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il ruolo della polizia penitenziaria negli istituti penali per i minorenni

Nel documento Nuove esperienze di giustizia minorile (pagine 69-73)

di Saulo Patrizi

l’evoluzione di una società e il suo stato di civiltà possono essere anche misurati dall’evoluzione del suo sistema penale e penitenziario. il carcere considerato un micro-mondo a sé, lo possiamo visualizzare come un plastico di un contesto sociale. all’interno di questo, le persone che lo vivono e gli equilibri che lo compongono sono un gioco di proporzioni ed armonie difficilissime da mantenere in una condizione coercitiva. il ruolo che assume la polizia penitenziaria all’interno di un mondo carcerario è in continuo sviluppo, ma è negli ultimi venti anni che la figura del “carceriere” ha assunto un valore diverso.

da quando i principi della scuola di pensiero cosìddetta positiva o classica hanno assunto una valenza pregnante nel concetto di rieducazione, ponendo l’accento sull’uomo delin-quente piuttosto che sul concetto generale di pena detentiva a se stante, si è cominciato a valorizzare il lavoro degli operatori che entravano in contatto con il detenuto, dandogli un’accezione di risocializzazione oltre che di contenimento. Forse l’odierno Corpo di polizia penitenziaria, che affonda le sue radici nella seconda metà dell’800, è stato l’ultima tra le figure penitenziarie ad avere una riforma completa e organica tale da mutare la sua funzio-ne all’interno degli istituti di pena. la legge di riforma del ’90, i decreti legislativi del ’92, il nuovo regolamento di servizio del ’99, uniti ad un assetto piramidale che culmina con i ruoli direttivi e dirigenziali istituiti nel 2000, hanno conferito al Corpo uno status di polizia che per funzioni e compiti rende all’interno di un carcere il poliziotto penitenziario figura forte, quanto non lo era prima, anche nei rapporti di colleganza con le altre aree e con la direzione. Questo status è funzionale alla forza da imporre ed opporre all’interno delle grandi carceri per adulti, la cui gestione per il numero di vite contenute e la problematicità dei propri equilibri, le rende simili a “macchine da guerra”.

la riflessione proposta è di conseguenza questa: come si possa inserire il poliziotto penitenziario con il suo status giuridico all’interno di un istituto penale per minorenni e se il suo ufficio non sia sovradimensionato rispetto alla conduzione di una struttura che tratta adolescenti dai 14 ai 21 anni di età.

Questa apparente contraddizione, invece, rende giustizia al ruolo che dal ’90 in poi la polizia penitenziaria ha assunto, nel suo contenuto più ampio, di operatore del trattamento oltre che principalmente di sicurezza. Giova ricordare il disposto della legge penitenziaria secondo il quale la sicurezza è la condizione imprescindibile per la realizza-zione delle finalità del trattamento ed il mantenimento dell’ordine e della disciplina quali capisaldi che garantiscono la sicurezza. Nella cornice minorile a fare l’effettiva differenza sono i numeri (rapporto utenti/operatori), in termini di organizzazione, e l’uomo in ter-mini di singolo intervento sul ragazzo deviante. il rapporto di maggiore confidenza che l’agente instaura con il minore non rappresenta un momento collusivo ma lo strumento per porsi come alternativa credibile alla devianza, simmetricamente ma con la dovuta distanza. le modalità di questo dialogo e confronto quotidiano devono essere impron-tate alla dimostrazione che il poliziotto penitenziario all’interno della cornice carcere è un adulto di riferimento e non il “capobranco”. il poliziotto all’interno di un contesto di

regole è un rappresentante dello stato che non detta legge, ma si adopera affinché que-sta venga rispettata, la stragrande maggioranza delle volte, utilizzando la strategia della condivisione e della spiegazione. ed è spesso in questa paziente opera che passano le motivazioni di un regime penitenziario rigoroso che educa alla legalità, in cui l’operatore di sicurezza diventa anche operatore di trattamento.

