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Secondo quanto appena riportato sembra emergere quindi che i due stimoli che agiscono nella disfunzione placentare siano:

 la scarsa invasione vascolare e conseguente ridotta perfusione

 lo stress ossidativo e il conseguente quadro infiammatorio con il rilascio nella circolazione materna di citochine e fattori proinfiammatori che contribuiscono alle manifestazioni cliniche sistemiche della patologia tramite la disfunzione endoteliale generalizzata. Si parla cioè della teoria a due stadi della patogenesi preeclamptica.

Tuttavia, studi recenti e innovativi hanno evidenziato che il ruolo patogenetico principale è svolto da un disequilibrio tra fattori proangiogenetici e antiangiogenetici e che il quadro infiammatorio sia più una conseguenza dell'alterato sviluppo del microcircolo placentare, seppur esso abbia un ruolo importante nella fisiopatologia della malattia77 78. Tali fattori costituiscono pertanto la nuova base fisiopatologica della malattia, e su di essi si stanno concentrando tutte le ricerche di varie Società Scientifiche.

Inoltre ha preso sempre più vigore la teoria patogenetica secondo la quale l'origine di questa patologia sia collocata nelle fasi inziali della placentazione, quando ancora il flusso utero-placentare non si è ancora del tutto instaurato.79: ciò è supportato dal fatto che le concentrazioni sieriche dei fattori di crescita vascolari sono già apprezzabili in epoche gestazionali molto precoci, e dal fatto che nella Preeclampsia abbiamo un coinvolgimento sistemico dell'intero organismo della madre (cosa che non avviene nella Restrizione di Crescita Intrauterina isolata).

L'insulto ipossico, il malfunzionamento trofoblastico, la mancata coordinazione con il sistema immunitario e lo stato proinfiammatorio contribuiscono tutti a promuovere una ridotta espressione di fattori proangiogenici, primi fra tutti VEGF e PLGF e un'aumentata produzione di Endoglina e sFlt-1 che sono dotate di attività antiangiogenetica determinando la creazione di una rete vascolare placentare inadeguata.

Le prime anormalità ad essere state descritte riguardano sFlt-1, PlGF e VEGF. 80 -81

VEGF (Vascular-Endothelial Growth Factor) stabilizza le cellule endoteliali ed è particolarmente importante nel mantenimento della corretta funzionalità endoteliale in reni, fegato e cervello. L'azione di tale fattore di crescita è mediata da due tipi di recettori: Flk e Flt1.

 Il dominio extracellulare di Flt1, che contiene il sito di legame per il ligando VEGF, prende il nome di s-Flt1.

Tale fattore viene secreto dal sinciziotrofoblasto nello spazio extracellulare e immesso nella circolazione materna (nella quale risulta quindi dosabile) 82. La sua azione consiste nell'antagonizzare il legame di VEGF e PlGF al recettore di membrana. 83

Fig 11- Nella Preeclampsia sFlt-1 impedisce il legame di VEGF al proprio recettore di membrana

L'espressione placentare di s-Flt1 (s = soluble) è aumentata nella Preeclampsia 84, e diversi studi hanno confermato che l'incremento nella circolazione materna precede l'insorgenza della patologia

85- 86- 87

, ed è correlato con la sua severità 88 -89 .

Studi in vitro hanno dimostrato che gli effetti principali di s-Flt1 sono la vasocostrizione e la disfunzione endoteliale. La somministrazione di s-Flt1 esogeno, veicolato tramite vettori di

adenovirus in ratti gravidi, ha determinato l'insorgenza di un quadro del tutto simile a quello della Preeclampsia, con ipertensione, proteinuria e danno glomerulare90.

Ricordiamo che VEGF è altamente espresso dai podociti glomerulari, e che il recettore di VEGF è espresso a livello delle cellule endoteliali glomerulari. Negli esseri umani, alcuni trials sull'uso di fattori anti-angiogenetici nel cancro, in particolare con anticorpi anti VEGF, hanno portato a proteinuria, ipertensione e perdita delle fenestrature nell'endotelio glomerulare 91-92.

Inoltre è stato dimostrato come VEGF sia necessario per la riparazione dei capillari glomerulari 93-94 e che potrebbe essere particolarmente importante per il mantenimento dell'endotelio fenestrato 95, il quale è presente (oltre che nei capillari glomerulari) anche nel plesso coroide e nei sinusoidi epatici, organi particolarmente colpiti nella Preeclampsia.

