La famiglia diventa il luogo in cui si possono incrociare fattori di rischio e di protezione che si intrecciano e influiscono sullo sviluppo del bambino.
Infatti, non sempre i fattori di rischio agiscono in modo deterministico sul futuro di un figlio ma si intrecciano con altre influenze positive al punto che, in alcune situazioni definite “a rischio “, la persona riesce ad affrontare situazione di vita particolarmente difficili uscendone con una crescita sufficientemente equilibrata: è il concetto di resilienza.
Il nucleo familiare primo migrante, che mantiene stretti legami con il paese d’origine, una volta giunto nel nuovo paese ospite riceve appagamento raggiunta una posizione sociale, mentre per i figli avviene immediatamente il confronto con gli stili e le modalità di vita del nuovo paese.
Imparando velocemente la lingua ai contenuti offerti dai modelli di vita del nuovo paese-, anche se a questo non segue in modo scontato l’acculturazione ai contenuti offerti dai modelli di vita della nuova società- i ragazzi si rivelano più scaltri nel sapersi destreggiare nella nuova realtà dove vivono; essi si rendono presto autonomi dai loro genitori.
Così la differenza generazionale nelle aspettative di vita, il fatto di crescere in un paese che offre modelli consumistici e un “abbagliante“ benessere, funzionano da motore di spinta per questi ragazzi: nelle classi infatti difficilmente si notano le differenze di stile, desideri e comportamento tra i gli adolescenti immigrati e gli autoctoni se non fosse che, durante gli incontri nelle classi, nell’ambito dell’educazione all’affettività e sessualità, è prevista la presentazione individuale di ogni partecipante.
La facilità con la quale questi ragazzi apprendono la lingua ed il loro contatto con la nuova società ricca di stimoli, crea nei ragazzi delle aspirazioni per il loro futuro.
Qualora, a differenza dei loro genitori, che difficilmente sperano in un miglioramento della loro posizione sociale e risentano di un difficoltoso processo d’integrazione, i figli avvertiranno lo scarto tra le loro reali condizioni e le loro aspettative che mirano ad un riconoscimento sociale.
Per questo motivo possono vivere un conflitto con i genitori che si sono accontentati di occupare uno status sociale secondario tanto da disconoscere i sacrifici del padre e della madre.
E’ proprio a causa di questi processi si può verificare il rovesciamento dei ruoli tra il/i genitore/i ed il/i figlio/i chiamata dissonanza intergenerazionale, nonostante i primi migranti sono partiti alla ricerca di un futuro migliore non solo per sé ma anche per i loro figli; quest’ultimi inoltre non riescono ad accettare emotivamente il fatto di essere stati lasciati alla cure di parenti nel paese d’origine e si generano dei conflitti molto accesi tra gli stessi come nel caso di A. che è stata ed è tuttora seguita dal nostro servizio.
Ad incidere maggiormente sul fenomeno della dissonanza intergenerazionale vi sono altri due aspetti:
i genitori a causa degli impegni di lavoro e degli impegni quotidiani riescono a fatica a seguirli.
manca una rete familiare allargata sia dal punto di vista pratico che simbolico, difficilmente questi adolescenti a livello educativo possono beneficiare di reti di supporto (nonni, parenti, vicini, reti amicali dei genitori). a volte questa rete esiste ma è frammentaria, insufficiente.
Queste situazioni sono considerate potenzialmente a rischio specie se le risorse del capitale sociale dei genitori da mettere a disposizione dei figli sono limitate, al punto che gli adolescenti possono incorrere in situazioni di svantaggio: la precocità con la quale questi adolescenti si avvicinano all’adultità, bruciando le tappe intermedie o avvicinandosi ai gruppi di minoranze etniche o autoctone marginalizzati, incide pesantemente sul rapporto genitori/figli, sulla relazione di fiducia elevando il rischio sociale di devianza.
(Qui possiamo collocare la situazione di R. che si differenzia da quella di A. come avremo modo di approfondire.)
