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4 STUDIO CLINICO

4.5 Risultati

Dopo aver studiato le frequenze con cui gli esami clinici di laboratorio si presentavano alterati alle varie settimane di controllo, abbiamo ritenuto importante fare un’analisi statistica che ci dimostrasse la variabilità di quest’ultimi durante il periodo preso in considerazione per poi studiarne la significatività.

Ciò è stato fatto per tutti gli esami clinici di laboratorio trattati nel nostro studio.

Non avendo a disposizione dei dati che avessero una distribuzione normale, dunque gaussiana, ci siamo serviti del test di Kruskal-Wallis per fare un’analisi della varianza. Siamo partiti con la valutazione della PCR alla settimana zero, alla dodicesima, alla cinquantaduesima e a fine follow-up.

Tramite l’utilizzo del test abbiamo potuto dimostrare come variava la relazione tra la terapia assegnata ai pazienti e i biomarker infiammatori.

In particolare è stato messo in evidenza un decremento statisticamente significativo dei valori di PCR.

Il grafico in figura 4.30 dimostra che è presente una differenza statisticamente significativa (p=0,0013) tra la proteina C reattiva prima dell’assegnazione della terapia biologica e quella di fine follow-up.

Lo studio dell’istogramma, inoltre, ha focalizzato l’attenzione sui valori di mediana, che è quella che ci restituisce il valore mediano della distribuzione e il 25° e 75° percentile per indicare il minimo e massimo valore sotto il quale è ricaduta la percentuale dei nostri risultati osservati.

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Figura 4.30-Istogramma rappresentativo della proteina C reattiva con riferimento ai valori di mediana e percentili determinati alle varie settimane di controllo (W0, W12, W52, fine follow-up). Dal grafico si può notare anche una descrizione quantitativa della dispersione dei dati, che subisce un decremento statisticamente significativo. I valori della PCR nel tempo si sono avvicinati sempre più al valore centrale.

Nel complesso i soggetti hanno raggiungo dei valori di PCR più bassi rispetto alla settimana zero quando questi dichiaravano l’uso di farmaci adempienti alle terapie convenzionali con corticosteroidi e immunosoppressori.

Ciò che si può evincere dall’istogramma è che già al secondo controllo, quindi dopo l’assunzione della terapia biologica prescritta alla settimana zero, si aveva una diminuzione evidente dei valori della PCR.

Questo fenomeno è stato riscontrato pure alla cinquantaduesima settimana, che però ha dimostrato valori simili rispetto alla PCR di fine follow-up.

Nella tabella 4.9 sono stati riassunti i valori di PCR ottenuti alle varie osservazioni:

• alla W0 (settimana zero in cui è stata somministrata la terapia biologica, ma non è stata ancora assunta dal paziente);

69 • alla W12 (dodicesima settimana); • alla W52 (cinquantaduesima settimana);

• a fine FU (fine follow-up corrispondente a luglio 2020, cioè dopo un anno e mezzo).

Mediana 25% Percentile 75% Percentile

PCR W0 9,6 4,5 20

PCR W12 4,6 1,9 8,6

PCR W52 3,8 1,6 7,2

PCR FU 3,7 1,7 5,3

Tabella 4.9-Valori di mediana e di percentili ottenuti per la proteina C reattiva alle varie settimane prese in considerazione nel nostro studio retrospettivo.

Inoltre sempre guardando l’istogramma (vedi Figura 4.30) possiamo osservare come la dispersione dei dati si riduca nel tempo, sopratutto rispetto alla settimana zero.

Motivo per cui i valori dei dati ottenuti risultano essere meno distanti dal valore centrale. Avendo paragonato le mediane e applicato a questi risultati il test di Kruskal-Wallis abbiamo potuto dimostrare una certa significatività (p=0,0013) che ci ha permesso di procedere con il test di Dunn per fare un confronto multiplo tra coppie di dati.

A tal proposito la significatività è stata dimostrata solo per le coppie in cui il confronto veniva fatto con la settimana zero (W0 vs. W12, W0 vs. W52, W0 vs. fine follow-up).

