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Nuovi orizzonti nella diagnosi precoce e nel follow up della preeclampsia. Il ruolo dei fattori angiogenetici nella letteratura e nella nostra esperienza.

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Ai miei genitori

che mi hanno dato la Vita Ad Andrea

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Indice

Riassunto ... 1

Introduzione ... 5

La diagnosi prenatale e la selezione delle gravidanze a rischio specifico ... 6

La Placenta ... 9

Morfologia e Funzioni ... 9

Il PlGF- Fattore di Crescita Placentare... 13

La Preeclampsia ... 16

Epidemiologia ... 16

La Clinica ... 22

Le Complicanze materne e fetali ... 25

La Fisiopatologia ... 26

Terapia ... 36

Prevenzione ... 38

Fattori angiogenetici nella Letteratura ... 42

Lo studio PROGNOSIS ... 42 Lo studio PreOS ... 48

Il nostro studio ... 52

Obiettivi ... 52 Materiali e metodi ... 52 Risultati ... 54 Discussione ... 70

Conclusioni ... 75

Bibliografia. ... 77

Ringraziamenti ... 89

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Riassunto

La diagnosi prenatale costituisce oggi una disciplina fondamentale della medicina materno-fetale.

L'ampliamento delle conoscenze in ambito ostetrico ha permesso di comprendere come le fasi iniziali della gestazione siano basilari per il corretto evolversi della gravidanza e come alterazioni di questi primi processi rivestano un ruolo eziopatogenetico cruciale in molte patologie ostetriche, soprattutto in quelle riconducibili a una disfunzione placentare.

La placenta è l'organo che media l'interazione materno-fetale con funzioni che vanno ben oltre quella della semplice creazione di una barriera emocoriale: è infatti la placenta che con la sua struttura e le sue numerose funzioni endocrine e secretive contribuisce alla definizione dell'ambiente intrauterino. La rivoluzionaria ipotesi di Barker ha fortemente modificato la visione della vita fetale attribuendo a quest'ultima una importanza fondamentale nello sviluppo del benessere e della salute del nascituro, portando a comprendere come sia l'ambiente intrauterino a modificare l'espressione genica, lo sviluppo neurosomatico del feto, le sue capacità adattative alla vita extrauterina e la suscettibilità patologica dell'individuo per tutta la sua vita.

Lo studio della placenta e delle sue alterazioni è quindi un argomento di grande interesse sia per la medicina materno-fetale che per la medicina e la salute globale in generale.

Il fenomeno della placentazione è un processo estremamente complesso in cui intervengono diversi fattori molecolari tra i quali grande attenzione ha suscitato negli ultimi anni il placental growth

factor, PlGF: questa è una glicoproteina omodimerica analoga del VEGF, prodotta a livello

placentare sia dalle cellule endoteliali vascolari fetali e materne, sia dalle cellule trofoblastiche; media la vasculogenesi promuovendo la differenziazione mesenchimale, la vasodilatazione e l'invasione trofoblastica delle arterie spirali uterine, tutti eventi che risultano alterati nella patogenesi di patologie quali la Restrizione di Crescita Intrauterina (IUGR) e la Preeclampsia; su quest’ultima si è incentrato questo lavoro.

E' noto e ben chiarito dalla Letteratura come questa patologia sia in larga parte riconducibile all'alterata perfusione utero-placentare (dovuta ad una incompleta invasione da parte del trofoblasto delle arterie uterine) la quale non solo può compromettere l'accrescimento e lo sviluppo fetale, ma altera anche l'omeostasi dell'organismo materno in gravidanza: a livello placentare si trova una spiccata presenza di materiale necrotico, dal quale originano emboli di trofoblasto (Syncytiotrophoblast microparticles- STMB) con il conseguente rilascio di sostanze proinfiammatorie. Quest’ultime mediano un danno endoteliale diffuso, che si trova alla base di

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tutte le manifestazioni cliniche della malattia e dei numerosi danni d’organo a cui la gestante può andare incontro.

Il danno endoteliale e le alterazioni sul microcircolo materno si iniziano ad instaurare precocemente, settimane prima che la patologia possa essere clinicamente rilevabile.

Il ruolo predominante quindi della placentazione e della sua vascolarizzazione nella patologia preeclamptica ha portato molti studi a focalizzarsi sul possibile valore predittivo che i biomarcatori di questi processi possono assumere nella pratica clinica. In particolare il già citato PlGF, il suo

antagonista sFlt-1, e il calcolo del loro rapporto sono risultati ottimi markers per l’individuazione delle gravidanze a rischio di evolvere in Preeclampsia, già settimane prima della sua effettiva comparsa (Studio Prognosis). Ad oggi infatti la diagnosi di Preeclamspia viene fatta soltanto quando compaiono valori di proteinuria > 300 mg/ 24 h associata a rialzo dei valori pressori (> 140/90).

L'obiettivo di questa tesi e stato quello di analizzare la malattia dal versante angiogenetico, tramite il dosaggio dei markers di rischio, con lo scopo di verificare la loro reale utilità come supporto alla diagnosi precoce di Preeclamspia.

Abbiamo reclutato 93 pazienti che si sono presentate presso l’ambulatorio della Gravidanza Fisiologica e a Rischio dell’ UO di Ginecologia e Ostetricia 2, e le abbiamo suddivise nel gruppo dei “controlli” (gravidanza priva di fattori di rischio per PE), e gravidanze “a rischio”, laddove avessimo individuato fattori in grado di predisporla (diabete, obesità, ipertensione, familiarità/precedente preeclampsia, malattie autoimmuni, poliabortività, gravidanza insorta mediante tecnica FIVET).

Durante il periodo di osservazione 10 pazienti del gruppo “a rischio” hanno sviluppato la malattia. Al termine del periodo di studio abbiamo confrontato i valori di PlGF, sFlt-1, e del loro rapporto tra i vari gruppi considerati, e abbiamo cercato di individuare un cut-off del valore di “ratio” che potesse essere utile nel discriminare le pazienti meritevoli di maggiori attenzioni mediche; è stato considerato il valore del rapporto tra i due fattori in quanto dalla Letteratura è emerso come questo sia l’indice migliore da considerare per la diagnosi di PE, in quanto dotato di migliore sensibilità e specificità diagnostiche. In particolare il recente studio Prognosis pubblicato sul NEJM ha individuato un cut-off di 38 per il valore di ratio, che permette di prevedere (per valori superiori ad esso) la comparsa di Preeclampsia entro 4 settimane successive al test.

Dai grafici ottenuti e dall’analisi statistica effettuata abbiamo verificato la significativa differenza tra i valori del PlGF tra il gruppo dei “controlli”, delle pazienti “a rischio” e di quelle “malate”, che è risultato significativamente minore negli ultimi due gruppi. Lo stesso abbiamo potuto dire per

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quanto riguarda il valore di “ratio”, significativamente maggiore nel gruppo delle pazienti “a rischio” e in quelle “malate”. La significatività non è stata invece raggiunta per il valore di sFlt-1. L’analisi statistica è proseguita con la creazione della Curva ROC per individuare un cut-off clinicamente utile nella discriminazione tra controlli e gravidanze a rischio e tra controlli e pazienti che hanno sviluppato la malattia.

Nel primo caso il valore di ratio che ha avuto la migliore sensibilità e specificità è stato 4.65 (rispettivamente 69% e 70%); questo ci ha permesso di calcolare il Potere Predittivo Positivo del nostro test, che è risultato essere 71,4%. Tale valore esprime la Probabilità che, essendo il test positivo (ratio > 4,65) il soggetto sia a rischio di malattia. Si tratta di un buon valore predittivo, che non può essere del 100% dato che vi sono stati anche 12 controlli risultati positivi al test.

