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causativizzazione è spesso descritta come una sorta di derivazione verbale in cui la frase originale è incorporata in posizione di secondo argomento”164.

In generale, i rapporti di causa-effetto possono essere espressi linguisticamente attraverso un gran numero di costruzioni sinonimiche. Nedjalkov e Sil’nickij (1969: 5-8) definiscono l’insieme delle costruzioni causative (CC) in termini di “situazione causativa”. Una costruzione è definita causativa quando esprime una macro-situazione comprendente due micro-situazioni legate tra loro da un rapporto di causa (C), definito anche “legame causativo”. La descrizione delle CC, dunque, non si baserebbe su caratteristiche interne, ma esterne: l’indagine, secondo i due studiosi, partirebbe dal livello referenziale per arrivare al livello grammaticale. In altre parole, una costruzione può essere causativa se esprime una situazione di causa e effetto.

Una macro-situazione può essere realizzata linguisticamente da due proposizioni unite in genere da una congiunzione con funzione causativa (10)165, o da una proposizione semplice (11), in cui – puntualizza Comrie – generalmente si tralasciano alcuni particolari:

(10) Maria mi ha distratto, perciò ho sbagliato.

(11) Maria mi ha fatto sbagliare.

Anche in (11), così come in (10), Maria provoca lo sbaglio di un soggetto A, ma il modo in cui ciò avviene qui non è specificato (Comrie 1989: 165).

Nedjalkov e Sil’nickij aggiungono che anche all’interno di una proposizione semplice il legame causativo può essere espresso in vari modi oltre che da causativi verbali: da preposizioni di causa (iz-za); da sostantivi (Tvoja bestaktnost’ – pričina ego uchoda166) o aggettivi (Ty vinovat v ego uchode167).

Tuttavia, secondo molti linguisti, tra cui Comrie (1989: 166) e gli stessi Nedjalkov e Sil’nickij (1969: 9), è il causativo verbale a suscitare maggiore interesse, per due motivi:

la nozione di causa è contenuta nel verbo stesso; il verbo non è solo il nucleo semantico di una CC, ma anche quello sintattico.

164 “Causativization is often described as a kind of verbal derivation in which the original clause is embebbed in the position of the second argument”.

165 Gli esempi (10) e (11) sono tratti da Comrie 1989.

166 “La tua mancanza di tatto è la causa della sua partenza”.

167 “Sei colpevole per la sua partenza”.

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Un verbo causativo, afferma Padučeva (2003: 174), descrive una situazione in cui un partecipante (B) subisce un cambiamento provocato da un altro partecipante (A).

Riprendendo l’esempio (11), una frase con verbo causativo può essere dunque schematizzata come segue:

A (Maria) agisce su B (io) in modo che compia l’azione X (sbagliare)

Dove A è tradizionalmente definito causer – “causatore” - e B causee – “causato”168. Jurij Apresjan definisce i verbi causativi non come “predicati”, bensì come

“congiunzioni” (sojuzy), proprio perché legano due eventi (1995: 35).

I linguisti si trovano generalmente d’accordo nel distinguere tre tipi di causativo realizzato all’interno di una proposizione semplice:

- Morfologico: la componente causativa viene aggiunta ad un verbo mediante suffisso. Si prenda ad esempio il greco antico, dove kai-οmai significa “io brucio/prendo fuoco”, mentre kai-ō “io do fuoco a qualcosa” (Nedjalkov, Sil’nickij 1969: 21).

- Lessicale: la componente causativa è espressa da un singolo verbo ed è insita nel suo significato lessicale (es.: uccidere), ma è legata anche a quello sintattico, cioè dipende dalle relazioni sintattiche (per esempio, andare, per via della sua intransitività, non può essere causativo)169.

- Analitico [definito anche “sintattico” da molti linguisti o “produttivo” da Shibatani in (1976: 2-3)]: la componente causativa è espressa da un verbo considerato in questo caso servile, preposto ad un altro verbo espresso all’infinito, come nel caso della costruzione causativa italiana con F170.

168 Questa distinzione tra causer e causee è talvolta resa in italiano come “iniziatore” ed “esecutore”.

Tuttavia, sembra più consono in questo caso adottare la terminologia più simile all’inglese, largamente riconosciuta. Inoltre, i due termini italiani “iniziatore” ed “esecutore” si addicono maggiormente a partecipanti animati, e risultano quindi inadeguati quando manca questa premessa.

169 Come puntualizza Padučeva (2003: 174), portando ad esempio грохотать (rumoreggiare, rimbombare) esistono verbi intransitivi classificati come “causativi”, ma i pareri sulla loro effettiva natura causativa sono discordanti.