Qualora i genitori si trovino in queste situazioni, al fine di mantenere la loro autorevolezza, cercano di recuperare il loro ruolo e la distanza generazionale dai figli attraverso i modelli culturali che sono loro propri confermando una differenziazione di ruoli, (genitori/figli) contrariati e stupiti dagli atteggiamenti permissivi ed “amichevoli “adottati dagli adulti autoctoni nei confronti dei propri figli adolescenti.
Questo tema ritorna frequentemente nelle famiglie immigrate che sono affluite al servizio Polo Adolescenti.
Le famiglie migranti, in particolare, si interfacciano, attraverso i figli adolescenti, con uno stile educativo, di vita o una realtà scolastica che spesso sono differenti dalle loro rappresentazioni, dai loro stili; questo pone incide sul piano delle relazioni genitori/figli e di conseguenza altri interrogativi e difficoltà si affacciano e possono influenzare lo sviluppo dell’integrazione poiché ai ragazzi è richiesta una doppia fatica : conciliare differenti esigenze culturali ed inserirsi con scarso supporto.
Un ulteriore sfumatura in relazione agli stili di vita, alle tradizioni, all’appartenenza a determinate comunità sociali, acquista l’adolescenza di genere: se nella rappresentazione pubblica emergono più frequentemente le problematiche portate alla cronaca dai ragazzi immigrati, la preoccupazione per le loro famiglie sono rivolte alle femmine, non con considerevole scarto, peraltro, rispetto alla maggioranza dei nuclei autoctoni.
Il timore dei genitori è che le adolescenti immigrate si integrino troppo, che adottino libertà ed autogestione di sé e del proprio corpo, seguendo gli atteggiamenti delle native.
Al proposito le ragazze della seconda generazione, cercando di a volte emulare le autoctone o per potersi inserire nel gruppo della pari o perché attirate da costumi a loro contestati o considerati poco accettabili, incorrono alla pari delle loro coetanee native in rischi tra i quali una gravidanza precoce.
Tra i fattori predittivi che si collegano al rischio per un’adolescente di incorrere in una gravidanza indesiderata, possiamo elencarne alcuni:
1) l’insuccesso scolastico e relativo abbandono degli studi, con relativo disimpegno giornaliero;
2) i problemi comportamentali a scuola o ricorso all’uso di sostanze e alcool;
3) la famiglia disfunzionale, poco supportiva, con genitori spesso assenti o con scarsa comunicazione che non accompagnano i figli ad assumere un atteggiamento critico verso i messaggi inviati dai media, da internet, ed ai “modelli e stili di vita “proposti come vincenti e di successo;
4) povertà’: lo stato di precarietà economica e sociale espone maggiormente alla mancanza di poter disporre di risorse per fornirsi di sistemi di protezione e per accedere ai mezzi di prevenzione sociosanitaria.
In questa fattispecie una delle situazioni di rischio, può essere rappresentata dal terreno emozionale coltivato dalla ragazza sin dalla pubertà e consiste nell’elaborazione, da parte della adolescente, dei legami affettivi più o meno “nutrienti “di cui ha beneficiato che si riaffacciano al momento del concepimento, della gravidanza, della nascita e della crescita di un bambino spingendo la potenziale genitrice a rivedere le esperienze del passato; nel contempo tali legami possono favorire una caduta della genitorialità per il riemergere di conflitti passati (con i propri genitori a sua volta) non elaborati.
Questo è particolarmente significativo per le adolescenti straniere in considerazione che alla partenza del/dei genitore/i ( in particolare la madre ) il senso di abbandono simbolico che la ragazza o bambina si rappresenta e l’accudimento/attaccamento ricevuto dal caregiver, influenzeranno l’idea della propria maternità e potranno favorire o il bisogno di riempire un vuoto affettivo inelaborato attraverso una gravidanza, diventando madri a loro volta, o il permettere alla propria madre di ripercorrere nuovamente il ruolo della maternità attraverso il nipote.