 Nel secondo caso (inserendo anche il gruppo dei “malati”) il valore di ratio con maggiore sensibilità e specificità (rispettivamente 85.7% e 89.2%) è stato 40.72 (molto vicino a quello di 38, ottenuto dallo studio Prognosis). Avendo soltanto 10 soggetti nel gruppo dei “malati” il Potere Predittivo Positivo del nostro test è risultato del 52.6 %; ciononostante è risultato decisamente superiore a quello ottenuto dallo Studio Prognosis (38%). Probabilmente l’ampliamento della casistica patologica potrà aiutarci nell’interpretazione dei risultati. Un dato molto importante che però abbiamo ricavato è il fatto che se un soggetto ha un valore di ratio > 40,72 siamo certi (P=1) che o è malato o è a rischio di malattia; infatti nessuno nel gruppo dei controlli ha riportato un valore di ratio superiore a questo cut-off.Inoltre non ci sono state pazienti MALATE che abbiano avuto un valore di ratio <40.72, permettendoci di affermare che il valore predittivo negativo del nostro test, per il campione da noi studiato, è del 100%

Abbiamo costruito inoltre due grafici a dispersione considerando, per semplicità e per maggiore chiarezza grafica, 3 pazienti che hanno sviluppato Preeclampsia e 3 pazienti sane, per mostrare il diverso andamento di ratio e di PlGF nelle varie misurazioni effettuate.

E’ apparso graficamente evidente come le pazienti che hanno sviluppato la malattia abbiano avuto un andamento del ratio decisamente crescente nelle varie misurazioni, fatte a distanza di 4 settimane l'una dall'altra; al contrario le pazienti sane hanno mantenuto un trend tendenzialmente lineare del valore. In più, si è notato come le pazienti “malate” abbiano avuto tutte un valore di ratio di circa 38/40 e alla misurazione successiva si sia avuta una brusca escursione verso l’alto dello stesso, con

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sviluppo di Preeclampsia conclamata con alti valori pressori e alti livelli di proteinuria sia nella singola misurazione che in quella delle 24h.

Per quanto riguarda invece il PlGF abbiamo notato come le donne sane abbiano mantenuto nelle varie misurazioni valori alti del fattore, e sebbene questo abbia subìto un fisiologico decremento nelle fasi terminali della gravidanza, non sia mai sceso sotto il valore di 100 pg/ml. Le tre pazienti “malate” invece, pur partendo da valori relativamente buoni di PlGF nelle prime misurazioni, hanno subìto progressivamente un declino importante del fattore, fino a valori molto bassi (55, 12, 24 pg/ml).

Abbiamo pertanto concluso che l’associazione dei markers di rischio angiogenetico ai fattori di rischio materni, risulta un valido strumento di supporto per individuare precocemente e seguire nel tempo le gravidanze a rischio di Preeclampsia, per concentrare su di esse le risorse mediche necessarie e risparmiarle per quelle gravidanze che invece non corrono il rischio di svilupparla. Tutto ciò si tradurrebbe in una riduzione sensibile dei costi, delle ospedalizzazioni superflue, e soprattutto in una diminuzione del numero e della gravità delle complicanze materne e fetali sia nell'immediato che a lungo termine, grazie all'individuazione precoce della malattia che inizialmente risulta essere pauci/asintomatica.

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Introduzione

La gravidanza costituisce un momento di intensi cambiamenti morfo-funzionali che coinvolgono tanto l'organismo embrio-fetale in via di sviluppo quanto l'organismo materno il quale, fin dai primi momenti della gestazione, va incontro a complesse modificazioni che interessano sia gli organi preposti alla funzione riproduttiva sia gli altri organi, con un susseguirsi di adattamenti sistemici alla nuova condizione sopraggiunta volti ad accogliere e proteggere la nuova vita e a garantirne il coretto sviluppo.

Si rileva una espansione del volume sanguigno e una modificazione della sua composizione verso uno stato di relativa ipercoagulabilità, un aumento dell'output e del lavoro cardiaco e dei volumi respiratori; l'aumento del flusso plasmatico renale determina un precoce aumento del filtrato glomerulare mentre la motilità intestinale si riduce.

Fortemente coinvolto è il sistema endocrino influenzato dagli alti livelli estrogenici tipici della gravidanza: si evidenzia un' aumentata secrezione ipofisaria di prolattina, un' iperattivazione tiroidea fondamentale per le prime fasi dello sviluppo neuro-somatico dell'embrione e del feto e modificazioni a livello del surrene il quale risente dell'attività steroidogenica dell'unità feto-placentare¹.

A livello uterino si assiste a uno dei fenomeni più complessi e affascinanti della gravidanza, la formazione della placenta: essa è un organo che si crea ex novo dall'interazione del sinciziotrofoblasto embrionale con la decidua uterina materna, costituendo il cardine della condivisione tra l'organismo della donna e quello embrio-fetale. Il rapporto che si viene a creare è così stretto che madre e feto possono essere visti quasi come un'unica entità: l'organismo

materno-fetale. Il ruolo della placenta non è infatti semplicemente quello di sostenere la circolazione

sanguigna materno-fetale ma tramite la sua azione endocrino-metabolica essa risulta determinante nella maggior parte degli eventi della gestazione influenzando sia l'omeostasi materna che l'accrescimento e lo sviluppo del futuro neonato. Studiare la donna in gravidanza significa quindi approcciarsi ad un organismo in continuo divenire la cui salute è conditio sine qua non per la salute del nascituro. Comprenderne i cambiamenti, saper prevenire e correggere eventuali errori permette di garantire un fisiologico evolversi della gestazione tutelando tanto la salute della madre quanto quella del feto e della sua capacità futura di adattarsi alla vita extrauterina.

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La medicina materno-fetale persegue proprio questo obiettivo proponendosi come una disciplina in continua espansione di cui oggi riscuote sempre maggiore interesse un particolare ramo, di origini relativamente recenti, la diagnosi prenatale.

La diagnosi prenatale e la selezione delle gravidanze a rischio

specifico

La diagnosi prenatale nasce con l'intento di evidenziare patologie a carico del feto con l'obiettivo primario di individuare le gravidanze portatrici di feti affetti da cromosomopatie, prima fra tutte la trisomia 21, tanto che si è parlato anche di diagnosi genetica prenatale². La messa a punto alla fine degli anni sessanta delle tecniche per la coltura delle cellule fetali di cui è possibile analizzarne il cariotipo, ha permesso la diffusione nella pratica clinica di tecniche di prelievo di queste cellule: l'amniocentesi e la villocentesi. Queste sono indagini invasive che ancora oggi rappresentano il gold standard per la diagnosi fetale di cromosomopatia: la prima eseguita tra la 16^ e la 18^ settimana di gestazione con prelievo di liquido amniotico dove si trovano sospese le cellule fetali, la seconda tra la 13^ e la 14^ settimana di gestazione con prelievo di villi coriali dalla placenta. Sono entrambe gravate da un rischio di aborto pari a 1:100, rischio non trascurabile soprattutto in quelle donne la cui età e le cui caratteristiche cliniche determinano un rischio a priori di incorrere in una gravidanza di un feto affetto da cromosomopatia di molto inferiore³.

Con il diffondersi della tecnica ecografica negli anni Settanta la diagnosi prenatale amplia i suoi confini portandosi ad analizzare anche lo sviluppo somatico del feto e facendo di questa tecnica l'indagine principe della medicina materno-fetale. L'ecografia infatti si avvale di ultrasuoni che sono risultati essere innocui per il feto, per la madre e per l'operatore rendendoli un mezzo affidabile e efficace, anche grazie ai continui avanzamenti tecnologici che permettono di ottenere strumenti sempre più precisi e in grado di fornire immagini sempre più dettagliate. Alla capacità di individuare feti affetti da anomalia cromosomica si aggiunge quindi la possibilità di individuare diverse malformazioni che possono incorrere durante l'organogenesi e lo sviluppo fetale. Sono state poi associate alle indagini di imaging quelle di laboratorio, come il dosaggio della β-HCG e della PAPP-A, i cui livelli possono essere correlati ad un aumentato rischio di cromosomopatia⁴ .

Il crescente interesse verso questo campo ha incoraggiato gli studi in ambito ostetrico: da ormai più di 30 anni è noto che i tassi di mortalità materna, fetale e neonatale possono essere ridotti significativamente se le madri in gravidanza ed i feti ad alto rischio vengono identificati precocemente e vengono di conseguenza applicate le tecniche ostetriche più adeguate.

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Si viene quindi a definire la necessità di un approccio più completo alla gravidanza, con esami di diagnosi prenatale che indaghino sia la patologia sul versante fetale che su quello materno e che rendano quanto più possibile prevedibili gli eventi avversi, al fine di perseguire una riduzione della mortalità e morbilità. Nascono così negli ultimi anni i test di screening per condizioni patologiche quali la preeclampsia, il diabete gestazionale, la restrizione della crescita intrautero e il parto pretermine che ad oggi si avvalgono di nuove tecniche che uniscono all'analisi ecografica dell'anatomia fetale lo studio Doppler-velocimetrico delle arterie uterine, le caratteristiche materne e i dosaggi di laboratorio.

