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Studio di metodi di valutazione delle metriche di qualità di immagine in tomografia computerizzata per la modellizzazione della relazione tra qualità dell'immagine e parametri di acquisizione

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Academic year: 2021

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questo lavoro di tesi, in particolare il Dott. Chiappino per avermi dato la possibilità di condurre gran parte del lavoro presso l’U.O.C. di Diagnostica per Immagini della Fondazione Toscana G. Monasterio dell’Ospedale del Cuore di Massa.

Inoltre vorrei ringraziare i miei relatori: il Prof. Vincenzo Positano, per la disponibilità, le spiegazioni e gli innumerevoli ricevimenti; il Prof. Francesco d’Errico per avermi dato l'opportunità di svolgere questo lavoro e per tutti i consigli, e l’Ing. Daniele Della Latta per avermi fornito testi e dati indispensabili per la realizzazione della tesi e per avermi seguito con immensa disponibilità e pazienza, non facendomi mai mancare un forte sostegno lavorativo e morale.

Ringrazio i miei genitori e mio fratello Emanuele per il supporto e il sostegno che mi hanno sempre dato tutte quelle volte che mi hanno incoraggiata ad essere forte, vedendomi presa da esami e da questa tesi. Inoltre ringrazio i miei genitori, impagabili sostenitori di questo sogno diventato realtà, per avermi dato la possibilità di arrivare fin qui e per essermi stati accanto in tutte le scelte che ho fatto fino ad ora. A loro dedico questo lavoro di tesi.

Come non ringraziare Leo, che oltre ad avermi sempre “supportato” mi ha più di tutto “sopportato” con il suo incrollabile sostegno e la sua continua presenza anche nei momenti in cui eravamo lontani. Grazie per avermi fatto capire che potevo farcela.

Infine, ringrazio tutte le persone conosciute durante questi cinque anni e mezzo pisani che mi hanno (ognuna a modo suo) fatta crescere e comunque vada, resteranno sempre una parte importante della mia vita.

(2)

- 2 -

Sommario

Introduzione ... 4

Capitolo 1 ... 7

La tomografia computerizzata ... 7

1.1 Introduzione ... 7

1.2 Principio di funzionamento della tomografia computerizzata ... 7

-1.3Evoluzione della tecnologia delle apparecchiature di Tomografia Computerizzata. ... 12

1.3.1 Prima generazione ... 13

1.3.2 Seconda generazione ... 14

1.3.3 Terza generazione ... 15

1.3.4 Quarta generazione ... 17

1.3.5 Scanner ad elica e multidettore ... 19

1.4 Indice di dose ... 23

1.5 Il rischio da radiazioni derivanti da scansioni TC ... 31

-1.6 Il sistema di protezione radiologica e le misure di tutela ... - 35 -

Capitolo 2 ... 38

-Metriche di qualità dell’immagine in tomografia

computerizzata ... 38

2.1 Introduzione ... 38

2.2 Scelta della metriche da analizzare e ruolo delle misure automatiche ... 39

2.2.1 Uniformità ... 40

2.2.2 Rumore ... 40

2.2.3 Numero CT ... 43

2.2.4 Risoluzione spaziale ... 43

2.2.4.1 Point Spread Function (PSF) ... 45

2.2.4.2 Modulation Transfer Function (MTF) ... 47

2.2.5 Risoluzione in contrasto ... 50

2.2.5.1 Il contrasto ... 50

-2.2.5.2 Rapporto contrasto rumore (CNR) ... - 52 -

Capitolo 3 ... 54

Algoritmi di estrazione dei parametri di qualità ... 54

3.1 Introduzione ... 54

3.2 Specifiche dei protocolli di scansione e dei fantocci utilizzati ... 55

3.3 Metodi di estrazione dei parametri ... 56

3.3.1 Uniformità e rumore ... 57

3.3.2 Determinazione della risoluzione spaziale in TC ... 63

(3)

-- 3 --

3.3.3.1 Region Growing ... 65

3.3.3.2 Snakes ... 69

3.3.3.3 Clustering: kMean ... 72

3.3.4 Fattore di forma ... 75

-3.3.5 Confronto tra gli algoritmi di segmentazione e scelta dell’algoritmo migliore ... 77

3.3.6 Curve CNRdettaglio ... 78

-3.4 Realizzazione di una interfaccia grafica in ambiente IDL® per il calcolo dei parametri di qualità ... - 78 -

Capitolo 4 ... 85

Risultati delle scansioni ... 85

4.1 Validazione del software ... 85

-4.2 Confronto tra qualità di immagine calcolata oggettivamente con metodi ripetibili e qualità di immagine percepita ... 87

-4.3 Valutazione della qualità dell’immagine e della dose ottenuta utilizzando i vari protocolli ... 91

-4.4 Valutazione della qualità dell’immagine e della dose fornita dallo scanner al variare dei parametri di acquisizione ... - 101 -

Conclusioni e sviluppi futuri ... - 109 -

(4)

-- 4 --

Introduzione

Il presente lavoro è stato svolto in collaborazione con l’U.O.C. di Diagnostica per Immagini della Fondazione Toscana G. Monasterio presso l’Ospedale del Cuore di Massa.

Tale studio nasce dall’esigenza di valutare in maniera quantitativa la relazione tra qualità dell’immagine, valutata con metriche oggettive, e parametri di acquisizione dello scanner al fine di ottimizzare i protocolli di scansione e di ridurre il rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti nei pazienti sottoposti a Tomografia Computerizzata minimizzando l’esposizione alla radiazione (principio ALARA: As Low As Reasonably

Achievable) senza comprometterne il valore diagnostico dell’immagine.

In generale un’immagine può essere definita valida in termini diagnostici quando permette di: individuare una lesione, accertare la sede nella quale essa ha avuto origine, caratterizzarne la natura, valutarne l’estensione. Per raggiungere tali finalità è necessario che il medico, in base al quesito clinico, stabilisca l’iter diagnostico più appropriato per fornire una risposta (diagnosi) al quesito posto.

La Tomografia Computerizzata (TC oppure CT, dall’inglese Computed

Tomography) costituisce uno strumento diagnostico estremamente

versatile che permette di effettuare diagnosi su molteplici patologie che vanno dalla rilevazione e il follow up di neoplasie, alla valutazione degli effetti dei traumi e degli stati infiammatori.

Per ciascun paziente che si sottopone ad una scansione TC, il medico radiologo deve effettuare una scelta esplicita dei parametri di scansione da utilizzare nell’esame diagnostico con l’obiettivo di ottenere il fascio fotonico più adeguato allo studio del distretto corporeo in esame. I parametri della macchina andrebbero quindi settati unicamente in relazione allo specifico esame medico richiesto e alla struttura morfologica del paziente.

La scelta dei parametri macchina influisce sulla dose ricevuta dal paziente e sulla qualità dell’immagine. Troppo spesso, purtroppo, sia per semplificare i protocolli clinici che per la mancanza di conoscenze e linee guida opportune, si utilizzano gli stessi parametri di scansione per tutta la

(5)

- 5 - popolazione di pazienti, indipendentemente dalle loro età e corporatura.

A parità dei parametri di scansione, sia la qualità dell’immagine che la esposizione dipendono fortemente dalle caratteristiche fisiche del paziente.

Visti gli aspetti radioprotezionistici legati ai sistemi TC (D. Lgs. 187/001), i controlli di qualità delle apparecchiature radiologiche impiegate in diagnostica hanno la finalità di mantenere le esposizioni del paziente a livello più basso ragionevolmente ottenibile, compatibilmente con l’ottenimento dell’informazione diagnostica richiesta. L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire alcuni elementi utili, ad orientare i responsabili delle indagini radiologiche nelle scelte delle modalità per l’effettuazione degli esami e quindi contribuire alla formulazione di protocolli tecnici in stretto rapporto con le necessità cliniche, mirando al raffinamento progressivo delle dosi.

