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La rivalutazione della storia turca

La Turchia kemalista: le riforme di Mustafa Kemal Atatürk

3.5. La creazione di un’identità nazionale

3.5.1. La rivalutazione della storia turca

In linea con quanto realizzato finora, “rivalutare” la storia turca non poteva che significare scinderla da quella ottomana, e tale processo, per la verità, aveva già avuto inizio, oltre che nei vari discorsi di Mustafa Kemal tenuti in viaggio per tutto il paese, forse nel più importante di questi, pronunciato nell‟ottobre 1927 al congresso del CHP e detto proprio Nutuk, “Discorso”. In tale discorso, appunto, letto da Mustafa Kemal per ben 36 ore e 33 minuti nell‟arco di sei giorni162

e trasmesso radiofonicamente, fu raccontata e mitizzata la storia del movimento nazionale tra il 1919 e il 1925163, discreditando parallelamente gli ex compagni del leader turco che avevano “tradito” o “abbandonato” la causa del movimento e naturalmente l‟establishment ottomano. Tramite un‟evidente distorsione della realtà storica inoltre, le cronache e le vicende del movimento nazionale mostrarono la Guerra d‟Indipendenza non come una lotta per la difesa e la preservazione di ciò che restava dell‟Impero ottomano, quanto come un conflitto volto già allo stabilirsi di un nuovo Stato turco164. Insomma, l‟instaurazione della Repubblica veniva così resa tra gli obiettivi “a priori” del movimento nazionale, mentre questa sorse, si ricorderà, a seguito degli sviluppi politici maturati successivamente al 1920. Nonostante la chiara deformazione storica, il prestigio dell‟autore e il clima politico in cui esso fu letto, fecero sì che il Nutuk fosse posto alle basi della storiografia turca per il periodo storico in esso trattato (ed è così anche tutt‟oggi)165

, e i suoi contenuti divennero altresì parte di un progetto più ampio, di

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E.J. Zürcher, The Young Turk Legacy and Nation Building…,cit. p. 6.

163 Per la verità il testo trattava brevemente anche degli eventi svoltisi tra il 1925 e il 1927, ma tale parte

riguardava solo l‟ 1,5 % dell‟intero documento. Ivi, p. 7. Considerando, del resto, che il Nutuk fu soprattutto concepito come un documento politico, è normale dunque che le fasi più discusse dell‟era kemalista (ricordiamo che tra il 1925 e il 1927 la rivolta curda più importante era stata repressa nel sangue ed era in vigore in quegli anni la dura Legge sul mantenimento dell‟ordine) fossero perciò tralasciate o trattate in modo meno approfondito di altre. A. Mango, op. cit., p. 462.

164 E.J. Zürcher, Storia della Turchia…, cit., p. 214. 165

Ibidem. Nel 1963, la Società Linguistica Turca (Türk Dil Kurumu), che vedremo a breve, pubblicò una versione rivisitata del Nutuk intitolata Söylev (un nuovo termine, sinonimo di Nutuk), ed epurata di quasi tutti i termini di origine araba e persiana, ancora presenti nel testo redatto e pronunciato da Kemal nel 1927. Queste parole furono sostituite da termini turchi, molti dei quali creati di recente proprio dalla

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revisione e rielaborazione di una “tesi storica turca”, la quale avrebbe concentrato l‟attenzione dei kemalisti a partire dagli anni Trenta.

