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Poteri dell'AGCM a tutela dell'utente nei pubblici servizi: la disciplina delle pratiche commerciali scorrette

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale

DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E TUTELA DELL’UTENTE DEI PUBBLICI

SERVIZI

Il Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Michela Passalacqua

Il Candidato: Verdiana Policriti

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INDICE-SOMMARIO

Introduzione………p. VI

CAPITOLO I

LE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE NELLA DIRETTIVA 2005/29/CE

1. La nuova disciplina delle pratiche commerciali scorrette e il diritto comunitario vigente: natura sussidiaria della Direttiva quadro 2005/29/Ce………...…………..p. 1

2. L’attuazione e l’impatto sistematico della Direttiva

nell’ordinamento italiano………...p. 13

2.1. I decreti legislativi sulle pratiche commerciali

scorrette………...p. 20

3. Contenuto precettivo della Direttiva: procedimenti inibitori e

sanzioni………..……...p. 27

4. Nozione di pratica commerciale scorretta nel Codice del Consumo come modificato dalla Direttiva...p. 43

4.1. Le modificazioni apportate dalla Direttiva alla disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa………....p. 49

(4)

CAPITOLO II

IL RUOLO DELL’AGCM NELL’APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SULLE PRATICHE COMMERCIALI

SCORRETTE

1. Procedimenti e provvedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole e comparativa………..p. 55

1.1. Le pratiche ingannevoli e aggressive………...………...p. 63

2. L’esperienza applicativa dei divieti di pratiche commerciali scorrette………..p. 74 3. L’AGCM tra concorrenza e regolazione………p. 80 3.1. Interferenze tra disciplina della concorrenza sleale e disciplina delle pratiche commerciali scorrette………...p. 85

CAPITOLO III

LA TUTELA DELL’UTENTE NELLA DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE

1. Il divieto di pratiche commerciali scorrette fra tutela dell’utente e tutela del mercato………...………...p. 90 1.1. La tutela del consumatore-utente medio nel mercato...p. 96 2. Il comportamento economico dell’utente………...p. 104

2.1. Rapporti fra professionisti e consumatori-utenti...…....p. 111 3. Approfondimenti e casistica sulla tutela dell’utente………...p. 116 3.1. Rimedi e tecniche di protezione……..…..………p. 128 4. Ambiguità e criticità emerse………...p. 139

(5)

CAPITOLO IV

TUTELA AMMINISTRATIVA E GIURISDIZIONALE NELLA DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI

SCORRETTE

1. I soggetti legittimati a promuovere le azioni di contrasto alle pratiche commerciali scorrette……….p. 143 2. Procedimento di repressione delle pratiche commerciali scorrette

davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria…………..………...p. 150 3. L’attribuzione di competenza all’AGCM: il procedimento davanti all’Autorità……….………..p. 164

Conclusioni………...p. 180 Bibliografia………...p. 186

(6)

Introduzione

Il presente elaborato si pone l’obiettivo precipuo di condurre una

disamina critica ed approfondita su un fenomeno che, soprattutto

nell’ultimo quinquennio, ha caratterizzato il panorama europeo: la

disciplina delle pratiche commerciali scorrette. In modo particolare, si

è focalizzata l’attenzione sul rapporto tra la disciplina in questione e la tutela dell’utente di pubblici servizi all’interno del mercato.

Il riferimento normativo principale viene fornito dalla Direttiva 2005/29/Ce, vertendo l’analisi proprio sulla natura sussidiaria di

questa, nonché sulla sua eventuale capacità di operare

un’armonizzazione completa e non meramente minimale delle

legislazioni nazionali degli Stati membri.

Con la Direttiva in esame, il legislatore europeo ha inteso certamente assicurare ai cittadini, consumatori ed utenti degli Stati membri un elevato livello di tutela contro quei comportamenti posti in essere dai professionisti in violazione dei principi di correttezza e diligenza professionale e, allo stesso tempo, ha voluto porre le basi per una disciplina uniforme del settore nel mercato interno.

L’intervento normativo in questione è avvenuto in un contesto

(7)

legislazioni nazionali, dove determinate pratiche commerciali erano considerate contra legem solo in una visione settoriale e unicamente alla luce dei rapporti tra professionisti e non anche nei rapporti con i consumatori e gli utenti. Tali differenze erano dovute proprio ad

un’impostazione differente della materia tra i vari Stati membri. Le

discipline nazionali sulla regolamentazione delle pratiche commerciali scorrette, laddove presenti, erano, infatti, caratterizzate da differenze sostanziali che potevano provocare sensibili distorsioni della concorrenza e costituire ostacoli al buon funzionamento del mercato interno, in quanto fonte di incertezza sulle disposizioni nazionali da applicare alle condotte dei professionisti lesive degli interessi economici dei consumatori e degli utenti.

Si è cercato quindi di sciogliere i vari nodi problematici ed

affrontare le delicate questioni interpretative nell’individuazione delle

scelte ed opzioni di fondo che il legislatore italiano ha effettuato onde inserire in modo organico nel nostro ordinamento le necessarie norme di recepimento, coordinandole con i principi già vigenti nei diversi ambiti con i quali la nuova disciplina comunitaria è destinata a interferire. In quest’ottica, si è tentato di ricostruire l’impatto sistematico nonchè elaborare il testo di una normativa ad hoc

(8)

attraverso la quale il governo avrebbe dato attuazione alla Direttiva in esame, tentativo sfociato nell’emanazione di due provvedimenti normativi: i dd.lgs. nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007.

Proseguendo nella trattazione, l’analisi prende in considerazione le modificazioni apportate dalla Direttiva stessa alla disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, sempre coerentemente alla volontà di tutelare i consumatori-utenti e, nel caso in esame, anche i professionisti.

In tale contesto, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato svolge certamente un ruolo predominante nell’applicazione

della normativa, attraverso procedimenti e provvedimenti emanati in materia di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole e comparativa.

L’attività esercitata in quest’ambito dall’AGCM ci permette di

delineare un quadro abbastanza completo ed esaustivo dell’esperienza applicativa dei divieti di pratiche commerciali scorrette.

Il fulcro argomentativo dell’elaborato risiede però nella tutela dell’utente e nell’individuazione di rimedi e tecniche di protezione

approntate in questo contesto. Si parte dalla nozione di

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di comportamento economico dello stesso nei rapporti con il professionista e delineare, infine, la casistica giurisprudenziale che si sviluppa in merito.

Al centro della tutela vi è, quindi, la libertà del consumatore-utente di autodeterminarsi e di decidere consapevolmente, ossia la sua autonomia negoziale. Il legislatore europeo ha inteso, infatti, evitare che, attesa la normale asimmetria nelle posizioni sostanziali tra professionisti e consumatori-utenti, i primi possano utilizzare la propria posizione di forza per condizionare la libertà di decisione dei secondi, sia nella fase di scelta di acquisto del prodotto o servizio, sia nella fase di svolgimento del rapporto contrattuale. La disciplina prospettata tende così a ristabilire le condizioni che consentono al consumatore-utente medio di apprezzare il proprio interesse e di valutare conseguentemente le decisioni da assumere in maniera non condizionata.

Quanto alla parte procedimentale, si è scelto di riservare in via

esclusiva all’AGCM la competenza ad accertare (nell’ambito di

procedimenti la cui regolamentazione è stata modellata su quella dei procedimenti in materia di pubblicità ingannevole e comparativa) le infrazioni del divieto di porre in essere pratiche commerciali scorrette

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e ad adottare i conseguenti provvedimenti sanzionatori ed inibitori, senza prevedere alcun procedimento amministrativo alternativo ed aggiuntivo, senza comminare alcuna sanzione penale e, soprattutto, senza affrontare in modo espresso il fondamentale nodo delle conseguenze privatistiche - sul piano della validità dei contratti e sul piano risarcitorio - della violazione del citato divieto.