Pertanto, la carenza di VEGF (sia essa indotta da anticorpi, delezione genica, o eccesso di s-Flt1) è probabilmente responsabile della proteinuria e del danno glomerulare.

L'altro fattore implicato nella genesi della Preeclampsia, il PlGF, sembra stimolare l'angiogenesi in condizioni di ischemia, infiammazione, guarigione delle ferite 96.

Con la sua omologia strutturale con VEGF, è un importante fattore di crescita angiogenetico, e si pensa che abbia la funzione di amplificare il segnale di VEGF, spiazzandolo dal suo recettore Flt-1 e permettendogli di legarsi con il più potente recettore Flk-1 (o KDR).

La forma solubile di Flk (VEGFR2), è stato dimostrato esser prodotto dalla placenta 97, ma il suo ruolo nella patogenesi della Preeclampsia resta sconosciuto.

L' sEng è la forma solubile dell'endoglina, che lega e antagonizza il TGF-β, e risulta up- regolata nella Preeclampsia, in maniera simile a sFlt-1. Questo comporta la non produzione di NO da parte delle cellule endoteliali, importante fattore per la vasodilatazione. L'endoglina è espressa ad alti livelli nel sinciziotrofoblasto e nel citotrofoblasto, nella sua fase di invasione uterina.

Studi sui ratti hanno dimostrato come sEng amplifichi il danno vascolare mediato da sFlt1, inducendo una grave sindrome simil-preeclampsia, con le caratteristiche della HELLP, con importante vasospasmo locale, ipertensione, aumento della permeabilità vascolare ed edema cerebrale.98

Importante notare che, come sFlt1, anche i livelli di sEng aumentano settimane prima dell'insorgenza della Preeclampsia 99 (il ruolo preciso di sEng, e le sue relazioni con sFlt1 nella Preeclampsia sono al momento oggetto di studi).

Fig 12: Nella Preeclampsia le concentrazioni di sFlt-1 aumentano mentre decrescono quelle di PlGF libero. Questo sbilanciamento di fattori pro e anti-angiogenetici si ritiene responsabile dell'aumento dell'infiammazione

vascolare materna, alla base della disfunzione endoteliale e dei segni clinici della Preeclampsia stessa.

L'alterata produzione di questi fattori angiogenetici, con un eccessivo rilascio in circolo di sFlt-1 e una riduzione del VEGF e di PlGF, ha ripercussioni anche a livello sistemico contribuendo alla disfunzione endoteliale generalizzata insieme al rilascio da parte della placenta che ha subito l'insulto ischemico di fattori proinfiammatori e ROS. E' verosimile quindi ipotizzare che alla base di questa malattia vi sia una alterazione del trofoblasto che non solo determina la formazione di un circolo placentare ad alta resistenza ma che contribuisce anche a determinare quel quadro di necrosi e infiammazione tissutale la cui entità e precocità non possono essere ricondotti al solo insulto ipossico-ischemico, dato che ricordiamo come fino alla 10-12^ settimana non sia ancora presente un flusso utero-placentare per l'occlusione da parte del citotrofoblasto extravilloso vascolare dei lumi delle arterie spiraliformi100.

Terapia

Il management della Preeclampsia dipende dal livello di gravità: se è lieve ( pressione inferiore a 160/110 mm Hg in assenza di altri segni o sintomi che definiscono grave la malattia ) la paziente può essere seguita in regime di day-hospital senza ricorrere all'uso di terapia farmacologica poiché essa non ha dimostrato in queste pazienti un miglioramento né dell'outcome materno né di quello fetale; in caso di Preeclampsia grave ( pressione superiore a 160/110 mmHg, oliguria, segni o

sintomi neurologici, epigastralgia, edema polmonare, aumento degli enzimi epatici, piastrinemia sotto 100,000 mm3, restrizione della crescita intrauterina ) richiede il ricovero ospedaliero per permettere di eseguire un attento monitoraggio del benessere materno-fetale. Il trattamento antipertensivo deve essere instaurato a tutela della salute materna, mentre sull'unità feto-placentare l'effetto benefico è solo indiretto ed è mediato dal miglioramento delle condizioni cardiocircolatorie materne.

Il farmaco di prima scelta è la Nifedipina a lento rilascio, un calcio-antagonista che, oltre all'azione antiipertensiva possiede un'evidente azione tocolitica che, riducendo il tono uterino, avrebbe anche un'azione favorevole sulla circolazione utero-placentare.

