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Salute mentale

Si stima che nel nostro Paese, tra il 2015 e il 2017, siano 2,8

milioni coloro che hanno manifestato sintomi di depressione. I

disturbi ansioso-depressivi si associano a condizioni di svantaggio sociale ed economico: rispetto ai coetanei più istruiti, raddoppiano negli adulti con basso livello di istruzione e triplicano (16,6% rispetto a 6,3%) tra gli anziani, fra i quali risultano però meno evidenti, i differenziali rispetto al reddito53.

Nel 2016 circa 800 mila persone con più di 18 anni sono state prese in carico dai Dipartimenti di Salute mentale (DSM); negli uomini, i principali disturbi riguardavano lo spettro della schizofrenia e altre patologie psicotiche (DSM V), nelle donne i disturbi psicosomatici. I disturbi di depressione e ansia cronica

grave crescono con l’aumentare dell’età: il 5,8% riguarda la

fascia di età tra i 35-64 anni e il dato si porta al 14,9% (quasi il triplo), nelle persone sopra i 65 anni di età.

All’interno del tema sulle cure territoriali, la salute mentale è l’area più delicata da trattare, per la complessità del fenomeno in sé e per il modo in cui chiama in causa i servizi sanitari che spesso intervengono alla comparsa del sintomo, ma in misura

molto minore per realizzare attività di prevenzione dei disturbi

mentali e/o di promozione della salute mentale.

Nel 2016, le segnalazioni di questo tipo al PIT Salute sono state l’11,2% sul totale di quelle che hanno interessato l’assistenza territoriale. Analizzando il valore nel dettaglio, il 34,8% dei contatti ha avuto per oggetto il ricovero in strutture inadeguate alla cura della patologia... Inoltre per i cittadini sono insufficienti

i posti letto poiché i ricoveri sono effettuati o all’acuirsi dei

sintomi o quando, situazioni di comorbilità non offrono alternative alla persona.

Nel 12% delle situazioni, dopo i ricoveri motivati dal trattamento

sanitario obbligatorio (TSO), si segnalano pazienti “abbandonati”

dai servizi territoriali e con buona probabilità che su di loro gravino le precedenti situazioni causa di ricovero coatto; altri casi riguardano l’applicazione impropria della misura del trattamento sanitario obbligatorio.

Quando manca una rete di protezione socio-sanitaria, i cittadini segnalano l’insostenibile situazione in famiglia (21,7%); quest’ultima si fa carico della condizione di disagio del proprio familiare in completa “solitudine” e quindi nella più totale

assenza di tutela. Non entusiasma nemmeno il dato (17,4%) di

quando invece si accede al DSM/CSM la scarsa qualità delle cure erogate dalle strutture territoriali riguarda l’insieme dei servizi offerti, ivi compreso il rapporto umano con l’utenza, il tempo messo a disposizione dei pazienti, la frequenza delle visite di controllo e la qualità degli stimoli o delle proposte di terapia effettuate dai centri.

Tab. 31 – Segnalazioni ambito salute mentale

Anche quest’area dell’assistenza presenta varie problematiche (10,9%), relative alla mancanza di personale medico e

infermieristico,spesso aggravata dal numero di utenti sempre più

elevato.

Molto contenuto, ma degno di particolare attenzione, è il dato sugli effetti della cura farmacologica (3,3%) in cui la terapia è percepita come pesante e non adatta alla propria condizione; diversi studi hanno mostrato che molti pazienti presentano un significativo miglioramento clinico o raggiungono un livello accettabile di benessere psicologico se la terapia farmacologica

viene associata a sedute di psicoterapia o ad altri trattamenti

psicosociali54; sarebbe interessante conoscere quali e quanti

CSM/DSM offrano sistematicamente una terapia indicata nella più recente letteratura e quanti si limitano, attraverso il

farmaco,a sopprimere alcuni sintomi (come le allucinazioni)

senza “lavorare” su quelli che continuano a impedire al soggetto, nonostante il farmaco, di ricominciare a partecipare alla vita normale quotidiana. Nel 3,3% rientrano infine anche casi in cui

terapie alternative o complementari per aumentare il benessere

del paziente, non sono contemplate e di conseguenza non vengono erogate poiché le ASL non hanno fondi o personale a disposizione.

