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IL RUOLO DELL’AGCM NELL’APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SULLE PRATICHE COMMERCIAL

SCORRETTE

1. Procedimenti e provvedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole e comparativa

In considerazione delle fattispecie previste dalla nuova disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette e dei poteri di carattere

istruttorio e decisorio che sono stati conferiti all’Autorità41, oggetto di intervento può essere, attualmente, non solo ogni forma di comunicazione commerciale, comunque effettuata, ma anche tutte quelle pratiche commerciali scorrette poste in essere da professionisti nei confronti dei consumatori e degli utenti in occasione di

un’operazione commerciale. Si tratta di una categoria ampia di

comportamenti che comprende qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità

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Cfr. A. Catricalà - A. Lalli, L’Antitrust in Italia: il nuovo ordinamento, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 57-78.

e la commercializzazione del prodotto, posta in essere in relazione alla vendita o fornitura di un prodotto (art. 18, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 146/2007).

La legge, in attuazione della Direttiva, si basa sul principio del divieto delle pratiche commerciali scorrette espresso secondo

un’articolata tecnica normativa. Viene delineata una fattispecie

generale, ma di applicazione residuale che individua la nozione di pratica commerciale scorretta (art. 20 del d.lgs. n. 146/2007); sono individuate, in questo genere, due specie definite rispettivamente come ingannevoli e aggressive , le quali a loro volta sono descritte mediante il ricorso a clausole generali (artt. 21, 22, 24 e 25 del d.lgs.

146/2007); infine, nell’ambito delle due specie, sono descritti

compiutamente alcuni specifici comportamenti che integrano, rispettivamente, pratiche da considerare in ogni caso ingannevoli (art. 23 del d.lgs. 146/2007) e pratiche da considerare in ogni caso aggressive (art. 26 del d.lgs. n. 146/2007). Queste due ultime disposizioni implicano una più semplice attività , che si sostanzia nella sussunzione dei fatti nelle fattispecie puntualmente definite dalla legge. Più complessa è, invece, la funzione con riferimento alle

individuano le pratiche ingannevoli e aggressive. Mentre con riferimento alle ingannevoli, qualora siano in questione messaggi pubblicitari, potranno costituire un utile ausilio la prassi e la giurisprudenza formatesi in tema di pubblicità ingannevole, negli altri

casi l’Autorità avrà l’importante ruolo di delineare le linee

interpretative nei singoli casi concreti.

Anche se per la peculiare architettura normativa sopra illustrata, la clausola generale che delinea la categoria delle pratiche commerciali è di applicazione residuale, dovendosi ricorrere ad essa solo quando il comportamento in questione non rientri né negli elenchi specifici, né nella definizione di pratica ingannevole o aggressiva, e configurandosi quindi come norma di chiusura, essa nondimeno fornisce importanti criteri interpretativi. In definitiva, all’Antitrust spetta un complesso compito di interpretazione della disciplina, che dovrà essere condotto cercando di trovare un equilibrio tra i doveri che la normativa impone e le esigenze di tutela che ne costituiscono

Il quadro delle tutele risulterà rafforzato, oltre che sul piano amministrativo, anche sul piano civilistico42. I rimedi di natura amministrativa sono però autonomi e complementari rispetto agli strumenti civilistici, e possono agevolare i singoli nell’esercizio di questi ultimi.

Il peculiare rapporto tra i rimedi amministrativi e civilistici, in funzione della tutela degli interessi dei consumatori-utenti, è stato esplicitamente confermato dal legislatore nella recente disciplina

dell’azione collettiva risarcitoria43. Dopo aver chiarito che l’azione può essere intentata per il risarcimento dei danni rilevanti, tra l’altro,

in conseguenza di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali, la norma stabilisce che il giudice, cui spetta un

preliminare vaglio di ammissibilità dell’azione, possa differire la pronuncia quando sul medesimo oggetto sia in corso un’istruttoria davanti a un’Autorità indipendente. In tal modo vi è la possibilità che

le risultanze probatorie acquisite nel procedimento amministrativo di

42In questo senso G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali scorrette: la nozione

generale di pratica commerciale «scorretta» e i parametri di valutazione della scorrettezza, in

AA.VV., Le pratiche commerciali «sleali» tra imprese e consumatori, Torino, Giappichelli, 2007, p. 1138; M. NUZZO, Pratiche commerciali scorrette ed effetti sul contratto: nullità di protezione

o annullabilità per vizi del consenso, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Milano, Giuffrè,

2007, p. 236 ss.