La sensibilità e la specificità di questi test non ha ancora raggiunto i livelli sperati per questo gli studi su marcatori di interesse ostetrico è sempre molto vivo nel tentativo di raggiungere gli obiettivi prefissati. L'importanza di una gravidanza fisiologica per la salute del nascituro viene sottolineata anche dalla recente “Ipotesi di Barker” che mette in evidenza come il periodo fetale sia estremamente influente su quelle che saranno le caratteristiche future del soggetto non solo nell'epoca neonatale ma nel corso di tutta la sua vita: Barker è stato il primo a dimostrare la correlazione tra eventi cardiovascolari nell'età adulta e basso peso alla nascita per l'epoca gestazionale, condizione la cui origine in molti casi è riconducibile a una alterata funzionalità placentare e/o allo stile di vita materno, provando scientificamente la relazione tra la vita intrauterina e quella extrauterina⁵.

L'evoluzione della diagnosi prenatale da diagnosi genetica a selezione delle gravidanze a rischio specifico ha introdotto una nuova problematica: la tempistica. Fino a pochi anni fa la programmazione delle visite ostetriche seguiva quelle che erano le indicazioni risalenti agli anni '30 del 1900 quando nel Regno Unito venne stabilito il calendario delle visite delle donne in gravidanza che prevedeva un controllo a 16, 24, 28, 30, 32, 34 e 36 settimane. Questa modalità definiva il II e il III trimestre di gravidanza come i momenti cruciali della pratica ostetrica, limitando però il tempo di azione per interventi di prevenzione. Le nuove esigenze della diagnosi prenatale e le ampliate conoscenze hanno spostato l'attenzione su tempi più precoci della gestazione facendo del I trimestre il nuovo momento di diagnosi e screening delle gravidanze, con quel fenomeno che è stato definito “ Inversione della Piramide Assistenziale ” ⁶. Riconoscere le gravidanze a rischio specifico fin dalla 11^-13^ settimana di gestazione permette infatti di differenziare le donne a basso rischio e quelle ad alto rischio di patologia. Ciò permette di individuare, per queste due categorie, i percorsi di follow-up da eseguire durante tutta la gravidanza: le donne classificate come a basso rischio possono effettuare un numero ridotto di visite mediche, con un secondo controllo tra la 19^ e la 21^ settimana di gestazione per analizzare l'accrescimento fetale e il decorso della gravidanza, un

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controllo nel terzo trimestre al fine di valutare il benessere materno-fetale e stabilire modalità e timing del parto in base alle esigenze specifiche, e infine un ulteriore controllo per quelle pazienti la cui gravidanza si prolunga oltre le 41 settimane; le donne definite ad alto rischio vengono invece indirizzate in cliniche specializzate in un percorso di controlli la cui tempistica e modalità saranno definite in base alla specificità della loro condizione, permettendo così di disegnare percorsi sempre più individualizzati e patologia-specifici.

L'obiettivo di questa tesi è quello di analizzare una delle principali patologie ostetriche da disfunzione placentare, la Preeclampsia, focalizzandoci sul ruolo di Fattori angiogenetici e

antiangiogenetici nella fisiopatologia, e analizzando l'utilità della loro introduzione nella pratica

clinica al fine di ottenere, con costi di pochissimo superiori a quelli attuali, un test in grado di selezionare con alta specificità e sensibilità la popolazione di donne gravide a rischio specifico.

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La Placenta

Morfologia e Funzioni

La placenta è un organo estremamente complesso tanto nella sua struttura quanto nella sua funzione; si presenta a termine della gravidanza con una forma discoide di diametro massimo di circa 20 cm, con spessore non uniforme: è più alta al centro dove raggiunge i 2-4 cm per decrescere in periferia fino a 0,5 cm. Il suo peso, superiore a quello del feto fino alla 16-20^ settimana, raggiunge in media i 450-550 g ⁷.

La placenta si crea dall'interfaccia della decidua basale uterina ( originata dalle modificazioni della mucosa uterina durante l'impianto della blastocisti per il persistere della secrezione estrogenica e progesteronica da parte del corpo luteo ) con il trofoblasto embrionale. Nella sua struttura si evidenzia una faccia fetale – divisa in disco placentare o chorion frondosum, che è la porzione di placenta contenente l'arborizzazione villare e l'organizzazione in strutture cotiledonarie, e in chorion laeve anche definito porzione delle membrane amniocoriali libere – e una faccia materna, dove la decidua è distinta in basale compatta, costituito prevalentemente da elementi stromali e scarsissima componente ghiandolare, e basale spongiosa confinante con il miometrio e in cui sono presenti lumi ghiandolari ridotti a scarse e sottili fessure orizzontali (a questo livello si verificherà il distacco della placenta durante il secondamento)

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Dalla faccia fetale a quella materna le strutture che si susseguono sono rappresentante da:

lamina coriale, costituita da uno strato coriale propriamente detto e da uno strato fibrinoide superficiale; al di sotto di questa lamina scorrono in vasi fetali;

villi coriali, che si ergono dalla lamina coriale verso la porzione materna della placenta; sono costituiti da un asse connettivale centrale attraversato da un arteriola e da una venula in connessione con la rete capillare che si trova al di sotto dell'epitelio villare; i villi sono ricoperti da uno strato di sinciziotrofoblasto e uno di citotrofobalsto interno che tende a scomparire dopo la 20^ settimana; si suddividono in ramificazioni successive che permettono di distinguerli in villi primari secondari e terziari; inoltre sono distinti in villi di ancoraggio quando arrivano a inserirsi nella decidua basale, mentre vengono detti liberi o fluttuanti quando si trovano sospesi nel sangue materno all'interno dello spazio intervilloso. Questi nel corso della gravidanza si differenziano in mesenchimali, intermedi immaturi e maturi, staminali e terminali. Un insieme di ramificazioni villose che deriva da un unico villo primario prende il nome di cotiledone fetale di cui a termine gestazione se ne contano circa 200;

spazio intervilloso, compreso tra la lamina basale deciduale e la lamina coriale dove circola il sangue materno che si porta a bagnare i villi coriali;

lamina basale deciduale, da cui partono le arterie spiraliformi materne che si interrompono

bruscamente per riversare il sangue nello spazio intervilloso e da cui partono i setti placentari deciduali che dividono in compartimenti detti cotiledoni materni il versante materno della placenta; a fine gestazione sono in numero di 15-20. ⁸

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Fig 2- Strutture formanti la placenta e scambi ematici che in essa avvengono.

I cotiledoni materni e fetali costituiscono le unità strutturali della placenta mentre l'unità funzionale è rappresentata dal lobulo placentare fetale, formato da una subunità villare secondaria contenente le ramificazioni di ordine successivo, irrorata da una singola arteria spiraliforme materna: ciascun lobulo presenta una zona cava priva di ramificazioni che costituisce la principale porta d'ingresso per il sangue che deriva dal flusso uterino materno di una singola arteria spirale. Il sangue poi si spinge lateralmente nelle sottili lacune comprese tra i rami villosi situati tutto attorno allo spazio centrale, per ritornare poi verso la lamina basale e confluire nelle aperture venose alla base dei setti placentari.Queste strutture permettono la creazione della circolazione materno-fetale e di quella barriera che è alla base degli scambi transplacentari ⁹.

La separazione tra il sangue fetale e quello materno è data dalla barriera placentare formata dall'endotelio dei capillari fetali, dal connettivo stromale del villo e dal suo epitelio coriale il quale è direttamente lambito dal sangue materno.

La placenta svolge anche molte altre funzioni, infatti è l'organo che di fatto sostituisce le funzioni degli organi fetali ancora in via di sviluppo quali i polmoni, (tramite la sua funzione di scambio di gas), i reni, (grazie alla capacità di regolare i fluidi e allontanare i cataboliti dalla circolazione fetale), il tratto gastro-enterico, (grazie alle sue numerose attività di trasporto dei nutrienti).

