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La difficoltà di interpretare compiutamente il comportamento reologico di bitumi modificati con alte percentuali di polimero, ha indotto gli stessi ricercatori di SHRP ed altri studiosi Europei ad individuare alcune criticità nelle assunzioni del sistema Superpave. Uno degli approcci alternativi, seguito in Europa, riguarda la definizione della resistenza allo scorrimento del legante, interpretata in termini di viscosità. Tale concezione si basa principalmente sul fatto che per valutare parametri correlati alla deformazioni permanenti occorre raggiungere condizioni in cui sia possibile distinguere fra parte immaginaria del modulo di deformabilità complessa J’’ e modulo di deformabilità viscosa Jv, e quindi tra

scorrimenti reversibili (elasticità ritardata) e scorrimenti irreversibili.

La viscosità dei leganti bituminosi alle temperature di esercizio non può però essere considerata una grandezza univoca in quanto è fortemente influenzata, oltre che dalla temperatura e dal tempo di carico, anche dalla velocità di deformazione.

Nasce così l’esigenza di riferirsi ad un valore limite della viscosità dei materiali, la Zero-Shear Viscosity (ZSV), individuato dall’instaurarsi di uno stato di flusso che avviene per successione di stati prossimi all’equilibrio, in cui la struttura interna del materiale permane inalterata rispetto alla condizione di quiete.

La determinazione della Zero-Shear Viscosity non può quindi per definizione stessa della grandezza, prescindere dal verificarsi delle seguenti condizioni:

1. Flusso stazionario (dγ/dt → k)

2. Velocità di deformazione prossima al valore nullo (dγ/dt → 0)

Le condizioni 1 e 2 assicurano l’esecuzione della misura di viscosità all’esaurirsi della fase di elasticità ritardata (condizione 1) ed all’interno della regione di linearità del flusso (condizione 2), realizzando una situazione in cui le componenti elastica Je ed elastica ritardata Jde del modulo di deformabilità J(t),

possono essere considerate trascurabili.

Si può cosi pervenire alla valutazione della sola componente viscosa del modulo (Jv), che risulta essere direttamente correlata al valore di Zero-Shear

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Viscosity secondo la descrizione del comportamento dei solidi viscoelastici lineari esplicitata nel modello di Burger:

! ! = !!+ !!"+ !! = 1 !!+ 1 !! 1 − ! !!!!! ! + 1 !!! (eq.1.34)

Secondo l’assunzione di tale modello infatti, la ZSV è rappresentata dal coefficiente di viscosità η0, unico artefice della deformazione a carattere

permanente. A differenza quindi di valori di viscosità misurati fuori dalle condizioni di stazionarietà del flusso, la ZSV non risente dei fenomeni di elasticità ritardata, rappresentando univocamente, in linea teorica, la resistenza allo scorrimento irreversibile del legante.

La ricerca dello stato di flusso stazionario (non considerata nella valutazione Superpave della massima temperatura di esercizio) diviene pertanto, con le misure di ZSV, un elemento di fondamentale importanza. In riferimento a queste considerazioni, ed in particolar modo in relazione alla ricerca dello stato di flusso stazionario, la misura sperimentale della ZSV può essere affrontata tramite due diverse strategie reometriche: creep flow alle basse velocità di scorrimento ed analisi dinamica alle besse frequenze.

Fig.1.18 – Andamento della viscosità nello stato stazionario in funzione del livello della viscosità di deformazione o della tensione applicata

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Partendo dal ruolo del parametro η0 nel modello di Burger è possibile

definire un ulteriore concetto di Zero-Shear Viscosity (ZSV). Pensando alla funzione del parametro η0 è immediato identificare in esso una viscosità, che

per lunghi tempi di carico, quando i contributi elastici ed elastici ritardati divengono trascurabili, può essere confusa col rapporto τ/(dγ/dt). Quando il tempo di carico è sufficientemente prolungato e contemporaneamente lo sforzo applicato è sufficientemente vicino a zero è possibile allora identificare col parametro η0 un valore di viscosità che non dipende più ne dal tempo di carico

ne dalla tensione applicata (figura 1.18). In queste condizioni η0 può essere

Capitolo  2  

 

Il  bitume  

     

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2.1 INTRODUZIONE

È assodato come il petrolio sia il componente che ha rivoluzionato il modo di produrre e costruire dell’uomo, e non sono poche le applicazioni che sfruttano i prodotti e le derivazioni del cosiddetto “oro nero”.

Nel linguaggio comune termini come “bitume”, “catrame” o “asfalto” sono spesso usati indifferentemente, ma essi hanno significati diversi e devono essere usati con precisione. Un ulteriore, se non il principale, motivo di confusione è dovuto al fatto che, fra i diversi Paesi, esistono differenze sostanziali nel significato attribuito allo stesso termine. Per esempio, il bitume da petrolio è chiamato “asphalt” negli USA, mentre in Europa “asfalto” è la miscela di bitume e inerti (conglomerato bituminoso) usata per la pavimentazione stradale. In Italia, seguiremo ovviamente l’uso europeo.

Occorre fare attenzione anche alle differenze tra bitume e catrame. Il bitume è un materiale di colore bruno o nerastro, solido o semi solido a temperatura ambiente, con comportamento termoplastico. Si ricava dalla lavorazione del petrolio grezzo, e chimicamente è una combinazione complessa di composti organici ad alto peso molecolare, con prevalenza di idrocarburi con numero di atomi di carbonio maggiore di C25 e alto valore del rapporto C/H. Oltre a piccole quantità di zolfo, azoto e ossigeno, contiene inoltre tracce di metalli quali nikel, ferro e vanadio. È praticamente non volatile a temperatura ambiente, insolubile in acqua e solubile in alcuni solventi.

Il catrame invece è un materiale con aspetto simile al bitume, ma del tutto diverso per origine e composizione. È ottenuto industrialmente dalla distillazione distruttiva del carbon fossile e si presenta alla temperatura ambiente come un liquido, più o meno viscoso, di colore variabile fra bruno e nero. Le sostanze organiche presenti in maggiore quantità sono gli idrocarburi alifatici e i composti aromatici e, in proporzioni minori, altre sostanze contenenti zolfo, ossigeno e azoto. La sua composizione comunque varia, entro certi limiti, a seconda del carbone usato e dalle modalità di distillazione.

Entrando nel particolare, questo materiale rispetto al bitume, mostra un contenuto molto più elevato di idrocarburi policiclici aromatici, oltre che

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numerosi altri composti contenenti ossigeno, azoto e zolfo, quindi il catrame contiene principalmente idrocarburi aromatici mentre il bitume idrocarburi paraffinici. Tra questi idrocarburi aromatici si ricordano il benzene, il toluene, la naftalina, l’antracene, composti ossigenati come fenolo, cresoli, ilenoli, naftoli e composti azotati come piridina, picolina e clinoline. Proprio perché contiene queste sostanze è da considerarsi cancerogeno.

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