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3.3 CONGLOMERATI BITUMINOSI CON BITUMI MODIFICAT

3.3.2 Rubber Asphalt

Lo sviluppo di leganti e conglomerati bituminosi modificati con gomma è stato oggetto di studio negli ultimi trenta anni. L’obiettivo iniziale di tale ricerca era senza dubbio il miglioramento delle prestazioni su strada dei leganti bituminosi alle basse e alle alte temperature. Oggi l’interesse circa la modifica di leganti bituminosi con gomma di recupero è in gran parte giustificato dai problemi ambientali e politici riguardo lo smaltimento della crescente quantità di gomma vulcanizzata proveniente da pneumatici deteriorati (figura 3.8). Lo studio di conglomerati bituminosi ad elevate prestazioni spesso si unisce allo studio delle implicazioni ambientali che la produzione, la posa in opera e l'esercizio di tali materiali implicano. È questo il caso dei conglomerati bituminosi confezionati con della gomma proveniente dal riciclaggio industriale di pneumatici dismessi che, negli Stati Uniti ed in Canada, è divenuta una fonte considerevole per la realizzazione di conglomerati bituminosi. L’utilizzo del granulato di gomma limita, inoltre, l'impiego di inerti pregiati provenienti da cave: azione questa che si accorda con i basilari criteri di tutela ecologica i quali impongono di frenare quanto più possibile l'uso di risorse non rinnovabili.

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La normativa internazionale ASTM D-6114-97 (2002) riconosce il Rubber Asphalt (RAC), definendolo come “una miscela di bitume e gomma proveniente da pneumatici riciclati, in cui la componente gomma è presente per almeno il 15% rispetto al peso totale ed ha reagito nel bitume caldo in maniera sufficiente da causare il rigonfiamento delle particelle di gomma”.

Questa miscela può essere realizzata secondo due tecniche:  Wet Rubber Asphalt

 Dry Rubber Asphalt

Con il termine tecnico Wet Rubber Asphalt ci si riferisce esclusivamente al bitume modificato con polverino di gomma, attraverso il processo wet, tecnologia di produzione che consiste nell’aggiungere la gomma al bitume, ottenendo un legante modificato.

Il processo wet costituisce una metodologia ben disciplinata in cui, attraverso un preciso e controllato processo industriale, il polverino di pneumatico assorbe e fissa la frazione maltenica dei costituenti volatili aromatici del bitume, alla cui dispersione nel tempo, per fenomeni d’ossidazione e per l’azione dei raggi UV, si deve l’invecchiamento del bitume.

Si realizza così un bitume modificato ad alte prestazioni con il quale è possibile ottenere un conglomerato straordinariamente flessibile e resistente.

La quantità di gomma che generalmente viene aggiunta durante il processo wet è compresa tra il 10 ed il 30% in peso del legante: si riscontra che valori superiori al 10% ampliano il campo di temperatura di applicazione del conglomerato realizzato; mentre percentuali inferiori agiscano esclusivamente sulle alte temperature.

Questo processo non implica modifiche significative al normale impianto di produzione di conglomerato a caldo, non dovendosi adottare speciali apparecchiature per la preparazione e applicazione del materiale.

Tale processo può essere:

• Discontinuo: il bitume e il polverino, vengono mescolati all’atto della produzione del conglomerato

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La gomma, come elemento di costituzione del polverino, in definitiva, conferisce al legante una migliore elasticità e flessibilità, mentre gli antiossidanti, stabilizzanti e riempitivi ne ritardano l’invecchiamento; i principali problemi sono:

• Possibile eterogeneità della miscela finale e segregazione • Dipendenza dalla qualità del bitume

• Costo del polverino

• Incerte ripercussioni su salute ed ambiente

• In competizione col bitume modificato già affermato Le caratteristiche positive, invece sono:

• Lunga esperienza nel settore soprattutto all’estero • Può rispondere alle specifiche SHRP-Superpave • Migliori caratteristiche elastiche del prodotto finale • Migliore resistenza alle alte e alle basse temperature • Riduzione dell’ormaiamento e della fessurazione • Riduzione di rumori e vibrazioni

• Migliore coesione del conglomerato • Migliore resistenza all’invecchiamento

Contrariamente dal processo wet, dove la gomma finisce per far parte del legante, il processo dry prevede che il granulato di gomma venga aggiunto all'aggregato lapideo prima della miscelazione col bitume. Così facendo, la gomma introdotta agisce sia da inerte che da legante in quanto, durante la fase di miscelazione, essa reagisce, anche se solo parzialmente, con il bitume. II processo dry implica un consumo di gomma circa dieci volte superiore rispetto a quello che ottimizza il processo wet e rispetto a quest’ultimo riscuote un minor successo in campo applicativo, attribuibile alla necessità di un'accurata preparazione del conglomerato, all'adozione di specifiche condizioni di stesa e costipamento, all'idonea ed accurata formulazione della curva granulometrica di progetto. Nel processo dry le particelle di gomma fungono da microammortizzatori visco-elastici migliorando la risposta del conglomerato alle sollecitazioni ed impedendo, per effetto dell'assorbimento di una frazione del bitume, fenomeni di sfioramento e sgranamento.