il ruolo della polizia penitenziaria in carcere può essere paragonato al ruolo che un padre riveste in famiglia. se così è, la fermezza con cui si trasmette un messaggio ha una valenza educativa, fino al raggiungimento del punto di equilibrio che la separa dalla violenza. un padre giusto non valica il punto di equilibrio. Farlo equivarrebbe alla perdita del rapporto di rispetto, riuscendo di conseguenza non a educare, ma solo ad imporsi. Quale ruolo ritagliare dunque a questi “padri”, uomini e donne del Corpo di polizia penitenziaria, all’interno del contesto “carcere minorile”? personalmente sono convinto che non potrebbe esistere un penitenziario minorile senza polizia penitenziaria, ingrediente necessario per costituire una miscela equilibrata di operatori della devianza.

l’incontro di sicurezza e vigilanza con educazione e rieducazione, di contenimento e fer-mezza con comprensione e fiducia, di confidenza con distacco nel rispetto dei reciproci ruoli, credo possa essere offerto da una moderna polizia penitenziaria che, con l’attuale assetto giuridico che ne ha ridefinito il ruolo, è riuscita ad arricchire il valore fondamen-tale dell’esperienza grazie all’aggiornamento, la formazione e la specializzazione.

il pensiero mi riporta alle immagini della mostra “Monelli banditi”. più di qua-rant'anni fa, in contesti come il Camerone e la sala Clementina del vecchio carcere minorile romano del san Michele, la vigilanza e l’educazione alla disciplina passavano soprattutto attraverso un gran senso di umanità e di rispetto. tempi e contesti sono cambiati, ma la declinazione quotidiana del compito che si sostanzia nel seguire il mi-nore in ogni momento della giornata, dalla sveglia alle pulizie mattutine, alla vigilanza nelle attività e nei momenti di socialità e di gioco, al sostegno serale o notturno in momenti di particolare sconforto, all’attenzione nella conduzione democratica della vita della sezione anche nei momenti di scambio, affinché non soccombano i detenuti più deboli a danno di quelli con uno spessore criminale maggiore, non è cambiata e quindi non può essere alienata all’interno di un istituto penale. il contenimento e gli interventi in situazioni critiche di autonocumento e di autolesionismo non possono considerarsi interventi ad esclusivo interesse della società ma principalmente in favore e nell’interesse del minore ristretto. tali compiti, propri degli operatori della polizia pe-nitenziaria, non possono di certo essere abdicati né trasferiti nella loro totalità ad altre figure professionali.

Non possiamo però illuderci che si possa lavorare con i ragazzi detenuti in soli-tudine. ogni componente del sistema penitenziario è importante. la collaborazione tra aree, improntata in maniera paritetica anche se equilibrata secondo le differenti funzioni svolte, è un elemento fondamentale. solo l’insieme ben assemblato degli ingranaggi può far girare bene un congegno complesso come il carcere. presentarsi al minore deviante come un’istituzione, anche se differentemente composta, unita e integrata, in grado di dialogare e in cui l’informazione circola e viene condivisa, gli restituisce la sensazione di essere al centro di un processo di attenzione al quale non può sottrarsi. È il meccani-smo tipico della rete. la collaborazione diventa quindi inevitabile se si vuole raggiungere l’obiettivo, e questo nell’i.p.M. di roma stiamo cercando di realizzarlo, non solo mediante

équipes settimanali che coinvolgono le varie figure dell’istituto e dell’area penale esterna, focalizzate su casi “difficili”1, ma anche attraverso procedure di valutazione del percorso penitenziario del minore, tuttora in fase di elaborazione, che possano condividere l’infor-mazione ed integrare gli interventi delle varie aree, dando concretezza e condivisione alle azioni da porre in essere nei confronti dei minori a rischio.

1 si veda l’appendice al report conclusivo del percorso formativo per la polizia penitenziaria scritta da saulo patrizi e lucia Chiappinelli, rispettivamente vice Comandante di reparto e psicologa presso l’i.p.M. di roma. – i.C.F. roma 2006.

ier

Nel documento Nuove esperienze di giustizia minorile (pagine 69-73)

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