70 P-Value W0 vs. W12 0,0329 W0 vs W52 0,0036 W0 vs fine FU 0,0059 W12 vs W52 >0,9999 W12 vs. fine FU >0,9999 W52 vs fine FU >0,9999

Tabella 4.10- Valori di p-value ottenuti dal confronto multiplo tra coppie di dati, cioè dal confronto della PCR determinata a una settimana di riferimento con quella di un altro controllo. I valori di significatività che abbiamo accettato dovevano essere inferiori a 0,05.

La significatività, dunque, è stata appurata solo per quei dati ottenuti paragonando la settimana zero alle successive, quindi confrontando i pazienti che al primo controllo dichiaravano la non assunzione di farmaci o l’uso di terapia corticosteroidea e/o immunosoppressiva con quelli che utilizzavano i protocolli biologici.

Questo ha dimostrato l’efficacia della terapia biologica nei confronti del biomarker infiammatorio della proteina C reattiva.

Abbiamo attuato gli stessi procedimenti per la valutazione dell’emoglobina, delle piastrine, dei leucociti e non per la VES perché spesso l’esame clinico non è stato eseguito data la sua aspecificità nello studio del processo infiammatorio.

Anche per l’emoglobina abbiamo studiato i valori della sua mediana e dei suoi percentili alle varie settimane tranne a fine follow-up.

In questo caso però abbiamo fatto una distinzione tra sessi perché ci trovavamo di fronte a valori di riferimento differenti per uomini e donne.

Dal grafico riportato nella figura 4.31 possiamo subito percepire un’analisi non significativa dell’emoglobina così come ha dimostrato il test della varianza applicato. Infatti il valore di p-value ricavato era corrispondente a 0,2295, mentre la distribuzione del valore mediano si manteneva intorno ai valori di riferimento per entrambi i sessi.

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Figura 4.31-Descrizione attraverso l’istogramma dei valori di mediana e dei percentili dell’emoglobina riferiti al sesso maschile e alle varie settimane ( W0, W12, W52) prese in considerazione nel nostro studio retrospettivo. Dal grafico si può osservare che la dispersione dei dati non è significativa

Per gli uomini i valori di mediana erano più o meno simili in tutti i controlli e sempre uguali o superiori a 13,7 g/dl (vedi Tabella 4.11).

Mediana 25% Percentile 75% Percentile

Hb W0 13,70 12,83 14,13

Hb W12 13,85 13,60 14,65

Hb W52 13,80 13,70 15,20

Tabella 4.11- Distribuzione dei valori di mediana e percentili riferiti all’emoglobina determinata nel sesso maschile ai vari controlli periodici effettuati (W0, W12, W52).

Nel grafico della figura 4.32 anche per le donne non si è dimostrata significatività dei risultati (p=0,0714).

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Figura 4.32- Descrizione attraverso l’istogramma dei valori di mediana e percentili dell’ emoglobina riferiti al sesso femminile e alle varie settimane ( W0, W12, W52) prese in considerazione nel nostro studio retrospettivo. Come si nota dal grafico la dispersione dei valori tra il minimo e massimo percentile non ha significatività statistica.

I valori della mediana alle diverse settimane non differivano molto tra loro e solo per la settimana zero questi presentavano un valore mediano della distribuzione inferiore a 12,1 g/dl (vedi Tabella 4.12).

Nello specifico il valore della mediana al primo controllo era di 11,8 g/dl, a testimoniare in questo gruppo un possibile processo di anemizzazione dovuto al sanguinamento attraverso le feci.

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Mediana 25% Percentile 75% Percentile

Hb W0 11,80 11,33 13,03

Hb W12 12,35 11,15 12,85

Hb W52 12,80 11,90 13,65

Tabella 4.12-Distribuzione dei valori di mediana e percentili riferiti all’emoglobina determinata nel sesso femminile ai vari controlli periodici effettuati (W0, W12, W52).