43

Istituita dall’art. 446 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 che ha introdotto il nuovo art. 24-bis

del Codice del Consumo, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, poi modificato dal comma 1 dell’art. 49 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

competenza dell’Autorità possano avere una valenza anche nel processo per il risarcimento dei danni. Il previo intervento

dell’Antitrust, per sua natura caratterizzato dall’uso di penetranti

poteri investigativi, potrà essere di grande ausilio per gli stessi consumatori-utenti, normalmente non in grado di affrontare gli oneri amministrativi, tecnici ed economici necessari per far accertare i comportamenti illeciti delle imprese. Spetterà alla prudenza dei

giudici utilizzare lo strumento del differimento sull’ammissibilità della domanda, per consentire l’utile intervento dell’Istituzione

amministrativa.

I rimedi possono essere attivati d’ufficio, oltre che su istanza di

ogni soggetto che ne abbia interesse. Il procedimento diretto ad accertare la realizzazione di una pratica scorretta è disciplinato

dall’Autorità stessa con un atto44 che il d.lgs. n. 146/2007 qualifica come regolamento sulla falsariga del procedimento di accertamento degli illeciti concorrenziali. L’unica differenza sostanziale sta nel fatto

che l’avvio dell’istruttoria è di competenza degli uffici e contiene in modo puntuale gli addebiti che vengono mossi all’impresa. In

44Delibera 15 novembre 2007, n. 17589 sulle procedure in materia di pratiche commerciali

alternativa all’avvio dell’istruttoria, il responsabile del procedimento

può, qualora sussistano fondati motivi tali da ritenere che una pratica commerciale sia scorretta e sempre che non si sia di fronte a casi di particolare gravità, invitare il professionista a rimuovere i profili di scorrettezza. Di questa intenzione, il responsabile deve informare il collegio45. La decisione di archiviare in assenza dei presupposti per un

approfondimento istruttorio è assunta dal collegio. L’istruttoria è,

quindi, condotta dal responsabile del procedimento che, quando ritiene la pratica matura per essere decisa, comunica alle parti la data di

conclusione dell’istruttoria stessa ed indica loro un termine entro cui

possono presentare memorie e documenti. Conclusa questa fase, il

responsabile rimette gli atti al collegio per l’adozione del provvedimento finale. I poteri investigativi sono stati integrati46 e

coincidono sostanzialmente con i poteri che l’Antitrust possiede per l’accertamento delle infrazioni di concorrenza, ivi comprese ispezioni,

perizie, analisi statistiche ed economiche nonchè consultazioni di esperti. Questi ultimi sono sempre autorizzati dal collegio. Peculiare

45Art. 4, comma 2, della delibera 15 novembre 2007, n. 17589.

46 L’art. 27 del d.lgs. 146/2007 rinvia al regolamento 2006/2004/Ce del Parlamento europeo e del

Consiglio del 27 ottobre 2004 sulla cooperazione tra le Autorità nazionali responsabili

dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e gli utenti, per l’individuazione dei poteri investigativi ed esecutivi che sono così conferiti all’Autorità.

di questo procedimento è il potere di imporre al professionista l’onere di fornire prove sull’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica

commerciale. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un messaggio pubblicitario che vanti specifiche prestazioni di un prodotto. In questo

caso, l’impresa è nelle condizioni migliori per provare l’esattezza

delle sue affermazioni in punto di fatto e così la legge consente

all’Autorità di evitare gli accertamenti altrimenti necessari e a volte

particolarmente onerosi. Se la prova è omessa o è considerata insufficiente, i dati sono considerati inesatti.

