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Studio osservazionale retrospettivo dei biomarker infiammatori nelle MICI in relazione alle terapie biologiche personalizzate

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Biologiche

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina

TESI DI LAUREA

Studio osservazionale retrospettivo dei biomarker infiammatori nelle

MICI in relazione alle terapie biologiche personalizzate

RELATORE

Dott.ssa Sabina PELLIGRA

TUTOR interno

Prof.ssa Maria FRANZINI

CANDIDATO

Luana BUCCHIERI

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INDICE

ABSTRACT ... 2

1 INTRODUZIONE ... 3

1.1 Caratteristiche delle MICI ... 3

1.2 Insorgenza della malattie, cause, sintomi e conseguenze ... 7

1.3 Esami clinici e diagnosi ... 11

1.4 Terapie ... 13

2 METODI E STRUMENTI ... 20

2.1 Approccio metodologico ... 20

2.2 Protocollo per VES ... 21

2.3 Protocollo per proteina C reattiva ... 23

2.4 Protocollo per emocromo ... 24

2.3 Analisi Statistica ... 26

3 SCOPO DEL LAVORO ... 28

4 STUDIO CLINICO ... 30

4.1 Descrizione dello studio clinico ... 30

4.2 Interpretazione dei dati dal punto di vista gastroenterologico ... 33

4.3 Interpretazione degli esami clinici di laboratorio ... 41

4.4 Interpretazione dei risultati in base all’approccio terapeutico ... 64

4.5 Risultati ... 67

5 CONCLUSIONI ... 76

SITOGRAFIA ... 82

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ABSTRACT

Lo studio osservazionale retrospettivo fatto per la stesura della tesi ha avuto lo scopo di analizzare le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.

Abbiamo cercato di studiarne tutti gli aspetti come la diagnosi, il quadro clinico, gli esami di laboratorio e quelli diagnostici per poter giungere a delle conclusioni che ci consentissero di capire quale fosse la terapia biologica adeguata al paziente.

Avendo a disposizione tutti i dati che interessavano la malattia in particolare l’età, il fumo, la sede di sviluppo di essa, il comportamento clinico, l’uso di farmaci, abbiamo potuto fare un’analisi statistica per i pazienti arruolati nel nostro studio.

Il laboratorio di Patologia Clinica del presidio ospedaliero Guzzardi di Vittoria ( ASP 7) ci ha permesso di studiare l’evoluzione delle MICI nel tempo grazie agli esame clinici, ma in particolar modo grazie a quelli inerenti gli indici di flogosi, che risultano essere rilevanti nella valutazione dello stato infiammatorio della malattia.

D’altra parte il reparto di Gastroenterologia dello stesso presidio ospedaliero ci ha fornito tutti i dati necessari per prendere coscienza del paziente che ci trovavamo davanti.

Avuti chiari i punti essenziali per poter procedere nel nostro studio, siamo andati a elaborare un’analisi statistica che ci permettesse di studiare le frequenze con cui variavano i parametri di laboratorio ai vari controlli periodici stabiliti, ma soprattutto che ci consentisse di dare significatività ai risultati ottenuti.

Tutto ciò ci è servito a spiegare meglio l’evoluzione e il decorso clinico della malattia. Siamo arrivati a concludere che la terapia biologica personalizzata abbia dato i suoi benefici non solo dal punto di vista dei parametri clinici di laboratorio ma anche di quelli diagnostici conducendo il paziente affetto da MICI verso una remissione dalla malattia.

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1 INTRODUZIONE

1.1 Caratteristiche delle MICI

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, abbreviate con l’acronimo MICI o IBD, sono un gruppo di patologie che causano un’infiammazione cronica nel tratto gastrointestinale.

Le persone affette da queste malattie possono manifestare sintomi episodici o persistenti che influenzano il normale svolgimento delle attività quotidiane e delle loro abitudini, quindi avendo un peso non indifferente sulla vita di questi pazienti.

Questa infiammazione provoca danni ai tessuti, conseguenti alla proliferazione e infiltrazione cellulare che modifica l’assetto di questi distretti.

Nei pazienti con infiammazione intestinale diversi eventi contribuiscono ad aumentare la proliferazione batterica come la rottura dello strato di muco, la disregolazione delle giunzioni epiteliali strette, l’aumentata permeabilità intestinale e la maggiore aderenza batterica alle cellule epiteliali.

Nelle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali le cellule dell’immunità innata producono un maggior numero di citochine pro-infiammatorie, in particolare di fattore di necrosi tumorale-α (TNF- α), IL-1β, IL-6, IL-12, IL-23 e chemochine.

Le due forme più comuni di MICI sono il Morbo di Crohn e la Colite Ulcerosa (vedi Tabella 1.1).

Il Morbo di Crohn è un processo infiammatorio cronico definito come flogosi trans murale che può interessare tutto lo spessore della parete intestinale e che può colpire qualsiasi tratto del canale alimentare, nonostante prediliga l’intestino tenue.

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Il Morbo di Crohn è probabilmente legato a un difetto presente a livello della barriera mucosa causato da un’attività anomala dei meccanismi di immunità innata e acquisita. Può manifestarsi a qualsiasi età, ma solitamente insorge nei soggetti giovani infatti nella maggior parte dei casi la diagnosi avviene prima dei trent’anni.

Le fistole e le ragadi anali possono essere uno dei primi segni che fanno sospettare la presenza del Morbo di Crohn, così come i sintomi neurologici o psichiatrici.

La malattia si manifesta principalmente con fistole e meno frequentemente con diarrea ricorrente e tracce di sangue nelle feci.

Invece per quanto riguarda la stipsi può continuare a manifestarsi anche dopo che gli altri sintomi della malattia sono sotto controllo.

Si hanno episodi ricorrenti di dolore lancinante, soprattutto a carico della parte inferiore destra dell’addome, generalmente prima dell’evacuazione e anche nausea e vomito, in particolare se sono presenti ascessi o perforazioni della parete intestinale.

Durante le riacutizzazioni si ha difficoltà di evacuazione.

Nella maggior parte dei casi insorge una febbricola, mentre se la febbre è alta e compaiono i brividi si mettono in luce possibili complicanze; altra complicazione è l’inappetenza e la perdita di peso.

Infine nei bambini e negli adolescenti è frequente una compromissione della crescita. La Colite Ulcerosa è anch’essa una malattia infiammatoria cronica, limitata al colon, infatti per questo è pure chiamata Rettocolite.

Interessa prevalentemente il rivestimento della parete intestinale, cioè la mucosa. Probabilmente anch’essa è legata a fattori genetici e/o autoimmunitari.

Questo tipo di patologia presenta un’incidenza più alta rispetto al Morbo di Crohn e solitamente insorge prima dei trent’anni, ma può manifestarsi a qualsiasi età e in alcuni soggetti l’insorgenza è ritardata fino a dopo i cinquanta o sessant’anni.

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Un sintomo molto frequente è la diarrea ricorrente con presenza di muco o sangue nelle feci, le cui tracce talvolta sono visibili a occhio nudo.

Può manifestarsi la stipsi, ma non frequentemente come nel Morbo di Crohn.

I problemi di evacuazione riguardano la necessità di evacuare più frequentemente, tenesmo1 oppure ristagno delle feci che formano una massa dura con conseguente stipsi. Potrebbero comparire ragadi anali e più raramente fistole e non vi è presenza di sintomi neurologi o psichiatrici.

I dolori addominali sono variabili per intensità e localizzazione. Questi possono causare un senso di fastidio al basso addome o al di sopra della cresta iliaca oppure dare luogo a spasmi o crampi dolorosi al centro dell’addome.

Il dolore può diventare più severo nelle fasi di riacutizzazione della malattia. Le riacutizzazioni della Colite Ulcerosa si accompagnano spesso a febbre. Tra gli altri sintomi possono comparire anche nausea e vomito.

L’inappetenza, la perdita di peso e il ritardo della crescita nei bambini non sono sempre presenti nelle forme moderate o medio-gravi della malattia.

