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La rottura del «patto» e le reazioni delle comunità

I CANCELLIERI DEI NOVE

I.6 La rottura del «patto» e le reazioni delle comunità

Il progressivo allargamento del controllo da parte del centro sulle comunità periferiche attraverso la figura del cancelliere dei Nove innesca, da subito, una serie di reazioni all’interno delle comunità stesse.

I memoriali con cui il già citato Buonaccorsi, cancelliere del magistrato, espone dettagliatamente al principe l’evolversi delle vicende denotano un vistoso aumento del loro numero a partire dalla fine degli anni sessanta del XVI secolo. La frequenza con cui si presentano incomprensioni, dispute e scontri tra le comunità e i nuovi cancellieri e la diffusione di queste su gran parte del territorio toscano fanno pensare ad una vera e propria reazione generale delle comunità, o quanto meno ad una reazione dei magistrati locali. Il meccanismo attraverso il quale si innestano e si evolvono i singoli episodi sembra trovare in alcuni momenti significativi le direttrici che lo animano; attraverso l’analisi di questi passaggi è possibile, quindi, leggere gli scontri che ne furono all’origine in una cornice unica, in cui il singolo episodio acquista il suo senso storico se e solo se letto alla luce degli altri episodi che contemporaneamente successero.

In un primo momento sembra prevalere, fra le comunità del Granducato – indifferentemente dalla localizzazione di queste sul territorio -,

un atteggiamento di diffidenza e indignazione nei confronti del nuovo funzionario, il quale viene da subito inquadrato come un estraneo. Anzi la sua indipendenza rispetto al governo locale viene interpretata dalle comunità come un elemento di rottura dell'equilibrio esistente, e come tale viene affrontata e alle volte propriamente combattuta.

Questa prima reazione, tra lo sconcerto e l'indignazione, comune alla maggior parte delle realtà locali, si situa tuttavia, in questi primissimi anni, entro i limiti della legalità; ovvero la strada che le singole comunità inizialmente prediligono per contrastare il fenomeno della diffusione del funzionario dei Nove sul territorio appare interamente circoscritta in un contesto di legittimità. Ciò appare, in questo senso, in netta continuità con quanto avveniva per il passato, quando i cancellieri erano nominati dal governo locale, il quale, in caso di contrasti con il funzionario, scriveva al magistrato dei Nove – o, prima del 1560, ai Cinque del contado e distretto fiorentino oppure agli Otto di pratica –, che doveva pronunciarsi sulle dispute in parte perché ad esso spettava il controllo sulle comunità, in parte perché il magistrato si configurava come giudice nelle contese.

Con l'inserimento dei cancellieri fermi il meccanismo non cambia; a cambiare è la quantità delle dispute che si presentano davanti agli occhi dei Nove Conservatori: i memoriali del Buonaccorsi si infittiscono, a partire dalla fine degli anni sessanta, di episodi di scontro tra comunità e cancelliere dei Nove, e viene fatto larghissimo uso delle imputationi con cui i magistrati locali, o chiunque altro, elencano meticolosamente i «capi d'accusa» nei confronti del funzionario. Nel maggio del 1568 ben sei persone di Castrocaro, ai margini del Granducato nella Romagna fiorentina186, inviano a Firenze una

186 Castrocaro Terme e Terra del Sole, oggi in provincia di Forlì Cesena; in quanto terra di confine tra la Toscana medicea e lo Stato pontificio, era oggetto di particolare attenzione

lettera contenente numerose accuse contro il cancelliere:

Del mese di marzo passato fu scritto al Magistrato de' Nove dal capitano Corbino Corbini, Giovambart[olome]o Paganelli, ser Horatio Marruoli, Giovanfrancesco Ventorese, Girolamo Corbini et Giovanberto Seghanti, tutti da Castrocaro, una lettera soscritta da tutti lor sei, che conteneva alcune imputationi contra ser Marchionne Bianche cancelliere di quella comunità187.

Ancora, nel maggio dello stesso anno perviene un elenco anonimo di accuse contro il cancelliere di Pomarance188, in ben altra parte del

Granducato189:

Alli giorni passati fu scritta al magistrato de' Nove una lettera senza il nome di chi la scriveva, che conteneva circa XX capi di imputationi contro ser Benedetto Lupivecchi notaio da Ripomarance cancelliere di quel comune190.