170 Si parla di causativo sintattico anche in relazione a frasi complesse legate da congiunzioni di tipo causativo o da espressioni quali “fare sì che” (in russo “delat’ tak, čtoby”). Sul causativo realizzato mediante frasi complesse è interessante, ad esempio, la classificazione di Song (1996), che propone una nuova tipologia di costruzioni causative definite COMPACT (causativo lessicale e morfologico, ma anche costruzioni quali F+inf.), AND (causa ed effetto sono legate da una congiunzione coordinativa) e PURP (causativo sintattico con due proposizioni legate tra loro in vari modi).

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Sui confini di queste distinzioni le opinioni talvolta divergono. Non vi è quasi alcun dubbio relativamente al causativo morfologico, tuttavia, come fa notare Comrie, molti verbi russi formanti la coppia “causativo/de-causativo” (ad es.: lomat’-lomatsja – rispettivamente rompere-rompersi) presentano anche una componente morfologica, benché il causativo non sia dato dall’aggiunta di un suffisso, ma dalla sua assenza e benché lomat’ sia generalmente trattato come causativo lessicale. La traduzione italiana rispecchia una tendenza simile al russo quando l’aggiunta del pronome riflessivo -si determina il de-causativo171 (anche se gli studi di linguistica italiana sembrano non essersi interessati a questo tipo di verbi, concentrando piuttosto l’attenzione sulla costruzione F + inf).

Maggiore ambiguità si riscontra, secondo Comrie, nel caso delle costruzioni analitiche con verbo “servile” (tipo F) seguito da infinito: queste si troverebbero a metà strada tra causativo morfologico e analitico, poiché realizzate all’interno di una proposizione semplice, mentre, secondo lo studioso, si potrebbe parlare di causativo analitico solo in presenza di due proposizioni in rapporto subordinativo o coordinativo. I tre tipi di causativo andrebbero quindi collocati su un continuum (Comrie 1989: 169). In realtà esistono divergenze anche sullo status di proposizione semplice di una frase con F + inf., come si evince dal tentativo di Skytte (1976) di legittimare, con un elenco di nove motivazioni, la teoria secondo cui F + inf. sarebbe un unico predicato complesso, analitico e transitivo. Sempre Skytte, più tardi, in una monografia del 1983, esprime il suo disaccordo con la posizione assunta da alcuni generativisti-trasformazionalisti, convinti della compresenza di due proposizioni nella costruzione F + inf. – una contenuta nell’altra – e dello status dell’infinito come predicato a sé stante (Skytte 1983: 51). In questa sede, condividiamo l’opinione della studiosa danese, la quale sostiene che F + inf. sarebbe un predicato complesso realizzato in una proposizione semplice; tuttavia ci distanziamo da Comrie e dalla sua definizione “bifrasale” di causativo analitico, considerando invece la costruzione F + inf. un esempio di causativo analitico a tutti gli effetti, come ribadito anche da Nedjalkov e Sil’nickij (1969:23). Per questi ultimi, anche la distinzione tra causativo morfologico e lessicale è netta: morfologico è il causativo ottenuto da un processo regolare e produttivo, mentre lessicale è il causativo ottenuto da un processo non produttivo.

171 Sul tema del de-causativo cfr. Padučeva (2001, 2003), e Dolinina (1991) in Bondarko (a cura di), che parla della relazione tra causativo e riflessivo

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Aggiungiamo, inoltre, una nota di Talmy, per cui un verbo può essere allo stesso tempo causativo e non causativo. Ne è un esempio il verbo inglese break (rompere), considerato non causativo non solo nella variante “the vase broke” [(il vaso si è rotto), analogo ai de-causativi in russo e in italiano marcati morfologicamente con -sja(s’) e -si: lomat’sja e rompersi], ma anche in “I broke my arm” (ho rotto/mi sono rotto un braccio), dove il soggetto coincide con il paziente (Talmy 2001, vol I: 69-70). Allo stesso modo, per la lingua russa, Dadueva (2011: 80) riporta un esempio di Gordon con il verbo skazat’ (dire), di norma non causativo, ma impiegato in alcune circostanze come sinonimo di “ordinare”

e quindi con funzione causativa: On skazal emu vyjti [gli ha detto (ordinato) di uscire].

In generale, afferma Apresjan in (1995: 47), ogni verbo causativo ha un corrispettivo de-causativo (es.: soobščat’ – znat’ / informare – sapere) e presenta, rispetto ad esso, una valenza in più, tant’è che “quasi tutti i verbi trivalenti sono causativi”.

Oltre alla differenza tra causativo morfologico, lessicale e analitico, ulteriori importanti distinzioni riguardano i seguenti parametri: 1) la forza causativa del verbo; 2) la distanza tra causa ed effetto; 3) il grado di controllo del soggetto causatore. Vediamoli nel dettaglio.