L'ossigeno raggiunge la circolazione fetale tramite diffusione e passa la barriera grazie soprattutto all'alta affinità dell'emoglobina fetale ( HbF: 2 catene α e due catene γ ) per questa molecola rispetto

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all'emoglobina materna (HbA: 2 catene α e due cateneβ), mentre la CO2 diffonde in senso inverso. Le sostanze nutritive passano la placenta per diffusione semplice ( soprattutto lipidi ), diffusione facilitata ( glucosio ) trasporto attivo (aminoacidi, anche se è stata ipotizzata una loro neosintesi a livello placentare) : tutti questi meccanismi devono essere integri per garantire il corretto sostegno respiratorio e nutritivo al feto¹⁰.

Fig. 3- La diversa macrostruttura dell'emoglobina fetale rispetto a quella adulta è responsabile della maggiore affinità della prima per la molecola di Ossigeno, estraendolo quindi con maggiore facilità dal sangue materno. A

basse Pressioni Parziali di O₂, l'HbF può trasportare fino al 20-30% in più di Ossigeno rispetto all'emoglobina adulta.

Necessarie tanto al corretto impianto dell'embrione quanto al fisiologico decorrere della gestazione risultano essere sia la capacità placentare di produrre e secernere fattori di crescita sia la sua importantissima funzione endocrina ¹¹: vengono prodotti fattori di crescita vascolari che mediano la formazione della circolazione placentare e fattori di crescita che stimolano la proliferazione e la differenziazione dei tessuti embrio-fetali ¹²; si riconoscono una serie di ormoni e proteine prodotti dalla placente che, dosabili nel siero materno, rappresentano utili marcatori nella pratica ostetrica: ricordiamo il β-HCG che sostiene il corpo luteo e la produzione progesteronica ¹³, l'ormone lattogeno placentare umano ( hPL ) che influenza il metabolismo glucidico e lipidico materno e stimola le modificazioni a livello del tessuto mammario preparatorie al futuro allattamento¹⁴, ormoni steroidei quali estrogeni ( soprattutto estradiolo ) e progesterone coinvolti anche nella modulazione della risposta immunitaria.

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Non bisogna dimenticare infatti il ruolo protettivo della placenta sul feto contro eventuali attacchi del sistema immunitario materno grazie alla creazione di uno stato di tolleranza localizzata tramite l'espressione di particolari complessi di istocompatibilità e l'assenza di MHC a livello trofoblastico, il tessuto maggiormente interfacciato con quello materno¹⁵. Inoltre la placenta è coinvolta nella produzione di una lunghissima serie di fattori che coordinano i vari fenomeni della gestazione tra i quali enunciamo la PAPP-A (una metalloproteinasi prodotta dal sinciziotrofoblasto che modula il sistema delle IGF e che è stata messa in relazione con diverse complicazioni della gravidanza quali IUGR e Preeclampsia ma anche con cromosomopatie fetali)¹⁶. L'azione di filtro e il corredo enzimatico permettono alla placenta di impedire il passaggio di sostanze nocive e teratogene al feto ma bisogna ricordare che molti farmaci ( talidomide, anticonvulsivanti, litio warfarin) e sostanze d'abuso come l'alcol riescono a passare la barriera placentare e la loro somministrazione deve essere quindi evitata in gravidanza¹⁷.

Il PlGF- Fattore di Crescita Placentare

Il Placental Growth Factor ( PlGF ) è una glicoproteina omodimerica di circa 45 kDa appartenente alla famiglia dei fattori di crescita endoteliali vascolari ( Vascular Endohelial Growth Factors VEGF )¹⁸ isolata dalla placenta umana per la prima volta nel 1991.¹⁹ La principale sorgente di PlGF a livello placentare è rappresentata dalle cellule trofoblastiche che, tramite diversi meccanismi di splicing nella lettura del gene codificante, producono quattro differenti isoforme di questa proteina: il PlGF-1, PlGF-3, secrete in forma solubile svolgono un'azione per lo più paracrina, il PlGF-2 e PlGF-4 i quali invece tramite domini eparinici restano legati alla membrana cellulare svolgendo un' attività per lo più autocrina²⁰. Il PlGF ha un forte potere angiogenico e vasodilatatore per cui assume ruolo cruciale nei fenomeni di placentazione e di regolazione vascolare durante la gestazione ma è anche in grado di regolare l'attività delle cellule trofoblastiche evitandone l'apoptosi, capacità che viene esplicata principalmente tramite l'azione autocrina di PlGF-2 ²¹; le diverse isoforme tramite le loro differenti strutture sembrano infatti agire su specifici bersagli permettendo, nel loro complesso, di guidare la neoangiogenesi, la vascolarizzazione e la maturazione trofoblastica²². Oltre che dal trofoblasto è espresso anche dalle cellule endoteliali materne e negli adulti in generale viene prodotto a livello dei vasi e delle cellule muscolari lisce; basse concentrazioni sono state infatti riscontrate a livello di polmoni, cuore, muscoli e tessuto adiposo²³. La sua origine sia dal versante materno che da quello fetale lo rende un buon indicatore dell'interazione a livello placentare fra i due organismi anche se bisogna notare che il valore della concentrazione sierica di PlGF può non essere univocamente ricondotto alla placenta ma viene influenzato anche dalla sua produzione negli altri distretti. Agisce legandosi al recettore VEGFR-1 ( o Flt-1 ) espresso sia dalle cellule endoteliali

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che dalle cellule trofoblastiche ma non riconosce il recettore VEGFR-2 ( o KDR ): questa differenza ha dato vita all'ipotesi di un differente ruolo di VEGF e PlGF nella vasculogenesi placentare; VEGF sembra infatti essere maggiormente coinvolto nelle prima fase di invasione trofoblastica e neoformazione vascolare che avviene a partire dall'impianto della blastocisti fino alla 10-12^ settimana, mentre PlGF, seppur già prodotto anche in questa fase gestazionale con funzioni sulle cellule trofoblastiche e endoteliali non trascurabili, sembra svolgere un ruolo predominante nella seconda fase di invasione trofoblastica, quella che raggiunge le arteriole spirali e determina la formazione di canali vascolari a bassa impedenza e alta capacità²⁴. Nelle gravidanze fisiologiche la concentrazione di PlGF aumenta gradualmente durante il primo trimestre, ha un incremento più rapido e intenso durante il secondo trimestre raggiungendo il picco massimo tra la 29^ e la 32^ settimana di gestazione per poi decrescere fino a termine gravidanza²⁵. Da questi presupposti è nata l'ipotesi che una ridotta produzione di PlGF potesse avere un ruolo patogenetico e, dal punto di vista clinico, predittivo nella disfunzione placentare alla base di molte patologie ostetriche, prima fra tutte la Preeclampsia, dove la scarsa invasione trofoblastica a livello dei vasi uterini sembra giocare un ruolo patogenetico predominante: questa associazione è stata analizzata in diversi studi in letteratura²⁶ ²⁷ ²⁸ i quali mostrano un differente andamento della concentrazione di PlGF durante la gestazione tra le gravidanze fisiologiche e quelle complicate da Preeclampsia.

L'attività del PlGF viene regolata dalla forma solubile del recettore VEGFR-1 chiamata sFlt-1, il cui legame ne impedisce la funzionalità. Da qui una seconda ipotesi secondo la quale l'alterata placentazione può essere riconducibile a una aumentata produzione di sFlt1 indotta da stati ipossici, quindi a una carenza relativa di PlGF piuttosto che a una sua assoluta riduzione²⁹. La fondamentale importanza di una corretta placentazione e di una sua adeguata vascolarizzazione per il fisiologico decorso della gestazione ha rafforzato la concentrazione della letteratura e della pratica clinica su

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questo fattore, indagandone il valore predittivo anche nel corso di altre patologie ostetriche quali restrizione della crescita intrauterina, diabete gestazionale, parto pretermine, neonato piccolo per l'epoca gestazionale.

L'aumentata espressione del gene di PlGF è stata vista inoltre essere indicativa di buon impianto nelle gravidanze ottenute con tecniche di procreazione assistita, dimostrando una buona correlazione con l'aspetto isteroscopico dell'endometrio secondo lo score SakamotoMasamoto³⁰. Il parallelismo più volte descritto in letteratura tra la neoangiogenesi placentare e quella tumorale ha portato l'attenzione sul PlGF anche da parte della disciplina oncologica: molti studi ne hanno dimostrato la presenza e l'attività in diversi tumori ³¹ ed è stato inoltre valutato sia il suo ruolo di marker tumorale sia quello di target terapeutico³².

