4. I Magi alla corte achemenide
4.1 Il ruolo di educator
L’educazione dei giovani Persiani suscitò un grande interesse negli autori sia greci che latini, tanto da divenire un topos della letteratura classica. Coloro che trattarono di tale argomento hanno lasciato una serie di testimonianze in merito alle modalità, ai tempi, e agli insegnamenti che venivano impartiti ai rampolli dell’aristocrazia achemenide, nonché all’erede stesso del Re dei Re, ed alle figure educative che si occuparono di tale impegno.
Il primo riferimento, alquanto generico, lo si riscontra in Erodoto:
“Loro educavano I loro figli dai cinque ai vent’anni, insegnandogli solo tre cose:
cavalcare, il tiro con l’arco, e l’onestà.” 263
Si può notare come l’attenzione dello storico di Alicarnasso sia stata da subito attratta da ciò che veniva insegnato ai fanciulli in ancora tenera età, quando imparavano a cavalcare, a maneggiare le armi, e nello specifico ad adoperare efficacemente l’arco, e ad essere onesti e perseguire la verità.
262
In Gnoli, 1974, pag. 189.
263
Tale modello educativo, basato su un’educazione di tipo militare ed etico, venne riportato anche da Strabone, che, come già sottolineato in precedenza, doveva impiegare le stesse fonti che avevano ispirato l’opera di Erodoto, come emerge dal confronto tra i due passi di questi autori:
“Fra i cinque e i ventiquattro anni si addestrano a tirare d’arco, a lanciare giavellotti, ad andare a cavallo e a dire la verità. Ricorrono agli insegnamenti dei maestri più saggi, i quali inventano e raccontano a scopo educativo anche delle storie, oltre a celebrare con musiche e canti le gesta degli dei e degli uomini più
valorosi.” 264
Entrambi gli autori, oltre a definire le materie di apprendimento dei giovani Persiani, individuarono anche in maniera precisa la durata del loro iter educativo, concordando sull’età in cui i bambini iniziavano ad apprendere i primi insegnamenti, attorno ai cinque anni di vita, ma trovandosi in disaccordo sul momento in cui tale percorso veniva interrotto, coincidente, secondo Erodoto, con i vent’anni, secondo Strabone, con i ventiquattro anni.
Il geografo aggiunse, inoltre, l’affascinante dettaglio in merito all’insegnamento della mitologia come parte del curriculum educativo, narrante le imprese degli dei e degli uomini più nobili e valorosi, definendo così l’esistenza di un’educazione concernente anche la religione e la memoria culturale, che si affiancava all’apprendimento delle competenze militari. Questo bagaglio culturale derivava probabilmente non solo dalla tradizione culturale e religiosa persiana, la quale doveva comunque mantenere una certa predominanza, ma anche da quella meda, iranica e mesopotamica, sempre secondo l’azione di sincretismo operata a livello culturale e religioso. Tali conoscenze erano trasmesse tramite la memorizzazione di canti e inni, come definisce Strabone stesso, mostrando così come l’educazione dovesse avvenire per via orale, senza usufruire o produrre materiale scritto, che non venne mai citato da alcun autore classico che trattò dell’argomento265; agli alunni doveva quindi essere richiesto di imparare a memoria una serie di inni, teogonie, genealogie e vicende eroiche che probabilmente venivano intonati ripetutamente in modo da garantirne l’assorbimento.
Strabone fece anche riferimento alle figure educative che erano incaricate di impartire gli insegnamenti alla gioventù persiana, definendoli come “..i maestri più saggi..”, e non vi è dubbio
264
Strabone, XV, 3.18.