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Fig.3.9 – Tratto autostradale costruito con RAC negli Stati Uniti

3.4 LE CERE

Le tecniche che prevedono l’impiego di additivi organici, categoria alla quale appartengono le cere sintetiche, consentono l’articolazione di processi warm basati sul miglioramento delle proprietà di flusso del legante bituminoso quale conseguenza di una transizione di fase delle stesse cere alle temperature maggiormente significative per la realizzazione di pavimentazioni stradali.

In questo caso si è pertanto in presenza di una vera e propria modifica del bitume di base che avviene solitamente per mezzo di cere sintetiche.

Le cere sintetiche Fischer-Tropsch (FT) sono un prodotto secondario dell’omonimo processo il cui obbiettivo principale è individuato dalla produzione di idrocarburi liquidi per sintesi di carbone o gas naturale. Quale conseguenza del processo produttivo, le cere FT risultano essere formate da idrocarburi alifatici ad alto peso molecolare (circa 1600 g/mol) caratterizzati da lunghe catene (C40 – C120) e cristalli di piccola dimensione [15].

Grazie a queste caratteristiche, le cere FT mostrano un elevato punto di fusione (>90°C), utile a favorire una diminuzione della viscosità del bitume proprio alle temperature tipicamente raggiunte nei processi di confezionamento e di posa in opera dei conglomerati, senza un esplicita compromissione della resistenza alle deformazioni permanenti alle temperature di esercizio.

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La struttura microcristallina di detta cera comporta una limitazione dell’incremento della rigidezza alle basse temperature degli stessi conglomerati. Dai risultati delle ricerche condotte sulle cere si evince che il principale effetto dell’aggiunta di cere sintetiche al bitume sia quello di un relativo incremento di rigidezza, riscontrabile nell’intero intervallo delle temperature di esercizio. In alcuni casi si assiste anche a variazioni sensibili nell’angolo di fase (fig.3.10). Per quanto concerne la viscosità alle alte temperature, diverse esperienze mostrano la comparsa di una ben localizzata discontinuità nella curva η-T in corrispondenza dell’intervallo di fusione della cera.

In conseguenza di tale discontinuità si registrano le riduzioni di viscosità che consentono abbassamenti delle temperature di miscelazione e posa in opera pari a 10°C.

Nonostante diverse esperienze siano state condotte, si osserva al momento una latente incertezza nell’ambito della determinazione quantitativa degli effetti delle cere su bitumi di varia natura nelle condizioni di temperatura riconducibili all’esercizio, alla produzione ed alla stesa dei conglomerati bituminosi.

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3.4.1 Sasobit®

Il Sasobit® è una cera paraffinica ottenuta mediante processo Fischer- Tropsch e può essere mescolata al legante in forma fusa in quanto è completamente solubile nel bitume ad una temperatura maggiore di 115°, o può essere aggiunta assieme all’inerte nel conglomerato bituminoso.

Si presenta in forma solida sottoforma sferica con un diametro che oscilla tra 1mm e 5mm (Figura 3.11).

Il suo impiego deve essere previsto in fase di progettazione della miscela e un corretto mix design, mediante l’utilizzo della prova con pressa giratoria (SHRP- Superpave), evidenzia che accanto all’utilizzo di Sasobit® deve corrispondere

una diminuzione della percentuale di legante.

Inoltre mediante la stessa tipologia di prova, si è dimostrato che il legante così modificato aumenta la sua viscosità senza compromettere il valore del modulo di rigidezza che rimane invariato assieme alle caratteristiche meccaniche del bitume stesso. L’utilizzo di questa particolare cera paraffinica consente di diminuire le temperature di miscelazione e compattazione del conglomerato di circa il 20% rispetto a quelle tradizionali.

Tra gli altri vantaggi una volta raffreddato, il Sasobit® forma un reticolo cristallino uniforme migliorando le prestazioni del binder.

Infine l’utilizzo di questa cera risulta essere uno strumento efficace per ridurre i costi del carburante e le emissioni di gas inquinanti, oltre a consentire rapidi interventi di messa in opera del conglomerato e quindi un’immediata riapertura al traffico [16].

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