Il Labetalolo risulta di seconda scelta per la maggior incidenza di complicanze neonatali quali bradicardia, ipotensione e ipoglicemia a cui si associa.

In caso di aggravamento del quadro è indicata la profilassi anticonvulsivante con MgSO4 (solfato di magnesio) per via parenterale101. Esso trova inoltre indicazione nella cura dell'eclampsia convulsiva (Facchinetti et al).

Tra le proprietà farmacologiche dei sali di magnesio sono da ricordare la depressione della contrattilità del miometrio e della muscolatura liscia dei vasi, lo stimolo al rilascio di prostaciclina dagli endoteli, l'inibizione dell'aggregazione pastrinica.

L'epoca gestazionale è uno dei fattori principali per la decisione del timing del parto; tuttavia Sibai

e Frangieh (1996) suggeriscono l'espletamento del parto entro 72 ore in caso in cui si configuri una

o più delle seguenti condizioni: sviluppo di eclampsia, ipertensione grave non controllabile, edema polmonare, grave trombocitopenia, enzimi epatici elevati con dolore epigastrico, persistente e grave cefalea o alterazioni della vista, insufficienza renale, HELLP (da lato materno), e alterazioni cardiotocografiche gravi, restrizione della crescita, inversione del flusso diastolico nell'arteria ombelicale (dal lato fetale).

Ricordiamo infatti che l'espletamento del parto è l'unica cura risolutiva della PE. Esso non necessariamente deve avvenire tramite taglio cesareo; può essere espletato anche per via vaginale e non esistono, tra l'altro, controindicazioni all'uso di prostaglandine per l'induzione. In caso di epoca gestazionale inferiore alle 34 settimane si impone terapia per profilassi della RDS neonatale ( Linee Guida AIPE 2013 ). 102.

Prevenzione

La prevenzione della Preeclampsia rimane un obiettivo fondamentale della medicina materno-fetale che permetterebbe di ridurre in maniera drastica la mortalità e la morbilità materna, fetale e neonatale. Il primo grande problema è quello di identificare un test sensibile e specifico per individuare la popolazione a rischio di sviluppare Preeclampsia in un epoca gestazionale precoce che permetta interventi di profilassi e monitoraggio più serrato della gravidanza. Fino a non molti anni fa nessun test aveva ancora raggiunto l'obiettivo in modo soddisfacente, e la diagnosi di PE si faceva soltanto quando comparivano i classici segni come ipertensione e proteinuria, a partire dalla 20^ settimana. Tuttavia, l'utilizzo di queste misure per predire la PE prima della sua insorgenza clinica risulta inaffidabile, anche perché vari studi hanno dimostrato che la PE, l'eclampsia e persino la sindrome HELLP possono svilupparsi senza ipertensione o proteinuria evidenti (a causa della natura sindromica della PE e quindi della sua variabilità di presentazione clinica). Di conseguenza, donne con segni e sintomi ascrivibili a PE sono spesso ospedalizzate inutilmente per un monitoraggio intensivo fino a che la PE non è esclusa; al contrario, donne che richiederebbero l'ospedalizzazione potrebbero essere trascurate in quanto, basandosi sui classici criteri diagnostici, la PE potrebbe essere esclusa.

La possibilità, quindi, di identificare precocemente le donne che svilupperanno PE, sarebbe importante per diversi motivi:

 permetterebbe di ridistribuire meglio le risorse, concentrando su queste pazienti una sorveglianza più intensiva, riducendo i controlli di quelle a basso rischio;

 consentirebbe un'eventuale strategia preventiva destinata ad avere maggior successo poiché iniziata nel primo trimestre, quando ancora vi è la possibilità di modificare un anomalo processo di placentazione;

Sicuramente le caratteristiche materne quali età, peso, etnia e anamnesi ostetrica costituiscono una prima importante modalità di stratificazione della popolazione in classi di rischio a cui si devono aggiungere metodiche di analisi della placentazione e più in generale della gestazione103. Molte raccomandazioni da parte di autorevoli società scientifiche (NICE) si basano prevalentemente proprio sui fattori di rischio anamnestici, ma una simile strategia definisce fino al 60% di donne come “a rischio” per PE, ma identifica veramente solo il 30% di quelle che davvero svilupperanno la patologia 104.

La domanda che negli anni si è fatta strada, dunque, è la seguente: Esiste un test di screening per identificare precocemente le pazienti a rischio per PE?