Nel caso dell’analisi statistica dell’emoglobina riferita al sesso maschile e femminile non abbiamo potuto appurare attraverso il test stabilito una significatività per cui non siamo andati avanti con lo studio del confronto multiplo tra coppie di dati.

Abbiamo fatto lo stesso lavoro per quanto concerne il numero dei leucociti e anche qui non si è avuta una significatività statistica dei dati, conseguentemente a un p-value di 0,4919 (vedi Figura 4.33).

Figura 4.33- Istogramma con valori di mediana e di percentili riferiti al numero di leucociti. Nello specifico confronto tra le distribuzioni del numero di leucociti alla settimana zero, dodicesima e cinquantaduesima.

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I valori di mediana dei tre controlli rientravano sempre nell’intervallo di riferimento con un leggero aumento alla cinquantaduesima settimana rispetto alla dodicesima (vedi Tabella 4.13).

Mediana 25% Percentile 75% Percentile

Leucociti W0 8.080 6.613 11.678

Leucociti W12 7.430 6.253 10.300

Leucociti W52 7.540 6.125 8.513

Tabella 4.13- Distribuzione dei valori di mediana e percentili riferiti al numero di leucociti determinati ai vari controlli periodici effettuati (W0, W12, W52).

Infine, come si può osservare dal grafico 4.34 riportato di seguito, anche per le piastrine abbiamo usato le stesse procedure e test notando per l’ennesima volta una non significatività statistica (p=0,3120).

Figura 4.34-Istogramma rappresentante i valori di mediana e dei percentili riferiti al numero di piastrine determinate alle varie settimane (W0, W12 e W52). Il grafico mostra quanto i valori ottenuti siano poco distanti dal valore centrale, cioè dalla mediana. Ecco dimostrata la non significatività dei risultati.

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I valori della mediana rientravano nei valori di riferimento sia alla settimana zero che alla dodicesima che alla cinquantaduesima (vedi Tabella 4.14).

Mediana 25% Percentile 75% Percentile

Piastrine W0 301.500 221.000 358.750

Piastrine W12 263.500 225.250 323.500

Piastrine W52 259.500 217.000 305.500

Tabella 4.14-Distribuzione dei valori di mediana e dei percentili riferiti al numero di piastrine determinate ai vari controlli periodici effettuati (W0, W12, W52).

Concludendo possiamo dire che la terapia biologica personalizzata ha avuto una grande influenza e significatività statistica sui valori di proteina C reattiva determinandone una sua diminuzione nel tempo. Questo è stato significativo dal punto di vista del processo infiammatorio perché ne dimostra un suo decremento ai fini del miglioramento della malattia intestinale.

Sarebbe stato interessate poter fare un confronto tra i segni clinici della malattia, in particolare tra PCR e emoglobina, ma questo non è stato possibile, dato che come abbiamo visto precedentemente, abbiamo avuto significatività statistica solo per un biomarker. Dunque, i soggetti arruolati nel nostro studio osservazionale hanno dimostrato di avere dei miglioramenti nel loro quadro clinico soprattutto dal punto di vista del processo infiammatorio causato dalla patologia.

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5 CONCLUSIONI

La conoscenza dei sintomi di un paziente affetto da Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale, come si è potuto dedurre dalla descrizione di essa, rappresenta spesso la chiave per rendere la diagnosi il più possibile precoce e concreta.

Non esiste guarigione medica per il Morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcerosa, ma è possibile intervenire in vario modo per gestire, controllare la malattia ed evitare così riacutizzazioni, complicanze e rischio di recidive.

Tutto questo è essenziale per far sì che il paziente affetto da MICI possa avere una buona qualità della vita.

Le terapie, come abbiamo visto, garantiscono una migliore condizione di salute al paziente che deve convivere con questo tipo di patologia per questo motivo è importante l’utilizzo di un corretto approccio terapeutico.

Oltre alla terapia biologica o agli eventuali interventi chirurgici, nel caso in cui non si abbia risposta clinica al protocollo farmaceutico, per migliorare la sintomatologia si può intervenire anche sull’alimentazione e sullo stile di vita.