A tal proposito si sono rivolte al Polo Adolescenti un paio di situazioni che ho avuto modo di seguire che ben rappresentavano tale elemento: ragazze la cui madre che per vari motivi, separata, allontanatasi a causa del lavoro, rimasta o rientrata al paese d’origine ha lasciato un vuoto di tipo abbandonico nella figlia che altri non hanno potuto colmare.
All’interno della mia esperienza professionale, facendo riferimento alle situazioni che ho intercettato e seguito in merito alle interruzioni di gravidanza e versus alle gravidanze di giovani straniere ho riflettuto sulle emozioni contrastanti vissute dalle interessate intorno alla scelta di “decidere”, con estrema sofferenza mascherata da una apparente distanza, quale strada intraprendere, spesso in opposizione alla famiglia o vivendo assieme ad essa il dolore dell’evento in modo molto profondo.
Ed è questo che accade, al contrario di quella letteratura che sostiene come le donne straniere, specie dell’est o di religione musulmana, siano indifferenti di fronte alla problematica della gravidanza.
Tutto ciò va a testimonianza del conflitto dirompente che esse vivono a fronte dell’educazione ricevuta e dei valori culturali a cui fanno riferimento: siano esse figlie che decidono di interrompere o proseguire la gravidanza o siano le madri di queste.
Specularmente le preoccupazioni dei genitori di figli autoctoni ed immigrati si assomigliano, anche se le motivazioni che le sottendono nascono da elementi diversi.
Pur non generalizzando, non è del tutto infrequente che alcune famiglie ripeschino la pratica religiosa, in fase migratoria e assumano rigidi comportamenti educativi proprio per affermare
la propria identità culturale rispondendo al confronto con le “pratiche” in uso nel paese ospitante.
Il bisogno è quello di aver chiaro quali valori trasmettere ai propri figli, quale identità li rende diversi dagli autoctoni, insomma riscoprire delle radici, un recupero ed elaborazione della propria identità affermando così la differenza.
Rispetto alla gestione di tali difficoltà o difronte ai primi segnali che prefigurano l’insorgere delle stesse è determinante sia il ruolo e il grado di integrazione raggiunto dai genitori nella società ospitante che quello delle reti sociali etniche: infatti oltre ai motivi economici, anche un’integrazione difficile vissuta dai genitori si ripercuote sui loro figli che, specie nel momento dell’eventuale ricongiungimento, hanno bisogno del sostegno familiare per potersi inserire nel nuovo tessuto sociale.
Non bisogna dimenticare quanto gli adolescenti stranieri possono rappresentare per le famiglie le speranze di realizzazione di un progetto migratorio che preme su di loro…sui quali i genitori ripongono molte aspettative ( qui ritroviamo il caso della sorella di R. ); questi giovani possono altresì trovarsi collocati tra ciò che la famiglia si aspetta e desidera rispetto all’appartenenza culturale e quelle che sono le richieste della scuola, della realtà lavorativa, del mondo delle nuove amicizie e dei nuovi rapporti.
Si sa quanto siano importanti le relazioni familiari nella prevenzione delle manifestazioni del disagio adolescenziale: i genitori forniscono i primi esempi e messaggi fondamentali per aiutare i figli a sviluppare la creazione di quei fattori auto protettivi utili in questa prima fase della crescita, ovvero nell’età della pubertà.
Il contenuto che i ragazzi ereditano dalle relazioni più o meno “nutrienti” negli anni della prima infanzia a volte fa la differenza, perché costituiscono il bagaglio col quale essi si preparano ad affrontare tutte le nuove esperienze che li aspettano nella fase dell’adolescenza e nel percorso verso l’autonomia.
Pensiamo ai caregivers e alla loro funzione di cura delegata dai genitori alla partenza e quindi al differente bagaglio che gli adolescenti immigrati portano con sé al momento del ricongiungimento familiare e all’ingresso nel paese nuovo ospitante.