Quanto iniziato dal Nutuk andava infatti necessariamente portato avanti ed esteso a tutta la storia del popolo turco, dove l‟era ottomana, lungi dal rappresentare l‟epoca più importante della civiltà turca, avrebbe rappresentato solo una delle tante vicende storiche che l‟avevano caratterizzata, e senz‟altro non la più “splendente”. Proprio al fine di ridisegnare la storia dei turchi attorno a questi punti, nel 1931 venne creata la “Società per lo Studio della Storia Turca” (Türk Tarihi Tetkik Cemiyeti, successivamente semplicemente “Società Storica Turca”, Türk Tarih Kurumu)166. Al suo primo congresso, tenutosi ad Ankara nel 1932, essa presentò infatti la nuova “tesi storica turca”, nella quale in pratica veniva celebrata ed esaltata la storia dei turchi nell‟era pre-ottomana, dipingendoli ovunque come “portatori di civiltà”. Secondo tale teoria, appoggiata con forza da Mustafa Kemal, che peraltro prese anche parte attiva alla sua redazione167, i turchi discendevano da una popolazione bianca dell‟Asia centrale (gli ariani), costretti da condizioni avverse, quali la scarsità di cibo e la siccità, ad emigrare verso altre aree, come la Cina, l‟Europa e il Vicino Oriente. In tutti questi luoghi essi avevano posto le basi per la civiltà e, con riguardo all‟Anatolia, qui il processo di civilizzazione era stato messo in moto dai Sumeri e dagli Ittiti, considerati, secondo tale visione, popolazioni prototurche168. Tale affermazione, come evidenzia Zürcher:

oltre a dare ai turchi un senso di orgoglio per la loro storia e la loro identità nazionale ben distinto dal recente passato, vale a dire l‟epoca ottomana… […] aveva il vantaggio di dimostrare che l‟Anatolia era stata fin da tempi antichissimi un territorio turco, rafforzando così il legame dei cittadini della Repubblica con la terra che abitavano169.

«semplificazione» (sadeleştirme) o «purificazione» (özleştirme), mentre oggi è denominato semplicemente «traduzione in turco» (Türkçeye çevrilme), espressione che segna la rottura definitiva tra lingua turca moderna e turco ottomano. Subito dopo la sua apparizione, il Nutuk venne tradotto anche in altre lingue europee, come il francese, l‟inglese e il tedesco. E.J. Zürcher, The Young Turk Legacy and

Nation Building…,cit. pp. 8-9.

166 L. Nocera, op. cit., p. 27. 167 A. Mango, op. cit., p. 493.

168 C.V. Findley, Turkey, Nationalism and Modernity…, cit., p. 256. 169

E.J. Zürcher, Storia della Turchia…, cit., p. 233. Secondo quanto osservato da Mango, inoltre, negli anni in cui le parole pronunciate più di un decennio prima dal presidente americano Wilson riguardo all‟autodeterminazione avevano sempre un certo impatto, sostenere una tesi simile significava che «the Turks had a historic right to their land, had created great civilization, and were capable to contributing to the one, universal, modern civilization». A. Mango, op. cit., p. 493.

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La tesi storica turca sarebbe stata posta, sin dal 1932, alla base dell‟insegnamento storico nelle scuole e nelle università, ma l‟idea centrale contenuta in essa, e cioè la rivalutazione della civiltà turco-anatolica (in tal caso, in antitesi a quella ottomana) 170, non era del tutto nuova. Per quanto, come sostiene Mango, «Mustafa Kemal‟s historiography was the product of his clash with domestic Islam and foreign detractors»171, la nuova storiografia nazionale fu in buona parte influenzata anche dalle pre-esistenti teorie sul “turchismo”, sviluppate già sin dalla fine del XIX secolo. Le idee legate ad esso, originariamente dovute, per la verità, al lavoro e alle ricerche di alcuni orientalisti europei, i quali avevano iniziato a indagare le origini delle popolazioni turcofone dell‟Asia centrale, individuando per esse un‟etnia comune172

, avevano infatti iniziato a suscitare l‟interesse di molti intellettuali turco ottomani dell‟età hamidiana (spesso affiliati ai Giovani Turchi, e tra i quali ricordiamo in particolare Yusuf Akçura e Ziya Gökalp), facendo sempre più presa su di essi man mano che andava tramontando l‟ideale ottomanista173

.