Tuttavia, è vero che in alcuni bambini e adolescenti la crescita può essere limitata proprio a causa della malattia.

Figura 1.1-Immagini endoscopiche del tratto intestinale che permettono di osservare le lesioni che si sviluppano nel tessuto affetto da malattia. Nel Morbo di Crohn si può notare un aspetto a ciottoli, mentre nella Colite Ulcerosa sono evidenti le ulcere della mucosa (www.medicitalia.it).

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Tabella 1.1- Descrizione e caratteristiche del Morbo di Crohn e della Colite Ulcerosa.

Sebbene Morbo di Crohn e Colite Ulcerosa siano disturbi distinti condividono molti sintomi e manifestazioni extraintestinali anche se in misura diversa.

La diagnosi deve essere basata sulla combinazione di anamnesi, esame fisico e di laboratorio.

Nello specifico si ottiene valutando i biomarker infiammatori ematici e fecali, seguiti da valutazione endoscopica (esofago-gastro-duodenoscopia e ileocolonoscopia) con biopsie multiple di eventuali lesioni patologiche e risonanza magnetica.

Le MICI si distinguono dalle IBS dette anche Sindromi dell’Intestino Irritabile, perché in quest’ultime non possiamo parlare di infiammazione e per questo sono più difficili da diagnosticare.

Le due sindromi inoltre differiscono per la popolazione batterica intestinale che

MORBO DI CROHN COLITE ULCEROSA

Sede infiammazione

Soprattutto nello spessore della

parete dell’intestino tenue Mucosa del colon-retto

Età insorgenza Soprattutto prima dei 30 anni A qualsiasi età

Caratteristiche della malattia

Zone sane alternate a quelle malate, cell. caliciformi normali, architettura

ghiandolare conservata, infiltrato linfocitario irregolare, muscolaris mucosae normale, infiammazione

sottomucosa con marcate sproporzioni

Diffusa uniformemente, cell. caliciformi ridotte, architettura ghiandolare distorta, infiltrato linfocitario uniformemente diffuso, muscolaris mucosae addensata,

infiammazione sottomucosa minima

Sintomi

Fistole anali, stenosi dell'ileo, dolore addominale, stipsi, perdita di peso,

diarrea

Diarrea, feci con sangue o muco, raramente stipsi e fistole, dolori

addominali Sintomi

extraintestinali Febbricola, dolori articolari

Febbricola, dolori articolari, manifestazioni dermatologiche

Complicanze

Ulcere intestinali, stenosi ileali, fistole e ascessi anali, inappetenza,

perdita di peso, compromissione della crescita nei bambini e

adolescenti

Ulcere, la crescita dei bambini e degli adolescenti può essere limitata

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interessano; nonostante i sintomi siano simili, le cause di insorgenza variano.

L’IBS è una patologia funzionale in cui l’apparato digerente appare normale, ma non sempre ha una corretta funzionalità.

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali sono in aumento, infatti negli ultimi trent’anni si è notata una notevole incidenza di quest’ultime.

Si calcola che in Italia oggi siano affette circa duecentomila persone; colpiscono con la stessa frequenza i due sessi, in media con un esordio clinico che in genere si colloca fra i quindici e i quarantacinque anni, ma si stima che il 20% di queste patologie venga alla luce addirittura in età pediatrica con conseguenze fisiche e psicologiche che possono risultare devastanti per la crescita e lo sviluppo del bambino.

1.2 Insorgenza della malattie, cause, sintomi e conseguenze

Le MICI sono malattie idiopatiche, ovvero a causa sconosciuta, ma si ritiene che certamente i fattori genetici, il sistema immunitario e l’ambiente influiscano sull’insorgenza.

Sono malattie non ereditarie, ma è noto che presentano una tendenza a insorgere nei parenti di persone affette.

Trattandosi di malattie infiammatorie e autoimmuni l’ipotesi patogenetica più attendibile è quella di una reazione immunologica da parte dell’intestino nei confronti di determinati antigeni, per esempio da parte di batteri che normalmente popolano la nostra flora intestinale.

Nello specifico la base molecolare delle MICI è legata all’attività immunologica delle cellule T, che sono attivate dalla confluenza di fattori genetici e ambientali che generano a loro volta uno squilibrio sul piano immunitario portando all’infiammazione.

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Per quanto riguarda i fattori ambientali, tra cui la dieta, la correlazione tra un’attivazione impropria delle cellule T e quest’ultima invece non è stata ancora dimostrata.

Anche le alterazioni del microbiota intestinale possono avere la loro influenza sulla malattia, infatti la presenza di disbiosi può incidere sfavorevolmente aumentando la permeabilità intestinale.

Per tale motivo si eseguono dei test che misurano il rapporto tra Lattulosio e Mannitolo che deve essere inferiore a 0.03 mg/L, nello specifico con un rapporto di 5:1.

Normalmente in un intestino sano queste molecole passano nel flusso ematico per poi essere escrete attraverso le vie urinarie entro sei ore dall’assorbimento.

Però in caso di disbiosi quello che si verifica è un aumento del rapporto tra queste due molecole legato ad una maggiore permeabilità del Lattulosio che ritroveremo nelle urine sottoforma di molecole più grandi.

In recenti studi si è pure dimostrato come la struttura irregolare dei mitocondri e la riduzione dell’ATP in alcuni pazienti con MICI influenzino lo stress metabolico (Alpana Saxena et al., 2017).

Inoltre, è stato individuato un gene chiamato NOD2che se mutato rende più suscettibili al Morbo di Crohn incidendo sulla maggiore proliferazione di batteri patogeni che a loro volta portano ad un incremento delle citochine pro-infiammatorie e successivamente a un’infiammazione cronica.

Normalmente i batteri commensali e NOD2 interagiscono con un meccanismo che fa sì che il gene mantenga un controllo sulla proliferazione batterica in modo tale che il microbiota possa intervenire sull’espressione genica.

Altri studi sulle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dimostrano un aumentato rischio di sviluppare cancro nelle aree dell’intestino interessate dalla patologia e in particolare dall’infiammazione e ciò è sempre correlato alla riduzione della funzionalità del

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9 gene NOD2 (Diogo Branquinho et al., 2016).

Tra i fattori ambientali che predispongono a un maggior rischio di sviluppare il Morbo di Crohn abbiamo il fumo, che d’altra parte si comporta in modo curioso per la Rettocolite Ulcerosa perché sembra essere protettivo nei confronti di questo stato patologico.

Gli effetti del fumo di sigaretta sulle MICI sono attribuiti alla nicotina, che può ridurre l’apoptosi o influenzare la famiglia delle MAP chinasi e il TNF-α attraverso l’inibizione del segnale nucleare del fattore kappa B, il quale come fattore di trascrizione gioca un ruolo chiave nella regolazione della risposta immunitaria, dei processi infiammatori e autoimmuni (Chui Chong et al., 2019).

Il fumo nel caso della Rettocolite è stato associato a una ridotta permeabilità intestinale. Parlando invece dei sintomi delle MICI possiamo dire che non solo coinvolgono il distretto gastrointestinale, ma anche altri organi infatti si parla di effetti extraintestinali, i quali si suddividono in due categorie che sono le manifestazioni extraintestinali (MEI) e le complicanze extraintestinali.

Le manifestazioni extraintestinali possono essere reumatologiche, dermatologiche, oculari, epatobiliari, renali, genito-urinarie e meno frequentemente interessano anche i polmoni, il cuore, il pancreas o il sistema vascolare.

Possono dipendere dall’attività della malattia, essere indipendenti da essa o dipendere dalle complicanze infiammatorie e metaboliche.

Le complicanze extraintestinali sono causate principalmente dalla malattia stessa e includono condizioni come il malassorbimento con conseguenti carenze di micronutrienti, osteoporosi, neuropatie periferiche, calcoli renali, calcoli biliari e gli effetti collaterali correlati all’utilizzo di alcuni farmaci.