Il primo parametro è di tipo semantico e riguarda il valore causativo assunto dal verbo, che può essere collocato su di un continuum con due estremi: valore fattitivo o permissivo. La coercizione, compresa nel valore fattitivo, è il grado massimo di forza causativa. Tra il grado coercitivo e quello permissivo esistono però una serie di gradi intermedi. Come afferma anche Wierzbicka (1988: 246-247), una particolarità dell’italiano sta nella capacità di realizzare ciascuno di questi valori, o gradi intermedi, con F – definito come causativo “all-purpose” - pur ammettendo la costruzione lasciare + inf. per la variante permissiva172. Altre lingue impiegano verbi diversi, non interscambiabili, a seconda della forza causativa (cfr. l’inglese make vs let, o il russo, che dispone di molti sinonimi per le due realizzazioni: zastavit’, velet’, razrešit’, pozvolit’

ecc.). Nedjalkov e Sil’nickij (1969: 31) attestano, accanto al causativo fattitivo e permissivo, un tipo di causativo “assistenziale” o “di aiuto”, reso in alcune lingue morfologicamente. In quechua, ad esempio, il suffisso -isi (-usi) indica l’aiuto: llank’a significa “lavorare”, mentre llank’a-isi si traduce come “aiutare qualcuno nel lavoro”.

172 Come spesso accade, la terminologia può essere fuorviante, poiché la costruzione causativa italiana è talvolta denominata “fattitiva” pur presentando il verbo lasciare (cfr. Skytte 1976: 355).

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Come notato da Wierzbicka, e come si mostrerà in seguito, il verbo F ha una semantica così opaca, da assumere anche una forza causativa assistenziale.

La questione dei gradi di forza causativa è ripresa da Simone e Cerbasi (2001:

445-447), proprio in relazione a F + inf. Per la sua tendenza ad impiegare tale costruzione anche in situazioni dove la forza causativa è pressoché nulla, l’italiano, analogamente al francese – ma a differenza di altre lingue romanze come spagnolo e portoghese173 –, è definito una lingua “a forte orientamento causativo” (Simone, Cerbasi 2001: 457).

Spesso, quando la forza causativa è minima, si parla di “falsi causativi”. Moreno, in (1993: 159), ovvia a questa confusione affermando che i causativi, di qualunque tipo essi siano, per essere considerati tali devono presentare almeno due dei tre “primitivi semantici” che li caratterizzano: “forza”, “intenzione” e “transizione”174. Di conseguenza, anche laddove la forza è minima, se il predicato presenta i due restanti primitivi semantici, può essere considerato causativo. In (Simone, Cerbasi 2001: 458-60), si prosegue tuttavia sulla linea del “falso” fare causativo, identificando per la precisione tre classi175: 1) falsi causativi, dove il causato sembra in realtà un beneficiario dell’azione (cfr. “la zia ha fatto mangiare al bambino una buonissima torta”); 2) causativi ambigui, dove non sono chiare né la forza causativa del verbo, né l’agentività di causatore e causato (cfr. “ho fatto studiare mio figlio”); 3) causativi reali, dove il causatore ha un minor grado di agentività, e promuove un’azione compiuta dal causato (cfr. “L’imperatore fece costruire una flotta ai marinai”).

Il secondo parametro riguarda il rapporto di vicinanza temporale e logica tra causa ed effetto e il contatto diretto tra causatore e causato. Si parla in questo caso di causativo diretto e indiretto, o anche “mediato” come propone DeLancey (1984: 182).

Generalmente, i causativi lessicali o morfologici sono diretti, mentre la variante analitica tende ad essere indiretta (Comrie 1989: 173, Song 1996: 4-5). Cfr.: (12) A ha rinchiuso B vs (13) A ha fatto rinchiudere B. In realtà vedremo che in italiano ciò dipende dalla transitività o meno del verbo all’infinito (cfr. par. 4.5.1.).

Aggiungiamo che in questo specifico esempio la frase (13) implica non solo una maggiore distanza temporale tra causa ed effetto, ma anche l’intervento di un ulteriore

173 Cfr. Cerbasi (1998), dove si specifica come gli equivalenti di fare “hacer” e “fazer” concorrano con il verbo “mandar”, preferito per il grado elevato di forza causativa.

174 Il concetto di “primitivi semantici” è ampiamente trattato in (Wierzbicka 1996).

175 Gli esempi sono dei due autori.

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partecipante176. A questo proposito, un’importantissima nota riguarda la differenza tra causativo diretto e indiretto in russo. Padučeva (1997: 64) ricorda come la lingua russa sia in questo senso ambigua, non distinguendo in modo esplicito le due situazioni: la frase (14), infatti, in mancanza di alcun indizio, può essere interpretata indifferentemente come (14a) e (14b) (esempio di Padučeva, traduzione nostra):

(14) Я сшила себе юбку (14a) Mi sono cucita una gonna

(14b) Mi sono fatta cucire una gonna (da qualcuno)

Per la sua rilevanza in chiave comparativa, torneremo su questo tema con l’analisi degli esempi (cfr. par 4.5.1.).