Sebbene il medico sia il fruitore finale delle immagine biomediche è difficile estrarre da valutazioni sulla qualità dell’immagine fatte da osservatori umani dati oggettivi in quanto le metriche di valutazione percepite dagli osservatori umani sono influenzate dalla soggettività del giudizio umano. Si capisce che per ottenere una valutazione appropriata sarebbe necessario un elevato investimento in termini di risorse umane, non garantendo la ripetibilità delle valutazioni.

Questo lavoro è articolato in quattro capitoli.

Nel capitolo 1 vengono illustrate le caratteristiche della strumentazione TC.

Nel capitolo 2, sono state analizzate delle metriche oggettive per valutare la qualità di immagine al variare dei parametri d’acquisizione dello scanner sulla base del protocollo per il controllo di qualità. La necessità di valutazioni quantitative, oggettive, ripetibili e affidabili, attraverso sistemi computer-based, è alla base di confronti per le valutazioni di performance.

Nel capitolo 3 sono descritte le procedure automatiche e gli algoritmi per replicare misure tecniche standard. L’automatizzazione di queste misure ha molti vantaggi rispetto alle valutazioni soggettive; infatti le procedure

(6)

- 6 - automatiche sono ripetibili, più veloci e richiedono meno impiego di

risorse umane.

Sono state fatte delle acquisizioni TC con vari protocolli su un apposito fantoccio dedicato CATPHAN®, consigliato dalla ditta costruttrice dello scanner per la misura dei parametri di qualità. L’analisi dei dati è stata effettuata con un programma realizzato in ambiente di sviluppo IDL® (Research System Inc.).

Nel capitolo 4 viene descritta la validazione del software implementato tramite il confronto con due serie di misure effettuate con metodi semiautomatici, attraverso la misura della percentuale di covarianza nelle varie serie di misure e il test k di Cohen. Sono state modellizzate inoltre le relazioni ottenute, sviluppando delle relazioni quantitative tra dose fornita dallo scanner, qualità dell’immagine e parametri tecnici.

Infine, poiché il concetto di qualità di immagine è un concetto che riguarda anche la percezione soggettiva, i risultati oggettivi sono stati valutati comparativamente ai risultati ottenuti da osservatori umani. I risultati ottenuti dalle metriche di qualità oggettive sono stati confrontati con i pareri forniti un team di professionisti in servizio nel reparto di Diagnostica e Immagini presso l’U.O.C. di Diagnostica e Immagini della Fondazione Toscana G. Monasterio dell’Ospedale del Cuore di Massa. Il gruppo di esperti è stato chiamato ad esaminare le immagini rispetto a vari aspetti: la risoluzione spaziale, il contrasto, il rumore e la qualità generale. Ad ogni aspetto è stato assegnato un punteggio per ciascun criterio di valutazione.

Infine sono stati analizzati i risultati ottenuti in termini di qualità di immagine in funzione dei parametri di scansione dello scanner.

(7)

- 7 -

Capitolo 1

La tomografia computerizzata

1.1 Introduzione

La tomografia computerizzata (TC) è una tecnica radiodiagnostica che consente l’acquisizione di una immagine corrispondente ad una sottile sezione assiale del corpo, in base alla elaborazione, effettuata da un computer, dei valori densitometrici ricavati dai coefficienti di assorbimento di un fascio di raggi X da parte delle strutture anatomiche da esso attraversate.

Si tratta di una tecnica di imaging diagnostico impiegata nella routine clinica da circa vent’anni e rappresenta l’innovazione più importante nello sviluppo della radiologia dopo la comparsa dei raggi X poiché consente di rappresentare sottili spessori del corpo da valutazioni matematiche dell’assorbimento di tali raggi.

I dati statistici dimostrano che la frequenza d’uso di tale modalità di imaging è aumentata vertiginosamente negli ultimi anni ed è destinata ancora a crescere. Per quanto riguarda specificamente i pazienti pediatrici, l’uso della tomografia computerizzata è aumentato in maniera ancora più marcata che negli adulti, in gran parte per l’avvento della TC ad elica che riduce drasticamente la necessità di sedare il paziente.

1.2

Principio

di

funzionamento

della

tomografia

computerizzata

La TC, a differenza della radiografia tradizionale, si avvale di un potente elaboratore matematico che riesce a valutare anche le più lievi perdite di intensità del fascio di raggi X, differenziando strutture con modesta differenza di densità, in questo modo è possibile avere un’ immagine anatomica di una sezione del corpo umano finemente dettagliata,

(8)

- 8 - superando il limite della sovrapposizione delle strutture tipico della

radiografia convenzionale.

Tuttavia, la risoluzione spaziale ed i tempi di acquisizione risultano essere molto meno spinti di quelli della radiografia convenzionale [1]. Il principio di uno scanner CT consiste nell’effettuare varie misure di attenuazione da varie angolazioni attraverso una sezione di un determinato spessore, opportunamente configurabile, del corpo da esaminare. Uno specifico software utilizza questi dati per ricostruire un’immagine digitale della sezione.

Il punto di partenza è abbastanza simile alla radiografia convenzionale. Un fascio di raggi X collimati è diretto attraverso una sezione di corpo verso il detettore che è localizzato dalla parte opposta del paziente. I detettori sono costituiti da cristalli (tipicamente di ioduro di cesio o tungsteno di cadmino) che hanno la proprietà di emettere luce quando vengono colpiti da raggi X. L’intensità della luce emessa è misurata da dei fotodetettori e fornisce una misura dell’energia assorbita (o trasmessa) attraverso il mezzo che è stato attraversato dai raggi X. Sia la sorgente radiogena che i detettori sono montati nel gantry e possono ruotare. I dati di assorbimento relativi ad un determinato angolo rappresentano una proiezione. Ogni proiezione ha la larghezza del corpo ed è spessa quanto lo spessore di fetta impostato.

Figura 1: Rappresentazione schematica di una immagine TC [2]

Un volume di tessuto 3D è detto voxel (volume element) ed è rappresentato come un pixel (picture element). Un pixel è definito dalla terna di numeri (i, j, c) dove i è la coordinata del pixel lungo l'asse

(9)

- 9 - verticale y, j è la coordinata del pixel lungo l'asse orizzontale x e c è il

colore del pixel, ovvero uno dei possibili livelli di grigio. Ciascun pixel della fetta rappresenta il valore medio di attenuazione che si ha nel voxel corrispondente. Lo spessore del voxel è determinato dallo spessore della fetta. Valori tipici delle dimensioni del pixel sono 0.5 mm x 0.5 mm; mentre lo spessore di fetta può variare tra 1mm e 10 mm.

Durante la scansione ogni voxel è irradiato da un fascio stretto di raggi X molte volte. Ogni volta che viene irradiato l’informazione sarà contenuta in una diversa proiezione.

La misura di attenuazione permette di calcolare la riduzione dell’intensità del fascio attraverso una data quantità di uno specifico materiale di spessore ∆x, come espresso dalla seguente formula:

 =  ∆ ( )

dove It è l’intensità misurata oltre il materiale attraversato dal fascio di

raggi X, I0 è l’intensità misurata in assenza di materiale e µ rappresenta il coefficiente di attenuazione lineare del materiale in questione.

Ciascun materiale od organo può essere trattato come una pila di voxel lungo il percorso lineare del fascio attraverso il paziente, dal punto focale del tubo a raggi X fino al rivelatore, per cui la misura di attenuazione rappresenta la somma delle singole attenuazioni di tutti i materiali attraversati. Se si assume che ogni voxel del tessuto attraversato dai raggi X abbia spessore x e coefficiente di attenuazione lineare µ (considerato costante per ogni voxel), allora l’intensità trasmessa è data da:

 =  ∑ ∆ () dove k è il numero di voxel attraversati.

Esprimendo la (2) con i logaritmi naturali si ottiene:



(10)

- 10 - Il processo di ricostruzione dell’immagine avviene in funzione del

coefficiente di attenuazione lineare di ciascun voxel della sezione ottenuto effettuando varie misure con diversi angoli di rotazione. L’attenuazione specifica di un determinato voxel aumenta al crescere della densità e del numero atomico del tessuto (mediati sul voxel) e diminuisce con l’aumentare dell’energia dei raggi X. Il valore di attenuazione per ciascun voxel viene determinato matematicamente attraverso l’uso simultaneo di un grosso numero di equazioni, come la (3), utilizzando tutte le proiezioni che intersecano quel dato voxel.