Conclusioni

L’assistenza territoriale e la riorganizzazione delle cure primarie sono temi di cui si discute da molto in Italia ma che stentano a essere tradotti in pratica se non in modi e tempi completamente differenti dalle Regioni. Il Paese sta affrontando un’elevata incidenza delle malattie croniche legate all’invecchiamento della popolazione ed emergono nuovi bisogni di salute e di assistenza che rendono necessario un impegno concreto.

La legge “Balduzzi” (L. 189/2012) ha proposto un’assistenza sociosanitaria attraverso le Aggregazioni funzionali territoriali (AFT) e le Unità complesse di cure primarie (UCCP) e il panorama dell’assistenza territoriale inizia marginalmente ad essere compreso. Le situazioni sono ancora in continuo mutamento ma aumenta il numero delle Regioni che volgono

verso la direzione indicata dalla legge e dunque verso lo

sviluppo di due uniche forme aggregative sul territorio.

Diversi ritardi e la forte disomogeneità sul territorio si sarebbero potuti risparmiare se fosse stato definito un “DM 70 del

territorio” quantomeno per superare l’eterogeneità di

nomenclature usate per indicare i servizi e per chiarire bene standard quantitativi e qualitativi.

Un servizio sanitario nazionale altamente decentralizzato comporta modelli organizzativi e risultati diversi, tuttavia va riconosciuto ad alcune Regioni lo sforzo intrapreso, tanto che l’Emilia Romagna è uno storico riferimento del modo in cui sia possibile attuare una riorganizzazione delle cure primarie. Vale così per alcune altre Regioni ma non è abbastanza se poi, la capacità di risposta del sistema ai bisogni di cura, dipende sostanzialmente dal luogo in cui un cittadino risiede.

Occorre una costante attenzione politica, dando un seguito

all’impulso del DM70/15, al Patto per la Salute e al Piano

Nazionale della Cronicità: per scongiurare il rischio che tutto

cambi ma nulla di fatto cambi per il cittadino.

La riorganizzazione ha riguardato anche l’accorpamento delle Aziende Sanitarie Locali le quali, ormai da qualche anno, erogano i servizi di assistenza territoriale anche attraverso il

ricorso al privato o con sistemi misti: caso ricorrente è quello

delle cure domiciliari. Al ruolo dei distretti si è fatto soltanto qualche accenno, poiché una raccolta sistematica dei dati è stata complessa a causa di lacunose informazioni: il loro ruolo resta comunque fondamentale ogni qualvolta si faccia riferimento all’integrazione sociosanitaria.

Il processo di riconversione degli ospedali è ancora lento, prendere in carico i cittadini sul territorio significa investire

ovunque in strutture post-acuzie, residenziali e semiresidenziali

ma l’offerta di servizi sul territorio non è omogenea e non in linea; esempio calzante quello dei Centri diurni per malati di Alzheimer. Poche strutture equivale a moltiplicare i disagi dei cittadini i quali debbono affrontare spostamenti potenzialmente evitabili.

Dentro le mura domestiche e dunque sull’assistenza domiciliare,

è consigliabile lavorare sul supporto alle famiglie, sulla “formazione/supporto alle competenze” e sull’educazione al self management. È opportuno inoltre conoscere in quale modo i bisogni di tale delicata fascia di pazienti si siano evoluti: si vorrebbe poter contare sull’operatore socio-sanitario ma anche sullo psicologo e su altre figure come il nutrizionista e/o il dietista.

La tempestività nell’attivazione del servizio di cure domiciliari deve essere semplificata al massimo, così come va migliorato l’accesso a strumenti indispensabili per la cura come protesi,

ausili, farmaci. È emerso infatti che alla soluzione di tale

problema il cittadino provveda di tasca propria. C’è bisogno in generale di ampliare l’organico dei professionisti: per esempio, un fisioterapista in più garantirebbe l’incremento dei minuti dedicati alla fisioterapia.

E ancora, nei Centri di Salute Mentale un congruo rapporto psicoterapeuti/utenti contribuirebbe a supportare terapie più efficaci come da recente letteratura scientifica. La Salute Mentale è un ambito talmente complesso e delicato che modifica non solo la condizione psico-fisica del paziente ma anche quella dei familiari che ruotano intorno a lui. Anche per questo, gli interventi possibili non devono essere vissuti come un “privilegio” semmai come un impegno a evitare che si persegua la “cultura

dello stigma” e quella che tende a considerare i pazienti e i

servizi come un qualcosa di “diverso” o residuale rispetto all’intero orizzonte possibile dell’assistenza territoriale.

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