Infine, il terzo parametro (il grado di controllo del soggetto causatore) è ampiamente discusso da Padučeva (2003), le cui categorie tassonomiche per classificare i causativi sono strettamente legate all’idea di controllo177. Il controllo da parte del soggetto si lega, a sua volta, ai concetti di agentività e volontà/intenzione (cfr. anche DeLancey 1984). Padučeva afferma che un elevato grado di controllo da parte del soggetto implica un’azione, mentre un basso (o assente) grado di controllo mette in scena un avvenimento (action vs happening, secondo la terminologia presa in prestito da Wierzbicka). In (Padučeva 1997: 62) si puntualizza inoltre che, sebbene l’idea di controllo sia parzialmente legata all’essere animato o inanimato del soggetto, il vero e proprio causatore non può essere la persona in sé, bensì l’attività da lui compiuta. Se il soggetto, al contrario, è inanimato, il causatore sarà un suo particolare stato o caratteristica. Naturalmente l’animatezza di un soggetto non implica direttamente un controllo sulla situazione causativa: da un lato interviene il concetto di intenzionalità o meno (nel caso di rompere, ad esempio, l’azione non è necessariamente intenzionale), dall’altro, per alcune attività, quali rešit’ problemu (risolvere un problema) o ugovorit’

(convincere), il controllo da parte del soggetto sull’effetto desiderato non è totale, dal momento che, afferma Padučeva, la semantica di questi verbi implica l’idea di “fortuna”.

176 Da notare, però, che l’aggiunta di un nuovo partecipante alla situazione causativa non si verifica sempre col passaggio da causativo lessicale a analitico: basti pensare che il tipico esempio in lingua inglese presentato dai linguisti per distinguere tra causativo diretto e indiretto è “A killed B” vs “A caused B to die”, dove il numero di partecipanti, se non esplicitato il contrario, rimane invariato.

177 Padučeva (2003: 73) distingue le seguenti categorie: intenzionale in svolgimento, intenzionale realizzata, intenzionale non completamente controllata, intenzionale garantita, non-intenzionale sotto forma di evento (che evoca una certa conseguenza), non-intenzionale in svolgimento, non-intenzionale realizzata.

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Sempre nell’ambito del controllo, Arkad’ev e Letučij (2009) introducono il concetto di

“implicatività” (in russo implikativnost’), per cui solo alcuni tipi di causativi implicano che l’azione causata effettivamente si verifichi. Si tratta, ad esempio, di una differenza fondamentale tra il causativo fattitivo e permissivo (mentre per verbi esprimenti una forza causativa intermedia, dipende dalla semantica degli stessi. Cfr.: chiedere vs aiutare). In base a tale distinzione, se la frase (15) non è ammessa, poiché zastavit’ implica necessariamente la realizzazione dell’azione, (16) invece lo è (esempi di Arkad’ev e Letučij):

(15) *Папа заставил Васю закрыть дверь, но Вася не закрыл дверь178.

(16) Мама разрешила детям погулять во дворе, но они решили вместо этого поиграть в компьютер179.

L’esempio (16) è un tipico caso definito da Padučeva di “controllo non totale”, dal momento che, nonostante la volontà del causatore, che agisce con un’azione A, il causato è in grado di scegliere se portare avanti l’azione B o rinunciarvi.

In (1973: 282), Zolotova affronta l'argomento della realizzazione o non realizzazione dell'azione da parte del causato, ricordando come in alcuni casi sia possibile esprimere morfo-sintatticamente questo parametro grazie all’aspetto: per svariati verbi il perfettivo esprime la realizzazione dell’azione. Per altri verbi invece, quali appunto razrešit’ in (16), l’aspetto non gioca questo ruolo e il causato ha sempre libertà di scelta.

Ci chiederemo, in seguito, come si pone la costruzione F + inf. in termini di realizzazione dell’azione, controllo e agentività. Gli esempi del corpus ci forniranno i dati per esplorare questi parametri. Nel paragrafo successivo ci occuperemo invece, più nel dettaglio, della descrizione del causativo russo e italiano, proponendo un confronto preliminare tra i modi di realizzazione del causativo nelle due lingue e tra gli studi ad esso dedicati. Ulteriori osservazioni e approfondimenti seguiranno poi nella sezione dell’analisi.

178 “Il papà ha costretto Vasja a chiudere la porta, ma Vasja non l’ha chiusa”.

179 “La mamma ha permesso ai bambini di andare in cortile, ma loro hanno deciso, invece, di giocare al computer”.

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