Le imputationi si situano sempre in un contesto di legalità, ed appare chiaramente un diritto delle realtà periferiche il fatto di poter mettere per iscritto e presentare davanti al magistrato centrale un documento contenente accuse, a cui dovevano seguire delle giustificationi che legittimassero sia i «capi d'accusa» che la difesa; alle accuse mosse dagli «anziani» di Pietrasanta contro il cancelliere ser Vincenzo Colucci, registrate dal Buonaccorsi nel febbraio 1568, devono seguire quindi le giustificationi:

da parte dei granduchi. Cfr. E. Repetti, Dizionario..., op.cit., I, pp. 618-620. 187 ASFI, Nove Conservatori, 942, c. 178R, 17 maggio 1568.

188 Già denominata Ripomarance.

189 Pomarance è situata in Val di Cecina, in provincia di Pisa. 190 ASFI, Nove Conservatori, 942, c. 179r, 20 maggio 1568.

havendo il magistrato innanzi uno per parte assegnò loro certo termine a giustificare quanto ne occorreva loro, et dopo alcune proroghe facte per honesti impedimenti, hanno finalmente havuto le giustificationi et quanto hanno voluto produrre et dire in voce, et par al magistrato che ser Vincentio si sia a pieno rivelato et giustificato del tutto191.

E' dunque attraverso lo strumento delle imputationi inoltrate al magistrato centrale che le comunità muovono contro i cancellieri, siano essi dipendenti dai Nove o dal magistrato locale. L'infittirsi, alla fine degli anni sessanta, di questi capi di accusa pervenuti al Buonaccorsi fa pensare, come abbiamo detto, ad una generale volontà di autodifesa delle comunità da un corpo estraneo. E' appunto l'estraneità del funzionario, cioè la sua indipendenza rispetto al governo locale l'elemento ricorrente su cui sembrano poggiare le accuse, le quali, non a caso, vertono per la maggior parte sulla gestione impropria del denaro pubblico e sul mancato riconoscimento del rispetto nei confronti del magistrato locale. Gli «anziani» di Pietrasanta, infatti,

scrissono al magistrato de' Nove il primo di settembre passato dolendosi di ser Vincentio Colucci lor cancelliere che non li obediva, et haveva usato parole insolenti contra di loro et loro antecessori, et haveva fatto pagar danari della comunità senza haverne il partito valido dal consiglio, et si dolevano di più altre simili cose192.

La mancanza di rispetto nei confronti del governo locale è ugualmente la principale delle accuse mosse contro ser Marchiorre Bianche cancelliere di Castrocaro; tra queste, infatti,

la più importante et di consideratione appariva che egli haveva mandato un partito in nome di quella comunità senza consenso o saputa di quella 191 ASFI, Nove Conservatori, 942, c. 172r, 28 febbraio 1567 (s.f.).

192 Ibid.

.

Anche tra le imputationi contro ser Benedetto Lupivecchi cancelliere di Pomarance emerge un'errata gestione del denaro pubblico, insieme ad una inadeguata tenuta delle scritture, sebbene

buona parte delle imputationi si restono vane, ma [...] ve ne sono alcune, cioè che ha preso danari del comune senza rimetterli et fattosi pagar indebitamente, et haver permesso che un suo fratello pigliassi allo incanto certo provento di quel comune il che è prohibito, se bene per ciò non ne segui danno al comune [...], et in ultimo la più importante è che, essendo egli notaio del danno dato, haveva di agosto passato messo al libro circa cento partiti di condemnationi et parte assolutioni di danni dati, da sentenziarsi per lui tutte in un medesimo giorno et con una sola lettura, dove nella fine è il 'L'arà darà', come si scrive nel fine di tutte le sententie, et vi è messo il giorno 'adì 23 di agosto 1567' dove è raschiato, e poi scritovi sopra dicto giorno, et alcune partite delle condamnationi precedenti sono ritoche, parte raschiate et riscritte, et parte freghate et racconce con la penna, et in alcune è accresciuta la pena et in alcune scemata194.