Resta ferma, ovviamente, la competenza dell’Autorità giudiziaria

ordinaria ad attivare un procedimento di repressione.

La Direttiva contempera, così, politiche tra loro distinte: da un lato, la salvaguardia del mercato unico, inteso come uno spazio senza frontiere in cui possano essere svolte compiutamente le libertà

fondamentali nel rispetto del principio della concorrenza; dall’altro, la

tutela degli interessi economici dei consumatori e degli utenti, con

l’obiettivo, neanche troppo celato, di realizzare (prima o poi) un

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CAPITOLO I

LE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE NELLA DIRETTIVA 2005/29/CE

1. La nuova disciplina delle pratiche commerciali scorrette e il diritto comunitario vigente: natura sussidiaria della Direttiva quadro 2005/29/Ce

L’undici maggio 2005 è stata approvata la Direttiva 2005/29/Ce,

relativa alle pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori-utenti nel mercato interno1. La base giuridica del provvedimento viene indicata nel solo art. 95 Ce: ci troviamo, pertanto, di fronte ad una misura relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri

adottata per consentire l’instaurazione ed assicurare il pieno e corretto

funzionamento del mercato interno (art. 1 della Direttiva). La «misura» in questione rientra, tuttavia, fra quelle che, nel quadro della realizzazione del mercato interno, la Comunità ha adottato nel

1Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica, inoltre, la Direttiva 84/450/Cee

del Consiglio e le Direttive 97/7/Ce, 98/27/Ce e 2002/65/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché il Regolamento 2006/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio («Direttiva sulle pratiche commerciali scorrette»).

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perseguimento degli obiettivi individuati dal § 1 dell’art. 153 Ce: si tratta di un provvedimento attraverso il quale la Comunità europea ha inteso contribuire alla tutela degli interessi economici dei consumatori e degli utenti, al fine di assicurare loro un elevato livello di protezione. Proprio lo stretto legame intercorrente fra le istanze di protezione

degli interessi di tali soggetti e l’esigenza di assicurare la realizzazione

del mercato interno2 costituisce, come si vedrà, la prima e fondamentale chiave di lettura di questo provvedimento comunitario.

Nei «considerando» della Direttiva 2005/29/Ce, gli organi comunitari si sono preoccupati di evidenziare la piena compatibilità del provvedimento con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità

sanciti dall’art. 5 del Trattato Ce. Secondo il «considerando» n. 23

della Direttiva, infatti, a legittimare l’intervento della Ce, rendendolo pienamente compatibile con il principio di sussidiarietà, è la circostanza che gli scopi perseguiti dalla Direttiva, e cioè

l’eliminazione degli ostacoli frapposti al funzionamento del mercato

2 In questo senso L. ROSSI CARLEO, Dalla comunicazione commerciale alle pratiche

commerciali sleali, in E. MINERVINI ed L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, Milano, Giuffrè, 2007, p. 1 ss.; R. Incardona, La Direttiva n. 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali: prime valutazioni, in Diritto comunitario e scambi internazionali, n.

2/2006, p. 362; G. De Cristofaro, Pratiche commerciali scorrette e Codice del Consumo:il

recepimento della Direttiva 2005/29/Ce nel diritto italiano (d.lgs. n. 145 e 146 del 2 agosto 2007),

Torino, Giappichelli, 2008, p. 3; V. FALCE, Appunti in tema di disciplina comunitaria sulle

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interno dalle differenze esistenti fra le leggi nazionali in materia di pratiche commerciali scorrette e il conseguimento di un elevato livello comune di tutela dei consumatori-utenti mediante il ravvicinamento delle normative nazionali vigenti in materia3, non possano essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri, occorrendo un intervento a livello comunitario. Già in direttive Ce anteriori alla Direttiva 2005/29/Ce si rinvengono, invero, norme finalizzate a disciplinare, sottoponendole a limiti, vincoli o divieti, le condotte tenute dai professionisti nei confronti dei consumatori e degli utenti in vista della promozione della stipulazione di contratti con questi ultimi

(ovvero nel corso dell’esecuzione di siffatti contratti): queste direttive

erano però tutte caratterizzate da un approccio «verticale», essendo le rispettive disposizioni rivolte a regolamentare soltanto singole categorie di pratiche commerciali4, ovvero pratiche commerciali aventi ad oggetto speciali categorie di beni o servizi5 o, ancora, pratiche commerciali poste in essere mediante il ricorso a determinati

3 Così L. ROSSI CARLEO, Dalla comunicazione commerciale, op. cit., p. 10. 4

Cfr. la Direttiva 98/6/Ce del 16 febbraio 1998, relativa alla protezione dei consumatori e degli utenti in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti agli stessi.

5 Cfr., ad esempio, gli artt. 86-100 della Direttiva 2001/83/Ce del 6 novembre 2001, recante un

codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, come modificati dalla Direttiva 2004/27/Ce del 31 marzo 2004, nonché la Direttiva 2003/23/Ce del 26 maggio 2003 sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco.

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mezzi di comunicazione6. Profondamente diversa è, invece, la natura della Direttiva 2005/29/Ce, la quale, con un approccio tipicamente «orizzontale», si propone di regolamentare tutte le pratiche commerciali nei rapporti fra consumatori-utenti e professionisti, senza distinzioni di sorta e, proprio per questa ragione, viene definita dagli stessi organi comunitari, nei lavori preparatori, come «Direttiva quadro».

Dal punto di vista del contenuto, tale Direttiva si suddivide, essenzialmente, in 2 parti. La prima parte (artt. 2-13) contiene la nuova regolamentazione delle pratiche commerciali scorrette. Le fattispecie interessate da questa disciplina sono tutte e soltanto quelle suscettibili di essere ricomprese nella nozione di «pratiche commerciali tra imprese e consumatori-utenti»: una nozione amplissima, che include tutti quei comportamenti (attivi o anche solo meramente passivi) tenuti da un professionista7 anteriormente, contestualmente o anche posteriormente alla conclusione di un

6 V., ad esempio, gli artt. 10-20 della Direttiva 89/552/Cee del 3 ottobre 1989, relativa al

coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati

membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, come modificata dalla Direttiva 97/36/Ce. V., altresì, la Direttiva 2000/31/Ce dell’otto giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico nel mercato interno

(Direttiva sul commercio elettronico).

7Cfr. L. DI NELLA, Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche commerciali aggressive,

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qualsivoglia contratto con un consumatore o un utente. Con riferimento a tali fattispecie, la Direttiva si propone, in primo luogo, di imporre agli imprenditori di tutti gli Stati membri un divieto generalizzato di porre in essere pratiche commerciali lesive degli interessi economici dei consumatori e degli utenti, che si prestino ad essere qualificate come scorrette; in secondo luogo, delinea un complesso e rigoroso sistema di valutazione del carattere «scorretto» di una pratica commerciale8, al fine di introdurre, in ambito europeo, un insieme di parametri uniformi sulla cui applicazione tutti gli interessati (a cominciare dagli stessi professionisti) possano contare per stabilire se una pratica commerciale possa o meno considerarsi

lecita nell’ordinamento europeo (artt. 5-9); in terzo ed ultimo luogo,

affida agli Stati membri il compito di predisporre mezzi9 (anche processuali) adeguati per prevenire e reprimere le pratiche commerciali scorrette, nonché un apparato di sanzioni incisive ed efficaci nei confronti dei professionisti che dovessero eventualmente farvi ricorso (artt. 11-13).

8 Cfr. L. ROSSI CARLEO, sub art. 18, comma 1, lettera d), in A. MINERVINI ed L. ROSSI

CARLEO (a cura di), Le modifiche al Codice del Consumo, Torino, Giappichelli, 2009, p. 57.