I meccanismi che correlano le MEI con le MICI non sono ben chiari, ma si pensa siano di origine multifattoriale.

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In ambito pediatrico invece si assiste a una riduzione della crescita e ritardo nello sviluppo puberale, come abbiamo già detto in precedenza quando abbiamo descritto il Morbo di Crohn e la Colite Ulcerosa.

La malnutrizione nelle MICI è multifattoriale e le carenze nutrizionali croniche sono probabilmente correlate indirettamente all’insufficiente apporto calorico e all’aumentato dispendio energetico conseguente alla presenza di lesioni infiammatorie croniche e recidivanti.

Anche il trattamento farmacologico, a causa delle diverse interazioni farmaco-nutrienti, può causare la malnutrizione compromettendo la normale digestione e l’assorbimento degli alimenti.

Dal momento che le MICI possono determinare stenosi del tratto gastrointestinale è fondamentale mangiare cibi altamente digeribili e seguire le raccomandazioni riguardanti le terapie farmacologiche, in quanto l’interazione tra l’alimentazione e i farmaci, come detto precedentemente, può influenzare il processo patogenetico.

Alcuni cibi hanno un effetto peggiorativo sui sintomi se consumati in quantità eccessive. Poiché si può verificare una perdita di peso indesiderata, specialmente in corrispondenza della riacutizzazione dei sintomi, i pazienti devono sempre assicurarsi di assumere una quantità sufficiente di sostanze nutritive e di liquidi, consumando pasti ridotti ma frequenti e se necessario assumere integratori alimentari.

Sia la scienza che i pazienti associano la dieta alle MICI, infatti a tal proposito ci sono numerosi studi sia epidemiologici che sperimentali.

Tuttavia, al momento mancano prove scientifiche a supporto dei consigli dietetici e la consulenza dietetica per questi pazienti è spesso limitata nella pratica clinica al miglioramento dell'assunzione dei nutrienti.

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molti pazienti che ne sono affetti riportano come la dieta sia stata uno dei fattori scatenanti la riacutizzazione della malattia.

Ci sono terapie che si basano sulla nutrizione enterale2 e parenterale3 e che possono essere utilizzate come terapie primarie o di supporto, di cui rispettivamente le prime servono a indurre e mantenere la remissione della malattia e le seconde a sostenere gli effetti a lungo termine della terapia farmacologica.

La nutrizione parenterale spesso viene usata quando si sviluppa un’intolleranza a quella enterale, in particolare quando i pazienti si trovano in una situazione di grave malnutrizione.

I sintomi oltre ad essere sensibili al regime alimentare lo sono pure allo stress, allo stile di vita e i cambiamenti nutrizionali possono aiutare a migliorare la sintomatologia e il decorso clinico della patologia.

Infine anche situazioni di disagio psichico come ansia e depressione possono scatenare un peggioramento delle MICI, incentivando quelli che sono i processi infiammatori.

1.3 Esami clinici e diagnosi

Dal punto di vista diagnostico vengono fatti esami di primo livello che comprendono: Biomarker infiammatori (VES, PCR e β₂-Microglobulina);

Calprotectina e Lactoferrina fecale;

Anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA), autoanticorpi prodotti dal sistema immunitario e che si rilevano maggiormente nella Colite Ulcerosa;

Anticortpi anti-Saccharomyces Cerevisiae (ASCA), proteine prodotte dal sistema immunitario e la cui presenza è maggiore nel Morbo di Crohn;

2 Nutrizione enterale: somministrazione di alimenti attraverso un sondino introdotto nell’apparato digerente.

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Esami di funzionalità epatica (enzimi di origine epatocitaria; bilirubina diretta e indiretta; la quantità totale di proteine plasmatiche; fattori della coagulazione; anticorpi specifici per l' epatite A, l'epatite B, l'epatite D e l'epatite E);

Esami di funzionalità renale (indice di azoto ureico, creatinina, sodio, potassio,

cloro, calcio, fosforo, acido urico e l'esame delle urine). A questi si associano l’esame emocromocitometrico, sideremia, ferritina, ricerca di sangue

occulto e leucociti fecali, test di permeabilità intestinale (Zonulina), determinazione della tossina A/B del Clostridium difficile, α-Antitripsina, esami di viro-immunologia (HBV, HCV, EBV, HIV, CMV), coprocoltura e parassitologico delle feci, Zinco e Magnesio, vitamina B12 e Acido Folico.

Per fare una diagnosi corretta il gastroenterologo deve per prima cosa poter escludere altre possibili cause di infiammazione, per esempio l’infezione da parassiti o da batteri. Pertanto vengono svolti numerosi accertamenti.

I campioni di feci sono analizzati per evidenziare anche un’eventuale infezione batterica o parassitaria incluso quella che può originare dall’uso di antibiotici per esempio causata dal

Clostridium difficile.

Inoltre vengono prescritti esami che possano escludere l’IBS, la celiachia, la colite ischemica.

Oltre alla diagnosi fecale ed ematica spesso il medico per arrivare a un dato concreto procede nel prescrivere al paziente degli esami diagnostici come la colonscopia, la biopsia intestinale tramite esame istologico, l’ecografia addominale e dell’intestino attraverso cui valutare i movimenti intestinali, l’eventuale presenza di anse distese, lo spessore della parete intestinale, la presenza di versamenti e/o di ascessi, oltre che di eventuali linfadenopatie.

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terapeutico che abbia lo scopo di evitare i fenomeni di riacutizzazione della malattia. L’ultima fase riguarda la prescrizione dei farmaci, che determinano una riduzione

dell’infiammazione e degli effetti della malattia, e il monitoraggio dello stato patogenetico. Una volta avuto chiaro il quadro clinico del paziente affetto da Malattia Infiammatoria

Cronica Intestinale si stabiliscono dei controlli periodici.

Ad ogni controllo il gastroenterologo valuta le condizioni del malato, prescrive le analisi cliniche di laboratorio attraverso cui poter studiare soprattutto gli indici di flogosi come la proteina C reattiva e la velocità di eritrosedimentazione.

Grazie a ciò constatata se la terapia assegnata al paziente sta funzionando.

Questo viene eseguito a intervalli standard per studiare l’andamento della malattia, monitorarla e capire come la terapia stia agendo sulla malattia intestinale infiammatoria.

1.4 Terapie

Le terapie si basano sull’uso di diversi farmaci come la Mesalazina, il cortisone, gli immunosoppressori e i farmaci biologici, che sono quelli che hanno rivoluzionato il trattamento delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.

La Mesalazina appartiene alla categoria degli acidi amino salicilici e ha azione antinfiammatoria selettiva nei confronti della mucosa intestinale.

I corticosteroidi vengono prescritti per le proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive, ma il loro uso prolungato determina degli effetti collaterali per cui non sono utilizzabili a lungo termine.

I farmaci immunosoppressori, invece, vengono usati perché le MICI sono patologie autoimmuni.

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(MTX), il Micofenolato Mofetile (MMF), il cui principio attivo si basa sulla modulazione

negativa del sistema immunitario con effetti antiproliferativi e antimetaboliti. In genere la terapia immunosoppressiva viene usata quando vi è impossibilità di

interrompere completamente quella corticosteroidea a seguito dello sviluppo di una steroido-dipendenza.

Rispetto alle terapie convenzionali i migliori farmaci sono quelli basati sull’uso di anticorpi anti fattore di necrosi tumorale α (anti-TNF α) e quelli che sono diretti contro delle specifiche proteine che vanno a influire sulla diapedesi dei leucociti o sulla modulazione negativa del sistema immunitario.

Pertanto i protocolli terapeutici biologici hanno una migliore efficacia proprio perché permettono di ottenere una remissione prolungata della malattia senza l’uso di steroidi e una guarigione della mucosa.

Tuttavia questi prodotti sono costosi e sono associati ad un aumentato rischio di infezioni e possibilmente alla comparsa di tumori della pelle.