L'introduzione del cancelliere dei Nove sembrava quindi avere come conseguenza immediata la nascita di un timore diffuso che gli elementi su cui poggiava il sistema di governo comunitativo potessero essere sovvertiti; da qui la difesa, continuamente ribadita dalle comunità, del potere locale, la cui autorità nessuno doveva mettere in discussione. E' questa autorità l'unica a poter decidere come gestire il suo denaro pubblico, e l'unica che, per ottenere la licentia per le spese, doveva rivolgersi al magistrato centrale; nessuna decisione doveva essere presa sulle sue finanze senza che essa ne fosse al corrente e ne avesse dato il consenso. E' evidente che un elemento nuovo, indipendente da questa autorità ma alla quale doveva tuttavia giurare rispetto, a cui veniva demandato il controllo legale sulle operazioni

di gestione delle finanze, destasse preoccupazione ai magistrati locali, il cui timore di un sovvertimento dello status quo portava a ribadire il primato del governo locale sulle entrate e sulle spese relative al suo territorio.

Inoltre, sebbene il meccanismo di fondo con cui le comunità, attraverso le imputationi, manifestavano il loro dissenso non fosse cambiato rispetto a prima dell'introduzione dei funzionari fermi, alcuni elementi di questo erano radicalmente mutati, ossia era cambiata la natura stessa dei soggetti che davano orgine al meccanismo. Se prima infatti le parti in causa – il magistrato locale o personaggi appartenenti alla comunità ed il loro cancelliere – si presentavano agli occhi dei Nove Conservatori come due distinti soggetti aventi pari diritti, adesso invece una delle due parti, il cancelliere appunto, che possedeva in teoria pari diritti rispetto all'altro soggetto, si trovava «in vantaggio» in quanto dipendente da colui – il magistrato dei Nove – che aveva l'autorità giuridica su tutto quanto il meccanismo. Inutile dire che, nonostante gli evidenti sforzi del magistrato centrale e del principe di rendere il giudizio il più equilibrato possibile, esisteva un problema intrinseco di fondo che «danneggiava» il sistema; ma questo, d'altronde, rientrava pienamente nei limiti del sistema giuridico di ancien régime, su cui torneremo.

Gli sforzi del principe nella direzione di una giustizia universale di cui si proclama depositario, risultano tanto più evidenti dall'analisi delle sentenze emanate in seguito alle imputationi contro i cancellieri; questi, infatti, non sembravano ottenere, almeno in questi primi anni, alcuno sconto sulla pena qualora venissero dichiarati colpevoli. Anzi, la volontà di un'applicazione ferrea ed immediata della pena, se da un lato dimostra l'intenzione di salvaguardare la verità in nome di una giustizia, come

accennavamo, universale ed inflessibile, dall'altro lato lascia trapelare una tendenza da parte del centro a tranquillizzare le comunità e ad ammortizzare i contrasti, insieme, tuttavia, ad una sincera e chiara volontà di porsi al di sopra di ogni conflitto. In questo senso la pena inflitta a ser Benedetto Lupivecchi cancelliere di Pomarance per le accuse di cui abbiamo poc'anzi accennato appariva quasi esemplare:

Stante questo non è parso al magistrato entrar seco in tortura o in altro, atteso che importanza de' denari è minima et senza sua partecipatione, et stia o no la cosa come egli la dice, par loro che stia male, et accompagnata con li altri errori di sopra si risolverieno i Nove, quando se ne soddisfacci a Vostra Eccelentia Illustrissima, a privar ser Benedetto per 4 anni di tutti li ufizii publici per notaio in questo dominio, et non osservando si intenda confinato per altanto tempo nelle stinche, et di più confinarlo di presente per 6 mesi nelle stinche, et che renda quello che ha preso indebitamente et paghi le spese della gita in Giovanni Dati195 et cattura et

altro per suo conto, et tanto mi hanno commesso ne scriva a Vostra Eccelentia Illustrissima per seguirne quanto la si degnerà comandarne196.