Quando tutte la proiezioni sono state raccolte è possibile iniziare la ricostruzione della sezione con un algoritmo detto retroproiezione. Nella figura 2 è illustrato il principio della retroproiezione che può essere visto come l’inverso del processo di acquisizione.

Figura 2: Principio dell’algoritmo di retroproiezione [2]

Una ricostruzione approssimata si ha riproiettando all’indietro le proiezione ottenute.

Tale processo ha però dei limiti intrinseci e crea un’immagine poco definita. Per ovviare a tale inconveniente, è entrato nell’uso un metodo detto “retroproiezione filtrata” (filtered back proiection). La retroproiezione viene effettuata filtrando matematicamente il valore di attenuazione di ciascun raggio secondo ciascuna proiezione, prima di immettere i dati nella matrice di ricostruzione.

Noto il valore di attenuazione di ciascun voxel, esso viene successivamente scalato ad un valore intero opportuno e normalizzato rispetto ad un voxel contenente acqua (µw) per mezzo del calcolo dei corrispondenti numeri CT (detti anche numeri di Hounsfield e misurati in unità Hounsfield, HU), secondo la formula seguente:

(11)

- 11 -  =  !− "

" # ($)

dove µm è il valore misurato del materiale nel voxel in esame e K, il cui valore può essere compreso tra 1-100 rappresenta un opportuno fattore di scala. Il coefficiente di attenuazione dell’acqua è ottenuto durante le procedure di calibrazione della macchina. I voxel contenenti un materiale che attenua più dell’acqua (come per esempio il tessuto muscolare, il fegato e l’osso) presentano un numero CT positivo, mentre i materiali con un coefficiente di attenuazione inferiore a quello di riferimento (come per esempio i polmoni e il tessuto adiposo) presentano valori negativi.

I numeri CT hanno un range di variazione che va da -1000 UH per l’aria a 1000 UH per l’osso. I livelli di grigio dell’immagine radiologica che verrà rappresentata corrisponderanno ai valori dei numeri TC in relazione ai coefficienti di attenuazione relativi ai tessuti contenuti e rappresentati nei pixel che compongono la matrice

L’immagine TC è una matrice di numeri tipicamente di dimensioni 512 x 512 con profondità di 12 bit, quindi è possibile discriminare 4096 livelli di grigio tuttavia l’occhio umano riesce a discriminare circa sedici livelli di grigio. Questo comporta una perdita di informazione e dai sistemi di visualizzazione in genere viene visualizzato un numero ridotto di numeri TC corrispondenti ad un numero ridotto di livelli di grigio, l’intervallo di questi numeri è chiamato larghezza della finestra, il centro della finestra corrisponde al numero TC rappresentato dal livello medio di grigio visualizzato. In radiologia digitale è possibile settare la scala dei grigi ponendo il livello sulle tonalità che più interessano il radiologo e, all’interno di questo range, applicare tutti i possibili livelli di grigio percepibili dall’occhio umano (operazione nota come windowing). Bisogna tener presente che questa operazione porta ad una lieve variazione delle dimensioni degli oggetti percepita dall’occhio umano.

(12)

- 12 -

Figura 3: Scala Hounsfield dei coefficienti di attenuazione [3]

1.3 Evoluzione della tecnologia delle apparecchiature di

Tomografia Computerizzata.

Nel 1967 G. N. Hounsfield, nel laboratorio londinese della EMI, progetta e realizza un’apparecchiatura per l’analisi delle radio-densità in una sezione di un fantoccio antropomorfo. Seguì la realizzazione di un prototipo e il 4 ottobre 1971 si esaminò con l’EMI-SCANNER, un primo paziente. Da quella data gli scanner CT sono andati incontro ad un costante sviluppo tecnologico.

Gli scanner TC sono composti da una unità di scansione chiamata gantry, da un generatore, dal lettino del paziente, da un elaboratore elettronico, da una console di comando dove vengono visualizzate le immagini ed, infine, da un sistema di registrazione dei dati acquisiti.

Il gantry è l’anello attraverso il quale scorre il lettino del paziente da esaminare (figura 4-5). Nel gantry è contenuto lo scanner vero e proprio che compie una rotazione completa a una velocità compresa tra 350 e 500 msec. Nello scanner che ruota intorno al paziente si distingue una parte dalla quale fuoriescono le radiazioni e un’altra parte che raccoglie e analizza ciò che resta delle radiazioni dopo che hanno attraversato il paziente (detettori).

(13)

- 13 -

Figura 4: Rappresentazione schematica di un sistema di acquisizione TC [8]

Figura 5: Sistema di acquisizione TC: gantry con lettino porta pazienti

L’evoluzione degli scanner TC ha visto un miglioramento nelle performance del tubo radiogeno, nella diminuzione dei tempi di scansione, dei tempi di ricostruzione, nella riduzione e in alcuni casi nell’eliminazione di artefatti e infine nella quantità di esposizione al paziente.

I diversi assetti geometrici utilizzati negli anni vengono identificati col nome di “generazioni”; di seguito se ne riporta una breve descrizione facendo particolare riferimento all’innovazione tecnologica da essi introdotta.

1.3.1 Prima generazione

La prima generazione di scanner TC era formata da un rivelatore singolo (tipicamente uno scintillatore di ioduro di sodio) e un tubo a fascio parallelo con movimento combinato di traslazione lineare seguita da rotazione incrementale. Tale tipo di geometria richiedeva dei tempi di acquisizione di circa 5-6 minuti per cui trovava applicazione unicamente

(14)

- 14 - per l’imaging di regioni corporee prive di movimenti interni (ovvero la

testa), ma non per il torace (affetto da respirazione e battito cardiaco) o l’addome (affetto da movimenti peristaltici).

Il percorso del fascio a raggi X attraverso il soggetto, corrispondente a ciascuna misura, è definito raggio e l’insieme di essi costituisce una

vista. I primi scanner raccoglievano 160 raggi per vista. Dopo il

completamento della traslazione, il complesso tubo-rivelatore ruotava di 1° attorno al paziente e ripeteva la scansione lineare acquisendo così la seconda vista fino a coprire tutto l’angolo di 180° o 360°.

Figura 6:Rappresentazione schematica del processo di acquisizione negli scanner di prima generazione: fascio parallelo e movimento di traslazione e rotazione sia del generatore di raggi X sia del detettore [2].

1.3.2 Seconda generazione

La seconda generazione di scanner CT portò ad un’importante diminuzione nei tempi di acquisizione dell’immagine. Essa continuava ad utilizzare il movimento di traslazione-rotazione ma impiegava sia fasci di raggi X conici che rivelatori multipli.

Gli scanner di seconda generazione permettono un’acquisizione più rapida in virtù del funzionamento simultaneo di più rivelatori: ciascuno di essi misura separatamente la trasmissione del fascio che gli compete richiedendo così un numero minore di traslazioni. In particolare, il fattore di scala varia come l’inverso del numero di rivelatori. Il fattore tempo è

(15)

- 15 - particolarmente importante, come già evidenziato precedentemente, nelle

scansioni del torace e dell’addome. Il fattore limitante per un’ulteriore velocizzazione della procedura di acquisizione è dato dalla complessità meccanica della traslazione e rotazione che deve essere effettuata in maniera accurata muovendo strutture pesanti senza indurre eccessive vibrazioni, poiché persino piccole deviazioni della posizione dello scanner rispetto ai voxel della matrice di ricostruzione possono provocare artefatti importanti nell’immagine finale.

Figura 7: Rappresentazione schematica del processo di acquisizione negli scanner di seconda generazione: fascio a ventaglio stretto e movimento di traslazione e rotazione [2].

