Da Le relazioni
La loro insonnia
a Elena I
Occhi che erano brillanti e una patina di solitudine sui denti. I diamanti tagliano il viso a un tavolo da dodici.
Dopo le letture e dopo i cocktail – i bicchieri erano appropriati, ci porteranno a odiare la menta e il basilico,
a ordinare oltre il possibile (forse mercurio con rosmarino)
ma avremo sempre qualcuno
accanto
che per le ascelle ci prende e ci infila in un taxi togliendoci la morte dalle scarpe.
II
Devi stare a sentire.
(Elio non poteva sapere, avremmo avuto in comune il nome di una donna, una bionda).
Non farmi più morire
di paura. Siamo ricche di niente (capitana senza divisa
Elena insegna come spendermi per l‘inessenziale). Ora tu però – prendi questa coperta bianca – devi solo dormire.
III
Adesso l‘età ti permette
un profumo francese sulla sciarpa, una spilla sulla giacca. Prima o poi dovrai farti vedere
quelle cicatrici da chi se ne intenda. Non dico il tuo psichiatra ma qualcuno che capisca
come funziona la pelle
IV
Non è vero che cade sabbia. Stanotte ha piovuto senza vento. (No, non era Libeccio).
Acqua che non lava ma sporca
sul terrazzo o sul tettuccio. E se resta il terriccio da pulire sul balcone
credi di avere così tanta confidenza con il deserto
per maledirlo?
Commenti il meteo in ascensore, non sai nemmeno il nome dell‘uomo del quarto piano.
(«che fine ha fatto il suo fidanzato, il magrebino?» «Novanta per cento parigino – avrei chiarito – e un dieci Tamazigh, parlava cinque idiomi e un lingua privata
di casa beveva e fumava il berbero del Rif, otto anni
meno di me, devo pensare al futuro adesso, non ho più tempo») Le cose che tra vicini non si chiedono.
V Sì.
Ha ragione Lei, signore.
La notte salgo e scendo le scale
smuovo l‘armadio, il divano, il secretaire. Sì.
Di notte lavoro al muro con il martello, il maleppeggio lascio accesa la luce della cucina fino all‘alba – un faro che non punta a largo ma appiompo per accecare l‘insonnia dell‘invalida. Io la notte la passo così.
Alle dieci di venerdì ero già senza sogni
coperta sul divano fino al collo.
Sul canale 8 davano clown, mentalisti e comici. Ho cominciato a spostare le mattonelle
in forma di puzzle.
Facendo il rumore della notte.
umore immobile.
VI
Io esco, ho detto.
Poco dopo avrebbero servito il pranzo.
Emily stava seduta con Carlo sul lettino di prima urgenza
senza coperta. Ci incontreremo ancora ma non nel fiume.
We will meet again, but not in the river. Baldanzosa nella tenuta da cavallerizza:
stivali di cuoio, gilet, cappello irlandese, due quaderni di appunti e foto del matrimonio del fratello.
Emily ne fuma almeno quaranta,
la mattina sparge crema sul viso fino alle orecchie (qui non abbiamo specchi, né cinte, né pinzette) Ma lei sa cantare, e canta all‘improvviso.
Per uscire. Emily è stata presa.
Voleva morire facendo la muleta contro un parcheggio di macchine, armata di un cappotto di tweed. Disegna spirali su carta da pacchi. Sa che non hanno senso
(pennarello giallo su marrone) ma disegna giallo e ancora giallo io
non la capisco.
E non ci vedremo più.
VII
I rumori della notte non hanno firma. Di cosa mi state accusando.
Le sirene fischiano via veloci, un cane abbaia la bambina non riesce a prendere sonno. Le serrande del panettiere andrebbero oliate quel rumore insopportabile di ferrame. Smettetela di fare questo pane.
Qualcuno vi ruba il sonno
qualcuno vi veglia al fallimento.
Di notte restate in piedi, dietro la porta. Rancore
e rimpianto non vi trovano un canto.
(questa era facile, ammettiamolo). Fate la guardia con una vestaglia.
La vita vi lascia lo spioncino sul portone il medico per le ricette, mobilio di formica e una poltrona di velluto impolverato.
Il tempo si è fermato a quando avevate pensato senza dirvelo, a un divorzio.
La cena delle diciannove per digerire. Le notizie del naufragio vi danno ragione.
(mangiate sciapo – e quanto costa il tecnico della caldaia?) ci vorrebbe una peste, un nuovo
diluvio universale. Siamo o non siamo
in guerra? Non avete pietà per quelli che la notte non dormono per quelli che la notte affondando nella notte. La vostra insonnia è un lavoro volontario. L‘odio si impara con pazienza, una scuola serale
con disciplina e onore su un autobus – solo posti in piedi, un centro commerciale, una fila
inaspettatamente lunga all‘ufficio postale.