Anche la vicenda del cancelliere di Gangalandi Antonio Chianci, accusato di aver cancellato due doti come se fossero state pagate, «et poi che egli sentì il romore ha cercato di accordarvelo», richiamava l'idea di una giustizia imminente, ferrea e al di sopra delle parti:

il magistrato si risolverebbe a condennarlo a pagar le dette 2 doti avanti che esca di carcere, et privarlo per sempre di tutti li ufizii et maneggi et negotii publici del dicto comune, et contraffacendo si intenda confinato per 6 mesi nelle stinche per ogni volta che confraffacesse, et di più

195 Il Dati era stato mandato dal magistrato dei Nove a Pomarance e «secondo l'ordine datoli fece al suo arrivo là incarcerare il detto cancelliere et mandare un bando che chi havesse che dirli contro gliene desse nota, et intra tanto seguitò il detto Giovanni di far i constituti di ser Benedetto et di quelli che erano nominati nella querela et cose de' libri, et tutto per mano del cavaliere del podestà, et passato il termine del bando senza che alcuno se ne querelassi, se ne tornò qui con le detti esamine», ASFI, Nove Conservatori, 942, c. 179r, 20 maggio 1568.

confinarlo di presente per uno anno a Livorno da rappresentarsi in un mese poi che uscirà di carcere, et non osservando si intenda confinato per uno anno nelle stinche o secondo che altrimenti paresse a Vostra Eccelentia Illustrissima197.

A questo meccanismo che utilizza lo strumento delle imputationi si affiancava, a partire dal 1569, un fenomeno nuovo: lo scontro diretto tra singoli privati o rappresentanti del governo locale e il nuovo cancelliere, che si manifestava sia con attacchi di natura verbale che con attacchi di natura fisica alla persona del funzionario. Questi episodi, che aumentarono vertiginosamente intorno al 1570, furono registrati con estrema preoccupazione dal magistrato dei Nove.

Uno di questi primi scontri violenti si era verificato a Cortona nel luglio del 1569; il cancelliere Nello di Cortona scriveva infatti al magistrato dei Nove che, avendo convocato un privato cittadino, tal Claudio Ghini, per fare una permuta di estimo di alcuni beni col contadino Giovanni Del Pasqua, il Ghini si era presentato nella cancelleria «armato di pugnale et spada, fuori della cintura, con volto burbero» e vedendo il contadino, aveva osato dire al cancelliere:

Tu non mi puoi comandare, qui non si fa se non torti, anchora il commissario fa il medesimo et per ogni minimo contadino si mette il piede adosso al cittadino, non acconciar questa gravezza198!

E urlando «correva la cancelleria per sua usando altri termini sconvenientissimi», cosicché il cancelliere, «veggendolo [...] così infiammato contro di sè, lo placò con buone parole il meglio che possette et tenendosi a mal partito lassò stare di acconciare quella permuta». L'episodio in sé

197 ASFI, Nove Conservatori, 942, cc. 196r-196v, 11 gennaio 1568 (s.f.). 198 ASFI, Nove Conservatori, 942, c. 211r, 1 luglio 1569.

considerato non risulterebbe tuttavia così interessante, se non fosse che tal Ghini,

non contento a quello insulto fattoli se ne andò di poi vantando et tralli altri trovò un ser Giovanbattista Q[ui]ntani et li disse: ‘Sai tu nulla della cosa mia, per ch'io ho dato del tu al cancelliere et dettoli certe parole insolenti!’199.

Il Ghini si era dunque vantato delle offese arrecate al cancelliere, e aveva dimostrato di non tenere in alcuna considerazione l'ufficio, probabilmente convinto che difficilmente sarebbe stato perseguito per questo. La sicurezza dimostrata rievoca il perenne conflitto tra le comunità ed il loro contado, su cui si misurano costantemente, per tutta l'età moderna, le forze politiche in gioco, e rimanda a una tendenza che il governo cosimiano aveva da subito adottato: quella ad erodere i margini di autonomia ed i privilegi dei ceti dominanti del dominio fiorentino. Spesso quindi le tensioni che si sviluppavano riflettevano contrapposizioni sociali più nette, come quella, appunto, tra cittadini e contadini200; in quest'ottica

l'arroganza del Ghini presupponeva la certezza che, nonostante il potere centrale stesse intervenendo anche sul territorio, nulla avrebbe potuto mutare nelle dinamiche sociali che da sempre reggevano le comunità periferiche, e che si concretizzavano sulla indiscussa protezione dei privilegi delle oligarchie locali. Il cancelliere, in questo caso, si presentava come il portavoce di una volontà superiore, al di sopra delle parti, volontà che si identifica con l'autorità suprema del principe, protettore del bene pubblico e difensore della giustizia; è proprio questo aspetto di rappresentante di un