1.3.3 Terza generazione

Con la terza generazione di scanner si abbandona il movimento di traslazione-rotazione per adottare solo una rotazione, eliminando così gran parte dell’inerzia e della complessità meccanica. Inoltre si passa dall’utilizzo di un fascio parallelo ad uno a ventaglio che permette di irraggiare contemporaneamente l’intero paziente. I dati vengono poi raccolti mediante un gruppo di rivelatori rigidamente accoppiato con il tubo a raggi X in maniera tale che essi ruotino contemporaneamente attorno al paziente, da cui il nome di movimento rotazione/rotazione.

(16)

- 16 -

Figura 8: Rappresentazione schematica del processo di acquisizione negli scanner di terza generazione: fascio a ventaglio e movimento di rotazione/rotazione [2].

Nei primi modelli di terza generazione (1975 circa) si utilizzavano 250 rivelatori, nei modelli attuali si arriva a 750, passando da tempi di scansione di 5 s a qualche frazione di secondo, indispensabili per le applicazioni cardiache. Gli scanner di terza generazione richiedono un’elevata stabilità dei rivelatori. Infatti, nella prima e seconda generazione veniva effettuata un’operazione di ricalibrazione dinamica, cioè, prima di ciascuna traslazione ciascun rivelatore misurava i raggi passanti attraverso tutti i voxel, per cui eventuali errori o derive venivano mediati e, sostanzialmente, non erano visibili nell’immagine ricostruita. Negli scanner di terza generazione ciascun rivelatore misura il raggio passante solo attraverso una specifica distanza dal centro di rotazione dipendente dalla posizione del rivelatore nell’array, per cui qualsiasi errore o deriva nella calibrazione di uno specifico rivelatore rispetto agli altri è retroproiettato lungo gli stessi percorsi e, quindi, si rinforza originando un artefatto ad anello, visibile anche per inacuratezze dello 0,1% (figura 9).

(17)

- 17 - Va tenuto presente che gli artefatti ad anello non possono essere eliminati

completamente, ma solo minimizzati attraverso l’utilizzo di rivelatori ad alta qualità (in alcuni casi si utilizzano anche rivelatori a stato solido) ed effettuando delle calibrazione quotidiane. Esistono inoltre delle particolari tecniche, come i collimatori antiscattering, per ovviare a questo inconveniente, che viene successivamente rimosso dall’algoritmo di ricostruzione dell’immagine. Nonostante la presenza di artefatti e l’introduzione di scanner di quarta generazione, questo tipo di macchine ha riscontrato notevole successo ed è ancora ampiamente diffuso in ambito clinico.

1.3.4 Quarta generazione

La progettazione degli scanner di quarta generazione, svolta principalmente presso il 9ational Institute of Health negli Stati Uniti, è avvenuta quasi contemporaneamente con la terza. In questo caso, il tubo a raggi X ruota all’interno di un anello (stazionario) che contiene i rivelatori, nello spazio compreso tra il paziente e i rivelatori stessi, il movimento è quindi di rotazione per il generatore di raggi X e stazionario per i rivelatori (figura 10).

Figura 10: Rappresentazione schematica del processo di acquisizione negli scanner di terza generazione: fascio a ventaglio e movimento di rotazione/stazionario [2]

(18)

- 18 - I primi scanner di quarta generazione contenevano circa 600 rivelatori,

mentre quelli odierni arrivano anche a 4800, con tempi di scansione paragonabili a quelli di una macchina di terza generazione.

Alcune limitazioni degli scanner di quarta generazione sono la minor efficienza nell’uso dei rivelatori e la maggiore suscettibilità agli artefatti dovuti alla diffusione dei fotoni, in quanto non possono essere impiegati dei collimatori anti-scattering.

Gli scanner di questa generazione non sono molto diffusi se non per qualche applicazione particolare.

Fino agli anni ’90, la TC permetteva risoluzioni di 1-2 lp/mm nel piano di scansione, ma molto basse lungo l’asse longitudinale del paziente (asse

z). Inoltre, il tempo di esecuzione dell’esame rimaneva alto a causa

dell’azione di start e stop necessaria per la traslazione del lettino del paziente. La risoluzione lungo l’asse z è ulteriormente limitata dalla scelta dello spessore della sezione, variabile tra 1 e 10 mm. Effettuando la scansione su sezioni a spessore maggiore si possono creare degli artefatti nell’immagine dovuti ad una media parziale ottenuta sui diversi tessuti presenti nel volume irraggiato che risulterà essere più marcata laddove questi sono più eterogenei (come nell’addome) e viceversa meno importante su regioni anatomiche ad andamento longitudinale (come le ossa).

Inoltre, nelle ricostruzioni tridimensionali ottenute impilando le varie sezioni è, spesso, evidente una certa imprecisione dovuta al movimento fisiologico degli organi e involontario del paziente, che si verifica tra una scansione e l’altra (figura 11).

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- 19 -

Figura 11: Ricostruzione tridimensionale ottenuta impilando varie sezioni [1].

E’ quindi evidente che il metodo convenzionale di acquisizione sezione per sezione produce registrazioni poco accurate tra le diverse porzioni a causa dei movimenti involontari. Nasce così l’esigenza di un’acquisizione simultanea di più sezioni che ha portato allo sviluppo della tecnologia ad elica.

1.3.5 Scanner ad elica e multidettore

Dagli anni ‘90 le apparecchiature si sono notevolmente evolute e hanno dato origini a nuove varianti come la TC elica (o a spirale) e la TC multidetettore (o multistrato).

Gli scanner a elica (figura 12) permettono di acquisire immagini tridimensionali in un tempo rapidissimo grazie all’introduzione di alcune innovazioni tecnologiche sia hardware, come l’anello rotante e un tubo a raggi X più potente, sia software, come gli algoritmi di interpolazione per trattare dati non complanari.

(20)

- 20 -

Figura 12: Rappresentazione schematica dell’acquisizione ad elica [2].

Il lettino non si muove più solamente tra una scansione e l'altra ma si trova in movimento continuo insieme al tubo radiogeno e ai dettetori che compiono movimenti continui ad elica (spirale).

L’anello rotante riduce l’intervallo di tempo tra una scansione e l’altra grazie a dei contatti striscianti che permettono una rotazione continua del tubo a raggi X e dei rivelatori, mantenendo il contatto elettrico con i componenti stazionari. I ridottissimi tempi di scansione della TC spirale richiedono delle prestazioni più spinte nel tubo a raggi X impiegato che deve essere in grado di:

1. avere una potenza istantanea superiore rispetto ai modelli utilizzati nelle generazioni precedenti di scanner;

2. dissipare in maniera più efficace il calore; 3. resistere a temperature più elevate.

L’acquisizione con modalità spirale richiede anche di rivedere l’algoritmo di ricostruzione dell’immagine alla luce di opportuni metodi di interpolazione per generare le proiezioni in un unico piano, in maniera tale che le varie sezioni possano matematicamente sovrapporsi lungo l’asse di scansione migliorando il campionamento dei dati senza dover impartire una dose maggiore. Sono stati sviluppati numerosi algoritmi di interpolazione che producono vari effetti sulla qualità dell’immagine, per cui a seconda della specifica applicazione oggetto di studio si sceglie il più conveniente. Durante la scansione ad elica, il movimento continuo del lettino causa lo spostamento delle proiezioni lungo l’asse z; il moto

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- 21 - relativo dipende sia della velocità di avanzamento sia dell’ampiezza del

fascio.

Il rapporto tra lo spostamento del tavolo per una rotazione di 360° e lo spessore di una sezione è definito pitch (passo), un parametro adimensionale importante sia per la determinazione della dose di radiazione ricevuta dal paziente sia per la qualità dell’immagine finale. Ad esempio, un pitch inferiore all’unità implica una sovrapposizione tra le varie sezioni e, quindi, una maggiore dose per il paziente. Negli usuali protocolli clinici tale parametro assume un valore compreso tra 1 e 2. Grazie alla modalità spirale è possibile acquisire un’immagine in 30-40 secondi rendendo virtualmente nulla la possibilità di introdurre artefatti dovuti ai movimenti fisiologici o alla registrazione dell’immagine stessa. Inoltre si hanno notevoli miglioramenti nella risoluzione lungo l’asse z grazie ad un campionamento più efficace, dal momento che le sezioni possono essere ricostruite ad intervalli più sottili. Utilizzando un pitch unitario e uno spessore della sezione di 1 mm è possibile ottenere una risoluzione quasi isotropa tra il piano di scansione e l’asse del paziente (ossia lavorare con voxel cubici in cui l’immagine presenta stessa nitidezza lungo le 3 direzioni del volume su cui è stata effettuata la scansione), ma solo su lunghezze relativamente brevi per le limitazioni imposte dal tubo a raggi X e dal mantenimento del respiro (improponibile per più di 30 s per la maggioranza dei pazienti). Anche se la risoluzione lungo l’asse z è migliore nella modalità spirale rispetto a quella assiale, il tipo di interpolazione e il pitch influenzano comunque pesantemente la qualità finale dell’immagine.