Dunque, la durata di questi trattamenti può essere messa in discussione e alcuni pazienti e medici possono optare per l'interruzione se risulta necessario.

Le MICI in un primo momento venivano trattate con una terapia “step-up”, successivamente però si è scelto di adottare un protocollo “top-down”.

Tradizionalmente infatti si procedeva prima con l’uso di Mesalazina e in caso di non risposta a questa si usavano gli steroidi e gli immunosoppressori per poi arrivare alla somministrazione di farmaci biologici. Nel caso di non risposta terapeutica si passava all’intervento chirurgico.

Con l’introduzione dei farmaci biologici si è riusciti a modificare l’andamento della malattia, aumentando i periodi di remissione, diminuendo le ospedalizzazioni e la necessità di intervento chirurgico.

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I farmaci biologici e gli immunosoppressori funzionano sicuramente meglio se utilizzati nelle fasi iniziali della malattia, quando ancora l’infiammazione non ha prodotto alterazioni irreversibili delle strutture intestinali.

Il nuovo approccio al trattamento delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dovrebbe essere quello “top-down” che prevede fin dall’inizio l’utilizzo di farmaci più aggressivi capaci di modificare la progressione della malattia, per poi eventualmente utilizzarne di meno impegnativi nelle fasi successive, una volta stabilizzato il quadro clinico.

Un giusto compromesso tra i due approcci potrebbe essere quello dello “step-up

accelerato”, che prevede il rapido passaggio alla terapia biologica o immunosoppressiva in

caso di mancata risposta al primo tentativo terapeutico con steroidi o di precoce riacutizzazione dei sintomi alla sospensione del cortisone.

Però, come abbiamo già detto precedentemente, questi nuovi approcci terapeutici non possono essere utilizzati in maniera indiscriminata su tutti i pazienti affetti da MICI. Analizzando i vari protocolli terapeutici si è pure pensato a una combinazione tra

immunosoppressori e farmaci biologici, ma questo ha avuto risultati variabili. I farmaci biologici attualmente disponibili in Italia sono Infliximab e Adalimumab.

Figura 1.2- Meccanismo d’azione di Infliximab. Il farmaco legandosi al TNF-α impedisce il legame di questo fattore al suo recettore così da poter ridurre la risposta infiammatoria. Questo meccanismo vale pure per Adalimumab che appartiene alla stessa classe di farmaci (F. Scaldaferri et al., 2015).

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Nonostante la provata efficacia dei farmaci biologici nel mantenere la remissione, non bisogna dimenticare che comunque in alcuni casi i pazienti perdono la risposta clinica inizialmente raggiunta nella la terapia di mantenimento.

In questi casi la strategia che si consiglia è quella di intensificare la dose o ridurre l’intervallo tra le somministrazioni, in quanto è stato visto un recupero della risposta clinica alla terapia.

Nel caso in cui un paziente non dia segni evidenti al primo trattamento della malattia con agenti anti-TNF α si suggerisce il passaggio ad un’altra molecola della stessa classe, cioè da Infliximab a Adalimumab o viceversa.

Questo protocollo terapeutico viene applicato anche in caso di ipersensibilità o intolleranza ad una molecola presente nel farmaco.

Il motivo principale della variabilità inter-paziente nei livelli di farmaco è rappresentato dalle differenze nella clearance e dalla distribuzione del farmaco nel corpo.

La farmacocinetica delle terapie anti-TNF α è spiegata da alcune variazioni delle dosi, del programma a cui è sottoposto il paziente e dalla via di somministrazione del farmaco. In uno studio condotto nel 2017 si è visto che nel Morbo di Crohn per un miglior controllo dell’infiammazione intestinale ci sono più prove a supporto di Infliximab, mentre

Adalimumab mostra risultati variabili (M.G.Ward et al., 2017).

Anche per la Colite Ulcerosa sono stati fatti degli studi utilizzando questi due farmaci che

hanno dimostrato una guarigione della mucosa intestinale. Nonostante le terapie con gli anticorpi monoclonali diretti contro il fattore di necrosi

tumorale α negli anni abbiano preso il sopravvento, esistono altri protocolli usati per il trattamento delle MICI.

Vedolizumab e Ustekinumab sono due farmaci che hanno azione nel caso in cui la malattia

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del TNF α sia risultata inefficace o non tollerata dal paziente.

Mentre la terapia con anti-TNF α utilizza un dosaggio basato sul peso e quindi teoricamente ha una maggiore flessibilità risultando personalizzata al paziente, la terapia con Vedolizumab viene somministrata a una dose fissa.

Un’altra differenza sta nel fatto che per i pazienti trattati con anti-TNF α è essenziale il monitoraggio di essi per seguire il decorso terapeutico, nel caso di quelli trattati con

Vedolizumab tutto ciò risulta meno chiaro.

Il principio attivo di Vedolizumab e di Ustekinumab è basato su anticorpi monoclonali.

Vedolizumab è un farmaco biotecnologico a selettività intestinale.

In particolare si tratta di un anticorpo umanizzato che è selettivo per l’integrina α4β7, cioè una proteina che si trova principalmente espressa sulla superficie di alcuni globuli bianchi dell'intestino. L’anticorpo blocca il moto dei linfociti T della memoria verso il tessuto infiammato inibendo l’interazione con una molecola chiamata MAdCAM-1 responsabile dell’adesione cellulare delle cellule α4β7-mucose e che è espressa nei vasi sanguigni e nei linfonodi del tratto gastrointestinale per cui si impedisce il passaggio dei linfociti dal circolo sanguigno alla parete intestinale durante il processo infiammatorio determinando una riduzione di quest’ultimo.

Figura 1.3- Meccanismo d’azione di Vedolizumab. Il farmaco agisce impedendo l’interazione tra l’integrina espressa sulla superficie dei globuli bianchi e una proteina espressa a livello dei vasi sanguigni. Questo fa sì che al globulo bianco non sia concesso il passaggio verso la mucosa intestinale ( Eugeni Domènech et al., 2016).

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Si tratta di un farmaco a infusione endovenosa che viene somministrato a zero, due e sei settimane e successivamente ogni otto settimane nei pazienti che rispondono alla terapia. Inoltre viene somministrato in infusione per un tempo corrispondente a trenta minuti. Tutti i pazienti vengono monitorati per verificare la comparsa di eventuali reazioni durante l'infusione e per almeno una o due ore dopo.

D’altro canto Ustekinumab, invece, si lega a una proteina chiamata IL-12/23p40', che fa parte di due citochine del sistema immunitario che sono l’interleuchina-12 e l’interleuchina-23, le quali prendono parte al processo infiammatorio.

Il principio d’azione di questo farmaco è quello di modulare negativamente l’attività del sistema immunitario.

Figura 1.4-Meccanismo d’azione di Ustekinumab. Il farmaco agisce a andando a inibire l’interleuchina-12 (IL-12) e l’interleuchina-23 (IL-23) in modo da modulare negativamente il sistema immunitario

(www.clinicaltrialsarena.com).

La somministrazione di Ustekinumab prevede una prima induzione per via endovenosa presso il centro ospedaliero e poi una terapia di mantenimento da fare ogni tre mesi per via sottocutanea.

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manifestazioni extraintestinali della malattia o che sono a rischio di infezione. Concludendo possiamo dire che il medico ha un ruolo importante nell’andare a studiare la

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2 METODI E STRUMENTI

2.1 Approccio metodologico

I campioni di sangue intero contenenti l’anticoagulante EDTA che arrivano in laboratorio sono ottenuti attraverso un prelievo venoso.

Le provette sono etichettate con codice a barre per evitare errori d’identificazione del paziente e dei suoi risultati.

L’etichettatura infatti ci da indicazioni sul nome, cognome, età, data di nascita, sesso del paziente e l’eventuale reparto di provenienza nel caso in cui si tratti di soggetti ospedalizzati.

Tutte le provette devono essere accompagnate da una richiesta medica che ne consenta una buona rintracciabilità.

Inoltre si controlla che le provette siano idonee, se così non fosse vengono rifiutate.