9Cfr. G. De Cristofaro, La Direttiva 2005/29/Ce, in Pratiche commerciali scorrette e Codice del

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La seconda parte della Direttiva prevede l’introduzione di una serie di modifiche a provvedimenti comunitari già vigenti: segnatamente, alla Direttiva 84/450/Cee10 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa (art. 14), alle Direttive 97/7/Ce11 e 2002/65/Ce12, in materia di contratti conclusi a distanza da professionisti con consumatori ed utenti (art. 15) ed infine (art. 16) alla Direttiva 98/27/Ce in tema di provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti13 e al Regolamento 2006/2004/Ce sulla cooperazione per la tutela degli stessi14.

In considerazione della natura «generale» del regime normativo delineato dagli artt. 1-13 della Direttiva 2005/29/Ce, sorge l’esigenza di coordinare tale regime con le regole «speciali» inserite nelle

direttive settoriali già vigenti. Stando alla formulazione dell’art. 3, § 4,

della Direttiva 2005/29/Ce, laddove sussistano disposizioni di diritto comunitario di natura settoriale che risultino incompatibili con i

10 Direttiva 84/450/Cee del 10 settembre 1984 relativa al ravvicinamento delle disposizoni

legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole, come modificata dalla Direttiva 97/55/Ce del 6 ottobre 1997 che ha in essa incluso la disciplina della pubblicità comparativa.

11Direttiva 97/7/Ce del 20 maggio 1997 riguardante la protezione dei consumatori e degli utenti in

materia di contratti a distanza.

12Direttiva 2002/65/Ce del 23 settembre 2002 concernente la commercializzazone a distanza di

servizi finanziari ai consumatori-utenti.

13Direttiva 98/27/Ce del 19 maggio 1998 relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi

dei consumatori e degli utenti.

14 Regolamento 2006/2004/Ce del 27 ottobre 2004 sulla cooperazione tra le Autorità nazionali

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contenuti delle regole «generali» dettate dalla Direttiva 2005/29/Ce, queste ultime non possono operare, dovendo trovare esclusivamente applicazione, per quanto concerne gli aspetti specifici da esse disciplinati, le norme comunitarie «speciali». Da questa disposizione15 parrebbe potersi desumere che la disciplina contenuta negli artt. 2-13 della Direttiva 2005/29/Ce abbia una natura meramente «sussidiaria»,

essendo destinata a trovare applicazione soltanto per la

regolamentazione di pratiche commerciali che non siano disciplinate affatto da norme comunitarie già vigenti, ovvero per la definizione di aspetti o profili di una pratica commerciale diversi da quelli già regolati da norme comunitarie settoriali emanate ad hoc.

Sennonchè, i successivi paragrafi 5-6 dell’art. 3 prevedono che, per un periodo di 6 anni a partire dal 12 giugno 2007, possano continuare a trovare applicazione le disposizioni già esistenti nei rispettivi ordinamenti interni degli Stati membri che siano dotate di un contenuto più rigoroso e vincolante rispetto a quello delle disposizioni della Direttiva 2005/29/Ce, purchè si tratti di disposizioni: a) di

15

V. il «considerando» n. 10: «di conseguenza, la presente Direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre loro una tutela ove, a livello comunitario, non esista una specifica legislazione di settore. La presenta Direttiva completa,

pertanto, l’acquis comunitario applicabile alle pratiche commerciali lesive degli interessi dei

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recepimento di precedenti direttive comunitarie di armonizzazione minimale delle legislazioni nazionali; b) idonee ad assicurare ai consumatori-utenti un livello di tutela più elevato rispetto a quello minimo garantito dalla Direttiva; c) essenziali al fine di assicurare

un’adeguata tutela ai consumatori-utenti nei confronti di pratiche

commerciali scorrette16 e d) proporzionate al raggiungimento di tale finalità. Se ne ricava che, qualora non ricorrano i presupposti della essenzialità e della proporzionalità, tali disposizioni dovranno essere eliminate immediatamente, mentre laddove tali presupposti sussistano, esse potranno essere conservate al più tardi fino al 12 giugno 2013.

Viene in tal modo posta, con modalità fortemente discutibili, una rilevantissima limitazione alla facoltà, espressamente riconosciuta ai legislatori nazionali dalle direttive Ce (di armonizzazione minimale) fino ad ora adottate in materia di tutela degli interessi economici di consumatori e utenti, di mantenere o introdurre norme idonee ad assicurare agli stessi un livello di tutela più elevato di quello garantito dalle direttive medesime. Anche volendo escludere che gli organi comunitari abbiano inteso surrettiziamente trasformare le disposizioni (tutte o anche soltanto alcune) delle citate direttive in disposizioni di

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armonizzazione «completa», rimane da chiedersi come possa questa previsione conciliarsi con la qualificazione della Direttiva 2005/29/Ce come mera «Direttiva quadro» e con l’affermazione della sua natura sussidiaria17. Quella contemplata dagli artt. 1-13 della Direttiva 2005/29/Ce è, dunque, un’armonizzazione delle legislazioni nazionali «piena» e «completa» e non «meramente minimale», onde non è a rigore consentito ai legislatori nazionali discostarsi dalle citate disposizioni, in sede di recepimento, nemmeno per aumentare il livello della tutela che esse accordano ai consumatori-utenti. Manca invero, nel testo normativo, una statuizione che espressamente riconosca alla Direttiva 2005/29/Ce la natura di provvedimento di armonizzazione completa18: ciò nondimeno, non sembra possibile negarle tale natura, alla luce di un insieme di considerazioni.

17In questo senso oltre a G. De Cristofaro, La Direttiva, op. cit., anche P. AUTERI, Introduzione:

un nuovo diritto della concorrenza sleale?, in A. GENOVESE (a cura di) I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette, Padova, Cedam, 2008.

18La dottrina sul punto è unanime: si veda, in particolare, J. STUYCK, E. TERRYN E T. VAN

DYCK, Confidence throught fairness? The new directive on unfair business-to-consumer

commercial practices in the internal market, in Common Market Law Review, 2006, p. 115 ss.; C.

TWIGG-FLESSNER, The EC Directive on Unfair Commercial practices and domestic consumer

law, in L.Q.R., 2005, p. 387 e ss.; L. G. VIGORITI, Verso l’attuazione della Direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in Eur. dir. priv., 2007, p. 35; U. BERNITZ, The Unfair Commercial Practices Directives: Its Scope, Ambitions and relation to the Law of Unfair Competition, in

AA.VV., The Regulation of Unfair Commercial Practices under EC Directive 2005/29. New Rules

and New Techniques, Oxford, Hart, 2007, p. 231; R. Torino, Lezioni di Diritto europeo dei consumatori, Torino, Giappichelli, 2010, p. 54.

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In primo luogo manca, nel testo normativo, la statuizione (presente in tutte le direttive fino ad ora adottate dalla Ce per contribuire alla tutela degli interessi economici dei consumatori-utenti) che autorizzi gli Stati membri ad introdurre o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla Direttiva, disposizioni più rigorose volte a garantire a tali soggetti un livello di tutela più elevato rispetto a quello assicurato dalla Direttiva medesima.

Stante la natura completa dell’armonizzazione perseguita dalla

Direttiva 2005/29/Ce, i legislatori nazionali, in sede di predisposizione dei provvedimenti normativi di attuazione, dovrebbero, per un verso, attenersi rigorosamente al dettato della Direttiva, limitandosi a riprodurne i contenuti senza apportarvi alterazioni sostanziali e compiendo tutte e soltanto le scelte discrezionali che la Direttiva medesima ad essi espressamente rimette (ad esempio in tema di

procedimenti inibitori); per altro verso, provvedere all’eliminazione di

tutte le disposizioni, eventualmente già esistenti nei rispettivi ordinamenti interni, suscettibili di trovare applicazione alle fattispecie disciplinate dalla Direttiva e recanti precetti in tutto o in parte contrastanti (o comunque incompatibili) con quelli dettati da

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Rilevanti, infatti, sono gli ambiti con riferimento ai quali gli organi comunitari hanno finito per lasciare agli Stati membri la possibilità di discostarsi dal regime normativo degli artt. 1-13 della Direttiva, al punto da aver indotto una parte della dottrina a mettere in

dubbio che quella operata da quest’ultima sia un’armonizzazione

autenticamente «completa».

Si è già fatto cenno, precedentemente, alla circostanza che dovrebbero poter essere mantenute (o introdotte ex novo), ancorchè più rigorose rispetto alle disposizioni della Direttiva 2005/29/Ce, le disposizioni nazionali di recepimento di direttive comunitarie di armonizzazione minimale che garantiscano ai consumatori-utenti un livello di protezione superiore rispetto a quello contemplato dalle direttive Ce cui sono volte a dare attuazione.

Occorre inoltre ricordare che, come esplicitamente chiarito dal «considerando» n. 6 della Direttiva, gli Stati membri continueranno a

poter disciplinare come riterranno più opportuno, purchè in

conformità al restante diritto comunitario, le pratiche commerciali scorrette che siano lesive (soltanto) degli interessi dei concorrenti e/o presentino una connessione (soltanto) con rapporti contrattuali

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instaurati o da instaurarsi fra professionisti19. Sempre in materia di pratiche commerciali scorrette, ancora, gli Stati membri possono mantenere o introdurre («considerando» n. 9) limitazioni e divieti

motivati e giustificati dall’esigenza di tutelare la salute e la sicurezza

dei consumatori-utenti nel territorio in cui risiedono, quale che sia il luogo di stabilimento dei professionisti (ad esempio in materia di bevande alcoliche, tabacchi o prodotti farmaceutici).

Infine, e soprattutto, gli Stati membri vengono autorizzati a (continuare a) stabilire che determinate pratiche commerciali, ancorchè inidonee a limitare la libertà di scelta del consumatore-utente, siano vietate per ragioni di «buon gusto e decenza» o per «motivi culturali» valevoli specificamente per il proprio territorio e la propria popolazione («considerando» n. 7), purchè le relative disposizioni nazionali siano conformi alla restante normativa comunitaria.

19

Cfr. M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni articolari nella disciplina delle pratiche

commerciali scorrette, in A. GENOVESE (a cura di), I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette, Padova, Cedam, 2008, p. 70.

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2. L’attuazione e l’impatto sistematico della Direttiva

nell’ordinamento italiano

Per il recepimento della Direttiva 2005/29/Ce, gli organi comunitari avevano previsto una sorta di «doppio termine». L’art. 19, infatti, obbliga (§ 1) gli Stati membri ad adottare e pubblicare, entro il 12 giugno 2007, le disposizioni legislative necessarie per conformare i rispettivi ordinamenti ai contenuti del provvedimento comunitario; nel contempo, però, esso statuisce (§ 2) che gli Stati membri applichino tali disposizioni entro il 12 dicembre 200720.

Le ragioni di questo inusuale sdoppiamento del termine, assegnato agli Stati membri per il recepimento, sono verosimilmente due. Da un lato, la Commissione ha, in questo modo, voluto riservarsi la possibilità di rendere note in via anticipata le proprie eventuali osservazioni e perplessità sui contenuti dei testi normativi di attuazione adottati dai legislatori nazionali21 al fine di consentire (ed imporre eventualmente) a questi ultimi di apportarvi le necessarie

20Parrebbe potersi affermare che, ai fini del rispetto dei termini assegnati dagli organi comunitari,

sarebbe stato necessario e sufficiente che i competenti organi legislativi nazionali provvedessero ad approvare in via definitiva i provvedimenti normativi di recepimento della Direttiva 2005/29/Ce entro il 12 giugno 2007, non essendo per contro indispensabile che entro tale data le disposizioni contenute in detti provvedimenti fossero già in concreto operanti, potendo la loro entrata in vigore essere differita sino al (e non oltre il) 12 dicembre 2007.

21 In merito a siffatti provvedimenti, la Commissione deve infatti essere informata

(24)

correzioni e modifiche anteriormente all’entrata in vigore degli stessi. Dall’altro lato, si è inteso concedere agli Stati membri la possibilità di prevedere un’ampia vacatio legis onde permettere agli imprenditori e

ai liberi professionisti di disporre di un periodo di tempo sufficiente per adeguare le proprie strategie di marketing e campagne pubblicitarie, e più in generale le proprie condotte di mercato, alle nuove regole introdotte in attuazione del provvedimento comunitario.

Onde evitare che l’Italia potesse essere considerata inadempiente agli

obblighi che le derivavano dalla sua appartenenza alla Ce, in relazione al recepimento della Direttiva 2005/29/Ce entro il 12 giugno 2007, avrebbe dovuto pertanto essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il provvedimento normativo volto a dare attuazione alla Direttiva medesima. Il legislatore italiano avrebbe potuto, tuttavia, prevedere (senza peraltro essere a ciò obbligato dal provvedimento comunitario) che le relative disposizioni fossero destinate ad entrare in vigore – anziché il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto – con qualche mese di ritardo (e comunque non oltre il 12 dicembre 2007). Merita, inoltre, di essere sottolineato che proprio il 12 dicembre 2007 è entrata in vigore (secondo quanto stabilito dal suo art. 11) la Direttiva 2006/114/Ce del

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12 dicembre 2006, del Parlamento europeo e del Consiglio, contenente la versione codificata della Direttiva in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, che ha abrogato e sostituito la Direttiva 84/450/Ce (e successive modificazioni). A partire dal 12 dicembre 2007 è divenuto, pertanto, pienamente operante in tutti gli

Stati membri dell’Ue il nuovo sistema «binario» di regolamentazione

e controllo delle pratiche commerciali poste in essere da imprenditori

e liberi professionisti nell’esercizio delle rispettive attività

professionali, imperniato su due testi normativi fondamentali: da un

lato, la Direttiva 2005/29/Ce contente una regolamentazione

applicabile a tutte le condotte direttamente connesse con rapporti contrattuali (instaurati o da instaurare) fra professionisti e consumatori-utenti e strumentale alla protezione degli interessi economici degli stessi nei confronti di pratiche commerciali scorrette;

dall’altro, la Direttiva 2006/114/Ce recante una disciplina generale

della pubblicità commerciale dettata in funzione della tutela dei professionisti e dei concorrenti nei confronti di messaggi pubblicitari ingannevoli o di pubblicità comparative illecite.

Quanto ai contenuti del provvedimento normativo destinato a dare attuazione alla Direttiva 2005/29/Ce, appare chiaro ormai che

(26)

quella contemplata dagli artt. 2-13 della Direttiva sia

un’armonizzazione completa e non meramente minimale delle

legislazioni nazionali. I legislatori nazionali non possono, pertanto, discostarsi dalle statuizioni della Direttiva né per ridurre, né per aumentare il livello della tutela che essa accorda ai consumatori-utenti. Ne consegue che il legislatore italiano dovrà attenersi rigorosamente ai contenuti precettivi della Direttiva introducendo disposizioni formulate in modo tale da garantire ai consumatori-utenti un livello di protezione esattamente corrispondente a quello

contemplato dal provvedimento comunitario, e procedendo

all’eliminazione (o quantomeno alla correzione) di tutte le

disposizioni eventualmente già esistenti nel nostro ordinamento la cui conservazione potrebbe condurre ad un abbassamento o ad un incremento del suddetto livello di tutela.

Si può giungere ad affermare che, nonostante la Direttiva

2005/29/Ce costituisca un provvedimento di armonizzazione

completa, numerosi e rilevanti sono gli aspetti e i profili in relazione ai quali essa concede agli Stati membri spazi più o meno ampi di discrezionalità: i legislatori nazionali (quindi anche quello italiano) si troveranno, pertanto, di fronte al delicato compito di decidere se e in

(27)

che misura avvalersi dei margini che la Direttiva ad essi accorda, e di stabilire come operare le scelte che la Direttiva ad essi esplicitamente rimette.

Occorre tuttavia ricordare che, a dispetto della conclamata natura

completa dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali perseguita

dalla Direttiva 2005/29/Ce, quest’ultima consente esplicitamente agli Stati membri di mantenere o introdurre, in una serie di ambiti e settori assai estesi ed importanti, regole divergenti rispetto al regime sostanziale generale delineato dagli artt. 2-9, purchè idonee ad assicurare una più incisiva protezione degli interessi dei consumatori-utenti. Il legislatore italiano dovrà, dunque, valutare con attenzione se, come ed in quale direzione avvalersi della possibilità, che gli viene riconosciuta, di conservare (o inserire ex novo) regole derogatorie o integrative rispetto a quelle generali.

Quanto infine alla disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, quindi ai contenuti delle disposizioni degli artt. 19-27 del Codice del Consumo, il nostro legislatore è obbligato ad apportare soltanto le innovazioni necessarie per adeguarli alle novità introdotte

dall’art. 14 della Direttiva 2005/29/Ce, nonché alla versione codificata

(28)

comparativa, approvata con la Direttiva 2006/114/Ce: occorre, peraltro, ricordare che, mentre la disposizione che individua i requisiti di liceità della pubblicità comparativa (ora l’art. 4 della Direttiva 2006/114/Ce) è norma di armonizzazione completa, dalla quale il legislatore italiano non può in alcun modo discostarsi, le disposizioni concernenti la pubblicità ingannevole (ora gli artt. 2-3 della Direttiva 2006/114/Ce) assicurano un livello di tutela meramente minimale che il legislatore italiano, ove lo ritenesse opportuno, potrebbe pertanto aumentare predisponendo norme di recepimento idonee ad assicurare una maggiore protezione ai destinatari dei messaggi pubblicitari ingannevoli ed ai concorrenti dei professionisti che se ne avvalgono.

La necessità di dare attuazione, nei propri ordinamenti interni, alle Direttive 2005/29/Ce e 2006/114/Ce ha imposto però, ai legislatori nazionali, di affrontare una serie di questioni di fondo. In primo luogo, si trattava di scegliere se dar vita ad un corpus normativo

unitario (autonomo ovvero inserito organicamente all’interno di

preesistenti provvedimenti normativi), nel quale far confluire le disposizioni di recepimento di entrambe le Direttive, oppure optare per due discipline separate, dotate di ambiti di operatività distinti (sul piano soggettivo e/o oggettivo). In secondo luogo, si rendeva

(29)

necessario raccordare le discipline (o l’unitaria disciplina) di

recepimento delle due Direttive con i sistemi normativi nazionali vigenti in materia di concorrenza sleale e di tutela dei consumatori-utenti22, e, più in generale, di regolamentazione del mercato.

In merito al profilo procedimentale-sanzionatorio invece, gli Stati membri si sono trovati: in primo luogo, a dover scegliere come costruire e disciplinare il procedimento collettivo inibitorio attraverso

il quale dare attuazione all’art. 11 della Direttiva ed in particolare a stabilire se affidare tale procedimento all’Autorità giudiziaria o all’Autorità amministrativa; in secondo luogo, ad individuare gli

eventuali (diversi ed ulteriori) mezzi adeguati ed efficaci attraverso i

quali assicurare l’effettiva osservanza del divieto di pratiche

commerciali scorrette; in terzo luogo, a predisporre ed articolare un apparato di sanzioni pubblicistiche «proporzionate, efficaci e dissuasive», destinate ad essere comminate nei confronti dei trasgressori di siffatto divieto.

(30)

2.1. I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette

La Direttiva 2005/29/Ce è stata recepita nell’ordinamento italiano attraverso tre distinti provvedimenti normativi: i dd.lgs. nn. 145 e 146 del 2 agosto 200723e gli artt. 2, 4 e 8 del d.lgs. n. 221 del 23 ottobre 200724.

La l. n. 29 del 25 gennaio 2006, («Disposizioni per

l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia

alle Comunità europee – Legge comunitaria 2005») aveva delegato il governo ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla sua entrata in vigore, i decreti legislativi recanti le disposizioni necessarie per

dare attuazione, nell’ordinamento italiano, ad una serie di direttive Ce,

elencate negli Allegati I e II della legge medesima. Fra le direttive

inserite nell’Allegato I alla «Legge comunitaria 2005» compariva

anche la Direttiva 2005/29/Ce.

23 Cfr. C. GRANELLI, Le «pratiche commerciali scorrette» tra imprese e consumatori:

l’attuazione della Direttiva 2005/29/Ce modifica il Codice del Consumo, in Obbligazioni e Contratti, 2007, p. 776 ss; G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e consumatori: il d.lgs. n. 146 del 2 agosto 2007, attuativo della Direttiva 2005/29/Ce, in Studium iuris, 2007, p. 1181 ss; A. M. MANCALEONI, La nuova disciplina delle pratiche commerciali scorrette della pubblicità, in Dir. turismo, 2007, p. 569 ss; P.

BARTOLOMUCCI, L’attuazione della Direttiva sulle pratiche commerciali scorrette e le

modifiche al Codice del Consumo, in Rass. dir. civ., 2008, p. 267 ss; A. LEONE, Pubblicità ingannevole e pratiche commerciali scorrette fra tutela del consumatore e delle imprese, in Dir. ind., 2008, p. 255 ss.

24

Su quest’ultimo provvedimento, si rinvia a G. DE CRISTOFARO, Il «cantiere aperto» Codice del Consumo: modificazioni e innovazioni apportate al d.lgs. 23 ottobre 2007, in Studium iuris,

(31)

La l. n. 29/2006 non aveva peraltro provveduto a dettare princìpi e criteri direttivi «speciali», appositamente ed esclusivamente riferiti alla Direttiva 2005/29/Ce, sicchè, nell’esercitare la delega, il Governo si è dovuto limitare a rispettare princìpi e criteri direttivi «generali»25,

contemplati dall’art. 3 della l. n. 29/2006.

Di questi ultimi, erano suscettibili di venire in rilievo, ai fini del recepimento della Direttiva 2005/29/Ce, soltanto quelli di cui alle lett.

b), c) ed e)26, dai quali potevano ricavarsi peraltro soltanto direttrici molto generiche. In particolare, la legge delega non forniva alcuna indicazione in merito ai contenuti precettivi delle disposizioni che il Governo veniva chiamato a predisporre per dare attuazione alla

25Comuni, cioè, a tutte le direttive per la cui attuazione non è stata imposta al Governo la necessità

di rispettare, nell’esercizio della delega, princìpi e criteri direttivi dettati ad hoc.

26Nella lett. b) si prevedeva che «ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per

i singoli settori interessati dalla normativa da attuare», avrebbero dovuto essere apportate alle suddette discipline le modificazioni occorrenti per dare attuazione alle direttive da recepire. Nella lett. e) si stabiliva poi che «all’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo» si sarebbe dovuto procedere, se la modificazione non avesse comportato un «ampliamento della materia regolata», «apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata». Importante era anche il contenuto della previsione della lett. c), che autorizzava il governo a comminare, nei confronti dei soggetti che fossero incorsi nella violazione delle disposizioni dei decreti legislativi attuativi delle direttive comunitarie cui si riferiva la legge delega, sia sanzioni

amministrative che sanzioni penali, «ove necessario per assicurare l’osservanza» delle disposizioni

suddette. La medesima statuizione provvedeva peraltro a precisare che soltanto per le infrazioni che «ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti» avrebbero potuto essere

contemplate soltanto l’irrogazione di sanzioni amministrative aventi ad oggetto il pagamento di

somme di denaro di ammontare «non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro». Il Governo si vedeva così privato della possibilità di comminare (per la violazione del divieto di pratiche commerciali scorrette) sanzioni penali, e costretto a introdurre soltanto sanzioni amministrative pecuniarie, dovendo escludersi che gli interessi protetti dalla nuova disciplina comunitaria delle pratiche commerciali scorrette (e cioè gli interesi economici dei consumatori-utenti) potessero essere annoverati fra gli interessi «costituzionalmente protetti».

(32)

Direttiva: non si chiariva se, in che modo ed a quali condizioni il legislatore italiano avrebbe potuto avvalersi dei margini di discrezionalità che gli venivano concessi in relazione alla disciplina sostanziale delle pratiche commerciali scorrette; non venivano individuati in modo puntuale i «mezzi adeguati ed efficaci» da approntare per la prevenzione e la repressione delle pratiche commerciali scorrette e, in particolare, non venivano definite le modalità con le quali avrebbero dovuto essere colmate le molte lacune che caratterizzano la disciplina dei procedimenti – da instaurarsi nei confronti dei professionisti che ricorrono a pratiche commerciali scorrette – contenuta negli artt. 11-12 della Direttiva 2005/29/Ce, né venivano dettati i criteri ai quali avrebbero dovuto ispirarsi le numerose scelte che le citate disposizioni rimettono agli Stati membri (a cominciare dalla fondamentale opzione fra controllo giudiziario e controllo amministrativo); non si chiariva, infine, se le sanzioni pubblicistiche (amministrative), destinate ad essere comminate nei confronti dei professionisti che avessero posto in essere pratiche commerciali scorrette, avrebbero potuto o dovuto essere affiancate anche da sanzioni di natura privatistica; più in generale, nulla si diceva

(33)

in merito alle conseguenze di diritto privato che sarebbero scaturite dalla violazione del divieto di pratiche commerciali scorrette.

Questa delega quasi «in bianco» conferita dalla «Legge comunitaria 2005», è stata esercitata dal Governo con i dd.lgs. nn. 145 e n. 146 del 2 agosto 2007. Il primo di questi decreti27 contiene la disciplina generale della pubblicità ingannevole e comparativa e, segnatamente, le norme di recepimento della Direttiva 84/450/Cee, come modificata dalla Direttiva 97/55/Ce e dall’art. 14 della stessa Direttiva 2005/29/Ce; il secondo28 reca invece le disposizioni di recepimento degli artt. 1-13 e 15-17 della Direttiva 2005/29/Ce «sulle pratiche commerciali scorrette». Entrambi tali decreti sono entrati in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 6 settembre 2007, non avendo il nostro legislatore ritenuto opportuno avvalersi della possibilità (che pure gli veniva offerta dall’art. 19, § 2, della Direttiva 2005/29/Ce) di differire

l’entrata in vigore delle disposizioni attuative del provvedimento

comunitario fino al 12 dicembre 2007.

27D.lgs. n. 145 del 2 agosto 2007, recante «Attuazione dell’art. 14 della Direttiva 2005/29/Ce che

modifica la Direttiva 84/450/Cee sulla pubblicità ingannevole».

28

D.lgs. n. 146 del 2 agosto 2007, recante «Attuazione della Direttiva 2005/29/Ce e relativa alle pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le Direttive 84/450/Cee, 97/7/Ce, 98/27/Ce, 2002/65/Ce, e il Regolamento 2006/2004/Ce».

(34)

L’intitolazione del d.lgs. n. 145 del 2 agosto 2007 potrebbe

indurre a ritenere che in questo provvedimento si trovino tutte e soltanto le norme strettamente indispensabili per dare attuazione,

nell’ordinamento italiano, all’art. 14 della Direttiva 2005/29/Ce,

concernente le pratiche commerciali scorrette fra imprese e consumatori-utenti, disposizione che ha apportato una serie di innovazioni anche a taluni articoli della Direttiva 84/450/Cee (come modificata dalla Direttiva 97/7/Ce), in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.

In realtà, i contenuti del d.lgs. n. 145/2007 sono assai più ampi e

comprensivi, dal momento che è stato in esso trasposto l’intero corpus

normativo originariamente inserito nel d.lgs. n. 74 del 28 gennaio 1992 (attraverso il quale fu inizialmente recepita nel diritto italiano la Direttiva 84/450/Cee concernente la pubblicità ingannevole) e successivamente trasfuso negli artt. 18-27 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (recante il Codice del Consumo), che del d.lgs. n. 74/1992 ha

sancito l’integrale abrogazione. Nell’attuare tale trasposizione, il

Governo ha apportato a questo corpus normativo le innovazioni necessarie per adeguarlo alle modifiche introdotte nella Direttiva

(35)

realtà affermarsi che il d.lgs. n. 145 del 2 agosto 2007 reca la disciplina di recepimento della Direttiva 84/450/Cee, come modificata dalla Direttiva 97/55/Ce e dall’art. 14 della Direttiva 2005/29/Ce (oggi peraltro abrogata e sostituita dalla Direttiva 2006/114/Ce).

Quanto invece al d.lgs. n. 146 del 2007, esso si compone di 5

articoli. L’art. 1 ha integralmente sostituito i contenuti del Titolo III

della Parte II del Codice del Consumo, che ospita ora le disposizioni che danno attuazione agli artt. 1-13 della Direttiva 2005/29/Ce e che riproducono i contenuti dell’Allegato I a tale Direttiva. Gli artt. 2 e 3 del d.lgs. 146/2007 invece, hanno apportato, all’art. 57, c. cons., e

all’art. 14 del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 190, le modificazioni ritenute

necessarie per adeguare tali due disposizioni alle innovazioni

apportate dall’art. 15 della Direttiva 2005/29/Ce alle norme comunitarie (art. 9 della Direttiva 97/7/Ce e art. 9 della Direttiva 2002/65/Ce, rispettivamente concernenti la fornitura di beni e servizi non richiesti e la fornitura di servizi finanziari non richiesti) cui danno attuazione. L’art. 4 ha statuito che il Regolamento destinato ad essere adottato (ai sensi del novellato comma 11, art. 27, c. cons.)

dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per la

(36)

medesima avrebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo. L’art. 5 reca infine una disposizione che ha come scopo quello di coordinare la disciplina delle vendite piramidali con il nuovo regime normativo generale delle pratiche commerciali scorrette.

L’attuazione della Direttiva 2005/29/Ce è stata successivamente

completata con il d.lgs. n. 221 del 23 ottobre 2007, contenente «Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante il Codice del Consumo», attraverso il quale è stata esercitata la delega conferita dall’art. 20-bis della l. 29 luglio 2003, n. 229, che accordava al Governo il potere di adottare «uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive» dei decreti legislativi, fra i quali proprio il d.lgs. n. 206 del 2006, recante il Codice del Consumo.

Gli artt. 2, 4 e 8 del d.lgs. 221/2007 hanno introdotto, nel Codice del Consumo, innovazioni finalizzate ad integrare il corpus normativo già inserito nel d.lgs. n. 206/2005 dal d.lgs. n. 146/2007.

Infine, l’art. 2 del d.lgs. n. 221/2007 ha inserito, nell’elenco dei

diritti riconosciuti ai consumatori-utenti come fondamentali, contenuto nel comma 2, dell’art. 2, c. cons., il diritto «all’esercizio

(37)

delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà», ora contemplato dalla lett. c-bis), omettendo peraltro inspiegabilmente di eliminare, dalla lett. c) del medesimo comma 2

dell’art. 2, la previsione esplicita del «diritto ad una corretta

pubblicità», previsione divenuta del tutto superflua in seguito

all’introduzione della lett. c-bis), dal momento che la pubblicità non è altro che una della pratiche commerciali cui quest’ultima statuizione

fa riferimento.

3. Contenuto precettivo della Direttiva: procedimenti inibitori e

sanzioni

Venendo ora ai contenuti degli artt. 2-13 della Direttiva 2005/29/Ce, essi possono essere riassuntivamente descritti come segue.

In primo luogo (artt. 5-9), la Direttiva pone a carico dei professionisti il divieto di porre in essere pratiche commerciali scorrette, dettando i criteri ed i parametri in applicazione dei quali una pratica commerciale lesiva degli interessi economici dei consumatori-utenti può e deve essere giudicata scorretta.

(38)

In secondo luogo, essa provvede ad individuare i mezzi e gli strumenti attraverso i quali gli Stati membri dovranno assicurare il rispetto di tale divieto, prevenendo, contrastando e sanzionando le condotte tenute in violazione di esso (artt. 10-13).

La Direttiva non impone ai professionisti che operano all’interno della Ce obblighi di contenuto positivo e si limita, per contro, a porre a loro carico il divieto (art. 5, § 1) di ricorrere a pratiche commerciali scorrette, provvedendo a fissare in modo puntuale i criteri ed i parametri in applicazione dei quali può stabilirsi se ed in che misura detto divieto possa considerarsi violato. Essa rinuncia, peraltro, a definire gli elementi e le caratteristiche che una pratica commerciale deve possedere per poter essere considerata «corretta» (e quindi sicuramente lecita) e si rivolge piuttosto ad individuare gli aspetti e gli elementi la cui presenza concorre a rendere una determinata pratica commerciale sicuramente «scorretta»29.

A tal fine, essa detta innanzitutto una definizione di carattere

generale ai sensi del § 2 dell’art. 5. La definizione generale di pratica

29 Cfr. la Relazione alla proposta di Direttiva presentata dalla Commissione il 18 giugno 2003, ove

si afferma (§ n. 30) che «la Direttiva (…) non impone alcun obbligo positivo che un professionista

deve rispettare per dimostrare il carattere corretto dei suoi comportamenti (…) una maggiore

certezza del diritto può essere conseguita definendo ciò che è scorretto piuttosto che ciò che è corretto».

(39)

commerciale scorretta è stata poi concretizzata, da parte degli organi comunitari, attraverso la enucleazione di due categorie speciali di pratiche scorrette (le pratiche ingannevoli di cui agli artt. 6 e 7 e le

pratiche aggressive di cui agli artt. 8 e 9), nonché attraverso l’analitica

e puntuale individuazione di singole fattispecie, elencate in una lista «nera», di pratiche commerciali considerate «in ogni caso scorrette»,

inserita nell’Allegato I alla Direttiva.

Il procedimento che l’interprete dovrà seguire, al fine di valutare

se una determinata pratica commerciale abbia o meno natura scorretta, dovrà pertanto articolarsi nel modo seguente.

In primo luogo, occorrerà stabilire se la pratica si presti o meno ad essere inquadrata in una delle previsioni delle liste «nere» contenute negli Allegati. Qualora questa verifica dovesse avere esito positivo, la pratica deve senz’altro essere considerata scorretta, non essendovi alcuna possibilità di valutazione diversa o contraria. Qualora, per contro, la singola pratica dovesse risultare insuscettibile di essere ricompresa in una delle categorie contemplate negli elenchi inseriti negli Allegati, si tratterà di appurare se siano in essa ravvisabili gli estremi di una pratica commerciale ingannevole (a norma degli artt. 7-8) ovvero di una pratica commerciale aggressiva (a

(40)

norma degli artt. 8-9). Ove anche quest’ultima verifica dovesse avere esito negativo, si rende possibile e necessario il ricorso alla «norma di

chiusura» di cui all’art. 5, § 2, della Direttiva: qualora venga accertato

che la pratica non è contraria alle regole della diligenza professionale, ovvero, pur non essendo conforme a regole siffatte, è tuttavia inidonea a «falsare in misura rilevante» il comportamento economico del consumatore-utente medio cui è diretta o che abbia raggiunto, deve

senz’altro negarsi che la pratica sia scorretta e, conseguentemente, che il professionista che l’abbia posta (o si appresti a porla) in essere abbia violato il divieto imposto dall’art. 5, § 1, della Direttiva.

Giunti questo punto, si può senz’altro affermare che se la parte

«sostanziale» della disciplina delle pratiche commerciali scorrette contenuta nella Direttiva appare completa, puntuale e dettagliata, tale quindi da lasciare ben pochi spazi di manovra ai legislatori nazionali in sede di recepimento, la parte «procedimentale» appare invece generica ed indeterminata, sicchè in relazione ad essa quasi tutto finisce di fatto per essere rimesso alla discrezionalità degli Stati membri.

(41)

L’art. 10, disposizione relativa ai «codici di condotta»30 si limita così a precisare che la Direttiva non intende precludere agli Stati membri la possibilità di ammettere che il controllo sulle pratiche commerciali scorrette venga esercitato anche dai «responsabili dei codici»31, prevedendo quindi che gli interessati possano rivolgersi anche a questi ultimi e ferma restando la possibilità di instaurare

appositi procedimenti dinnanzi all’Autorità giudiziaria o amministrativa, possibilità che non può essere intaccata in alcun modo dal ricorso ai «responsabili dei codici».

I successivi artt. 11 e 13 impongono agli Stati membri,

rispettivamente, di assicurare l’esistenza di «mezzi adeguati ed

efficaci per combattere le pratiche commerciali scorrette» al fine di garantire che le prescrizioni della Direttiva vengano rispettate, nonché di comminare sanzioni «effettive, proporzionate e dissuasive» nei confronti dei professionisti che dovessero violare il divieto di pratiche commerciali scorrette, adottando tutti i provvedimenti necessari per

30La nozione di «codice di condotta» viene definita dall’art. 2, lett. f) della Direttiva e in essa

ricomprende ogni complesso di precetti (attinenti alle regole della diligenza professionale, agli organi e ai procedimenti di autodisciplina) che, pur in mancanza di disposizioni legislative e regolamentari che li impongano, i professionisti si impegnano a rispettare in relazione a una o più pratiche commerciali o a uno o più settori di attività impenditoriale o a una o più libere professioni.

31

Per tali dovendosi intendere, a norma dell’art. 2, lett. g), della Direttiva, i soggetti responsabili

della formulazione e della revisione dei codici di condotta e preposti al controllo del rispetto delle regole in essi contenute da parte di coloro che si sono impegnati a sottostarvi.

(42)

assicurare che le sanzioni suddette vengano effettivamente irrogate. Quale possa e debba essere la natura di tali sanzioni, non viene

specificato dall’art. 13: parrebbe pertanto doversi escludere la

necessità che esse consistano esclusivamente in sanzioni di natura pubblicistica (penali o amministrative) e riconoscere che ai legislatori

interni sia consentita, ancorchè non imposta, l’adozione di misure lato sensu sanzionatorie di natura privatistica32, quali ad es. potrebbero

essere l’esplicita previsione della nullità o dell’annullabilità del

contratto la cui conclusione sia stata preceduta e favorita da una

pratica commerciale scorretta, ovvero l’attribuzione al

consumatore-utente del diritto di recedere ad nutum dal contratto così stipulato. Quanto invece ai «mezzi adeguati ed efficaci per combattere pratiche commerciali scorrette», gli stessi §§ 1 e 2 dell’art. 11 precisano che essi debbano includere disposizioni che attribuiscano a persone fisiche o enti collettivi che abbiano un legittimo interesse a contrastare tali pratiche, il potere di rivolgersi all’Autorità giudiziaria

32

In tal senso è orientata pressochè unanimamente la dottrina europea: cfr. J. STUYCK, E. TERRYN e T. VAN DYCK, Confidence trough fairness? The new directive on unfair

business-to-consumer commercial practices in the internal market, in Common Market Law Review, 2006, p.

136. Nel senso che l’espressione «sanzioni» utilizzata nell’art. 13, si presta a ricomprendere sia sanzioni civili che sanzioni penali, cfr. H. MICKLITZ, in G. HOWELLS, H. MICKLITZ e T. WILHELMSSON, European Fair trading law. The Unfair Commercial Practices Directive, Aldershot, Ashgate, 2006, p. 230.

(43)

e/o amministrativa33, chiedendo l’adozione di provvedimenti che

dispongano la cessazione di pratiche scorrette già in corso di svolgimento, ovvero vietino pratiche scorrette che i professionisti si apprestino a porre in essere.

Merita di essere sottolineato, in primo luogo, che fra i soggetti titolari di un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali scorrette, l’art. 11, § 1, espressamente annovera anche i «concorrenti», in tal modo obbligando gli Stati membri a non riservare la legittimazione a promuovere i procedimenti in questione soltanto alle associazioni dei consumatori, degli utenti ed enti pubblici (es. camere di commercio) e ad estenderla, per contro, anche ai concorrenti del professionista che pone in essere la pratica scorretta nonché, a maggior ragione, alle associazioni e organizzazioni rappresentative dei professionisti che operano nel suo stesso settore di attività.

Per altro verso, alla luce delle modalità con le quali la disposizione è formulata (vi si parla genericamente di «persone»), sembra potersi affermare che, pur non imponendo ai legislatori nazionali di estendere la legittimazione ad agire anche ai singoli

33Gli Stati membri sono liberi di decidere se devolvere i procedimenti in questione all’Autorità

(44)

consumatori-utenti, essa tuttavia non preclude la possibilità di

prevedere un’estensione siffatta.

Occorre inoltre evidenziare l’importanza della previsione del § 2 dell’art. 11, laddove si ammette che l’Autorità giudiziaria o

amministrativa adita possa pronunciare il provvedimento inibitorio della pratica commerciale scorretta a prescindere dalla circostanza che ne sia effettivamente derivato un pregiudizio, nonché a prescindere dalla circostanza che il professionista abbia agito in modo intenzionale o quantomeno negligente: in tal modo, si esclude che l’esperibilità del rimedio inibitorio nei confronti del professionista che abbia posto (o stia per porre) in essere una pratica commerciale scorretta possa essere in qualsivoglia modo subordinata sia alla prova del danno concretamente subito dal consumatore-utente, sia alla prova della colpa del professionista convenuto.

Cosa accade, dunque, se un professionista, in violazione del divieto dettato dal comma 1 dell’art. 20, c. cons., pone in essere una pratica commerciale scorretta?

Non vi è dubbio che, tutte le volte in cui la violazione in tal modo perpetrata assuma una dimensione «collettiva», non esaurendosi in un comportamento tenuto una tantum nei confronti di un singolo,

(45)

concreto consumatore-utente, le associazioni dei consumatori-utenti

iscritte nell’elenco di cui all’art. 137, c. cons., siano legittimate ad

agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti stessi, nei confronti del professionista che abbia posto in essere la pratica scorretta, promuovendo davanti al giudice ordinario, a norma

dell’art. 140, c. cons., un procedimento volto a ottenere la pronuncia,

da parte del tribunale, di un provvedimento che inibisca al convenuto la continuazione della pratica della quale venga riconosciuta la natura scorretta ed imponga quindi l’adozione di misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi che essa abbia prodotto.

È assai probabile, tuttavia, che la prevenzione e la repressione delle pratiche commerciali scorrette finiranno nella prassi per essere affidate in via prevalente, se non esclusiva, ai procedimenti «speciali»,

di competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

che, nell’art. 27, c. cons., vengono fatti oggetto di una

regolamentazione sostanzialmente identica a quella contenuta nell’art.

8, d.lgs. n. 145/2007, che disciplina i procedimenti nell’ambito dei quali l’Autorità esercita le proprie attribuzioni in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, ed in particolare il potere di emettere ordini inibitori e di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie. Il

(46)

Governo ha ritenuto infatti opportuno estendere le competenze e le

attribuzioni dell’AGCM in materia di pubblicità ingannevole e

comparativa anche al settore delle pratiche commerciali scorrette,

prevedendo che esse siano destinate ad essere esercitate nell’ambito di

procedimenti disciplinati con modalità identiche.

Ora, se tale scelta merita senz’altro apprezzamento, alla luce dei positivi risultati ottenuti dall’Autorità in sede di applicazione delle

disposizioni di recepimento della Direttiva 84/450/Cee, assai meno condivisibile appare la decisione di riservare in via esclusiva alla citata Autorità (nell’ambito dei procedimenti di cui al novellato art. 27, c. cons.) il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei professionisti che facciano ricorso a pratiche commerciali scorrette: sia perché la concentrazione di tale potere nelle

mani di un unico ente rischia di condurre ad una paralisi dell’attività dell’Autorità, qualora quest’ultima dovesse essere sommersa di

richieste di intervento, sia soprattutto perché i procedimenti di cui

all’art 27, c. cons., presentano connotati di semplicità e speditezza

certamente molto adatti ai messaggi pubblicitari e, più in generale, alle condotte imprenditoriali standardizzate e strutturalmente semplici tenute nei confronti della generalità dei consumatori-utenti, ma assai

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meno adeguati alle peculiarità e alla complessità che possono riscontrarsi in pratiche commerciali diverse dai messaggi pubblicitari: si pensi, ad es., ad alcune tipologie di pratiche commerciali

aggressive, o alle condotte tenute durante l’esecuzione di un contratto.

In considerazione di ciò, sarebbe stato senz’altro più opportuno

prevedere, accanto ai procedimenti di competenza dell’AGCM e alle sanzioni amministrative irrogabili da parte di quest’ultima, anche un

apparato ordinario di sanzioni amministrative pecuniarie applicabili ai sensi della l. n. 689 del 24 novembre 1981, paragonabile a quello contemplato dagli artt. 12, 62 e 81, c. cons.

Quanto poi alla disciplina del procedimento, devoluto alla

competenza dell’Autorità, nell’ambito del quale si fa luogo all’accertamento della violazione del divieto di ricorrere a pratiche

commerciali scorrette e all’adozione delle conseguenti misure inibitorie e sanzionatorie nei confronti dei professionisti che se ne rendano responsabili, molte sono le differenze che essa presenta rispetto a quella un tempo dettata per i procedimenti in materia di pubblicità ingannevole e comparativa dall’art. 26, c. cons., nella sua originaria formulazione.

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La prima, significativa novità riguarda i presupposti della instaurazione del procedimento. Da un lato, infatti, la legittimazione a

presentare l’istanza idonea a condurre all’instaurazione del

procedimento viene riconosciuta, genericamente, ad ogni «soggetto o organizzazione» che vi abbia interesse, in tal modo di fatto estendendo in misura pressoché illimitata il novero dei soggetti potenzialmente

abilitati a richiedere un intervento all’Autorità. Dall’altro lato, e soprattutto, viene espressamente attribuito all’Autorità il potere di attivarsi anche d’ufficio.

Di notevole rilievo è anche l’estensione dei poteri riconosciuti

all’Autorità e contemplati dal comma 2 dell’art. 14, l. n. 287/1990, e

cioè disporre ispezioni al fine di controllare i documenti aziendali ed

acquisirne copia, disporre l’effettuazione di perizie ed analisi

economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento potenzialmente rilevante. Viene così accordata la possibilità di avvalersi dei poteri investigativi ed esecutivi di cui al Regolamento 2006/2004/Ce34, anche in relazione a pratiche

34 A norma dei § 3 e 4 dell’art. 4 del Regolamento, i poteri investigativi ed esecutivi di cui le

Autorità nazionali competenti dispongono comprendono almeno: a) poter accedere a qualsiasi

documento pertinente, in qualsiasi forma, relativo all’infrazione intracomunitaria; b) richiedere che

qualsiasi persona sia tenuta a fornire le informazioni pertinenti, relative all’infrazione intracomunitaria; c) effettuare le necessarie ispezioni in loco; d) chiedere per iscritto che il

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