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La Preeclampsia

La Preeclampsia è una sindrome sistemica della gravidanza caratterizzata clinicamente dall’insorgenza di proteinuria e ipertensione, tipicamente dopo la 20° settimana di gestazione, in donne precedentemente normotese e non proteinuriche.

Insieme all'ipertensione gestazionale semplice, all'ipertensione cronica e alla eclampsia fa parte dei cosiddetti disturbi ipertensivi della gravidanza ³³.

Si definisce come l'insorgenza di pressione arteriosa superiore uguale a 140/90mmHg in due misurazioni successive ad almeno 6 ore di distanza associata alla comparsa di proteinuria significativa ( superiore a 0,3g/24 h o rapporto proteine urinarie/creatinina urinaria superiore a 30mg/mmol ).

Si parla di Preeclampsia Sovrapposta quando essa si presenta in donne già precedentemente ipertese e la diagnosi viene posta quando compare una proteinuria significativa dopo la 20^ settimana o quando, in donne già ipertese e proteinuriche, si verifica un improvviso peggioramento del quadro clinico³⁴.

Viene distinta inoltre una Preeclampsia precoce, a insorgenza prima della 34^ settimana di gestazione, dalla Preeclampsia tardiva, la quale compare invece dalla 34^ settimana in poi.

Epidemiologia

La Preeclampsia complica il 3-4% di tutte le gravidanze e costituisce una delle maggiori cause di morbilità materna, fetale e neonatale³⁵. Nei Paesi in via di sviluppo, dove la possibilità di accedere alle cure è, purtroppo, limitata, la Preeclampsia è una delle maggiori cause di mortalità materna: si concentra infatti in queste aree il 90% delle 60,000 morti annue materne a causa di questa patologia³⁶.

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Fig 4- Cause di mortalità materna nel mondo (il totale supera il 100% per arrotondamento) ³⁷

Colpisce prevalentemente le primigravide (in cui l’incidenza della malattia può arrivare al 7.5%) dimostrandosi più rara nelle pluripare, a meno che non trascorra un intervallo di tempo fra le due gravidanze superiore a 10 anni, e che le gravidanze multiple siano associate a partners diversi; in questo caso il rischio è simile a quello di una donna nullipara..

L'anamnesi ostetrica positiva per questa patologia costituisce un importante fattore di rischio indipendente. In caso di assenza anamnestica della patologia in precedenti gravidanze, la presenza di PE in una parente di primo grado aumenta il rischio di PE severa dalle due alle quattro volte. Una storia di PE anche nella madre del partner incrementa il rischio di sviluppare la malattia.

Tra le patologie predisponenti più importanti vi è l'ipertensione essenziale o altre forme di ipertensione preesistenti alla gravidanza, patologie renali, diabete, obesità, patologie che definiscono uno stato trombofilico come la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, il lupus eritematoso sistemico, la mutazione del fattore V di Leiden ³⁸, età materna avanzata.

In linea generale, i fattori di rischio per lo sviluppo di Preeclampsia possono essere distinti in ' associati alla gravidanza ' e 'pre-concezionali': tra questi ultimi ricordiamo la familiarità, l'etnia ( più frequentemente colpita la razza africana rispetto alla caucasica), l'età ( più colpite le donne sotto i 20 anni o sopra i 35 anni ), l'obesità; tra i fattori legati alla gravidanza vi sono la gemellarità (condizione associata all’incremento della massa placentare) e il metodo di concepimento (per questo, nel nostro studio, sono state inserite e analizzate anche donne con gravidanze insorte con procreazione assistita FIVET)³⁹.

Questo ha portato a pensare che siano coinvolti, nello sviluppo della patologia, anche alcuni fattori paterni: le tecniche di fecondazione riducono il contatto con lo sperma paterno, così come l’inseminazione da donatore; il ridotto contatto sessuale con il padre prima del concepimento e il

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cambio del partner nelle pluripare sono infatti stati associati ad un aumentato rischio di sviluppare Preeclampsia probabilmente per un ridotta esposizione (e quindi un ridotto adattamento materno) agli antigeni paterni⁴⁰.

Fig 5-. Fattori di rischio per Preeclampsia

Analizzando i Fattori predisponenti la malattia possiamo suddividerli in due gruppi:

Fattori di rischio immodificabili

 Nulliparità: rispetto ad una donna che ha già partorito, in una nullipara vi sono elementi che possono predisporre allo sviluppo di PE, quali il maggior tono delle pareti addominali e della muscolatura uterina, e la minor capacità dell'utero di sviluppare una adeguata rete vascolare. Entrambe queste condizioni possono infatti contribuire a determinare un'insufficiente irrorazione ematica del distretto utero-placentare.

 Gravidanza multipla spontanea: costituisce un fattore di rischio sia per la presenza di una aumentata massa trofoblastica (iperplacentosi), sia perché l'utero della specie umana non è strutturalmente predisposto per la gravidanza multipla. Pertanto, potrebbe non riuscire a sviluppare una rete vascolare adeguata per l'irrorazione di una placenta voluminosa destinata a nutrire più di un feto (ischemia placentare relativa). Come è ovvio, lo steso ragionamento vale anche per le gravidanze plurime iatrogene (FIVET), ma in tal caso non si tratta più di un rischio naturale, ma di rischio calcolato nell'ambito di un programma di cura della sterilità.

 Fattori di predisposizione genetici, costituzionali o raziali: l'ipotesi che anche tali fattori siano coinvolti nel rischio di sviluppare Preeclampsia deriva dal fatto che l'anamnesi familiare o personale comporta una maggiore probabilità che la gestante in questione sviluppi essa stessa questa sindrome. Ricordiamo che se una donna ha avuto una gravidanza precedente complicata da Preeclampsia, il rischio di ricorrenza in una successiva gravidanza è tanto maggiore quanto più precoce era stato l'esordio della malattia nella gravidanza

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precedente. Ad esempio, la presenza allo stato omozigote del gene che codifica per la variante molecolare T235 dell'angiotensinogeno aumenta di circa venti volte il rischio di sviluppare la malattia rispetto a donne di controllo che non hanno tale caratteristica.

 Fattori immunologici: quello dei fattori immunologici è un capitolo importante e innovativo nell'ambito dello studio dei fattori di rischio per Preeclampsia. In particolare, vari studi (tra cui uno studio caso-controllo di De Luca Brunori I. e Coll. “Increased HLA-DR

Homozygosity associated with pre-eclampsia” pubblicato su Human Reproduction nel 2000)

hanno sottolineato l'importanza del sistema HLA (Human Leucocyte Antigen). ⁴¹

Il sistema HLA

Tale sistema comprende un gruppo di antigeni ematici e tissutali (glicoproteine) codificate da un set di geni localizzati sul braccio corto del cromosoma 6. Tali molecole si trovano sulla superficie cellulare e agiscono come antigeni, potendo quindi innescare delle reazioni immunologiche; consente di distinguere il “self” dal “non self” ed è pertanto alla base del processo di rigetto degli organi trapiantati, in quanto riconosce un tessuto “estraneo” che non esprime lo stesso corredo di antigeni HLA sulla sua superficie (prima di un trapianto è fondamentale dunque la tipizzazione HLA).

Gli antigeni del sistema HLA sono divisi in due classi: classe I (comprendente i loci HLA-A,B,C, che codificano per molecole esposte su tutte le cellule nucleate); classe II (HLA-D, a sua volta diviso in tre sottoclassi DP, DQ, DR, che codificano per molecole presentate dalle cellule dell'immunità come cellule dendritiche, macrofagi, linfociti B).

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Una delle principali caratteristiche di queste molecole (sia della classe I che II) è il polimorfismo allelico: attualmente sono infatti note più di 1300 varianti alleliche di HLA, ereditate per via Mendeliana in modo codominante, in modo tale che ciascun individuo esprime entrambi gli alleli (ereditati dalla madre e dal padre).

L'importanza dello studio sopracitato( che ha studiato 70 donne primigravide preeclamptiche ed i loro partners, e 70 coppie sane di controllo) è stata quella di dimostrare un aumento statisticamente significativo di un unico antigene HLA-DR, che ha fatto presumere una situazione di omozigosi di tale locus nelle donne preeclamptiche e nei loro partners (67%) rispetto al 7.9% nelle coppie sane di controllo.