**
Vegetalization Vernissage
Le piante crescono voraci tra i binari della Centrale. Il paesaggio vegetale ricopre
il passaggio umano. Prima degli avventori, prima degli esperti
gli scatti rubati
nella zona proibita di Fukushima.
Lui forse buddista, io – temo – materialista dialettica. Le foglie divorano la teoria: è certo che noi alla natura siamo indifferenti.
Alla lunga tutto il male (anche quello cercato
con cognizione) è soggetto alle leggi dell‘impermanenza.
Può anche diventare bellezza ma nessuno starà a guardare lo spettacolo che viene – se viene –
dopo la nostra distruzione.
―esempio di trasformazione incessante, anche nella catastrofe:
trasformazione indifferente all‘occhio umano‖ mi viene in mente solo dopo, quando tutto è passato
il vino sloveno finito.
*
Powerstation (Krško) Per intenderci
dobbiamo affidarci a ideogrammi, dita
puntante in alto: pensa, oggi abbiamo una lettura sotto questa centrale nucleare.
Mizuho canta una poesia giapponese. Le unghie piccole dei bambini
– chi ha il coraggio di tagliarle? – Oppure quelle unghie tenere
si sfaldano da sole
a contatto con l‘aria di Tomioka. Mizuho non so esattamente cosa dica. 26 aprile 1986.
I mesi, le settimane, i giorni successivi
(il nome esatto dell‘impianto era Lenin) c‘era la certezza che dalla finestra il mondo sarebbe disapparso,
all‘improvviso spento in un risucchio bianco.
Poi più nessun noi
poi più nessun domani. E invece ci sarebbe stato un giorno dopo.
– teste informi a mucche e agnelli – Le cose sarebbe cresciute
diversamente da come le avevamo conosciute.
*
Le Letture
Pensavo fosse uno sciocchino, quel poeta finlandese – com‘era il nome? – sempre a parlare dell‘ex moglie come causa della sua rovina. Mi sono ricreduta quando ha detto:
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A Lussemburgo perdo lo zuccotto di Cracovia.
Lo ritrovo camminando a ritroso tra le vie delle banche sotto i tetti di ardesia. Ho anche la morale
per rallegrare la cena informale all‘ambasciata. «Trova qualcosa solo chi guarda a terra» (il motto va detto distrattamente
di modo che sembri un‘emozione vera, da poeta)
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Faceva la scontrosa e invece Venus Khoury Gata mi regala una copia delle sue Ortiche.
Con i denti strappa una striscia
di nastro adesivo e incolla un capello rosso sotto quattro versi a pagina ventuno:
Parla tanto per parlare
Il suo silenzio potendo essere male interpretato Far credere di essere morta
Parla per riempire la pagina.
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Per colazione ci viene offerta un‘aringa cruda pane al burro, biscotti alla cannella
un infuso caldo – il Rojbos [aspalathus linearis] importato dai coloni olandesi sudafricani – che fa molto bene a non so cosa
perché non contiene caffeina.
Prima della lettura, al porto vecchio di Rotterdam [Oudehaven] nel trasbordo dal gozzo alla terraferma perdo una sandalo nell‘acqua
– suppongo volendo inscenare un evento eccitante, accidentale
nel liquido addormentato del canale.
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Allineare i dorsi dei libri sugli scaffali.
Dividere i calzini per colore, i maglioni per spessore. Separare i pacchi aperti di pasta da quelli sigillati (dividerli per formato, poi tra lisci e rigati). Sintonizzare i canali, anche quelli
Assegnare funzioni definitive ai ripiani del frigo. Svuotare il posacenere ogni sette sigarette. Cancellare le icone inutilizzate.
Lavare i denti assicurando agli incisivi almeno tre passate di spazzolino. Addormentarsi avviando
la deframmentazione.
Ti ho osservato: tu sei tra quelli che il metodo è fare ordine nelle piccole cose di modo che le grandi
restino confuse.
Notizia.
Sara Ventroni è nata a Roma nel 1974. Ha pubblicato l‘opera teatrale Salomè (No Reply, 2005);
Nel Gasometro (Le Lettere 2006, finalista Premio Delfini; Premio Napoli 2007; presso Korrespondenzen, a Vienna, è uscita la traduzione tedesca Im Gasometer); La sommersione (Aragno, 2016). Suoi racconti sono presenti in varie antologie (Sono come tu mi vuoi, Laterza 2009; A occhi aperti, Mondadori 2008). Le sue poesie sono tradotte in inglese, tedesco, sloveno, spagnolo, croato e albanese. È tra le fondatrici del movimento di donne Se non ora quando? È stata editorialista dell‘Unità. Collabora con la Fondazione Istituto Gramsci e con l‘Archivio storico delle donne.