Per utilizzare in maniera ancora più efficace i raggi X e migliorare la risoluzione lungo l’asse z sono stati introdotti array multipli di rivelatori (Figura 13).

(22)

- 22 -

Figura 13: Confronto tra scanner Single Slice e Multiple Slice [1]

La TC multistrato rappresenta un ulteriore evoluzione della TC a spirale. Grazie a questa tecnica il corpo umano viene virtualmente “affettato” in molti strati sub-millimetrici (fino a 160 al secondo) che, rielaborati dal calcolatore, forniscono immagini tridimensionali e indicazioni sulla funzionalità della struttura anatomica esaminata. La disposizione dei rivelatori lungo l’asse z e le profondità selezionabili delle sezioni variano fortemente da costruttore a costruttore.

Figura 14: Rappresentazione schematica dell’evoluzione tecnologica degli scanner multistrato[3].

I vantaggi clinici dell’utilizzo di questo tipo di tecnologia risiedono principalmente nell’elevata velocità di acquisizione che permette di effettuare una scansione estremamente rapida su ampi volumi utilizzando

(23)

- 23 - sezioni non troppo sottili, cosa molto utile quando è il trattenimento del

respiro il fattore limitante o, comunque, l’impiego di settori fini in tempi comunque abbastanza ridotti.

Le prestazioni sono notevolmente migliori sia in termini di velocità che di volume acquisito senza compromettere la qualità dell’immagine, per cui si riescono ad ottenere ottime ricostruzioni multiplanari.

1.4 Indice di dose

Esistono varie unità di misura per la dose, in base al fatto che si faccia riferimento a dose assorbita, dose equivalente e dose efficace.

Il Gray (simbolo Gy) è l'unità di misura della dose assorbita di radiazione del Sistema Internazionale. Un'esposizione di un Gray corrisponde ad una radiazione che deposita un joule per chilogrammo di materia; dimensionalmente il Gray equivale a 1J/1Kg. Il Gray ha sostituito la vecchia unità di misura, il rad che però è ancora talvolta utilizzato (vale la relazione 1 Gray = 100 rad).

Il Sievert (simbolo Sv) è l'unità di misura della dose equivalente di radiazione nel Sistema Internazionale. Tale grandezza ha le stesse dimensioni della dose assorbita, ovvero energia per unità di massa. Rispetto alla dose assorbita, la dose equivalente riflette piuttosto gli effetti biologici della radiazione sull'organismo. La dose assorbita viene convertita in dose equivalente moltiplicandola per un fattore adimensionale dipendente dal tipo di radiazione. Nel caso di raggi X, beta o gamma, 1 Gy di dose assorbita equivale ad 1 Sv di dose equivalente. Mentre per le particelle alfa più dannose per l'organismo, 1 Gy è equivalente a 20 Sv. Per i fasci di neutroni 1 Gy può equivalere da 3 a 11 Sv a seconda dell'energia del fascio. Il Sievert ha sostituito l'unità tradizionale, il rem (vale la relazione: 1 Sv = 100 rem).

Il Sievert è anche l’unità di misura della dose efficace, grandezza in cui si combinano l’energia assorbita dai diversi organi o tessuti colpiti dalle radiazioni ionizzanti e alcuni fattori che tengono conto della pericolosità dello specifico tipo di radiazione e della sensibilità di ciascuno degli

(24)

- 24 - organi o tessuti; vengono molto spesso impiegati i suoi sottomultipli, il

µSv (un milionesimo di Sievert) e il nSv (un miliardesimo di Sievert). Nella radiografia convenzionale c’è un unico punto sorgente per cui la dose che si ha in ingresso sul paziente è molto maggiore di quella che si registra in uscita sul lato opposto; si genera, così, un forte gradiente di dose attraverso il paziente stesso (figura 15).

Figura 15: Gradiente di dose dovuto alla radiografia convenzionale (lo spessore delle linee nel corpo irraggiato è proporzionale alla dose assorbita) [2].

Nella tomografia computerizzata, invece, l’esposizione è effettuata su 360° e, quindi, si ha un gradiente di dose simmetrico attorno al paziente. Supponendo di effettuare una scansione su un oggetto cilindrico uniforme come i fantocci stilizzati, tutti i punti che si trovano su una determinata circonferenza ad una certa distanza dal centro ricevono circa lo stesso valore di dose assorbita (figura 16).

Figura 16: Gradiente di dose in seguito ad una scansione CT [2].

Il valore del gradiente di dose è affetto da numerosi fattori che includono la dimensione dell’oggetto irraggiato, lo spettro del fascio dei raggi X e l’attenuazione del materiale o del tessuto. Per esempio, in un tipico fantoccio per dosimetria costituito da un cilindro di PMMA

(25)

- 25 - (polimetilmetacrilato) di 32 cm di diametro, di solito definito body

phantom, i valori di dose ottenuti al centro sono tipicamente intorno al

50% del valore misurato in posizione periferica (figura 17).

Figura 17: Valori di dose ottenuti su un fantoccio di 32 cm di diametro (Parametri tecnici: 120 kVp, 280 mAs, collimazione 10 mm) [2].

In un fantoccio da 16 cm di diametro, definito head phantom, invece, la misura effettuata nelle medesime condizioni conduce a valori paragonabili al centro e alla periferia (figura 18).

Figura 18: Valori di dose ottenuti su un fantoccio di 16 cm di diametro (Parametri tecnici: 120 kVp, 300 mAs, collimazione 5 mm) [2].

Questo indica che il sia il valore assoluto di dose assorbita che la differenza tra il centro e la periferia sono fortemente dipendenti dalle dimensioni.

Oltre che nel piano di scansione, si hanno delle variazioni di dose assorbita anche longitudinali, cioè lungo l’asse z del paziente o del fantoccio, caratterizzate da un certo profilo di irraggiamento (figura 19) lungo tale asse.

(26)

- 26 -

Figura 19: Profilo di irraggiamento (distribuzione di dose lungo l’asse z) misurato al centro di un fantoccio in PMMA (head phantom) per una scansione CT (parametri tecnici 120 kVp, 280 mAs, collimazione 10 mm) .

Come si vede dalla figura 19, il profilo di irraggiamento non è circoscritto all’area primaria che deve essere visualizzata, ma esistono delle code nella distribuzione dovute all’imperfetta collimazione dei raggi X e alla diffusione dei fotoni all’interno dell’oggetto.

Nel caso di scansioni multiple adiacenti, le code dei profili di irraggiamento contribuiscono quindi alla dose assorbita fuori dall’area primaria di scansione (figura 20). Se queste code sono significative allora determinano una dose assorbita maggiore nell’area primaria, ossia la dose di radiazione in una specifica sezione è data dalla somma dei contributi di quella specifica sezione quando essa è direttamente irraggiata e dei contributi delle code dei profili dei settori adiacenti.

Figura 20: Rappresentazione della dose cumulativa derivante da una serie di fette contigue. A causa del fatto che le code del profilo di dose si estendono abbastanza lontano dalla fetta irradiata si ottiene una dose totale che è tipicamente tra il 25% e il 40% più alta della dose nella singola fetta [5].

(27)

- 27 - Il valore del contributo delle sezioni adiacenti è fortemente dipendente

dallo spessore della sezione, dalla profondità e dalla forma del profilo di irraggiamento.