Sulla provetta idonea si effettua un check-in che non è altro che un’accettazione del campione e ci mostra anche tutti gli esami che il paziente deve eseguire.

A seguito di questa fase definita pre-analitica si passa a quella analitica che in primis prevede la centrifugazione delle provette in modo tale da separare le componenti del campione di sangue in tempi rapidi.

La centrifuga è costituita da un rotore all’interno del quale si inseriscono le provette che devono essere equilibrate simmetricamente e da un regolatore di velocità; essa ci consente attraverso la forza generata da un moto circolare uniforme di ottenere la separazione del surfactante dal precipitato.

Se non dovesse essere avvenuta la separazione il campione viene centrifugato ulteriormente.

(22)

21

Il campione è così pronto per essere smistato nel settore di interesse e per poter eseguire gli esami che sono stati prescritti al paziente.

Avvenuto ciò si procede con la validazione del risultato fino ad arrivare alla refertazione di esso.

2.2 Protocollo per VES

La velocità di eritrosedimentazione (VES) è un test che misura indirettamente il grado di infiammazione presente nell’organismo.

Il test misura il tempo impiegato dagli eritrociti per precipitare ed è espresso in millilitri di plasma presente nella porzione superiore della provetta dopo un’ora.

Le cellule presenti nel campione di sangue sedimentano lentamente, lasciando nella parte superiore della provetta il plasma.

In presenza di un’aumentata concentrazione di proteine, in particolare di quelle chiamate di fase acuta, i globuli rossi sedimentano più velocemente.

Tra le proteine di fase acuta, oltre alla VES, possiamo citare anche la proteina C reattiva (PCR) e il fibrinogeno che aumentano nel sangue in risposta all’infiammazione.

Nonostante anche la velocità di eritrosedimentazione (VES) aumenti in presenza di infiammazione, la PCR rappresenta quasi sempre un marcatore più precoce e maggiormente indicativo in caso di variazioni dello stato di salute del paziente.

Volendo monitorare la malattia possiamo dedurre che l’incremento della VES può indicare un aumento dell’infiammazione o una scarsa risposta alla terapia, mentre una VES normale o diminuita può indicare una risposta appropriata al trattamento.

Lo strumento usato per misurare i valori della VES è il VES-MATIC CUBE 30 (vedi Figura 2.1).

(23)

22

Si tratta di uno strumento automatico per la determinazione della VES su trenta campioni contemporaneamente.

L’esame della VES viene fatto in trenta minuti oppure in dieci minuti (metodo rapido) compresa l’agitazione automatica dei campioni.

Lo strumento possiede un lettore ottico che determina la VES direttamente sugli stessi campioni utilizzati per l’emocromo grazie ad un sistema in grado di leggere il livello di sedimentazione.

Il mescolamento automatico dei campioni assicura una completa disaggregazione dei globuli rossi per una maggiore accuratezza dell’analisi.

Il sistema, misurando la reale sedimentazione, consente la partecipazione ai cicli di VEQ che offrono sangue di controllo con livelli di VES normale ed anormale.

La procedura di preparazione dello strumento prevede:

1. Miscelare accuratamente il sangue contenuto nella provetta grazie all’uso di un vortex per circa sessanta secondi e mantenere la provetta in posizione verticale per poi farla ruotare tra i palmi delle mani per 15-20 secondi;

2. Esaminare il fondo della provetta per verificare che il prodotto sia completamente risospeso e ripetere i punti precedenti se è necessario;

(24)

23 3. Inserire la provetta nello strumento.

Se il risultato dovesse essere al di fuori dell’intervallo di riferimento si consiglia di effettuare più prove e determinare così i propri limiti di accettabilità.

2.3 Protocollo per proteina C reattiva

La proteina C reattiva (PCR), così come la VES, è una proteina di fase acuta, prodotta dal fegato e rilasciata nel circolo sanguigno in seguito a un processo infiammatorio.

L’esame della PCR misura la quantità di proteina nel sangue per poter rilevare uno stato infiammatorio o addirittura monitorare la progressione di malattie infiammatorie croniche, che nel nostro caso sono il Morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcerosa.

La PCR però non è diagnostica, ma fornisce informazioni al clinico circa l’eventuale presenza o assenza di uno stato infiammatorio.

Per questo motivo tale informazione deve essere usata insieme ad altri dati come i segni e sintomi, la valutazione del quadro clinico o altri esami di laboratorio per poter arrivare a una concreta diagnosi di patologia infiammatoria acuta o di una riacutizzazione di una malattia infiammatoria cronica.

L’aumento della concentrazione di PCR nel sangue suggerisce la presenza di un’infiammazione, ma non ne indica né la sede né la causa.

Inoltre alte concentrazioni di PCR suggeriscono una riacutizzazione o l’inefficacia della terapia usata per il trattamento delle MICI.

La diminuzione progressiva della concentrazione di PCR invece indica la risoluzione dello stato infiammatorio e l’efficacia della strategia terapeutica.

(25)

24

consente di misurare la proteina C reattiva e fa parte di una classe di analizzatori del settore dell’immunochimica e della chimica clinica, che studia le reazioni che avvengono tra uno o più reagenti e il campione e che sviluppano una soluzione colorata o una torbidità derivante dalla formazione di immunocomplessi, che a loro volta assorbono la luce ad una lunghezza d’onda specifica.

Gli strumenti analitici automatici utilizzano filtri per selezionare tali lunghezze d’onda e in questo modo, attraverso la rilevazione della luce assorbita e non, lo strumento confronta il dato con quello di una curva di calibrazione restituendo il valore numerico dell’analita. L’automazione di processo del sistema elimina molte delle operazioni manuali lasciando più tempo da dedicare alla gestione e valutazione del dato clinico.

Figura 2.2-Immagine rappresentativa del Dimension Vista 1500 Intelligent Lab System

(www.siemenshealthineers.com).

2.4 Protocollo per emocromo

L’esame emocromocitometrico è un test che valuta le cellule circolanti nel sangue, in particolare gli eritrociti, le piastrine e i globuli bianchi.

L’emocromo è di solito eseguito utilizzando strumenti automatizzati che misurano vari parametri, inclusa la conta delle cellule e danno un’indicazione sulle loro caratteristiche

(26)

25 qualitative e funzionali.

In questo esame possono quindi essere inclusi la misura della quantità di emoglobina (Hb), l’ematocrito, gli indici degli eritrociti che ci danno indicazioni sulle caratteristiche fisiche di essi, la determinazione della conta leucocitaria.

Il laboratorio può fornire diversi valori di riferimento per le varie fasce d’età conseguenti al fatto che l’esame emocromocitometrico preveda valori normali differenti per bambini e adulti.

Lo strumento che si occupa di analizzare questo tipo di campioni è il BC-6800 della

Medical Systems (vedi Figura 2.3).

Figura 2.3-Immagine rappresentativa del BC-6800 della Medical Systems (www.medicalsystems.it).

Si tratta di uno strumento che studia le alterazioni biochimiche di natura patologica e applica tecniche analitiche per eseguire determinazioni diagnostiche su liquidi biologici. Consente l’analisi 3D delle cellule del sangue oltre a fornire informazioni relative a cellule anormali.

Si basa su una tecnologia SF Cube, in cui S sta per diffusione laser frontale e laterale, F per fluorescenza e Cube per analisi 3D.

(27)

26

(dieci cassette per dieci campioni) e alimentazione in continuo. Sono previste diverse modalità di campionamento:

1. l’aspirazione della provetta chiusa;

2. l’aspirazione della provetta aperta con sonda autopulente; 3. prediluito con aspirazione da provetta aperta.

Il sistema esegue automaticamente l’agitazione del campione.

L’aspirazione da provetta chiusa prevede un sistema automatico di monitoraggio della fase di aspirazione con segnalazione di eventuali anomalie mediante appositi messaggi di allarme.

I referti dei pazienti sono comprensivi di tutti i parametri determinati, istogrammi, citogrammi e informazioni demografiche.