265
che queste figure corrispondessero ai Magi, depositari della verità e della memoria collettiva266, la cui identificazione è ancor più sicura nei casi era testimoniata anche l’insegnamento di principi legati alla mageia, come nel caso di Platone, nel De Alcibiade:
“..A sette anni questi fanciulli montano già a cavallo, a scuola di maestri d’equitazione, e cominciano a cacciare. A quattordici anni vanno sotto la disciplina dei pedagoghi reali , come essi li chiamano: i quali sono scelti fra i Persiani più illustri nel fiore della loro età e sono quattro, il più sapiente, il più giusto, il più temperante, e il più valoroso. Il primo di costoro gli insegna la magia di Zoroastro figlio di Oromasdo, cioè il culto degli dei, e gli insegna pure l’arte di regnare; il più giusto gli insegna a perseguire la verità nel corso di tutta la sua vita; il più temperante, a dominare tutte le passioni, così che possa essere un uomo libero ed un autentico sovrano, senza essere schiavo di ciò che può essere in lui, ma padrone; mentre il più valoroso gli insegna ad essere impavido ed intrepido,
spiegandogli come chi è impaurito è tenuto in schiavitù.” 267
Da questa testimonianza emerge un impianto educativo all’interno del quale era riservato ampio spazio ai precetti etici e religiosi, accompagnati dalla spiegazione della dottrina persiana e dall’assimilazione dei suoi fondamenti basilari, di esclusiva competenza dei Magi. Ciononostante, la descrizione offerta da Platone non può essere considerata del tutto obbiettiva, poiché rifletterebbe certi schemi mentali e filosofici propri dell’Accademia, con un accenno indiretto alla gerarchia ideale di filosofia – giustizia – coraggio, enfatizzandola, seppur sempre moderatamente. L’educazione sarebbe quindi derivata da quegli uomini da ritenere più saggi poiché rappresentanti delle quattro virtù cardinali, corrispondenti a saggezza, giustizia, moderazione e coraggio, qualità nelle quali, quindi, secondo Platone, i Magi idealmente eccellevano. L’autore sottolineò inoltre l’erudizione dei magoi, di cui un rappresentante impartiva ai ragazzi anche gli insegnamenti in merito al culto degli dei, sottolineando però come questi ultimi fossero in accordo con i precetti di Zoroastro, figlio di Ostane268. Questa specificazione porterebbe a pensare come l’educazione dei fanciulli dell’aristocrazia persiana fosse affidata a quei Magi che seguivano le idee, la filosofia e la religione zoroastriana, o almeno ciò dovette avvenire dal momento in cui lo Zoroastrismo dovette 266 In Briant, 1996, pag. 342. 267 Platone , 122. 268 In De Jong, 1997, pag. 449.
prendere piede anche tra coloro che esercitavano le più elevate forme di potere, in primis il sovrano, tanto da improntare anche il sistema educativo su tale corrente ideologica e filosofica269. Si potrebbe, altrettanto legittimamente, ipotizzare come l’insegnamento di Zoroastro possa essersi consolidato anche tra i potenti proprio grazie alla posizione privilegiata di quei Magi, che, approfittando dell’incarico rivestito, avrebbero perorato la causa dello Zoroastrismo, imponendosi così sugli altri appartenenti alla casta sacerdotale che rimasero fedeli a tradizioni ancestrali appartenenti al background medo270.
Di mageia parlò anche Plutarco, nel De Artaserse:
“Quando Artaserse si accingeva a fare queste cose, Tissaferne giunse presso di lui con uno dei sacerdoti che, incaricato di dare a Ciro l’educazione tradizionale dei fanciulli e avendogli insegnato la magia e la saggezza, meno di ogni altro Persiano sembrava essere contento che il suo pupillo non fosse stato designato re. Appunto
perciò, quando accusò Ciro, fu creduto.” 271
In tale testimonianza, il protagonista dell’educazione è l’erede al trono, sempre comunque affiancato da altri fanciulli persiani, e nello specifico è Ciro il Giovane, che si contrappose al fratello Artaserse II, scatenando una ribellione e un tentativo di colpo di stato da cui uscì vincitore il legittimo erede designato. Il futuro sovrano doveva essere preparato fin dalla più tenera età a ricoprire il ruolo a cui era destinato, ad affrontare i conseguenti doveri, a mantenere e curare il suo rango all’interno di un ordine politico, militare e religioso. Anche i suoi compagni di studi dovevano acquisire fin da piccoli la consapevolezza del ruolo che avrebbero in seguito ricoperto, fosse governatore di una satrapia quanto generale dell’esercito; in tal modo sin dall’infanzia veniva insegnato loro a rispettare la figura del sovrano, e a divenirne fedeli servitori, tanto nell’ambito civile quanto militare, rafforzando così anche i legami tra erede al trono e aristocrazia. Anche loro dovevano quindi assorbire la saggezza trasmessa dai Magi, e con essa il culto dell’onestà e i concetti di verità e giustizia.
L’educazione concernente la sfera regale non era destinato solo all’erede al trono, ma anche agli altri figli del sovrano, come nella testimonianza plutarchea relativa a Ciro il Giovane, o come definito nella descrizione resa da Senofonte, nell’Anabasi:
269 In Gnoli, 1974, pag. 150. 270 In Gnoli, 1974, pag.144. 271 Plutarco, III, 3.
“Fin da bambino, infatti, quando veniva educato con il fratello e con gli altri ragazzi, era ritenuto il migliore di tutti. Poiché tutti i figli dei più nobili dei Persiani vengono educati a corte e qui ognuno impara soprattutto ad essere saggio e non
ha occasione ne di udire ne di vedere niente di vergognoso.” 272
La scelta di educare tutti i discendenti diretti del sovrano secondo un simile, se non appunto identico, modello di insegnamento poteva essere conseguenza dell’alto tasso di mortalità infantile, così che, nel caso un cui l’erede designato fosse prematuramente deceduto, la continuità dinastica non sarebbe stata messa a rischio, con la salita al trono di uno dei figli minori, già preparato nell’arte del regnare; questa esigenza comportava però dei forti rischi, che si realizzarono concretamente nella lotta fratricida fra Ciro e Artaserse: educare secondo la stessa modalità i figli del sovrano poteva fomentare rivalità e sentimenti di rivalsa in coloro che poi effettivamente non ottenevano il trono273.