Dalla letteratura è emerso come negli ultimi anni siano state impiegate molte risorse al fine di individuare un test di screening di tipo biofisico e biochimico che fosse in grado di identificare le donne a maggior rischio di PE, ma anche come nessuno di questi abbia dimostrato un valore predittivo significativo, e come pochi siano usati correntemente nella pratica clinica105-106

Tra tutti i markers studiati nessuno si è dimostrato, da solo, sufficientemente capace di predire la PE in modo tale da entrare nella pratica clinica, ed è ormai chiaro che la strategia del futuro, vista anche la complessità della patologia, sarà quella di individuare markers biochimici e biofisici diversi, che in associazione possano identificare la popolazione veramente a rischio di sviluppare questa patologia.

Abbiamo già menzionato il Placental Growth Factor (PlGF) e il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), potenti fattori angiogenetici con un ruolo cruciale nella normale vasculogenesi della gravidanza e nella normale funzionalità endoteliale. Come hanno dimostrato diversi studi, queste molecole risultano significativamente ridotte nel plasma di donne che svilupperanno PE, mentre invece risultano aumentate molecole ad azione antiangiogenetica come sFlt-1 e sEng, la cui azione è stata già precedentemente descritta.

Ci sono anche altri peptidi di origine placentare (prodotti dal sinciziotrofoblasto), come la PAPP-A (pregnancy associated plasma protein A) e la PP-13 (plasma protein 13)che risultano ridotti nel plasma materno sin dal primo trimestre di gravidanza di donne che svilupperanno la PE, ma nessuno di questi marker, preso singolarmente, si è dimostrato sufficientemente predittivo.107-108

Una buona sensibilità e specificità viene raggiunta quando si valuta anche la velocimetria doppler delle arterie uterine. Tale metodica non invasiva si è dimostrata accurata per valutare il circolo utero-placentare, mostrando una correlazione positiva tra aumentate resistenze nelle arterie uterine e sviluppo di PE: un aumento di tali resistenze al flusso nel secondo trimestre di gravidanza aumenta di circa 6 volte il rischio di PE, soprattutto nella popolazione ad alto rischio.109

Il gold standard per lo screening Doppler-velocimetrico delle arterie uterine si pone a 24 settimane di gestazione, quando si considera concluso il processo di placentazione. Tuttavia, un'eventuale profilassi nelle pazienti che risultassero a rischio a questa epoca di gravidanza, sarebbe troppo tardiva e quindi non sufficientemente efficace.

Questo è il motivo per cui più recentemente l'interesse per la velocimetria Doppler delle arterie uterine come metodica di ausilio nella identificazione di donne a rischio di PE si è spostato nel primo trimestre di gestazione, e più studi hanno ormai dimostrato come essa abbia una buona sensibilità nell'identificare la PE ad esordio precoce soprattutto se associata ad alcuni markers biochimici ( anche se tale sensibilità è decisamente inferiore rispetto ad uno studio condotto ala 24° settimana). Seppur infatti la placentazione non abbia ancora raggiunto il termine del suo sviluppo, notare fin da subito un aumentata resistenza vascolare nel circolo uterino può essere indicativo di una ridotta compliance e quindi di una ridotta capacità di instaurare un circolo utero-placentare a bassa resistenza110 .

Fig 13- Doppler delle arterie uterine nel primo (a sinistra) e nel secondo (a destra) trimestre di gravidanza.

Nella precedente figura si mostra la differenza sostanziale che si riscontra in una velocimetria Doppler del primo e del secondo trimestre: nel primo trimestre il flusso ha andamento molto più simile a quello che si osserva in una donna non in gravidanza, con una brusca riduzione della velocità in fase diastolica dovuta al fatto che le arterie spirali uterine non sono state ancora invase dal trofoblasto e non presentano grosse modificazioni strutturali e funzionali; nel secondo trimestre invece l'invasione trofoblastica crea questo circolo ad alta portata che mantiene la velocità del flusso sia in fase sistolica che diastolica.

In caso di incompleta invasione citotrofoblastica si apprezza, invece, il cosiddetto notch, una incisura protodiastolica indicativa della scarsa invasione e/o di una insufficiente diffusione superficiale del processo di placentazione. Indica quindi una ridotta compliance del circolo utero- placentare ed è espressione di una temporanea spinta retrograda del flusso ematico esercitata da un ritorno elastico del vaso al termine della massima dilatazione subita in fase sistolica.

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