Nel nostro studio osservazionale retrospettivo sarebbe stato interessante anche poter studiare come l’alimentazione influenzi la malattia e il microbiota intestinale attraverso l’approccio microbiologico, ma ciò non è stato possibile.

Esistono diversi studi che dimostrano che le MICI possono essere associate a disbiosi intestinali con possibili conseguenze negative in termini di salute del paziente.

Queste strette relazioni tra flora batterica intestinale, salute e malattia hanno portato a un grande interesse verso l’uso di probiotici o prebiotici per modulare positivamente l’ambiente gastrointestinale e per prevenire o curare le malattie infiammatorie croniche, come le MICI.

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È chiaro che un microbiota sano ci protegge dalle malattie legate alla disbiosi.

Uno studio del 2017 fatto su modelli animali ha mostrano risultati evidenti sui ruoli diversi e specifici del microbiota intestinale sulla salute e sulla malattia passando da azioni protettive a quelle pro-infiammatorie.

Inoltre, le prove di questi modelli sperimentali suggeriscono che sebbene i batteri intestinali spesso guidino l’attivazione immunitaria, l’infiammazione cronica a sua volta modella il microbiota intestinale e contribuisce alla disbiosi ( Josephine Ni et al., 2017). Nei pazienti affetti da MICI si osserva anche una diminuzione dei batteri con capacità antinfiammatorie e l’aumento di quelli con capacità pro-infiammatorie, dunque in genere ritroviamo una popolazione microbica con una minore abbondanza di Firmicutes contro l’aumento di Proteobacteria e Bacteroidetes ( Atsushi Nishida et al., 2017).

D’altra parte nello stesso studio si è osservato anche un aumento di Escherichia coli nei pazienti con Morbo di Crohn, in particolare questo è stato riscontrato maggiormente a livello del microbiota associato alla mucosa intestinale rispetto ai campioni fecali.

L’aumento dei batteri patogeni con la capacità di aderire all'epitelio intestinale influisce sulla permeabilità, altera la diversità e la composizione del microbiota intestinale in questo distretto e induce risposte infiammatorie a causa dell’attivazione di particolari geni che causano ciò.

Un altro studio condotto sempre nel 2017 in pazienti con MICI, ha evidenziato un’alterazione del microbiota fungino, identificando delle modificazioni a carico dell'ambiente intestinale a spese dei batteri (Harry Sokol et al., 2017).

Tuttavia, non è stata stabilita nell’uomo una relazione causale diretta tra disbiosi e MICI. Il monitoraggio della disbiosi potrebbe essere un buon approccio per supportare nuovi programmi di prevenzione personalizzati per i pazienti affetti da Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, generando degli strumenti che consentano di supportare le decisioni

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inerenti questo tipo di patologia prima della sua manifestazione clinica o nelle diverse fasi di essa.

Un progresso rispetto alle attuali terapie potrebbe essere il trattamento delle MICI con la batterioterapia fecale, cioè un trapianto di microbiota fecale da un donatore sano a uno malato, ma ancora vi sono pochi studi a riguardo.

Questo approccio si pone l’obiettivo di riequilibrare il microbiota intestinale perché come detto precedentemente un fattore che contribuisce all’infiammazione gastrointestinale è proprio la disbiosi.

Per quanto riguarda la dieta ci sono anche in questo caso tanti riferimenti da tenere in considerazione.

Non esiste una vera e propria dieta per il trattamento delle malattie intestinali, ma è bene poter adottare dei consigli alimentari che permettano di convivere meglio con esse.

Sono stati fatti tanti studi per associare l’incidenza delle MICI con l'eccesso o il deficit di vari alimenti.

Uno studio condotto nel 2016 (Danuta Owczarek et al., 2016) e basato appunto sulla dieta e sui fattori nutrizionali che potrebbero essere coinvolti nelle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali ha visto come questi aspetti possano influire notevolmente sia in positivo che in negativo.

A tal proposito si è potuto osservare che un elevato apporto di grassi saturi, monosaccaridi e fibre sono associati a un aumento del rischio di sviluppo di MICI, così come una dieta ricca di grassi in particolare di colesterolo e grassi animali.

