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Tra le ragioni per cui l’idea di salute più diffusa tra gli attori della cooperazione internazionale sia rimasta quella di standard minimo necessario per lo sviluppo sociale ed economico, vi è la difficoltà di dare una traduzione concreta alle proposte di Amartya Sen e di quanti hanno evidenziato la priorità della tutela dei diritti umani e delle libertà individuali rispetto allo sviluppo inteso come crescita economica. La salute degli individui e delle popolazioni così come i risultati e l’impatto dei programmi di cooperazione sanitaria, se considerati nella prospettiva della funzionalità, possono essere misurati utilizzando l’approccio e gli strumenti quantitativi biomedici classici, mirati ad individuare la presenza di condizioni patologiche nell’organismo umano. Se invece si intende la salute come ‘completo stato di benessere fisico, mentale e sociale’, tali strumenti si rivelano inadatti, e si rende necessario approntarne di nuovi. Tale necessità ha subito presentato difficoltà di ordine teorico ed empirico, se è vero che, in parziale contraddizione con la nozione di salute espressa nella sua Costituzione, negli anni Settanta l’OMS ha definito lo stato di salute (health status) di una persona o di una popolazione quello “accertato in base alla morbosità generale, alla morbosità per particolari malattie, alle misure antropometriche e alla mortalità”.291

289 Chimni, B., The Sen Conception of Development and Contemporary International Law Discourse:

Some Parallels, in “The Law and Development Review”, n.1, vol 1, 2008.

290 Già dagli “anni Settanta si cercarono dunque nuovi indicatori dello sviluppo: l’occupazione (rivalutata

nei problemi della disoccupazione nascosta e della sottoccupazione), l’eguaglianza (distribuzione interna e gap fra nazioni ricche e nazioni povere), l’eliminazione della povertà e il soddisfacimento dei bisogni fondamentali (con i concetti di reddito minimo e l’enfasi sullo sviluppo rurale)”. Bertazzon, M., Sviluppo

come obiettivo sociale: un alternativa al Pil?, Tesi di Master in Studi Interculturali presso l’Università degli Studi di Padova, settembre 2007, p. 2.

Tali aspetti erano correlati fra loro, anzi concatenati: dall’analisi sull’occupazione si passò alla ricerca di indicatori per il settore informale e da qui all’equità distributiva.

I critici dell’idea di salute introdotta dall’OMS hanno sostenuto che “la definizione dell’OMS, accolta quale vera e propria ‘scansione’ qualitativa in grado di rompere con i prevalenti referenti del passato, non è stata fatta oggetto di attente e successive riflessioni circa le implicazioni operative che dovevano trarsi in ordine all’esigenza di disporre anche di nuovi parametri di misurazione, oggettivi e significativi a un tempo”.292 Secondo tali autori, perché una definizione di salute potesse considerarsi operativa sarebbe stato necessario individuare “dei parametri oggettivi che stanno certo nel soggetto ma su cui vi è accordo tra lui e gli osservatori esterni. Occorre un referente

oggettivo che definisca, almeno in negativo, l’assenza di salute. E, in positivo, si riferisca ad un atteggiamento concretamente attivo da intraprendere (…)”.293 Proprio la necessità di individuare parametri oggettivi ha determinato il continuo riferimento all’uso di strumenti statistici per la misurazione dello stato di salute degli individui e delle popolazioni. “Le statistiche di mortalità e morbosità, il cui uso risale rispettivamente alla fine del XVII secolo e alla metà circa del XIX, non potevano non essere assunte (…) come primi indicatori classici per ‘controllare la salute pubblica’. Sin dalla loro introduzione (…) le statistiche furono usate quali elementi informativi in ordine a molti problemi inerenti la salute sia per analisi descrittive e per la verifica di ipotesi eziologiche, (…) sia per la determinazione della diffusione delle malattie anche con specifico riferimento a determinate popolazioni”.294 L’idea di salute come assenza e opposto di malattia non poteva che prevedere, per la misurazione delle condizioni di salute, di “privilegiare strumenti prevalentemente statistico-quantitativi e quindi

indicatori, appunto, di morbosità e mortalità”.295

Tuttavia, anche questi autori che hanno sostenuto la necessità dell’adozione di un parametro oggettivo per la misurazione della salute di individui e popolazioni hanno riconosciuto che ci sono “alcuni limiti intrinseci nell’utilizzo dei dati”296 statistici relativi alle condizioni di salute (o di non salute) degli individui: ad esempio, è stato riconosciuto che “la morte è di solito il risultato di un complesso di cause e che il sistema internazionale di codifica, costringendo ad enunciarne una sola, può produrre

292 La Rosa, M., Ricerca sociologica e conoscenza dello stato di salute della popolazione: ipotesi a

confronto, in Donati, P., La sociologia sanitaria, op. cit., p. 196.

293 Donati, P., L’integrazione dei servizi sociali e sanitari nell’ottica dei bisogni di salute per la loro

rilevazione e soddisfazione, in “La Rivista di servizio sociale”, n. 3, 1981, p. 4.

294 La Rosa, M., op. cit., p. 200. 295 Idem, p. 201.

statistiche non realistiche”.297 Sono stati così sviluppati indicatori che mirassero a realizzare valutazioni globali sullo stato di salute complessivo dei soggetti attraverso l’uso di più indicatori combinati per “la messa a punto di indici volti a misurare in modo

aggregato lo stato di salute nel suo complesso”.298 “Nessun indicatore, però [è in grado di] riflettere tutte le dimensioni che assieme possono andare a definire i concetti di

salute e di stato di salute”299, soprattutto se si intende cogliere attraverso misurazioni e parametri oggettivi la dimensione soggettiva della nozione di salute contenuta nella Costituzione dell’OMS. Ad essa corrisponderebbero strumenti di misurazione delle condizioni sanitarie cui sono affiancate le “statistiche demografiche, sull’occupazione, sul tenore di vita, sull’educazione e sull’uso dei servizi e delle risorse. Allo screening e agli indicatori sanitari, sociali, di salute ambientale e di natura oggettiva e ‘soggettiva’, si sono aggiunte nuove tecniche più specificamente sociologiche quali l’intervista e il questionario, a fini di indagini mirate a privilegiare gli aspetti qualitativo- interpretativi”.300

Anche la misurazione dello stato di salute di individui e popolazioni, alla luce della nozione di salute tanto come diritto alla libertà e all’autodeterminazione quanto come libertà fondamentale, secondo l’approccio delle capacitazioni proposto da Amartya Sen, ha però presentato notevoli difficoltà di attuazione. Tali difficoltà sono infatti considerate il principale limite della proposta del premio Nobel. Esse hanno spesso portato i pianificatori delle politiche pubbliche e dei programmi di cooperazione a preferire la nozione classica di salute opposta alla malattia e funzionale allo sviluppo individuale e collettivo. E’ il caso, ad esempio, dei programmi focalizzati e selettivi che, in aperta opposizione con le proposte di Alma Ata che saranno presentate in dettaglio nel prossimo paragrafo, si sono affermati durante gli anni Ottanta.