L’educazione donata dai Magi al futuro sovrano era necessaria e fondamentale, secondo Cicerone, per poter regnare, come dichiarò l’autore nel De Divinatione:
“[…] Tra i Persiani, interpretano gli auguri e profetano i maghi, i quali si riuniscono in un luogo sacro per meditare sulla loro arte e per scambiarsi idee, […] [91] né alcuno può essere re dei persiani se non ha prima appreso la pratica e la scienza
dei maghi.” 274
L’educazione religiosa impartita agli eredi al trono era effettivamente indispensabile in funzione alle azioni di culto ufficiali che il futuro sovrano avrebbe in seguito dovuto ottemperare. E’ sicuro, infatti, come il Gran Re si dovesse recare in Persia periodicamente per presenziare alle feste religiose, i cui cerimoniali e la periodicità era senza dubbio regolata da un calendario cultuale, e tali prestazioni del sovrano dovevano corrispondere ai vari esempi di sacrifici compiuti dal re descritti dalle fonti greche. Al sovrano erano quindi richieste quelle conoscenze e competenze necessarie al compimento dei rituali sacrificali svolti in onore delle divinità, acquisibili unicamente
272 Senofonte, I, 9.2-3. 273 In Briant, 1996, pag. 538. 274 Cicerone, I,41.90 –91.
dagli insegnamenti dei Magi, che, come già ribadito più volte, erano gelosi custodi del sapere religioso e cultuale275.
Era sempre affidata alla casta sacerdotale persiana anche l’educazione alla giustizia, che corrispondeva ad un altro dei fondamenti della formazione degli eredi, ma non solo, anche di tutti gli altri fanciulli che godevano di questi insegnamenti. Così lo descrisse Nicola di Damasco, in uno dei frammenti sopravvissuti appartenenti alla sua opera maggiore, la Storia Universale:
“Ciro, il re dei Persiani, conosceva la filosofia più di qualunque altro, poiché i Magi gliel’avevano insegnata. Lui aveva appreso la giustizia e la verità secondo un’usanza ancestrale istituita dai migliori dei Persiani. E gli vennero insegnate la
giustizia e la verità secondo la radicata tradizione della nobiltà persiana.” 276
La giustizia di cui trattavano le fonti classiche era indubbiamente riflessa nella concezione iranica di arta, di cui uno dei significati era propriamente “giustizia”, assieme a “verità”. Tali concetti erano di importanza basilare per i Persiani, che su di essi fondavano la loro civiltà e la loro cultura, come emerge dalle fonti di cui si dispone in merito all’argomento277. E’ possibile che l’insegnamento della giustizia prevedesse, nel concreto, lo studio delle leggi pratiche che regolavano l’impero achemenide, in modo che i fanciulli potessero imparare ad amministrare la legge ed a ricoprire cariche in relazione all’amministrazione giudiziaria, necessarie per essere ben preparati a ricoprire l’alta carica che un giorno gli sarebbe spettata, sia che fossero eredi al trono o destinati al governo di una satrapia278.
275
In Briant, 1996, pag. 253.
276
Nicola di Damasco, frammento 67.
277
In De Jong, 1997, pag. 217.
278
In De Jong, 1997, pag. 448-449. In merito all’educazione degli eredi al trono e dei discendenti dell’aristocrazia si vedano:G. Gnoli, Politique religieuse et conception de la royautè sous les Achemenides, in Acta Iranica II, 1974, pag. 149-150; G. Gnoli, Zoroatser’s time and homeland, 1980, pag. 208-209; F. Graf, La magia nel mondo antico, 1995, pag. 21; P. Briant, Histoire de l'empire perse: de Cyrus à Alexandre, 1996, pag. 253, pag. 342 e pag. 537-538; A. De Jong,
Traditions of the Magi, 1997, pag. 217, pag. 402 e pag. 446-449; A. Mastrocinque, Studi sul mitraismo, 1998, pag. 129;
I. Chiarassi, Il Magos e la Pharmakis, in C. Bonnet, J. Rupke, P. Scarpi, Religions orientales-culti misterici, 2006, pag. 172-177.