Al contrario un aumento del consumo di proteine animali può comportare un minore rischio di sviluppare la malattia.

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La carenza di vitamina D è un fenomeno comune nei pazienti malati di Morbo di Crohn e Colite Ulcerosa e può aumentare il rischio di sviluppo, che può essere incrementato anche da prodotti ricchi di retinolo.

Questi studi hanno sottolineato anche l’effetto protettivo di diete ricche di liquidi, magnesio e vitamina C nei confronti di queste malattie infiammatorie.

La vitamina C contenuta nella frutta e in particolare negli agrumi beneficia di un importante valore nutritivo e per questo può essere consigliata per l’attività antinfiammatoria e antiossidante.

Abbiamo discusso sul ruolo delle fibre nei pazienti con MICI, ma dobbiamo precisare che queste sono soprattutto consigliate in pazienti con Colite Ulcerosa che manifestano stipsi. Anche i fattori emotivi come stress, ansia e depressione incidono sulle malattie infiammatorie intestinali.

Questi aspetti non causano direttamente la malattia, ma la loro presenza prolungata può peggiorarne i segni e i sintomi con possibili riacutizzazioni.

Per ridurre al minimo i segni di questi disturbi dell’umore è utile modificare il proprio stile di vita con abitudini che aiutino a rilassarsi.

Quindi i pazienti con Morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa devono spesso fare i conti con comorbilità come l’ansia e la depressione.

Queste due comorbilità, tuttavia, non hanno lo stesso effetto su chi ne soffre perché mentre i pazienti con depressione riportano generalmente una qualità della vita peggiore, i pazienti con ansia hanno esiti peggiori correlati alla malattia infiammatoria intestinale.

MICI e stress nello specifico rappresentano un connubio ad alto rischio per le persone con diagnosi di Colite Ulcerosa e Morbo di Crohn.

Lo stress è in grado di attivare i processi infiammatori nella fase di remissione di queste malattie.

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Concludendo, data la situazione in cui ci siamo ritrovati a combattere quest’anno, è sorto il mio interesse verso la relazione che esiste tra MICI e SARS-CoV2.

Molte cellule del sistema immunitario hanno origine nel distretto intestinale quindi nel momento in cui si verifica un’alterazione a carico del microbiota il soggetto è più suscettibile alle infezioni. Questa è una causa che può predisporre i soggetti affetti da MICI a un maggior rischio di sviluppare il SARS-Cov2.

Ancora ci sono pochi studi a riguardo ma uno di essi è stato condotto in Italia ( Cristina Bezzio et al., 2020).

Sappiamo che i pazienti affetti da queste malattie intestinali hanno una maggiore predisposizione al rischio di infezioni soprattutto quando hanno una malattia in atto e stanno assumendo una terapia immunosoppressiva.

Gli studiosi hanno dedotto che MICI, vecchiaia e comorbidità sono associate a un esito che tende al negativo per il COVID-19, mentre per i pazienti trattati questo non è lo stesso. Al momento si può solo dire che prevenire le riacutizzazioni della malattia può evitare gli ulteriori danni da COVID-19.

Anche un altro studio (Fernando Magro et al., 2020) ha precisato che il trattamento con terapie immunosoppressive e immunomodulatorie aumenti i fattori di rischio per il COVID-19. Per cui in questa situazione sarebbe bene che questo tipo di terapie vengano ponderate e continuate, mentre l’uso dei corticosteroidi andrebbe ridotto.

La decisione di sospendere la terapia potrebbe risultare azzardata perché complicherebbe le condizioni cliniche dei pazienti affetti da MICI.

Anche il SARS-Cov2 sarebbe stato un altro fattore che avremmo potuto analizzare nel nostro studio, ma tanti fattori non ci hanno permesso di farlo.

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Dunque, le MICI sono malattie la cui incidenza negli anni è aumentata notevolmente e in questa situazione pandemica non bisogna trascurare i pazienti affetti per non peggiorarne le condizioni cliniche.

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