In generale la dose che nella scansione di una fetta contribuisce anche alla dose nelle altre fette è pari alla dose che la stessa fetta riceve durante la scansione delle altre fette (figura 21).

Figura 21: La dose che la scansione della fetta 1 comporta per le fette adiacenti è pari alla dose che la scansione delle fette adiacenti provoca nella fetta 1 [5].

Per tenere conto degli effetti dovuti alle scansioni multiple sono stati descritti degli indici di dose che sono indicativi della dose di radiazione dovuta ad una particolare scansione TC, ma non forniscono nessuna indicazione sulla dose ricevuta dallo specifico paziente.

Questi indici vengono riportati sulla console di comando in base ai parametri di scansione impostati dell’operatore.

Uno dei primi indici di dose è stato il Multiple Scan Average Dose

Descriptor (MSAD) definito come la dose media nello strato centrale di

una serie di N strati (ciascuno di spessore T) risultante da una serie di scansioni su una lunghezza I:

%&'( =  ) (*+*(,) 





-, (.)

in cui Dseries(z) rappresenta la dose nella posizione z su una linea parallela all’asse di rotazione risultante da una serie di scansioni TC.

(28)

- 28 - L’indice MSAD può arrivare ad essere maggiore rispetto alla dose nella

singola slice di 1.25-1.4. La dose cumulativa nelle fette finali è minore rispetto a quelle centrali poiché manca il contributo della dose derivante dalla scansione delle fette di un lato.

In seguito è stato introdotto dalla Food and Drug Administration, un altro indice noto come Computed Tomography Dose Index (CTDI) che è stato poi inserito nel Code of Federal Regulations.

Esso è definito come la dose di radiazione, normalizzata rispetto alla profondità del fascio, misurata su 14 sezioni contigue:

( = / ) ( *+*(,) 0

0

-, (1)

Il CTDI può facilmente essere misurato usando una camera a ionizzazione cilindrica lunga 10 cm. In tal caso la formula ha dei precisi limiti di integrazione in quanto 7T e -7T sono uguali a ± 5 cm coprendo una lunghezza totale di 10 cm e abitualmente viene scritto come CTDI100 dove il pedice indica l’estensione su cui è stata effettuata l’integrazione. Il CTDI può essere misurato in aria libera con la camera allineata all’asse di rotazione, oppure nel fantoccio; il documento IEC [6] per la misura del CTDI100 si riferisce a due fantocci in PMMA di 16 cm o 32 cm di diametro e lunghi 16. Il fantoccio deve disporre di alloggiamenti per la camera nel centro e in 4 posizioni periferiche (figura 22).

Figura 22: Fantoccio dosimetrico dove sono visibili gli alloggiamenti per la camera di ionizzazione [4].

Questo consente di passare ad una grandezza derivata, il CTDI pesato, ovvero:

(29)

- 29 - (" =  ( ,34+5+ ( ,6+7+8 (0)

Il valore CTDI100,periferia è la media di almeno 4 misure alla periferia del fantoccio (posizioni B,C,D,E in figura 22).

Il CTDIw in fantoccio è utilizzato nel documento della Comunità Europea “Quality Criteria and Reference Doses in CT” [6], ed è il parametro utilizzato ai sensi del D.Leg.vo 187 per la verifica dei Livelli Diagnostici

di Riferimento (LDR) in TC. I Livelli Diagnostici di Riferimento (LDR),

sono grandezze (tempi, CTDI, attività, ecc.) facilmente misurabili e tipiche per ogni procedura diagnostica. La verifica dei LDR, prevista dall’art. 6 del D.Lgs. 187/00, fornisce l’informazione di buon funzionamento degli apparecchi radiologici e quantifica l’ottimizzazione del protocollo clinico nel rapporto rischio/beneficio.

Gli standard di sicurezza [6] raccomandano che il CTDIw sia indicato sulla console del tomografo per dare all’operatore un’indicazione, seppure approssimata, della dose al paziente.

Fino a questo punto le definizioni degli indici dosimetrici non tengono conto di cosa succeda quando la scansione è spirale; infatti il CTDIw è chiaramente definito per una singola scansione assiale e non prevede nessuna correzione per il valore del pitch utilizzato nella scansione spirale. Nella edizione della norma IEC più recente sugli standard di sicurezza in TC [6] viene invece definito il valore di CTDIvol che tiene conto anche dei parametri relativi al protocollo, come il pitch nella scansione ad elica o lo spacing (spostamento del lettino per ogni scansione) tra acquisizioni successive per quella assiale:

( = ("/ (8)

dove 9 e T rappresentano rispettivamente il numero di sezioni acquisite per scansione e lo spessore della sezione e I è lo spostamento del tavolo per rotazione nella scansione ad elica o lo spacing tra acquisizioni per scansioni assiali.

(30)

- 30 - Per la scansione ad elica si definisce il pitch (spostamento assiale del

lettino per ogni rotazione completa) come: <=



=

>?@A

(9) e quindi sostituendo si ottiene:

(C5 =(643D ( )"

Attualmente coesistono sulle apparecchiature in commercio le due grandezze CTDIw e CTDIvol, e ciò può essere potenzialmente fuorviante. E’ quindi estremamente importante che l’esperto in fisica medica esegua dei test che verifichino il significato e l’accuratezza degli indici di dose visualizzati sulla console dell’apparecchiatura tomografica.

Ad oggi sussiste il problema operativo per cui la verifica degli LDR richiede la misura del CTDIw per alcuni esami standard, mentre il valore di dose assorbita è più correttamente il valore di CTDIvol e i due valori possono essere diversi.

Ad esempio lo stesso valore di CTDIvol può essere ottenuto con due pitch differenti e corrisponde a valori di CTDIw molto diversi: 10 mGy di CTDIvol con un pitch pari a 1 corrispondono a un CTDIw di 10 mGy, 10 mGy di CTDIvol con pitch pari a 0.5 corrispondono a un CTDIw di 20 mGy.

Il valore dosimetrico che caratterizza una sequenza di acquisizione e in definitiva, una indagine diagnostica eseguita con la TC, è il Dose Lenght

Product (DLP), espresso in mGy x cm e si ottiene moltiplicando il CTDIw per la lunghezza della scansione.

Per scansioni assiali: DLP = CTDIw x lunghezza scansione

Per scansioni spirali: DLP = CTDIvol x lunghezza scansione, oppure DPL=CTDIw x lunghezza scansione /pitch

La verifica dei LDR comprende la stima del valore di DLP che assume il significato di dose integrale, in analogia al significato del parametro DAP

(31)

- 31 - (dose area product) in radiodiagnostica convenzionale. Anche il valore di

DLP, come il CTDIw, deve essere visualizzato sulla consolle della TC per dare all’operatore informazione sulla dose rilasciata.

Sebbene esistano varie tecniche per stimare la dose efficace, una stima ragionevole può essere ottenuta con l’uso della seguente formula:

EFG HH?@I@ = J ∗ ELM ( )

dove k (NOP ∗ NQRS∗ TNS) dipende dal distretto corporeo in esame ed è dato dalle guide linea europee [12].

Regione corporea k Testa 0.0023 Collo 0.0054 Torace 0.017 Addome 0.015 Bacino 0.019

Tabella 1: Valori di k da usare per le varie regioni corporee

1.5 Il rischio da radiazioni derivanti da scansioni TC

In generale le radiazioni ionizzanti costituiscono un pericolo per l’uomo perché la ionizzazione prodotta all’interno della materia vivente induce processi chimici che possono alterare o modificare le cellule e i suoi componenti con conseguente danno ai tessuti e agli organi irradiati. Un flusso di radiazioni ionizzanti può mettere in moto, nel mezzo che attraversa, un gran numero di particelle elettricamente cariche. Queste, rallentando, depositano energia creando dei danni alla struttura chimica del mezzo attraversato. Se quest’ultimo è un tessuto biologico, i danni creati dalle radiazioni ionizzanti si possono esplicare in modificazioni biochimiche. I danni al DNA delle cellule sono i più pericolosi e possono essere prodotti direttamente dalle radiazioni incidenti o indirettamente dalle aggressioni chimiche che i radicali liberi, generati dalla interazione delle radiazioni stesse con le molecole di acqua contenute nei tessuti viventi, esplicando il loro effetto sul DNA.