In particolare, la distanza non tanto geografica, quanto emotiva, “costretta “, coglie impreparati i genitori degli adolescenti immigrati: nel tempo essi hanno perso il diretto contatto con l’evoluzione e la crescita dei loro figli e questo li pone in una situazione in cui devono coniugare rapporti passati e presenti, in assenza di una continuità ed in presenza di talune “incomprensioni “sia tra loro che con i propri figli. (questi aspetti attraversano tutte
le storie dei ragazzi che sono stati seguiti dal servizio sociale).
Le reazioni possono manifestarsi in un’insicurezza a muovere i primi passi verso l’adultità mantenendo una forma di dipendenza dai genitori oppure un’esacerbata reazione di conflittualità accresciuta per i ragazzi ricongiunti da una mancata conoscenza dei loro genitori biologici che faticano a riconoscere avendo lasciato i loro “genitori affidatari” al paese d’origine.
Gli adolescenti rivendicano il bisogno di ascoltare e dare voce ai propri nuovi bisogni, di uscire dalla cornice domestica che li ha protetti per molti anni o li ha tenuti lontani, di stabilire nuovi contatti con i propri coetanei provando ad autogestirsi.
Dall’altro lato, le coppie genitoriali, occupate nel lavoro, (lungo e con ritmi serrati specie per l’immigrato) nell’assistenza ai propri parenti anziani, (in comune con gli autoctoni), nella cura
domestica, spesso faticano ad entrare in rapporto con i figli che sono cresciuti e che richiedono nuove energie ed un nuovo impegno.
Il timore del distacco dei loro “bambini” diventati adolescenti diventa una realtà difficile da accettare: la fiducia, la contrattazione, il riconoscere che i propri ragazzi hanno iniziato il percorso alla ricerca dell’autonomia richiedono loro di effettuare dei cambiamenti negli atteggiamenti, nella capacità di stare in una nuova relazione, sopportando il fatto di non essere più il centro della loro vita.
I contorni prima sicuri che contenevano, proteggevano e rassicuravano si sfumano, il tutto viene rafforzato dai cambiamenti valoriali, sociali che avvengono tra le generazioni, nel rapporto con la scuola, con gli adulti ed i modelli di riferimento offerti dai mass-media.
Per i ragazzi che affrontano il ricongiungimento, l’adolescenza acuisce rispetto ad altri il loro impegno nell’attribuire significati ai rapporti sociali e a loro stessi, sia in base alla fase di vita che stanno attraversando, sia rispetto alla migrazione che hanno vissuto attraverso la prima migrazione in modo diretto od indiretto.
Le più importanti figure identitarie da cui distinguersi o a cui avvicinarsi non hanno sempre questa valenza quando il distacco e la separazione hanno generato una mancata conoscenza e legame relazionale che abbisognano di essere ricostruiti con maggiore fatica se ci si trova in un periodo transitorio qual è quello adolescenziale così contraddittorio e ricco di cambiamenti. Anche per i genitori può sussistere un sentimento di inadeguatezza e di difficoltà su come confrontarsi specie con le nuove forme di comunicazioni che i ragazzi sviluppano, i nuovi rischi, l’effettuare “una sorveglianza” a distanza, affrontando spesso l’angoscia e la paura dei “pericoli” che i propri figli possono incontrare, le nuove scoperte e curiosità che desiderano esplorare in una realtà “diversa” qual è il paese ricevente.
Talvolta il controllo, se esagerato, perché generato dall’ansia genitoriale, diventa un modo per far sentire i ragazzi troppo osservati, sotto pressione e costituire così un limite al loro percorso verso l’autonomia, altre volte suscita una reazione di esagerata ricerca della libertà incorrendo in rischi senza adottare “protezioni”.
Se nei paesi più ricchi si manifesta un malessere comune a causa, anche, della carenza delle proposte autorevoli, questa situazione si manifesta più complessa per i figli degli stranieri per i quali generalmente i ruoli sono più definiti tra coppia e genitori, ove gli stili di vita di quest’ultimi sono già un modello di difficile riconoscimento.
La complessità aumenta se si aggiunge la componente etnica che propone un’identità spesso in contrasto o poco conciliabile con i valori del paese ospite.