199 ASFI, Nove Conservatori, 942, c. 211r, 1 luglio 1569. 200 Cfr. E. Fasano Guarini, Potere centrale..., op.cit., passim.

potere supremo, il quale minacciava lo status quo della vita locale, ad aizzare le ire del Ghini che, in qualità di cittadino di Cortona, sentiva di essere in diritto di far valere la sua «superiorità» su un «minimo contadino» il quale veniva invece a lui equiparato sia dal commissario che dal cancelliere.

L'ostentazione della certezza del Ghini di essere nel giusto risulta tuttavia maggiormente comprensibile se andiamo avanti nella lettura del memoriale; messer Nello riferiva infatti anche:

Che da qualche settimana in qua quello universale della città è in qualche modo insuperbito, che se non vi si pone remedio ne potrebbe uscir qualche scandolo di importanza et che usono quando vogl[i]ono fare una cosa, che il cancelliere conosce essere dannosa a quella comunità, et egli ne vuole pigliare il partito con condizione che sia approvato qui, loro piuttosto lassono stare di farne il partito, et che truova che a questo sono stati mantenuti et forse sono di presente, da ser Ottaviano Armaroli che vi era cancelliere innanzi a messer Nello, che in una notula che dava alli ambasciatori havea scritto queste parole: 'Et se il rescritto della supplica rimetterà a signori Nove non la produrrete et non volemo che i Nove la informino in modo alcuno', dove pareva dovessi fare tutto il contrario, et mantenerli sotto questa obedienza, et che se havessi facto osservar quelli ordini quando vi era cancelliere non parrebbe loro di presente tanto strano a ridurveli, et che li ha fatti habili alli ofitii anchor che fossero debitori e a specchio a danno del comune [...], et che ser Francesco Baldelli in un partito che non poteva fare da per loro non volse vi si mettessi la conditione che fussi approvato qui et usò dir che non voleva pregiudicar alla authorità di quel palazzo et dice dicto cancelliere che piuttosto starieno sotto non so chi che sotto questo ufizio201.

La tendenza al disconoscimento dell'autorità del magistrato dei Nove sembrava divenire così un fenomeno generale tra gli ufficiali di Cortona, ed il singolo episodio del Ghini non rappresentava che una delle molteplici facce dello stesso fenomeno, legittimato soprattutto dall'operato dal precedente cancelliere, il quale dimostrava di non riconoscere in modo alcuno la superiore autorità centrale; anzi, aveva lavorato evitando il necessario

confronto coi Nove e aveva facilitato alcuni ufficiali che legalmente non avrebbero potuto essere resi abili agli uffici. La frase con cui si conclude il memoriale è significativa e chiaramente sintomatica di un clima di dissenso nei confronti del magistrato fiorentino, colpevole di volersi intromettere nella gestione della vita locale. Lo scontro col privato cittadino Claudio Ghini di cui riferiva il cancelliere si colloca quindi in questo clima, e acquista il suo spessore storico proprio perché circoscrivibile in una situazione di tensione e conflittualità diffusa.

Episodi simili, in cui a muovere contro il funzionario dei Nove sono private persone si susseguono nei memoriali del Buonaccorsi in maniera continua a partire, come abbiamo detto, dal 1569.

Nel novembre del 1571 il cancelliere di Borgo San Lorenzo aveva riferito che tal Francesco Benvenuti gli aveva dato del «traditore assassino»; il commissario Giovanni Vettori, alla cui presenza si era svolto l'incidente, smentiva, però, che le parole usate fossero quelle riportate dal funzionario, anche se era d'accordo con lui nel sottolineare che si trattava comunque di parole ingiuriose. Il principe decideva così di confinare il Benvenuti per quattro mesi fuori della città202, laddove i Nove, invece, avevano proposto

una punizione più leggera203.

Analogamente nell'agosto del 1571 il cancelliere di Cerreto Guidi204,

Marco Mellini, aveva subìto delle offese da tal Mannino di Marco, il quale: