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In generale le radiazioni ionizzanti costituiscono un pericolo per l’uomo perché la ionizzazione prodotta all’interno della materia vivente induce processi chimici che possono alterare o modificare le cellule e i suoi componenti con conseguente danno ai tessuti e agli organi irradiati. Un flusso di radiazioni ionizzanti può mettere in moto, nel mezzo che attraversa, un gran numero di particelle elettricamente cariche. Queste, rallentando, depositano energia creando dei danni alla struttura chimica del mezzo attraversato. Se quest’ultimo è un tessuto biologico, i danni creati dalle radiazioni ionizzanti si possono esplicare in modificazioni biochimiche. I danni al DNA delle cellule sono i più pericolosi e possono essere prodotti direttamente dalle radiazioni incidenti o indirettamente dalle aggressioni chimiche che i radicali liberi, generati dalla interazione delle radiazioni stesse con le molecole di acqua contenute nei tessuti viventi, esplicando il loro effetto sul DNA.

- 32 - Lo stesso ambiente naturale in cui viviamo ci espone all'azione delle

radiazioni ionizzanti; a queste radiazioni si da il nome di "fondo naturale di radiazioni".

È importante precisare che l'irraggiamento (e quindi il conseguente rilascio di dose) avviene tramite due canali: irraggiamento esterno, dovuto all'esposizione del corpo ai radionuclidi presenti nell'ambiente, e irraggiamento interno, causato dall'ingestione o dall'inalazione di sostanze contenenti isotopi radioattivi.

L'uomo riceve mediamente una dose di 2.4 mSv/a con oscillazioni notevoli da punto a punto del globo terrestre, fino a valori anche venti volte circa più alti di quello medio; anche nel nostro Paese è presente grande variabilità del fondo naturale di radiazioni. Il valor medio valutato per la popolazione italiana è di 3.4 mSv. Questo valore indubbiamente deve costituire un indice di riferimento cui guardare per eventuali raffronti nelle valutazioni di rischio.

Al di là degli effetti positivi che dall'impiego delle radiazioni l'uomo ha saputo trarre, gli aspetti negativi sul piano sanitario, sono oggetto della disciplina di prevenzione da radiazioni ionizzanti e della normativa. Nella classificazione che fa la radiopatologia, l’esposizione a radiazioni ionizzanti comporta due tipi di effetti: questi effetti vengono distinti in

effetti deterministici ed effetti stocastici [16].

Gli effetti deterministici, come la caduta dei capelli e le dermatiti, sono dose dipendenti e si riscontrano solo dopo aver superato una certa soglia (circa 0.25 Gy). Gli effetti di tipo deterministico oggi si possono osservare solo a seguito di eventi incidentali, nei quali gli esposti possono ricevere dosi molto elevate, come si è verificato nel caso del disastro di Chernobyl nel 1986.

Gli effetti stocastici sono invece effetti probabilistici: la plausibilità di comparsa di effetti nocivi, ai fini della radioprotezione, si suppone che non abbia una soglia e che aumenti, secondo una progressione lineare, con la dose di radiazioni.

E' questo il principale, anche se non unico, principio di cautela applicato nella protezione dalle radiazioni. Ne consegue, che le probabilità di insorgenza di una neoplasia sono proporzionali al numero di particelle o

- 33 - radiazioni che vanno a colpire la cellula, in altre parole alla dose

irradiata.

Il periodo di latenza intercorrente tra l'esposizione e la manifestazione clinica è lungo (dell'ordine di anni o di decine di anni).

La dose dovuta ad una singola scansione TC può variare da valori inferiori a 1 mSv a valori maggiori di 27 mSv (per confronto l’esposizione al fondo dovuto alle sorgenti naturali è dell’ordine di 3 mSv all’anno) per cui riferendosi ai rischi delle esposizioni da tomografia computerizzata si fa riferimento unicamente agli effetti stocastici e non a quelli deterministici [13].

In passato, esisteva solo la certezza dei rischi ad alte dosi, mentre, per quanto riguardava il rischio a basse dosi, di pertinenza della radiologia diagnostica, era necessario estrapolare dalle alte alle basse dosi, con le conseguenti polemiche legate alle modalità di estrapolazione. La

Commissione Internazionale di Radioprotezione (con un acronimo

inglese ICRP, International Commission on Radiological Protection), prudentemente, suggerisce l’estrapolazione lineare, altri, in disaccordo, ipotizzano una soglia sotto la quale non vi sarebbero stati effetti cancerogeni. Quindi per quanto riguarda il binomio tra radiazioni di basso livello e rischio di cancro, esistono due correnti di pensiero in netto contrasto tra di loro. Infatti, se da una parte la quasi totalità degli esperti ritiene che qualsiasi dose di radiazione, per quanto piccola, possa causare cancro (dipendenza lineare senza soglia della carcinogenesi), dall’altra, specialmente negli ultimi anni, si sta facendo strada l’ipotesi che esposizioni di basso livello possano essere addirittura benefiche [22]. La curva dose/risposta rappresenta la relazione esistente tra dose di radiazione ed effetti biologici. Tipicamente esistono due modelli: modello lineare e modello non lineare. Entrambi questi modelli possono presentare una soglia. La dose di soglia rappresenta la dose minima al di sopra della quale è evidente un effetto biologico.

La teoria lineare senza soglia si basa sul fatto che anche una singola interazione che interessi una sola molecola di DNA nel nucleo di una cellula di un essere umano possa indurre un cancro. La probabilità di un cancro è, quindi, proporzionale al numero delle interazioni che a sua

- 34 - volta è proporzionale alla dose: quindi il rischio è proporzionale alla

dose.

D’altra parte, il corpo umano ha dei meccanismi di difesa biologici che riescono a prevenire la quasi totalità degli eventi di innesco dello sviluppo di un cancro fatale, producendo enzimi che riparano il DNA danneggiato con un’alta efficienza (99,99% nel caso di urto su un solo filamento, 90% se entrambi i filamenti sono urtati). Sembra inoltre che le radiazioni di basso livello possano addirittura stimolare la produzione di detti enzimi e rafforzare il sistema immunitario.

Esistono poi anche delle altre argomentazioni contro la teoria lineare senza soglia. Per esempio, il numero di eventi di inizio è grosso modo proporzionale alla massa dell’animale: più bersagli di DNA disponibili si traducono in una probabilità maggiore di interazioni della radiazione. Quindi, applicando direttamente la teoria se ne deduce che il rischio di cancro deve essere approssimativamente proporzionale alla massa dell’animale, in netto contrasto con il fatto che questo, per un determinato campo di radiazione, è lo stesso sia per un topo di 30 g che per un essere umano di 70 kg. Il danneggiamento del DNA a seguito dell’irraggiamento è, in media, meno grave del danno dovuto a processi chimici e termici. Si stima che una dose di 0,1 Sv causi soltanto 0,004 mutazioni a lungo termine al giorno, un aumento trascurabile rispetto al valore unitario al giorno risultante dai processi naturali.

In letteratura si trovano molti esempi di questo tipo di esperimenti, sia in

vitro che in vivo, e tutti concordano sul fatto che radiazioni a bassa dose

stimolano l’attività di riparazione degli enzimi. Queste sono tutte dimostrazioni della cosiddetta risposta adattativa: il corpo si adegua agli effetti della radiazione sviluppando una risposta protettiva. La risposta adattativa sembra avere un effetto protettivo anche contro trasformazioni maligne in cellule predisposte a tale trasformazione.

Cospicue quantità di dati raccolti sia su animali che sull’uomo indicano che il periodo di latenza tra un’esposizione alla radiazione e la morte per cancro aumenta al diminuire dell’esposizione, per cui per esposizioni sufficientemente basse il periodo di latenza supera l’aspettativa di vita

- 35 - umana e quindi, di fatto, il cancro non ha il tempo materiale per

svilupparsi [13].

L’altra faccia della medaglia, che del resto rappresenta il punto di vista più condiviso, è che esista un incremento statisticamente significativo di indurre un cancro fatale a seguito dell’esposizione di radiazioni alle basse dosi. Questa asserzione si basa su studi condotti sui sopravvissuti alla bomba atomica, che quindi annoverano 50 anni di follow-up, e su esposizioni occupazionali, in particolare di oncologi e radiologi [14].