Inoltre, dall'analisi della compatibilità HLA-DR è emerso un aumento statisticamente molto significativo della compatibilità donna-uomo, rispetto a quello che invece succede nelle coppie di controllo.

Dallo studio emerge quindi che l'omozigosi HLA-DR e la ridotta disparità antigenica tra donna e partner può essere associata ad un maggiore rischio di Preeclampsia, la quale quindi può essere definita, in questo senso, una “malattia di coppia”, nella quale il potenziale eziopatogenetico immunologico sembra essere equamente ripartito tra i due partners.

Tale fenomeno potrebbe essere spiegato dal fatto che la minore biodiversità immunologica tra donna e uomo riduce l'entità della reazione immunologica materna (necessaria per la produzione di anticorpi protettivi nei confronti del patrimonio genetico fetale di provenienza paterna) al momento dell'impianto.

Pertanto è risultato evidente come la tipizzazione HLA-DR possa essere un valido strumento per individuare precocemente (addirittura in fase pre - concezionale) le coppie a rischio per lo sviluppo di Preeclampsia.

Nell'ambito della nullipara (oltre ai fattori elencati in precedenza) avrebbe significato di rischio accresciuto il fatto che la donna inizi la gravidanza dopo breve esposizione coitale, quasi che venisse a mancare l'induzione di una tolleranza immunologica agli antigeni del coniuge (per prevenire questo, prima di avere una gravidanza, viene consigliato alle coppie di avere rapporti non protetti nel periodo di non fertilità della donna).

In questo medesimo senso è interpretabile il fatto che una multipara ha nuovamente un rischio di sviluppare una gestosi paragonabile a quello di una nullipara se cambia il coniuge, nonché il fatto

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che vi sia aumentato rischio quando la gravidanza deriva dall'inseminazione artificiale con seme di donatore.

Fattori di rischio modificabili

 Procreazione assistita, per i motivi già discussi

 Iperalimentazione e ipoalimentazione: rispettivamente causa di obesità/sovraccarico proteico, e di anemie/carenze proteico-vitaminiche.

 Aumento della concentrazione sierica di trigliceridi, del rapporto tra colesterolo LDL e HDL, del colesterolo totale e HDL: verosimilmente responsabili di alterazioni endoteliali

 Carenza di Magnesio e Calcio nella dieta: il magnesio ad esempio, tra le sue proprietà, ha quella di antagonizzare l'ingresso del Ca all'interno delle cellule e di inibire la dismissione del calcio dal reticolo endoplasmatico dove si trova immagazzinato. La carenza di Mg potrebbe dunque favorire l'aumento del calcio libero intracellulare, la tendenza alla vasocostrizione, e quindi all'ipertensione.

Fig 7: Rapporto di probabilità (Odd Ratio) e intervallo di confidenza 95% dei fattori di rischio per sviluppo di PE⁴²

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La Clinica

Dal punto di vista clinico il quadro è dominato dall'ipertensione e dalla proteinuria a cui frequentemente si associano edemi preferenzialmente localizzati agli arti inferiori,. Storicamente, la comparsa degli edemi era considerata parte della triade diagnostica della PE (ipertensione, edemi, proteinuria); tuttavia questo è un segno decisamente troppo aspecifico per essere considerato diagnostico. Ciononostante, l’improvvisa insorgenza di edemi soprattutto alle mani e al volto, è spesso l’unico segno notato dalla paziente, costituendo quindi il motivo per cui la donna si presenta all'attenzione del medico.

Altro segno di allarme è l'eccessivo aumento di peso materno soprattutto in brevi periodi di tempo; è tanto più sospetto quanto più rapida è la crescita ponderale, soprattutto se la curva dell'incremento subisce un'accelerazione improvvisa (ha maggiori probabilità di esser dovuto ad una brusca ritenzione idrosalina). L'aumento ponderale si considera eccessivo quando supera 500g in una settimana dopo la 20^ settimana di gestazione.

La comparsa di disturbi visivi quali scotomi, amaurosi mono o bilaterale, cefalea intensa non responsiva ai farmaci, parestesie o segno di lato sono tutti indicatori di un coinvolgimento del sistema nervoso centrale che può preludere all'insorgenza di eclampsia. L'attacco eclamptico però è preceduto solo in un 15-20% dei casi da segni e/o sintomi neurologici, restando imprevedibile nel resto dei casi⁴³.

Il grado di proteinuria può essere minimo o addirittura nel range nefrosico. Essa è espressione del danno a livello glomerulare, e anche se l'Organizzazione Gestosi ha posto come limite inferiore per la proteinuria patologica 0,5 g/l, è consigliabile considerare con sospetto anche valori di 0,3g/l. Ogni volta che vi è proteinuria è indispensabile andare sempre ad analizzare il sedimento urinario: la presenza di cilindri (soprattutto se ialino-granulosi e granulosi) e di globuli rossi conferma il sospetto di lesione renale, soprattutto se contemporaneamente vi è anche contrazione della diuresi.

L'incremento notevole dei valori pressori è uno dei fenomeni più importanti che si verificano. Sono da considerare patologici aumenti di oltre 30mmHg per la pressione sistolica e di oltre 20mmHg per quella diastolica, partendo dai valori abituali pregravidici. In ogni caso sono da considerarsi anormali valori > 140/90.

Data la natura sistemica di questa patologia è importante indagare con esami clinici e di laboratorio il benessere materno-fetale: è necessario visitare spesso la madre cogliendo eventuali segni di sofferenza d'organo, misurare ripetutamente la pressione arteriosa, controllare la diuresi e far

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eseguire una raccolta delle urine nelle 24 h per valutare la proteinuria, richiedere emocromo, dosaggio ALT/AST, LDH, bilirubina, PT, PTT, fibrinogeno e creatinina al fine di mettere in atto un adeguato monitoraggio della salute materna.

L'alterazione della funzione renale ad esempio si riflette su alcuni indici ematochimici in proporzione alla sua gravità: si verifica un aumento precoce e caratteristico dell'uricemia, a cui si associano (nelle forme più gravi) un aumento della creatininemia e dell'azotemia e una riduzione della clearance della creatinina.

Le prove di funzionalità epatica nelle forme lievi possono essere normali, mentre le transaminasi aumentano caratteristicamente nelle forme più avanzate, riflettendo un certo grado di sofferenza epatica.

Da segnalare, inoltre, altre alterazioni ematologiche quali:

 la riduzione della volemia (dovuta alla riduzione della pressione colloido-osmotica esercitata dall'albumina) determina un aumento dell'ematocrito (Ht) e della concentrazione di emoglobina (Hb); deriva così un'emoconcentrazione a volte molto vistosa, a cui consegue un aumento della viscosità del sangue che contribuisce sia ad aumentare le resistenze periferiche sia ad ostacolare l'irrorazione del microcircolo in tutto l'organismo.

 quasi sempre si verifica una diminuzione del numero delle piastrine, in alcuni casi anche in fase molto precoce, che corrisponde ad incrementato consumo di trombociti ad opera della coagulazione intravascolare disseminata, che si può sviluppare in questa patologia.

 in fase molto precoce può essere presente un aumento della concentrazione plasmatica dell'antigene collegato al fattore VIII della coagulazione (fattore di von Willebrand), interpretabile come manifestazione di danno endoteliale; nei casi più avanzati, invece, aumenta frequentemente la concentrazione plasmatica dei prodotti di degradazione del fibrinogeno e della fibrina (segno di CID e di fibrinolisi reattiva)

 per quanto riguarda il quadro ormonale vi è spesso una ridotta produzione di progesterone da parete della placenta; poiché il progesterone inibisce l'azione dell'aldosterone, la diminuzione del primo aumenta l'effetto del secondo, specialmente per quanto riguarda l'azione sodio ritentiva a livello renale.

I livelli sierici di estriolo risultano frequentemente bassi nelle forme croniche quando vi è restrizione dell'accrescimento fetale. Tuttavia sono da considerare con sospetto tutti i casi in cui i

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valori di determinazione seriate dell'estriolo sierico mostrino accentuata tendenza alla diminuzione sebbene, in valore assoluto, rimangano ancora nel range della normalità.