I citogrammi differenziano le varie popolazioni cellulari oltre a fornire eventuali anomalie presenti in quest’ultime.

2.3 Analisi Statistica

I dati ottenuti dagli esami clinici di laboratorio e in particolare dai risultati ricavati dall’analisi della proteina C reattiva (PCR), della conta leucocita, di quella piastrinica e dell’emoglobina sono stati espressi con la mediana, il 25° e 75° percentile, trattandosi di una distribuzione non normale.

Dopo la verifica della distribuzione non normale dei dati, i confronti tra i gruppi sono stati fatti con un’analisi statistica basata sul test di Kruskal-Wallis, che non è nient’altro che un test non parametrico che verifica l’uguaglianza delle mediane di diversi gruppi, in modo da poter dire se questi provengono da una stessa popolazione o da popolazioni con uguale mediana.

(28)

27

solitamente usato quando non può essere assunta una distribuzione normale della popolazione.

Questo è stato il nostro caso dato che ci trovavano dinnanzi a una distribuzione non gaussiana dei dati.

Definita la statistica descrittiva con il numero di dati dei singoli esami valutati, la mediana, il valore minimo e massimo della distribuzione, il range e il 25° e 75° percentile, siamo andati avanti nella nostra analisi statistica applicando il test di Kruskal-Wallis per poi poter studiare la significatività dei dati.

La significatività del test di Kruskal-Wallis è stata ottenuta solo per la PCR e da qui per verificare l’esistenza di una relazione tra i vari gruppi presi in esame si è proseguito andando ad applicare un altro test, cioè quello di Dunn che ci ha permesso di fare un confronto multiplo tra coppie di dati (P< 0,05).

(29)

28

3 SCOPO DEL LAVORO

Il mio internato di tesi presso il laboratorio di Patologia Clinica e Microbiologia del presidio ospedaliero Guzzardi di Vittoria (ASP 7) ha voluto focalizzare l’attenzione sulle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI).

Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con il reparto di Gastroenterologia in particolare grazie al dottor Emiliano Giangreco.

Lo scopo della tesi è stato quello di valutare l’infiammazione causata dall’insorgenza delle MICI.

L’applicazione di terapie personalizzate come quelle biologiche, per esempio con anticorpi anti-TNF α o con anticorpi rivolti contro determinate proteine della mucosa intestinale o facenti parte di alcune citochine, ha influenzato notevolmente la storia naturale della malattia mostrando come i pazienti rispondevano in maniera migliore al trattamento rispetto alle terapie convenzionali. Abbiamo fatto uno studio osservazionale retrospettivo che ha interessato trentacinque pazienti con un follow-up di almeno un anno.

I pazienti arrivati in reparto avevano già un’accertata diagnosi di MICI per cui abbiamo studiato la terapia adatta al soggetto affetto, i trattamenti finora fatti, l’eventuale rischio di recidiva e i risultati che sono venuti fuori dalle analisi cliniche prescritte al primo controllo.

I pazienti sono stati trattati in vario modo a seconda dell’età, del sesso, delle condizioni cliniche, della comorbilità, delle pregresse terapie, della gravità della patologia.

Dal punto di vista pratico il laboratorio ci ha permesso di lavorare su campioni ematici e fecali provenienti da pazienti soprattutto esterni, dato che come vedremo di seguito non ci sono state ospedalizzazioni.

(30)

29

Uno dei test di primo livello che sarebbe stato utile nello studio delle MICI era la Calprotectina fecale, che permette di evidenziare il danno infiammatorio nel tratto gastrointestinale. Ma nel nostro caso questo esame clinico non è stato prescritto perché ha un certo costo di prestazione (non è possibile mutuare) per cui per andare incontro alle esigenze del paziente, si è preferito usare altre alternative come la proteina C reattiva (PCR), la quale è un ottimo parametro di studio dell’infiammazione.

Infatti la PCR assume un ruolo importante non solo per identificare in caso di MICI lo stato infiammatorio e monitorarlo nel tempo, ma anche per studiare come questo vari in funzione della terapia e quindi capire qual è la risposta clinica al trattamento.

A ciò abbiamo associato un altro biomarker infiammatorio che è la VES, cioè la velocità di eritrosedimentazione, che non è nient’altro che un test che misura indirettamente il grado di infiammazione.

La VES però non è diagnostica, infatti è un test aspecifico che viene impiegato per fornire informazioni generali sulla presenza o assenza di uno stato infiammatorio e per monitorarlo.

Inoltre sarebbe potuto essere necessario dover escludere un’eventuale infezione per esempio causata da Clostridium difficile, ma nel nostro caso non è mai successo di trovarsi di fronte a tale problema.

Il reparto di Gastroenterologia, che segue da vicino i pazienti, ci ha fornito il quadro clinico e la risposta terapeutica da poter confrontare con ciò che d’altro canto abbiamo analizzato in laboratorio sui campioni ematici. L’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di andare a correlare l’infiammazione al trattamento prescritto andando a fare un’analisi statistica attraverso cui valutare i sintomi e quindi l’eventuale rischio di recidiva.

(31)

30

4 STUDIO CLINICO

4.1 Descrizione dello studio clinico

Nel nostro studio osservazionale retrospettivo abbiamo preso sotto esame dei pazienti adulti di età tra i ventisette e i settantasei anni di entrambi sessi, i quali avevano già diagnosticato la MICI in tempistiche variabili.

Questi sono arrivati nel reparto di Gastroenterologia per un primo controllo, per cui il medico dopo aver studiato l’anamnesi del paziente ha prescritto le analisi di laboratorio per poi valutarne i risultati e il quadro clinico in modo tale da poter stabilire la giusta terapia da somministrare.

I pazienti analizzati avevano tutti un follow-up di almeno un anno. Per monitorare il Morbo di Crohn e la Colite Ulcerosa i biomarker infiammatori intestinali

esaminati sono stati la proteina C reattiva (PCR) e la velocità di eritrosedimentazione (VES).

Abbiamo fatto una distinzione tra coloro i quali erano affetti dalle due patologie e abbiamo

riscontrato che la maggior parte manifestavano il Morbo di Crohn. Abbiamo, inoltre, valutato i seguenti aspetti:

Soggetti fumatori, non fumatori o ex-fumatori;

Il farmaco somministrato (Infliximab, Vedolizumab, Adalimumab, Ustekinumab); La durata della malattia dalla diagnosi all’inizio della terapia biologica;

La sede di sviluppo del Morbo di Crohn (ileo, colon, distretto ileo-colico, tratto gastrointestinale superiore) e quella della Colite Ulcerosa (proctite, colite sinistra, colite estesa);

(32)

31

Il pattern del Morbo di Crohn se era infiammatorio, stenosante o fistolizzante; Le precedenti resezioni, ovvero rimozione di un segmento d’intestino malato, se avvenute;

Le manifestazioni extraintestinali come quelle articolari assiali, periferiche, cutanee, oculari, se presenti;

L’uso di steroidi per somministrazione orale prima del trattamento con terapia biologica e l’eventuale comparsa di steroido-resistenza o dipendenza;

L’uso di immunosoppressori come l’Azatioprina, la Mercaptopurina (6-MP), il Metotressato (MTX), il Micofenolato mofetile (MMF);

La severità della malattia alla settimana zero (W0) attraverso l’indice di

Harvey-Bradshaw il cui acronimo è HBI e lo stadio di Colite Ulcerosa sulla base della sola

esplorazione endoscopica grazie al Mayo endoscopic subscore (MayoP); La remissione senza steroidi;

La risposta clinica se presente o meno e gli eventuali eventi avversi.

Dal punto di vista clinico abbiamo seguito le variazioni degli indici di flogosi ( PCR e VES) e dell’esame emocromocitometrico (leucociti, piastrine, emoglobina) alla settimana zero, alla dodicesima e cinquantaduesima (W0, W12, W52).