L’Antitrust è stata dotata, inoltre, di poteri cautelari. Può

disporre, con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche nei casi di particolare urgenza. In analogia con quanto previsto in materia di tutela della concorrenza, a esclusione dei casi di

manifesta scorrettezza e gravità, l’Autorità può ottenere dal responsabile della pratica l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in

modo da eliminare i profili di illegittimità.

Infine, l’Antitrust può vietare la diffusione della pratica, non

ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, se la pratica è già iniziata. Con il medesimo provvedimento può essere

disposta a cura e spese del professionista la pubblicazione della delibera, anche per estratto, o di una dichiarazione rettificativa, in modo da impedire che le scorrettezze continuino a produrre effetti. Per costante giurisprudenza elaborata sulla disciplina della pubblicità ingannevole, la funzione della dichiarazione rettificativa o della

pubblicazione dell’estratto non è di sanzionare gli autori del

messaggio o di risarcire i soggetti lesi, ma di impedire che il messaggio continui a produrre effetti, dovendo la misura rispettare comunque il principio di proporzionalità. Ciò comporta che la pubblicazione della dichiarazione rettificativa o dell’estratto della delibera debbano di regola avvenire sullo stesso mezzo che è stato veicolo della pubblicità ingannevole47.

Possono essere disposte sanzioni pecuniarie da un minimo di 5.000 euro ad un massimo di 500.000 euro. Nel caso di inottemperanza ai provvedimenti cautelari, a quelli inibitori definitivi e al provvedimento che rende obbligatori gli impegni, il Collegio può sanzionare da un minimo di 100.000 euro ad un massimo di 150.000 euro. Nei casi di reiterata inottemperanza, può essere disposta la

sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a

trenta giorni. Non appare tuttavia congruente la scelta di avere previsto il limite edittale massimo per la sanzione in caso di

inottemperanza ai provvedimenti dell’Autorità inferiore a quello

previsto per la violazione dei divieti stabiliti dalla legge48.

1.1. Le pratiche ingannevoli e aggressive

La Direttiva 2005/29/Ce definisce, oltre alle clausole generali

delle pratiche definite all’art. 2, le clausole che possiamo definire di

«specie», tra le quali, agli artt. 6 e 7, i due tipi di pratiche commerciali ingannevoli49: le azioni e le omissioni ingannevoli50. Per il giudice amministrativo, dunque, le tre fondamentali coordinate alla luce delle quali individuare una pratica «ingannevole» consistono in: a) una

condotta (posta in essere dall’operatore commerciale) negativamente

connotata sotto il profilo della diligenza; b) un comportamento (assunto dal consumatore-utente) diverso da quello che quest’ultimo

48 Per esempi di procedimenti che hanno accertato pratiche commerciali scorrette, si veda la

relazione annuale sull’attività dell’AGCM (2008) presentata il 30 aprile 2009.

49Ai sensi dell’art. 6, comma 1, «è considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga

informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua rappresentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se

l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo

induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

50Sul punto, si vedano R. CALVO, Le azioni e le omissioni ingannevoli: il problema della loro

avrebbe tenuto o avrebbe potuto tenere; c) un nesso di implicazione

causale fra il primo e il secondo degli elementi indicati. L’obbligo di

chiarezza grava sul professionista fin dal primo contatto con il consumatore-utente51. Per fare un esempio di una pratica definita come ingannevole si può fare riferimento al procedimento52 aperto

dall’AGCM nei confronti della compagnia aerea Easyjet nel quale l’AGCM ha accertato la pubblicazione, ad opera della compagnia

aerea, di tariffe che non consentivano all’utente di conoscere, sin da

subito, l’effettivo costo del biglietto aereo. Nello specifico, l’AGCM

ha contestato il sistema di acquisto sul sito internet della compagnia ove le tariffe promozionali vengono presentate al netto dell’importo

della commissione per l’utilizzo della carta di credito, aggiunto

soltanto al termine della prenotazione e quindi al momento del

pagamento. A parere dell’AGCM tale circostanza non porrebbe l’utente nella condizione di poter conoscere l’insieme totale delle voci

di costo che compongono il prezzo del biglietto, secondo la

classificazione di tariffa, tasse e supplementi. L’utilizzo di tale pratica,

51Il TAR Lazio, il quale ha sottolineato come la semplice apposizione di asterischi in contratti al

fine di informare l’utente circa l’esistenza di ulteriori elementi o condizioni non sia sufficiente per assolvere all’obbligo di chiarezza; sentenza del TAR n. 633 del 20 gennaio 2010, Blue Express

Commissioni non chiare.