Per il feto è consigliato valutare il battito cardiaco fetale e eseguire tracciati cardiotocografici associati a una analisi ecografica della biometria fetale e doppler velocimetrica del flusso utero-placentare⁴⁴.

L'evoluzione della Preeclampsia, specialmente nelle fasi iniziali, è insidiosa, in quanto non si accompagna a nessun disturbo soggettivo. Quando la paziente avverte da sola i primi sintomi (soprattutto cefalea oppressiva e senso di gonfiore alle palpebre e alle dita) la malattia è di solito già piuttosto avanzata; addirittura si trova talvolta allo stadio di “eclampsia imminente”, e le possibilità di cure efficaci si riducono proporzionalmente.

Per questo (oltre ai classici test come quello della pressione arteriosa, della proteinuria e la misurazione del peso corporeo) tutto il mondo scientifico si sta impegnando nel cercare di identificare metodiche di screening e di diagnosi precoce di Preeclampsia, in modo da riconoscere precocemente le donne a rischio di svilupparla, sorvegliarle più strettamente e trattarle adeguatamente non appena si evidenziano segni iniziali di sviluppo di malattia.

Degna di nota è la cosiddetta sindrome HELLP, acronimo per Haemolisis Elevated Liver Enzyme Levels and Low Platelet count: essa è una complicanza grave ma fortunatamente piuttosto rara (complica circa il 2% dei casi) della Preeclampsia e coinvolge più frequentemente le donne di età avanzata e pluripare.

I criteri diagnostici per questa sindrome sono rappresentati da segni di emolisi (che deve essere documentata da anomalie morfologiche degli eritrociti nello striscio di sangue periferico, come poichilocitosi, schistocitosi, echinocitosi), da un aumento della bilirubina totale (superiore a 1,2 mg/dL),da un valore di LDH superiore a 600 U/L, da aumento degli enzimi epatici (AST almeno 70 U/l) e da una conta piastrinica inferiore a 100,000/mm3. Tutti questi segni devono essere contemporaneamente presenti.

E' associata a un rischio di mortalità materna dell'1% dovuta a complicanze quali l'edema polmonare, l'insufficienza renale acuta, la CID, il distacco intempestivo di placenta, l'insufficienza e l'emorragia epatica, la sindrome da distress respiratorio nell'adulto, la sepsi o lo stroke; è importante ricordare che può presentarsi in assenza di ipertensione e proteinuria complicando il processo diagnostico⁴⁵.

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Le Complicanze materne e fetali

La Preeclampsia costituisce una causa di aumentato rischio di oligoidramnios, parto pretermine, taglio cesareo, distacco intempestivo di placenta oltre a tutti i danni d'organo ricordati nella trattazione delle fisiopatologia, tutti eventi che possono mettere a repentaglio la vita materna, fetale e neonatale durante la gestazione e il parto; nonostante sia riconosciuta la regressione del quadro clinico col secondamento della placenta, studi epidemiologici suggeriscono che si possano presentare conseguenze a lungo termine tanto per la madre quanto per il feto. Le donne che hanno avuto preeclampsia (oltre ad avere un aumentato rischio di presentare la patologia in gravidanze future rispetto alla popolazione generale), risultano anche ad aumentato rischio di sviluppare patologia renale grave e malattie cardiovascolari nel corso della loro vita⁴⁶. Circa il 20% delle donne con pregressa Preeclampsia sviluppano ipertensione e microalbuminuria a sette anni dal parto rispetto al 2% della controparte sana ⁴⁷ ; una recente metanalisi ha mostrato un aumentato rischio di patologia ischemica cardiaca, tromboembolismo e morte tanto più alta rispetto alla popolazione generale quanto più precoce e grave è stata l'insorgenza di Preeclampsia durante la gravidanza ⁴⁸. Se la Preeclampsia sia da considerarsi un fattore di rischio indipendente è ancora dibattuto poiché l'aumentata incidenza di eventi cardiovascolari nelle donne preeclamptiche potrebbe essere riconducibile al fatto che questa popolazione ha caratteristiche quali obesità, diabete, sindrome metabolica e abitudine al fumo, che di per sé costituiscono fattori di rischio cardiovascolare ⁴⁹. Tuttavia, Smith et al ⁵⁰ ha dimostrato che dopo un anno dal parto, le complicanze CV (aumento della PA, alti livelli di colesterolo LDL, resistenza all’insulina, aumento del BMI),si presentavano anche in donne precedentemente sane, ovvero senza FR CV ma che cmq avevano sviluppato PE ⁵¹. Questo potrebbe essere la conseguenza del profondo danno vascolare, e delle persistenti disfunzioni endoteliali causare dalla PE.

La PE ha effetti importanti anche sul feto, con un aumentato rischio di restrizione della crescita intrauterina, prematurità e morte perinatale, ma anche a lungo termine nel bambino. Alcuni studi hanno infatti evidenziato che molti di questi bambini hanno un numero elevato di ricoveri per patologie endocrine, nutrizionali ed ematologiche, ed è stata anche riportata un'aumentata incidenza di eventi cardiovascolari nella vita adulta; sono inoltre a rischio di un alterato sviluppo neurocognitivo mostrando ritardi mentali, comportamenti adattativi alterati e paralisi cerebrale infantile⁵².

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La Fisiopatologia

Il Ruolo della Placenta

La patogenesi della Preeclampsia non è ancora del tutto compresa. Storicamente definita la “malattia delle teorie”, la PE ha da sempre suscitato grande interesse nei ricercatori, e l'aver osservato come la sua risoluzione avvenga solo dopo il secondamento completo della placenta, ha portato a riconoscere nella placentazione il primum movens di questa patologia ⁵³; inoltre il riscontro di casi di Preeclampsia in corso di patologia molare ⁵⁴ o di eventi eclamptici post-partum in donne con ritenzione di frammenti placentari ⁵⁵ ha condotto a concludere che lo sviluppo della preeclampsia necessiti della placenta ma non dell'organismo embriofetale.

Fisiologicamente, nelle prime fasi di sviluppo placentare, il citotrofoblasto invade le arterie spiraliformi della decidua uterina e il miometrio. In questo modo va a sostituire lo strato di cellule endoteliali di tali arterie trasformandole(da vasi ad alta resistenza) in vasi a bassa resistenza e ad alta capacità, in modo da provvedere ad una adeguata perfusione placentare e alla nutrizione del prodotto del concepimento. L'organismo materno, per poter garantire la corretta perfusione tanto dei suoi organi quanto dell'organismo embrio-fetale in via di sviluppo, mette in atto dei meccanismi adattativi volti al raggiungimento di un nuovo equilibrio emodinamico (quando la placentazione non si svolge in maniera corretta i fenomeni di compenso materni risultano disadattativi e contribuiscono alla genesi della Preeclampsia) ⁵⁶.

Per sostenere la perfusione del nuovo net vascolare a bassa resistenza e alto flusso formatosi nella placenta è richiesto un aumento dell'output cardiaco materno ( CO ) e del volume sanguigno, a cui si deve associare la riduzione delle resistenze sistemiche vascolari ( RSV ) per evitare un aumento della pressione sanguigna sistemica materna. Nella gravidanza fisiologica si assiste quindi a un incremento fino al 50% del CO parallelamente a una riduzione delle RSV permessa dalla aumentata compliance arteriolare: questo nuovo equilibrio è direttamente correlato allo sviluppo delle microcircolazione nell'unità feto-placentare la quale, per garantirsi una adeguata perfusione a fronte di una ridotta pressione sanguigna materna, stimola il sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone ( RAAS) per aumentare il volume sanguigno ⁵⁷. Ciò permette di mantenere basse le resistenze vascolari, bassa la pressione sanguigna ma alto il flusso uteroplacentare.

L'ipotesi ormai più accreditata per spiegare la patogenesi della Preeclampsia è che essa insorga a causa di una disfunzione placentare tale da determinare sia il rilascio da parte della placenta difettiva di fattori nella circolazione materna che inducono una diffusa alterazione endoteliale,

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(evento alla base delle manifestazioni multisistemiche della patologia)58, sia l'instaurarsi di fenomeni mal adattativi ai cambiamenti indotti dalla gestazione.

Fisher et al. hanno infatti dimostrato che nella placentazione normale il citotrofoblasto assume un fenotipo endoteliale, in un processo chiamato pseudovasculogenesi o mimetismo vascolare59, tramite la downregolazione dell'espressione di molecole di adesione caratteristiche dell'origine epiteliale, e l'adozione di un fenotipo di adesione cellulare endoteliale. Nella Preeclampsia tale meccanismo risulta incompleto: pertanto si è giunti alla conclusione che il citotrofoblasto non esegua switching fenotipico delle proprie molecole di adesione superficiali, limitando quindi l'invasione alla decidua superficiale. Questo determina la persistenza di quel manicotto di cellule muscolari lisce che fisiologicamente circonda il vaso e che riveste un ruolo importante al di fuori della gravidanza nell'interruzione della perdita ematica durante la fase mestruale del ciclo ovarico: il risultato è un mantenimento della sensibilità di questi vasi agli stimoli vasocostrittivi che conduce ad un alternarsi di fenomeni di vasocostrizione e vasodilatazione e quindi di non perfusione e riperfusione, che è alla base sia dello stress ossidativo placentare60-61, sia del disequilibrio tra l'apporto ematico e le necessità dell'unità feto-placentare. Tale fenomeno è alla base di una delle complicanze fetali più gravi, la Restrizione della Crescita Intrautero ( IUGR ) e pone le basi per il danno d'organo materno – principalmente a livello renale, epatico e cerebrale – che caratterizza la fisiopatologia di questa malattia62.

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Osservando la figura sottostante possiamo inoltre affermare dire che nella Preeclampsia si instaura un vero e proprio circolo vizioso:

Fig 9- Il Circolo Vizioso nella Preeclampsia

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 L'insufficiente perfusione a livello dell'unità utero-placentare determina lo sviluppo di

lesioni placentari che, sebbene non strettamente specifiche di gestosi, hanno frequenza e

estensione superficiale decisamente maggiori rispetto a donne sane.

Tra queste sono da segnalare l'aumento del numero e del volume degli infarti placentari, l'aumentata frequenza di formazione di piccoli ematomi retroplacentari (piccoli distacchi di placenta), necrosi dei villi (secondaria a endoarterite dei vasi fetali), soluzioni di continuo dell'endotelio dei capillari dei villi con fuoriuscita di cellule ematiche fetali nello stroma dei villi (De Luca-Brunori et al,

2005) 64, degenerazione fibrinoide della parete delle diramazioni periferiche delle arterie uterine.

Nonostante l'importanza delle lesioni placentari sia da tutti riconosciuta, bisogna ricordare che vi sono gestatnti con alterazioni placentari sovrapponibili a quelle finora descritte che però non sviluppano alcun sintomo tipico di tale sindrome; l'unica conseguenza evidenziata sarebbe la restrizione dell'accrescimento fetale, anche grave, se non addirittura la morte endouterina.

Tali osservazioni dimostrano quindi che per il manifestarsi della sindrome gestosica, oltre alle lesioni placentari, sono indispensabili altri fattori scatenanti o predisponenti: 65

Dalle lesioni placentari deriva una immissione in circolo di microemboli trofoblastici, dotati di un'attività tromboplastinica elevata.

 Gli emboli trofoblastici, bloccati nel circolo polmonare a livello dei capillari, subirebbero in tale sede un processo di lisi, responsabile dell'immissione in circolo dei fattori tromboplastinici in essi contenuti. Si genera pertanto un quadro di coagulazione

intravascolare disseminata in tutto il sistema circolatorio, che sarà alla base di un diffuso danno endoteliale. Le lesioni endoteliali contribuiscono a loro volta a mantenere la CID, perché determinano una intensificata aggregazione piastrinica e perché determinano uno squilibrio tra produzione di trombossano (ad azione vasocostrittrice) e prostaciclina (suo fisiologico antagonista),con preponderanza del primo, una aumentata liberazione di endotelina e una ridotta produzione di NO .

Tanto la CID, quanto l'aumentata aggregazione piastrinica concorrono a determinare una più o meno marcata trombocitopenia .

Le lesioni determinate dai microtrombi sono evidenziabili anche a livello di fegato, milza, e ghiandole surrenali. Le alterazioni epatiche sono verosimilmente responsabili del dolore epigastrico cosiddetto a “barra” che compare nella condizione di “eclampsia imminente”, in quanto determinano un brusco rigonfiamento del parenchima con tensione della capsula glissoniana.

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Come conseguenza del blocco della microcircolazione provocata dai microtrombi si può verificare anche un certo grado di emolisi, col risultato che dallo stroma eritrocitario si libera una ulteriore quantità di materiale tromboplastinico che aggrava la tendenza alla coagulazione intravascolare.

 Al processo di CID consegue la formazione nel plasma di fibrinogeno; uno dei prodotti di degradazione del fibrinogeno è la profibrina, che risulta fondamentale nel processo di danno glomerulare a cui si assiste nella sindrome gestosica. La sua filtrazione e successiva precipitazione a livello del glomerulo è quasi sicuramente l'evento che determina le alterazioni degenerative a carico delle cellule endoteliali (lesione endoteliale glomerulare) che esitano in un notevole rigonfiamento delle cellule endoteliali dei capillari con fenomeni di microvacuolizzazione citoplasmatica, tanto che spesso il lume capillare ne viene quasi ostruito. Non è stato possibile invece dimostrare con certezza la presenza di complessi proteici antigene-anticorpo a livello della membrana basale glomerulare; pertanto, a differenza di molte altre glomerulonefriti, la lesione renale caratteristica della gestosi non sarebbe su base immunologica o quantomeno, se intervengono fattori immunologici, il loro meccanismo d'azione è diverso e non ancora completamente chiarito.

Nel 1959, Spargo et al. hanno coniato il termine “endoteliosi glomerulare”, riferendosi al rigonfiamento generale e vacuolizzazione delle cellule endoteliali, e alla perdita dello spazio subcapillare.66 FIG 2. furono anche identificati i depositi di fibrina al di sotto e tra le cellule endoteliali; la microscopia elettronica mostra la perdita delle fenestrature dell'endotelio glomerulare

67

. A differenza di altre sindromi nefrosiche, in questo caso sono colpite primariamente le cellule endoteliali, con modesto danno dei processi pedicellari dei podociti.

Sebbene una volta l'endoteliosi glomerulare fosse considerata patognomonica di sindrome gestosica, studi recenti condotti da Strevens et al. Hanno mostrato che una modesta endoteliosi glomerulare si verifica anche in gravidanze non complicate da PE, soprattutto in donne con ipertensione gestazionale 68. Questo suggerisce che la disfunzione endoteliale della PE potrebbe essere una esagerazione di un processo fisiologico che si verifica verso il termine di gravidanza.

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 Tali lesioni glomerulari sono alla base della riduzione del flusso plasmatico renale, della proteinuria e della riduzione del filtrato glomerulare, per cui risulta oliguria con emissione di urine concentrate, ritenzione di sodio e acqua.

A sua volta la ritenzione di sodio contribuisce a determinare un'aumentata risposta

vascolare alle sostanze ad azione ipertensiva, facilitando quindi l'insorgenza di uno stato di

vasocostrizione generalizzata.

Vasocostrizione generalizzata e lesione endoteliale: il danno endoteliale, già precedentemente descritto, comporta un aumento della permeabilità vascolare con conseguente fuoriuscita di acqua verso il compartimento interstiziale. Si assiste pertanto a riduzione della volemia associata a maggiore viscosità del sangue 69 , ad un'iperstimolazione del RAAS volta ad aumentare il volume di sangue che arriva alla placenta e ad un aumentato tono adrenergico che tenta di incrementare la perfusione fetoplacentare aumentando la pressione sanguigna materna attraverso il rilascio di fattori adenosinici che mediano la vasocostrizione 70.

Vasocostrizione, ipertensione, ipovolemia relativa ed aumentata viscosità del sangue contribuiscono a loro volta ad aggravare l'ischemia placentare e ad aumentare il rischio per il feto 71.

Fig 10: A-glomerulo normale; B- glomerulo in donna con PE (si notino i glomeruli ingranditi e i lumi capillari occlusi. C- glomerulo in B visto con microscopia elettronica ( si notano

l'occlusione del lume capillare e l'espansione dello spazio sub-endoteliale; il citoplasma dei podociti mostra gocce di riassorbimento proteico e processi pedicillari relativamente intatti).

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