Infine a fine follow-up abbiamo studiato quale era la correlazione tra la proteina C reattiva e la terapia assegnata ai pazienti affetti da MICI al primo controllo.

La maggior parte dei pazienti alla prima visita medica manifestavano una PCR alquanto alta indice di un processo infiammatorio in atto.

Anche la velocità di sedimentazione eritrocitaria in alcuni casi si presentava più alta rispetto ai valori standard, così come la conta dei globuli bianchi che però non sempre risultava alterata.

(33)

32

Per quanto riguarda l’emoglobina (Hb) in alcuni pazienti abbiamo riscontrato una sua riduzione a causa del processo di anemizzazione, causato dalla perdita di sangue attraverso le feci e dallo stato infiammatorio cronico.

L’obiettivo che ci siamo posti in laboratorio è stato quello di andare a studiare l’evoluzione della malattia attraverso lo studio dei risultati delle analisi cliniche per poi chiedere al gastroenterologo il suo parere a riguardo.

Una volta avuta chiara la situazione del paziente il medico ha cercato di trovare l’adeguata terapia biologica da poter somministrare.

Alla dodicesima settimana (W12) tutti i pazienti arruolati nel nostro studio mostravano una remissione della malattia senza l’uso di steroidi e quindi probabilmente si aveva un ripristino dell’integrità della mucosa intestinale, che si associa ad un controllo più efficace della malattia, ad un periodo più lungo di remissione senza steroidi, ad un più basso tasso di ospedalizzazione e di intervento chirurgico e ad una migliore qualità della vita.

La PCR al secondo controllo, quindi dopo aver somministrato la terapia biologica, nella maggior parte dei pazienti si era ridotta tranne in qualche caso.

Anche alla cinquantaduesima settimana (W52) si aveva risposta clinica positiva al trattamento senza steroidi, ciò a dimostrazione che l’uso delle terapie biologiche piuttosto che di quelle convenzionali dia risultati migliori.

A questo terzo controllo i risultati erano ancora più soddisfacenti rispetto ai mesi precedenti perché la proteina C reattiva in gran parte dei soggetti affetti da MICI era diminuita ulteriormente a indicare un processo infiammatorio quasi assente. Infine abbiamo visto se i nostri pazienti a fine follow-up avessero degli eventi avversi e questo non è stato riscontrato in nessun caso.

(34)

33

4.2 Interpretazione dei dati dal punto di vista gastroenterologico

Il nostro lavoro è stato quello di andare a studiare l’evoluzione della malattia dopo l’introduzione di una terapia biologica personalizzata mirata alla remissione delle MICI. Innanzitutto abbiamo focalizzato l’attenzione sul sesso e sull’età.

Come detto precedentemente, abbiamo studiato il quadro e decorso clinico di trentacinque soggetti di cui ventuno erano donne e quattordici uomini (vedi Figura 4.1), nonostante il sesso non sia rilevante ai fini della malattia.

Figura 4.1- Divisione dei pazienti affetti da MICI in base al sesso.

D’altra parte per quanto riguarda l’età dei pazienti, che sono arrivati al reparto di Gastroenterologia per prima volta, questa in media era di quarantacinque anni; ma dobbiamo tenere in considerazione che tutti avevano già diagnosticato le MICI, chi recentemente e chi da diversi anni.

Abbiamo separato i pazienti che al primo controllo avevano un’età inferiore ai cinquant’anni da quelli che la superavano, notando come la maggior parte di essi rientravano nel primo gruppo (vedi Figura 4.2).

60% 40%

(35)

34

Inoltre tenendo in considerazione i tempi di diagnosi della patologia è stato riscontrato che i pazienti avevano manifestato i primi sintomi a un’età media di circa trentaquattro anni. Pertanto, distinguendo il Morbo di Crohn dalla Rettocolite Ulcerosa, l’età media di diagnosi dei nostri pazienti era rispettivamente collocata tra i trentadue e cinquantadue anni.

Figura 4.2-Divisione dei pazienti affetti da MICI in base all’età, nello specifico inferiore (under 50) o superiore ai cinquant’anni (over 50).

Nella descrizione delle MICI abbiamo fatto riferimento a quelle che sono le cause che influenzano la malattia e tra queste abbiamo citato quelle ambientali e in particolare il fumo di sigaretta che assume un ruolo alquanto importante in questo contesto.

A tal proposito abbiamo notato che la maggior parte dei trentacinque soggetti affetti da MICI erano fumatori, questi infatti corrispondevano a diciassette pazienti, di cui quindici presentavano Morbo di Crohn e solo due Rettocolite Ulcerosa (vedi Figura 4.3)

66% 34%

(36)

35

Figura 4.3- Istogramma rappresentativo della suddivisione dei soggetti in base al fattore fumo.

La cosa su cui avremmo dovuto concentrarci è come il fumo agisca sulla malattia, perché sappiamo che influenza negativamente il Morbo di Crohn, mentre sembrerebbe avere un effetto diverso sulla Rettocolite Ulcerosa.

Non è stato possibile appurare ciò per la scarsa disponibilità di dati.

Quasi tutti i soggetti sottoposti al nostro studio osservazionale erano affetti da Morbo di Crohn, infatti solo due di essi manifestavano la Rettocolite Ulcerosa (vedi Figura 4.4).

Figura 4.4-Percentuale di pazienti affetti da Morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa. 17

15

3

Fumatori non fumatori ex- fumatori

N u m er o p a zi en ti

FUMO

94,29% 5,71% Morbo di Crohn Rettocolite ulcerosa

(37)

36

Abbiamo pure visto come variava l’indice di Harvey-Bradshaw (HBI), cioè l’indice di severità della malattia alla settimana zero (vedi Figura 4.5).

Dal grafico, riportato di seguito, si deduce che in otto pazienti l’attività patogenetica era normale, in sei moderata, in due grave mentre per il resto si aveva una sintomatologia lieve.

Figura 4.5 – Istogramma con indice di Harvey-Bradshaw e numero di pazienti che mostrano una variabilità alla severità della malattia alla settimana zero. La severità della malattia era lieve per la maggior parte dei pazienti.

Invece per quanto riguarda i soggetti con Rettocolite Ulcerosa, che risultavano essere solo due, presentavano rispettivamente un MayoP moderato e lieve alla settimana zero (W0). Un altro fattore che abbiamo considerato è la sede di sviluppo del Morbo di Crohn, che è stata prettamente localizzata a livello dell’ileo e del tratto ileo-colico, con solo il 6,06% nel colon (vedi Figura 4.6).

8 17 6 2 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

attività normale lieve moderata grave

N u m er o d i p a zi en ti HBI (W0)

(38)

37

Figura 4.6- Sede del Morbo di Crohn.

Oltre a ciò abbiamo anche esaminato il pattern del Morbo di Crohn, che non è altro che il comportamento clinico della malattia.

Questo pattern può essere distinto in tre tipi di comportamento: - Infiammatorio;

- Stenosante, quindi restringimento del tratto gastrointestinale;

- Fistolizzante che correla con il grado di attività del morbo, la numerosità delle fistole, la localizzazione di esse e la presenza o assenza di malattia perianale.

Nel nostro caso l’85,29% dei pazienti avevano un comportamento infiammatorio, l’8,82% fistolizzante e solo il 5,88% stenosante (vedi Figura 4.7).

42,42%

6,06% 51,52%

(39)

38

Figura 4.7- Pattern Morbo di Crohn, cioè comportamento clinico della malattia. .

La Rettocolite Ulcerosa nei due casi che ci sono capitati si presentava rispettivamente con una colite sinistra (se colpisce il retto e il colon discendente) e estesa (se l'infiammazione si estende anche alla porzione orizzontale del colon e alla parte ascendente di esso).

Considerando entrambi gli stati patologici, quindi sia il Morbo di Crohn che la Rettocolite Ulcerosa, al primo controllo si evinceva che su trentacinque affetti solo tre mostravano manifestazioni extraintestinali, dieci avevano subito delle precedenti resezioni e due presentavano malattia perianale.