52 PS6147 -EASYJET- Commissioni carte di credito, Provvedimento n. 22456 nel bollettino n.

dunque, è stato sanzionato dall’Autorità ai sensi degli artt. 20, comma

2 e 21, comma 1, lettera d), c. cons., con una sanzione di 120.000 euro.

Ebbene, gli elementi costitutivi della fattispecie possono essere riassunti in: a) la falsità dell’informazione; b) la sua capacità recettiva,

ossia l’idoneità a trarre in errore il consumatore-utente di media diligenza. Si noti che l’elemento fondamentale dell’articolo 6 è, senza

dubbio, il riferimento al consumatore-utente medio, nel senso che le informazioni non veritiere devono essere idonee ad ingannare una persona di normale avvedutezza: tale riferimento è segno di

un’attenzione del legislatore alla tutela della generalità dei

consumatori-utenti, tutela attuabile attraverso il ricorso ad azioni inibitorie da parte delle associazioni di categoria a prescindere

dall’episodio isolato53. La lettera della norma ritiene dunque ingannevole una pratica quando il consumatore-utente, per effetto

dell’inganno, abbia assunto una decisione che «non avrebbe altrimenti

preso». Pare opportuno sottolineare come il destinatario della tutela

53 Si noti, infatti, come la Direttiva in esame non si preoccupi di tutelare individualmente il

consumatore-utente prediligendo, invece, una tutela collettiva della categoria. Non sfuggirà, tuttavia, come il singolo consumatore-utente, ingannato da un’informazione commerciale, potrà sempre agire alla luce degli articoli 1439 e 1440, c.c., dettati in materia di annullamento del contratto per errore.

qui apportata non sia solamente il consumatore-utente, ma anche il professionista concorrente, il quale viene compromesso dal deficit informativo in cui si trovano i consumatori-utenti a seguito delle pratiche commerciali disoneste.

Con riferimento all’art. 754 della Direttiva invece, elementi costitutivi della fattispecie sono sicuramente: a) omissione di informazioni rilevanti; b) l’idoneità dell’omissione ad indurre il consumatore-utente a prendere una decisione di natura contrattuale che non avrebbe altrimenti preso. Il comma 4 prosegue elencando una serie di informazioni che sono fondamentali al fine di superare

l’asimmetria informativa in capo allo stesso e, pertanto, la «chiusura

del canale informativo»55, che incrementa l’ignoranza della vittima

della condotta scorretta, può essere ravvisata quando induca la vittima stessa alla conclusione di un contratto che non avrebbe mai stipulato oppure a concluderlo a condizioni diverse rispetto a quelle che avrebbe accettato nel caso in cui fosse stato reso edotto delle

54 Ai sensi dell’art. 7, comma 1, della Direttiva «è considerata ingannevole una pratica

commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

55Cfr. R. CALVO, Le azioni e le omissioni ingannevoli: il problema della loro sistemazione nel

circostanze chiarificatrici, comunque fondamentali ai fini della corretta rappresentazione della realtà. Nell’ottica del comma 2 dell’art. 756, infatti, occultare significa porre in essere un comportamento

finalizzato a nascondere determinate informazioni, oppure

l’informazione è sì divulgata, ma in maniera tale da sfuggire all’attenzione del consumatore-utente medio, proprio in ragione degli

accorgimenti usati dal professionista57. Si consideri che il professionista può indurre in errore il consumatore-utente riportando le clausole in maniera sconnessa o disorganica, allo scopo di creare confusione. La confusione, così creata, a sua volta genera il cd. effetto sorpresa, che diviene percepibile quando il consumatore-utente, resosi conto tardivamente del reale contenuto contrattuale, è ormai vincolato ad obbligazioni diverse rispetto a quelle che si era inizialmente rappresentato.

