il quarto para-grafo dell’art. 26 indicavano gli impegni reciproci in

mate-ria di mate-riammissione, anticipando con previsioni dettagliate il contenuto dei risultati da raggiungere attraverso un accordo di riammissione dei propri cittadini, dei cittadini di Stati ter-zi e degli apolidi. L’art. 26, par. 3, stabiliva l’obbligo, a carico di ciascuna delle parti contraenti, di riammettere i propri cittadini che si trovassero in situazione di entrata, soggior-no o residenza irregolari sul territorio dell’altra parte, a sua richiesta, «senza ritardi indebiti», una volta che fosse stata accertata la cittadinanza e che fossero state rispettate le re-gole procedurali. Erano inoltre previsti il rilascio dei docu-menti necessari e la cooperazione tra le autorità competenti dello Stato richiedente e lo Stato destinatario della richiesta.

Il quarto paragrafo dell’art. 26 prevedeva invece la conclu-sione, appena possibile, di un accordo di riammissione fra le parti contraenti, che avrebbe dovuto contenere almeno una disposizione sulla riammissione dei cittadini di altri paesi, diversi da quelli dell’accordo di cooperazione allo sviluppo, e degli apolidi.

Nel maggio del 2012, il Consiglio, nell’autorizzare la fir-ma dell’accordo quadro, ha inserito una serie di nuove basi giuridiche alla proposta di accordo, tra cui anche l’art. 79, par. 3, TFUE, relativo alla conclusione di accordi di riam-missione147.

Il 6 agosto 2012 la Commissione europea ha presenta-to ricorso di annullamenpresenta-to della decisione ai sensi dell’art.

263 TFUE. Ad avviso della Commissione l’inserimento della base giuridica in materia di conclusione di accordi di riam-missione avrebbe prodotto incertezza giuridica sia sul piano interno (per la necessità di applicare regole di voto diverse alla parte dell’accordo relativa alla riammissione, dovendo trovare applicazione le regole procedurali previste nel pro-tocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e nel pro-tocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca), sia su quello

esterno, in ordine «alla determinazione delle disposizioni dell’accordo quadro rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 79, paragrafo 3, TFUE» e «per quanto riguarda il grado di esercizio della competenza dell’Unione ai sensi degli articoli 3, paragrafo 2, TFUE e 4, paragrafo 2, TFUE».

Siffatto inserimento, inoltre, avrebbe comportato «una li-mitazione dei diritti istituzionali del Parlamento europeo e della Corte di giustizia»148. Infine, ad avviso della Com-missione, le disposizioni in tema di riammissione costituiva-no espressione del recepimento in un accordo dell’Unione europea di norme di diritto consuetudinario in materia di riammissione149.

La Corte di giustizia, seguendo le conclusioni dell’avvo-cato generale Mengozzi, ha ritenuto tali clausole ricondu-cibili alle finalità specifiche di un accordo di cooperazione allo sviluppo, rivolto precipuamente al progresso armonioso delle Filippine. La clausola in questione da un lato appari-va espressione di una visione difensiappari-va dell’Unione europea rispetto alla immigrazione filippina, ponendo a capo di tale Stato, da cui notoriamente proviene la maggior parte degli immigrati extra-europei dell’Unione, un obbligo specifico di riammissione dei propri immigrati irregolari. Essa però è sta-ta inquadrasta-ta nell’ambito di un una cooperazione incentrasta-ta sullo sviluppo dello Stato terzo contraente150, senza rendere la riammissione obiettivo autonomo rispetto all’accordo di cooperazione allo sviluppo, né qualificare tale clausola come un autonomo accordo di riammissione. Da tali considera-zioni la Corte ha ritenuto non giustificata l’introduzione di nuove basi giuridiche da parte del Consiglio ed ha annullato la decisione contestata relativamente a quegli inserimenti.

18. Il programma di Stoccolma ha evidenziato la necessità