Adesso veniamo ai protocolli farmacologici, nello specifico all’uso degli steroidi per somministrazione orale e agli immunosoppressori utilizzati dai pazienti fino all’inizio dell’introduzione delle terapie biologiche.

Gli steroidi sono i farmaci che generalmente vengono impiegati sin da subito nel caso di diagnosi di MICI per le proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive.

Prima che il gastroenterologo introducesse una terapia biologica questi pazienti mettevano 85,29%

5,88%

8,82%

(40)

39

in luce il fatto di assumere steroidi e/o immunosoppressori o di non prendere nessun tipo di farmaco.

In particolare circa la metà dei trentacinque soggetti faceva uso di corticosteroidi, mentre il resto no (vedi Figura 4.8).

Bisogna precisare che la terapia con gli steroidi al primo colloquio con il medico non veniva del tutto sostituita dal nuovo approccio terapeutico, ma sospesa gradualmente. Nessuno mostrava una steroido-dipendenza o resistenza.

Figura 4.8-Percentuale di soggetti che assumono farmaci corticosteroidi e non, prima dell’inizio della terapia biologica.

Due dei trentacique soggetti arruolati nel nostro studio al primo controllo assumevano sia steroidi per somministrazione orale che immunosoppressori, conseguentemente al fatto che non aveva avuto una risposta clinica alla terapia corticosteroidea.

Questo presupposto ha incentivato il medico a intraprendere in tempi brevi l’introduzione di un farmaco biologico.

48,57% 51,43%

Steroidi per somministrazione orale

assunzione

(41)

40

Gli immunosoppressori di cui facevano uso i pazienti erano l’Azatioprina, il 6-MP, MTX e MMF, ma come si vede dall’istogramma 4.9, riportato di seguito, solo quattro di essi li assumevano, perché la maggior parte utilizzava protocolli terapeutici basati sui corticosteroidi.

Figura 4.9- Numero di pazienti che assumono i vari tipi di immunosoppressori prima dell’introduzione della terapia biologica. Trentuno pazienti non assumevano immunosoppressori, tre l’azatioprina, uno il metotrexato (MTX), mentre nessuno faceva uso di mercaptopurina (6-MP) e micofenolato mofetile (MMF).

Tutto ciò che abbiamo descritto finora fa parte di quelle indicazioni e accortezze necessarie al medico per conoscere le condizioni cliniche e l’anamnesi del paziente e per poter valutare come procedere nella terapia da somministrare.

Affinché si abbia una remissione della malattia è utile avere chiaro il quadro clinico. 3 0 1 0 31 0 5 10 15 20 25 30 35 Azatioprina 6-MP MTX MMF nessuno n u m er o d i p a zi en ti Immunosoppressori al basale

(42)

41

4.3 Interpretazione degli esami clinici di laboratorio

Gli esami clinici di laboratorio prescritti dal gastroenterologo al primo controllo del paziente, affetto da Malattia Intestinale Cronico Infiammatoria, includevano i valori della proteina C reattiva (PCR), della velocità di eritrosedimentazione (VES), dell’emoglobina (Hb), dei leucociti e delle piastrine oltre agli esami di funzionalità epatica e renale, che però non abbiamo tenuto in considerazione nel nostro studio osservazionale retrospettivo. Inoltre dobbiamo precisare che inizialmente abbiamo posto l’attenzione sulle frequenze statistiche, in particolare sulla percentuale di pazienti che ad ogni controllo presentava valori clinici di laboratorio alterati.

Alla settimana zero (W0), dunque al primo controllo medico, quello che abbiamo notato è che c’erano dei valori anomali con una PCR alquanto elevata, indice di un’infiammazione in corso e questo succedeva nella maggior parte dei pazienti (vedi Tabella 4.1).

Come si può vedere dalla tabella, riportata di seguito, un caso eclatante è stato quello di un uomo di trentasei anni che aveva riportato una PCR di 184 mg/L quindi notevolmente superiore ai valori di riferimento che in genere devono essere inferiori a 5mg/L.

Era un soggetto fumatore a cui era stato diagnosticato il Morbo di Crohn da circa venti anni e con sede di sviluppo di questa malattia a livello del tratto gastrointestinale superiore, oltreché ad avere un pattern di carattere infiammatorio.

Aveva subito una precedente resezione a livello intestinale e alla prima visita di controllo non faceva uso né di corticosteroidi né di immunosoppressori e questo potrebbe dimostrare il notevole incremento della proteina C reattiva.

Per il resto gli altri pazienti avevano riportato dei valori di PCR che superavano i 5 mg/L chi più, chi meno.

(43)

42

Nome Sesso Età PCR W0 PCR val. normali

DS uomo 21 16,7 <5 mg/L VD uomo 27 17,4 <5 mg/L SG donna 27 54,0 <5 mg/L GE donna 29 2,0 <5 mg/L GG uomo 30 7,2 <5 mg/L G.G.I donna 31 32,0 <5 mg/L I.B. donna 32 17,7 <5 mg/L BE donna 33 1,0 <5 mg/L R.L. uomo 33 20,0 <5 mg/L ID donna 35 1,3 <5 mg/L CS donna 35 8,1 <5 mg/L SS donna 35 1,0 <5 mg/L IV uomo 36 184,0 <5 mg/L AG donna 36 2,9 <5 mg/L CG donna 37 2,9 <5 mg/L TG uomo 40 1,8 <5 mg/L CR uomo 43 39,0 <5 mg/L L.W uomo 45 20,2 <5 mg/L MG uomo 46 22,6 <5 mg/L MA uomo 46 25,0 <5 mg/L BG uomo 47 5,0 <5 mg/L VR donna 47 9,6 <5 mg/L NR donna 47 1,4 <5 mg/L AG donna 50 5,8 <5 mg/L PA donna 52 9,0 <5 mg/L AL donna 53 5,6 <5 mg/L GC donna 57 17,2 <5 mg/L PC donna 57 7,1 <5 mg/L MG donna 60 9,7 <5 mg/L LG uomo 66 10,7 <5 mg/L MA uomo 66 4,5 <5 mg/L MF uomo 66 12,1 <5 mg/L BS donna 69 18,0 <5 mg/L GN donna 72 62,1 <5 mg/L AM donna 76 7,0 <5 mg/L

Tabella 4.1-Valori della PCR riportati dagli esami clinici effettuati al primo controllo, in particolare alla W0.

Dagli esami clinici di laboratorio abbiamo potuto osservare che la maggior parte dei pazienti mostravano una proteina C reattiva che oltrepassava i valori di riferimento e

(44)

43

questo succedeva nel 71,43% dei pazienti arruolati contro il 28,57% che invece mostrava dei valori inferiori a 5 mg/L (vedi Figura 4.10).

Figura 4.10-Percentuale di pazienti che mostravano una PCR normale o maggiore ai valori di riferimento (5mg/L).

Sempre alla settimana zero (W0) abbiamo studiato l’emoglobina (Hb), il numero di leucociti e di piastrine e la velocità di eritrosedimentazione (VES).

A discrezione del medico per alcuni pazienti affetti da MICI si è ritenuto essenziale valutare solo la PCR, biomarker fondamentale nel monitorare il processo infiammatorio dato che aumenta e si riduce rapidamente.

Per questo motivo nella tabella riportata di seguito in alcuni soggetti non vi sono valori di emoglobina, VES, numero di piastrine e leucociti.

I valori di emoglobina normalmente variano in base al sesso, infatti per le donne sono compresi tra 12,1 e 15,1 g/dl, mentre per gli uomini tra 13,6 e 17,7 g/dl.

Nella tabella 4.2 si può osservare che il numero di leucociti, di piastrine e la velocità di eritrosedimentazione (VES) per la maggior parte non mostravano alterazioni, mentre l’emoglobina evidenziava una sua riduzione soprattutto nelle donne e con una percentuale minore a livello degli uomini.

71,43% 28,57%

PCR alta W0 PCR normale W0

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