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Ai sensi dell’art. 7, comma 2, della Direttiva «una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro,

incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo

conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa,

qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

57 Un esempio può essere ravvisato nel riportare un’informazione, utile a condizionare o

determinare il consenso del consumatore-utente, all’interno del contratto o del messaggio pubblicitario con caratteri grafici di dimensioni ridotte rispetto alle restanti clausole, così da

La Direttiva prevede poi, all’art. 8, una terza ed innovativa58 clausola di specie. In particolare, considera aggressiva una pratica commerciale che, in concreto e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore-utente medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Si noti che qui elemento centrale è la libertà di scelta del consumatore-utente, che

null’altro è se non il bene giuridico protetto dalla Direttiva. La tipologia di pratica scorretta prevista dall’art. 8 pone l’accento sulla

capacità di autodeterminazione del consumatore-utente, anche su un piano non negoziale: qui, più che altrove, è sentita la necessità di garantire allo stesso di poter scegliere liberamente, senza condizionamenti. Infatti, mentre le pratiche ingannevoli hanno una portata decettiva rispetto alla decisione commerciale, quelle aggressive hanno una valenza estorsiva più generale della libertà di

58 Il «considerando» n. 11, dopo aver precisato che «la Direttiva introduce un unico divieto

generale di quelle pratiche commerciali scorrette che falsano il comportamento economico dei consumatori», sottolinea la circostanza che la stessa «stabilisce inoltre norme riguardanti le pratiche commerciali aggressive, che attualmente non sono disciplinate a livello comunitario».

scelta. Mediante le pressioni psicologiche e/o fisiche, le pratiche ingannevoli sfruttano le debolezze caratteriali, emotive e culturali del consumatore-utente per costringerlo a prendere certe decisioni positive o negative che altrimenti non avrebbe preso.

Si noti che le pratiche aggressive59 del professionista possono addirittura consistere nel limitare la libertà personale del consumatore- utente, ad esempio impedendogli di uscire dai locali commerciali o

rifiutandosi di lasciare l’abitazione dello stesso, se non previa sottoscrizione del contratto. Alla luce dell’importanza di tali pratiche,

in realtà mai disciplinate prima nel dettaglio, si è resa indispensabile una tutela ad hoc contro tali forme aggressive, idonee a limitare la libera determinazione, negoziale e non, dei consumatori-utenti. Pare opportuno spendere alcune parole sulle caratteristiche che le pratiche commerciali aggressive devono avere per poter essere considerate tali e, pertanto, vietate. Una pratica è «aggressiva» quando ha una portata limitativa della capacità del soggetto di autodeterminarsi liberamente, tale da indurre in potenza o in atto il consumatore-utente medio a scegliere. Le pratiche aggressive possono essere divise in tre diverse

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Per un’analisi senz’altro approfondita della materia, si veda L. DI NELLA, Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche commerciali aggressive, in Contratto e Impresa/Europa, 2007, p. 46.

tipologie, ossia a) le pratiche moleste; b) quelle coercitive e c) quelle condizionanti. Per quanto riguarda le pratiche aggressive moleste, si noti come queste consistono in quei comportamenti che, per modalità, tempo, luogo e durata devono essere potenzialmente o attualmente idonei a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore-utente medio, con riferimento al prodotto o al servizio, ed essere idonei ad indurlo a prendere decisioni non volute. La portata limitativa di queste pratiche deve essere considerevole con riferimento al consumatore-utente medio, escludendo dal novero delle pratiche aggressive quelle – seppur insistenti – che vengano comunemente tenute dal professionista per convincere il soggetto ad acquistare. Pertanto, si potrà parlare di pratiche scorrette solo ove tale soglia di normale insistenza sia superata. Le pratiche coercitive consistono in minacce verbali o costrizioni fisiche dirette al consumatore-utente con lo scopo di estorcergli una decisione di tipo contrattuale. Le minacce verbali

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