Gli adolescenti stranieri di confrontano con modelli diversi: quello del paese d’origine, quello rivisitato dalla loro famiglia a seguito della migrazione, ma anche con quello che gli autoctoni vestono loro addosso perché riconducibile alla loro origine etnica.
Se da un lato si può verificare la collisione con i modelli dei genitori o quelli relativi alla propria appartenenza, che possono essere messi in discussione, dall’altro la difficoltà di comunicazione e le diversità possono rendere difficili le comunicazioni con i coetanei.
Per Portes e Rambaut23 i ragazzi stranieri che non riconoscono la cultura della loro famiglia
d’origine e non si sentono supportati dai loro coetanei italiani, sono meno integrati e sicuri di sé; questo aspetto si accentua in quelle comunità culturalmente più chiuse quali ad esempio cinesi e filippini che sviluppano delle resistenze culturali. (questo aspetto ricorda la
situazione di R.).
Secondo la ricerca Itagen 2 24 il tema dell’appartenenza si propone anche sulla dimensione del
sentirsi italiano; da tale ricerca quantitativa, rappresentativa a livello nazionale, sui figli degli immigrati in Italia emerge che: “Se prendiamo in considerazione il luogo di socializzazione, troviamo più “italiani” nei ragazzi stranieri che hanno trascorso l’infanzia in Italia e meno tra chi è appena arrivato…anche se resta interessante il fatto che i no ed i non so, sono dichiarati dai nati in Italia”.
Alcune motivazioni si possono ricercare nel tentativo di costruire la propria identità creando ponti tra le diverse culture quelle del paese d’origine e quello d’arrivo (qui ritroviamo degli
aspetti legati alla situazione di A).
Parlare la lingua del paese ospite facilita a far crescere sia il senso di appartenenza sia costituisce agente che aiuta ad alimentare i rapporti con il contesto esterno a quello limitato alla stretta cerchia etnica.
In questo caso, accade spesso che, nel corso del processo di “acculturazione” dei minori immigrati ricongiunti o meno, l’apprendimento della lingua del posto avvenga in tempi più rapidi di quanto non lo è stato per i loro genitori, in quanto, andando a scuola, i ragazzi sono facilitati in questa conoscenza.
Questo fa sì che i migranti più giovani assumano il ruolo di mediatori ed interpreti fra la famiglia e la società e quindi può avvenire che si sentano soli poiché il sistema parentale è lontano dal punto di vista intellettuale.
Una probabile conseguenza è che può verificarsi un disallineamento fra le gerarchie familiari, in quanto le generazioni più adulte dipendono da quelle più giovani per la padronanza linguistica; gli adolescenti poi qualora i genitori impediscano loro la frequenza dei propri coetanei nel nuovo contesto possono percepire in questo comportamento una minaccia alla formazione della propria identità, considerata la naturale propensione all’identificazione coi pari in questa fase della vita.
Ciò può avere una ripercussione sullo svolgimento del compito adolescenziale che coinvolge tutti i ragazzi immigrati e non: la combinazione cioè delle regole sociali dei pari con quelle dettate dal contesto familiare, anche per il fatto che i giovani si rendono consapevoli della collisione fra il rapporto di tipo collaborativo che intrattengono con in propri pari e quello più unilaterale che stabiliscono con i genitori.
I ragazzi stranieri affermano il loro senso di appartenenza ed il loro grado di sicurezza in relazione al capitale culturale ed economico della propria famiglia aggiungendo la percezione che essi stessi hanno del loro successo a scuola; più lungo è il tempo di permanenza in Italia minore è il livello di incertezza comporta l’incontro con momenti di incertezza: nelle scelte, 23Portes A. e R.G. Rumbaut The second generation in early adulthood. Special issue of Ethnic and Racial Studies,2005)
nel riuscire a fare ciò che si desidera, nell’essere capaci di compiere azioni che anche gli altri compiono.
Un ruolo determinante è dato anche dalle caratteristiche degli atteggiamenti degli italiani verso gli stranieri influenzata dallo stile educativo degli adulti e dal grado di insofferenza vissuto verso gli stranieri.