L‟acquisizione di coscienza di una propria identità turca, diversa da quella esclusivamente religiosa, attraverso la quale i turchi ottomani si erano riconosciuti per secoli, produsse però esiti diversi, tra cui il cosiddetto “panturchismo”: l‟ideale dell‟unione di tutti i popoli di etnia e lingua turca, ben al di là dei soli confini anatolici. In tal senso, il sentimento identitario plasmato da Mustafa Kemal e i suoi seguaci si

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Il discredito della civiltà ottomana e la celebrazione di un‟altra (quella turca), su base razziale, è spiegato come segue da Belge, nel suo articolo pubblicato da Limes: «Non era impresa facile far dimenticare al popolo una dinastia che ebbe a regnare sei secoli, in una società così conservatrice. Bisognava perciò che la dinastia ottomana fosse presentata come estranea ai propri sudditi, a nient‟altro dedita che alla soddisfazione del proprio piacere, crudele e viziosa. E un simile motivo doveva permeare soprattutto il sistema educativo, data la sua rilevanza nel progetto di creazione della nuova nazione. Ai turchi s‟imponeva di crescere incidendo nella memoria che la monarchia era un male: sia il sistema in sé che i suoi capi erano malvagi. Anche in questo caso la teoria “razziale” venne in soccorso del sistema: gli ottomani all‟inizio erano buoni, erano stati in grado di conquistare vasti territori a una velocità impressionante, perché allora essi erano turchi veri. Ma con il passar del tempo, a furia di generare figli con delle concubine schiave, quei degenerati si erano estraniati dalla turcità. Sicché la stagione delle conquiste si era interrotta, l‟ordine si era frantumato». M. Belge, op. cit., p. 167.

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Ivi, p. 494.

172 Tra essi ricordiamo Arthur Lumley Davids, autore nel 1832 di Grammar of the Turkish Language,

dove quindi era anche già riconosciuta un‟identità linguistica turca e dove veniva citata, nell‟introduzione, una breve parabola storica delle popolazioni turche; il francese Léon Cahun, la cui opera più importante,

Introduction à l’histoire de l’Asie, pubblicata nel 1896, conteneva una semi-scientifica quanto semi-

romantica descrizione della storia asiatica e delle popolazioni turche nomadi che vivevano nelle steppe dell‟Asia centrale; infine, forse il più importante, lo studioso turcologo ungherese Arminius Vambéry, il quale, nel suo tentativo di identificare un‟origine comune tra turchi e ungheresi, per ricevere l‟appoggio dei primi contro l‟avanzata del panslavismo, individuò in questi due popoli una comune radice turanica, ritenendoli ossia originari, insieme ad altre popolazioni, quali mongoli o finlandesi, di una regione dell‟Asia centrale nota come Tūrān, antico termine di origine iraniana con cui essa veniva tradizionalmente indicata. B. Lewis, op. cit., pp. 346-347.

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differenziava molto da quest‟ultimo, ma, avendo preso volutamente le distanze dal recente passato ottomano, come il panturchismo, esso mirava a celebrare la “turchità” della nuova nazione, attribuendo a questa la funzione di nuovo collante per la società, anche se solo rigorosamente all‟interno dell‟ambito anatolico. Un nazionalismo specificatamente anatolico era andato del resto sviluppandosi proprio parallelamente al panturchismo, dopo che gli eventi delle Guerre Balcaniche del 1911-‟12, avendo causato la perdita di quasi tutti i territori europei dell‟Impero ottomano, avevano portato, piuttosto che alla volontà di riconquistare tali aree (fatta eccezione per quella di Edirne), ad accettare la nuova situazione, tramite una riscoperta dello spazio anatolico174. A tale tipo di nazionalismo avrebbe anche aderito il già ricordato Ziya Gökalp, in origine vicino agli ideali panturchisti, ma che avrebbe abbandonato tali posizioni dopo la fondazione della Repubblica, per diventare uno dei principali teorici della civiltà anatolica sotto di essa, enfatizzandone e celebrandone, in particolare, la tradizione rurale e contadina, che secondo lui incarnava, adesso, la “vera” cultura turca175.

L‟ idea dell‟Anatolia come di una terra intrinsecamente turca e da preservare ad ogni costo in quanto tale, se da un lato rafforzava, naturalmente, il legame tra cittadini e territorio e cementava un nuovo senso di solidarietà nazionale, dall‟altro era alla base di una politica estremamente omogeneizzatrice, che non solo avrebbe ignorato, ma anche cercato di mettere a tacere, ogni minoranza etnico-linguistica presente in suolo anatolico.