(32)

- 32 - Lo stesso ambiente naturale in cui viviamo ci espone all'azione delle

radiazioni ionizzanti; a queste radiazioni si da il nome di "fondo naturale di radiazioni".

È importante precisare che l'irraggiamento (e quindi il conseguente rilascio di dose) avviene tramite due canali: irraggiamento esterno, dovuto all'esposizione del corpo ai radionuclidi presenti nell'ambiente, e irraggiamento interno, causato dall'ingestione o dall'inalazione di sostanze contenenti isotopi radioattivi.

L'uomo riceve mediamente una dose di 2.4 mSv/a con oscillazioni notevoli da punto a punto del globo terrestre, fino a valori anche venti volte circa più alti di quello medio; anche nel nostro Paese è presente grande variabilità del fondo naturale di radiazioni. Il valor medio valutato per la popolazione italiana è di 3.4 mSv. Questo valore indubbiamente deve costituire un indice di riferimento cui guardare per eventuali raffronti nelle valutazioni di rischio.

Al di là degli effetti positivi che dall'impiego delle radiazioni l'uomo ha saputo trarre, gli aspetti negativi sul piano sanitario, sono oggetto della disciplina di prevenzione da radiazioni ionizzanti e della normativa. Nella classificazione che fa la radiopatologia, l’esposizione a radiazioni ionizzanti comporta due tipi di effetti: questi effetti vengono distinti in

effetti deterministici ed effetti stocastici [16].

Gli effetti deterministici, come la caduta dei capelli e le dermatiti, sono dose dipendenti e si riscontrano solo dopo aver superato una certa soglia (circa 0.25 Gy). Gli effetti di tipo deterministico oggi si possono osservare solo a seguito di eventi incidentali, nei quali gli esposti possono ricevere dosi molto elevate, come si è verificato nel caso del disastro di Chernobyl nel 1986.

Gli effetti stocastici sono invece effetti probabilistici: la plausibilità di comparsa di effetti nocivi, ai fini della radioprotezione, si suppone che non abbia una soglia e che aumenti, secondo una progressione lineare, con la dose di radiazioni.

E' questo il principale, anche se non unico, principio di cautela applicato nella protezione dalle radiazioni. Ne consegue, che le probabilità di insorgenza di una neoplasia sono proporzionali al numero di particelle o

(33)

- 33 - radiazioni che vanno a colpire la cellula, in altre parole alla dose

irradiata.

Il periodo di latenza intercorrente tra l'esposizione e la manifestazione clinica è lungo (dell'ordine di anni o di decine di anni).

La dose dovuta ad una singola scansione TC può variare da valori inferiori a 1 mSv a valori maggiori di 27 mSv (per confronto l’esposizione al fondo dovuto alle sorgenti naturali è dell’ordine di 3 mSv all’anno) per cui riferendosi ai rischi delle esposizioni da tomografia computerizzata si fa riferimento unicamente agli effetti stocastici e non a quelli deterministici [13].

In passato, esisteva solo la certezza dei rischi ad alte dosi, mentre, per quanto riguardava il rischio a basse dosi, di pertinenza della radiologia diagnostica, era necessario estrapolare dalle alte alle basse dosi, con le conseguenti polemiche legate alle modalità di estrapolazione. La

Commissione Internazionale di Radioprotezione (con un acronimo

inglese ICRP, International Commission on Radiological Protection), prudentemente, suggerisce l’estrapolazione lineare, altri, in disaccordo, ipotizzano una soglia sotto la quale non vi sarebbero stati effetti cancerogeni. Quindi per quanto riguarda il binomio tra radiazioni di basso livello e rischio di cancro, esistono due correnti di pensiero in netto contrasto tra di loro. Infatti, se da una parte la quasi totalità degli esperti ritiene che qualsiasi dose di radiazione, per quanto piccola, possa causare cancro (dipendenza lineare senza soglia della carcinogenesi), dall’altra, specialmente negli ultimi anni, si sta facendo strada l’ipotesi che esposizioni di basso livello possano essere addirittura benefiche [22]. La curva dose/risposta rappresenta la relazione esistente tra dose di radiazione ed effetti biologici. Tipicamente esistono due modelli: modello lineare e modello non lineare. Entrambi questi modelli possono presentare una soglia. La dose di soglia rappresenta la dose minima al di sopra della quale è evidente un effetto biologico.

La teoria lineare senza soglia si basa sul fatto che anche una singola interazione che interessi una sola molecola di DNA nel nucleo di una cellula di un essere umano possa indurre un cancro. La probabilità di un cancro è, quindi, proporzionale al numero delle interazioni che a sua

(34)

- 34 - volta è proporzionale alla dose: quindi il rischio è proporzionale alla

dose.

D’altra parte, il corpo umano ha dei meccanismi di difesa biologici che riescono a prevenire la quasi totalità degli eventi di innesco dello sviluppo di un cancro fatale, producendo enzimi che riparano il DNA danneggiato con un’alta efficienza (99,99% nel caso di urto su un solo filamento, 90% se entrambi i filamenti sono urtati). Sembra inoltre che le radiazioni di basso livello possano addirittura stimolare la produzione di detti enzimi e rafforzare il sistema immunitario.

Esistono poi anche delle altre argomentazioni contro la teoria lineare senza soglia. Per esempio, il numero di eventi di inizio è grosso modo proporzionale alla massa dell’animale: più bersagli di DNA disponibili si traducono in una probabilità maggiore di interazioni della radiazione. Quindi, applicando direttamente la teoria se ne deduce che il rischio di cancro deve essere approssimativamente proporzionale alla massa dell’animale, in netto contrasto con il fatto che questo, per un determinato campo di radiazione, è lo stesso sia per un topo di 30 g che per un essere umano di 70 kg. Il danneggiamento del DNA a seguito dell’irraggiamento è, in media, meno grave del danno dovuto a processi chimici e termici. Si stima che una dose di 0,1 Sv causi soltanto 0,004 mutazioni a lungo termine al giorno, un aumento trascurabile rispetto al valore unitario al giorno risultante dai processi naturali.

In letteratura si trovano molti esempi di questo tipo di esperimenti, sia in

vitro che in vivo, e tutti concordano sul fatto che radiazioni a bassa dose

stimolano l’attività di riparazione degli enzimi. Queste sono tutte dimostrazioni della cosiddetta risposta adattativa: il corpo si adegua agli effetti della radiazione sviluppando una risposta protettiva. La risposta adattativa sembra avere un effetto protettivo anche contro trasformazioni maligne in cellule predisposte a tale trasformazione.

Cospicue quantità di dati raccolti sia su animali che sull’uomo indicano che il periodo di latenza tra un’esposizione alla radiazione e la morte per cancro aumenta al diminuire dell’esposizione, per cui per esposizioni sufficientemente basse il periodo di latenza supera l’aspettativa di vita

(35)

- 35 - umana e quindi, di fatto, il cancro non ha il tempo materiale per

svilupparsi [13].

L’altra faccia della medaglia, che del resto rappresenta il punto di vista più condiviso, è che esista un incremento statisticamente significativo di indurre un cancro fatale a seguito dell’esposizione di radiazioni alle basse dosi. Questa asserzione si basa su studi condotti sui sopravvissuti alla bomba atomica, che quindi annoverano 50 anni di follow-up, e su esposizioni occupazionali, in particolare di oncologi e radiologi [14].

1.6 Il sistema di protezione radiologica e le misure di tutela

Le attività che comportano l'impiego di radiazioni ionizzanti sono disciplinate da norme specifiche chiamate norme di radioprotezione. In Europa c’è una legislazione avanzata in termini di radioprotezione ed esistono linee guida dedicate alla TC, ma molto deve essere ancora fatto, per ridurre la dose negli esami TC. In Italia la legislazione vigente in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a esposizioni mediche è riassunta nel D. Lgs. 187/001.

Inoltre in ogni ambiente in cui vengono impiegate radiazioni ionizzanti deve esistere un regolamento interno che stabilisca le modalità di esecuzione delle attività lavorative di quel settore al fine di ottimizzare la radioprotezione.

Le norme di radioprotezione sono discusse a livello internazionale da gruppi di esperti che costituiscono la Commissione Internazionale di

Radioprotezione (ICRP) e che emettono raccomandazioni in tema di

radioprotezione.

La ICRP non ha carattere governativo, ma la sua autorevolezza scientifica è riconosciuta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e costituisce una guida per la stessa Commissione Europea. L'ICRP fissa delle linee guida tecniche a cui si uniformano i vari stati emanando leggi che fissano gli adempimenti necessari al fine di realizzare di fatto la radioprotezione stessa.

(36)

- 36 - Il lavoro della Commissione Europea nel campo della protezione contro

le radiazioni si svolge nelle linee stabilite dal Trattato Euratom e dalle direttive del Consiglio emesse in conformità con esso. La direttiva che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti è la direttiva 80/836/Euratom rivista nel 1996 (96/29/Euratom). Nel 1984 il Consiglio ha emesso una direttiva complementare alle “Norme fondamentali di sicurezza concernente la protezione di persone sottoposte a esposizioni per scopi medici” (84/466/Euratom) rivista nel 1997 (97/43/Euratom). Ambedue le direttive chiedono agli Stati membri di stabilire criteri di accettabilità degli impianti radiologici (radioterapia inclusa) e degli impianti di medicina nucleare.

In Italia le norme di radioprotezione sono dettate dal D.Lgs. 230/95 e successive modifiche ed integrazioni.

La direttiva 97/43/Euratom è stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n.187 ("Attuazione della direttiva 97/43/Euratom in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche"). I limiti di dose assicurano la protezione dai danni deterministici e rendono accettabili, pur non annullandoli, quelli stocastici. Di conseguenza, anche rispettando i limiti, rimangono comunque da considerare i danni stocastici per i quali, in via cautelativa, è ammessa una relazione direttamente proporzionale tra dose e probabilità di insorgenza dell’effetto. Poiché il rischio individuale deve essere ridotto al minimo, a meno di rinunciare ai benefici che le radiazioni apportano alla società, si deve provvedere affinché la dose assorbita dalle persone sia la più bassa (ragionevolmente) possibile. Da questa semplice constatazione deriva il disposto dell’art.2 del D.Lgs 230/95 che, accogliendo le raccomandazioni internazionali dell’ ICPR, è il fondamento su cui si basa il sistema di radioprotezione radiologica.

Le principali misure di tutela da adottare si basano sostanzialmente su tre principi fondamentali: giustificazione delle attività, ottimizzazione della

(37)

- 37 - protezione e limitazione delle dosi individuali. Di seguito viene data la

spiegazione dei singoli termini che ne fornisce la normativa [23]:

 Giustificazione: “nuovi tipi o nuove categorie di pratiche che

comportano un’esposizione alle radiazioni ionizzanti debbono essere giustificati, anteriormente alla loro prima adozione o approvazione, dai loro vantaggi economici, sociali o di altro tipo rispetto al detrimento sanitario che ne può derivare”;

 Ottimizzazione: “qualsiasi pratica deve essere svolta in modo da

mantenere l’esposizione al livello più basso ragionevolmente ottenibile, tenuto conto dei fattori economici e sociali”;

 Limitazione delle dosi individuali: “ la somma delle dosi derivanti da

tutte le pratiche non deve superare i limiti di dose stabiliti per i lavoratori esposti, gli apprendisti, gli studenti e gli individui della popolazione”.

Quest’ultimo principio è introdotto per garantire che il rischio per il singolo soggetto esposto sia contenuto entro valori di accettabilità prestabiliti. Il principio, però, non si applica alle esposizioni di pazienti, di persone che collaborano a titolo non professionale al sostegno e all’assistenza di pazienti, di volontari che prendono parte a programmi di ricerca medica o biomedica (essendo tale esposizione medica disciplinata da altro provvedimento legislativo).

I limiti raccomandati dall'ICRP [30] e ai quali si è adeguata la normativa nazionale con il D.lgs. 230/95 sono i seguenti:

(38)

- 38 -

Capitolo 2

Metriche

di

qualità

dell’immagine

in

tomografia computerizzata

2.1 Introduzione

Una metrica di qualità è un metodo che permette di dare una valutazione qualitativa e/o quantitativa di un’immagine. La valutazione oggettiva della qualità suscita grande interesse in quanto le misure soggettive richiedono elevate risorse umane, tempi lunghi e forniscono scarsa ripetibilità e una attendibilità variabile con l’abilità dell’osservatore; tuttavia le metriche oggettive adottate spesso non forniscono un giudizio concorde con i dati soggettivi e con le reali preferenze delle persone.

La qualità percepita, è un parametro soggettivo, dipendente oltre che dalle caratteristiche dell’immagine, cioè dai suoi attributi descrittivi, anche da altri fattori, tra cui la fisiologia e la cognizione della percezione visiva umana, comprendente i meccanismi percettivi del sistema visivo, quali la percezione della luminosità, la percezione del contrasto, la percezione di contorni, la percezione del colore, per fare solo degli esempi.

Nello studio delle metriche di qualità è possibile distinguere le metriche in: soggettive e oggettive. Applicare una metrica soggettiva vuol dire effettuare una valutazione dell’immagine che tenga conto della percezione soggettiva del sistema visivo umano (HVS - Human Visual System).

Applicare una metrica oggettiva vuol dire mettere in atto una computazione che, attraverso l’ausilio di formule matematiche, elabori in maniera automatica la valutazione di un’immagine, senza alcuna interazione col sistema visivo umano.

(39)

- 39 -

2.2 Scelta della metriche da analizzare e ruolo delle misure

automatiche

Le metriche utilizzate per caratterizzare una metodica di imaging non sono necessariamente la stesse, è importante identificare e analizzare quei parametri che permettono di verificare le performance o la specificità di un sistema di imaging.

Pur essendo il medico il fruitore finale delle immagini biomediche è difficile estrarre da sue valutazioni informazioni relative alla qualità dell’immagine in quanto le considerazioni fatte in merito sono influenzate dalla soggettività del giudizio umano e dalla esperienza acquisita. Inoltre i sistemi di visione cosiddetti computer based possono valutare sottili differenze che il sistema visivo umano non può percepire e puossono usare queste informazioni per la caratterizzazione della qualità di una immagine [19].

I due approcci alternativi all’analisi di immagine mediche computerizzate sono gli algoritmi interattivi (o semiautomatici) e gli algoritmi completamente automatizzati. L’analisi automatica, sebbene talvolta sia più difficile da implementare dei metodi semiautomatici, ha il vantaggio di aumentare la velocità di valutazione mantenendo la stessa accuratezza dei metodi semiautomatici e di aumentare la riproducibilità dell’analisi poiché parallelamente per diminuisce la necessità dell’intervento di un operatore esterno [24]. L’analisi completamente automatica si rivela particolarmente utile nel caso di analisi di immagini di fantocci mentre l’analisi semiautomatica rimane la pratica dominante specialmente in tutti quei contesti in cui bisogna effettuare una diagnosi e pertanto errate valutazioni sarebbero inaccettabili.

In questo lavoro si fa riferimento alle metriche oggettive.

Il primo passo è stato quello di definire le metriche oggettive per la valutazione della qualità dell’immagine in TC. Per fare questo, è stato considerato il protocollo per il controllo di qualità [11], prodotto congiuntamente dalla Commissione ADPEQ (Associazione Nazionale Professionale Esperti Qualificati) e dall’ISPESL (Istituto Superiore

Figura

Figura 13: Confronto tra scanner Single Slice e Multiple Slice [1]
Figura 16: Gradiente di dose in seguito ad una scansione CT [2].
Figura 18: Valori di dose ottenuti su un fantoccio di 16 cm di diametro (Parametri tecnici:  120 kVp, 300 mAs, collimazione 5 mm) [2]
Tabella 1: Valori di k da usare per le varie regioni corporee
+7

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