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Capitolo 3. Trasmettere la medicina cinese agli studenti internazionali:

3.3. Lo scarto

Ogni volta che sentivo pronunciare la frase “maybe this is difficult for you to understand” non potevo non riflettere sul significato profondo di queste parole. Che cosa significa “understand” in questo contesto?

A questo proposito, ricordo una discussione nata con i miei compagni del preparatory

program dopo una lezione in cui il professore introduceva il concetto di meridiani12. Durante questa lezione, che si svolgeva interamente in lingua cinese, avevo notato l’espressione di smarrimento sul volto della mia compagna Nalia. Rispetto al resto della classe, formata da ragazzi che parlavano correntemente cinese13, condividevo con lei alcune difficoltà linguistiche e comprendevo lo sforzo cognitivo al quale era sottoposta in quel momento. Tuttavia, contrariamente a lei, la mia conoscenza della medicina cinese mi aiutava a colmare alcune lacune linguistiche, riuscendo così a seguire il complicato discorso dell’insegnate. Al termine della lezione, curiosa di farmi rivelare il motivo di quella espressione enigmatica, chiesi quale fosse l’origine della sua perplessità. Nalia mi spiegò preoccupata che le sue difficoltà linguistiche erano passate in secondo piano, poiché, in quel momento era concentrata a capire a cosa si riferisse il professore quando parlava di meridiani. Nalia, nata in Madagascar, ha frequentato, fin da piccola, scuole francesi e si è ritrovata a Pechino insieme ai suoi cugini, poiché il padre, proprietario di una farmacia, ha espresso il desiderio

12 I meridiani sono “canali” che attraversano il corpo e nei quali scorre il qi.

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che lei continuasse il suo lavoro prendendo in eredità il negozio. Nalia, fino a quel momento non era mai entrata in contatto con i concetti della medicina cinese. Mentre cercavo di aiutarla a capire i punti fondamentali della lezione, traducendoli in inglese, si avvicinò Samy, la nostra compagna malesiana. Chiesi a Samy se anche lei avesse avuto problemi a comprendere il concetto di meridiani, dato che anche per lei era la prima lezione su questi temi. Ed è qui che Samy mi spiegò il suo punto di vista sulla situazione, utilizzando una metafora che ha suscitato in me numerose riflessioni. Samy disse che lei, nonostante non avesse mai studiato medicina cinese, sapeva che cosa fossero i meridiani ma non si era mai confrontata con questo concetto prima d’ora e capiva benissimo perché Nalia si sentisse disorientata, dicendo:

“Io so cosa sono i baozi14, ma non li so cucinare. Lei sa cosa sono le baguette, ma non le sa cucinare. Io non so cosa sono le baguette e non le so cucinare. Quindi, io so cosa sono i meridiani perché ho origini cinesi e parlo cinese, ma non ho mai studiato il concetto” (Samy, nota sul quaderno, 16/10/2018, tradotto dall’inglese).

Anche Wiseman (2001), come Samy, utilizza una metafora tratta dal mondo del cibo per spiegare le dinamiche che intercorrono nel processo di trasmissione della medicina cinese agli studenti occidentali. Egli, nel suo articolo, fa notare come imparare a preparare delle pietanze tipiche della cucina italiana trasferendosi in Italia, imparando anche a parlare un po' di italiano, sia ben diverso da cucinare un piatto italiano seguendo una ricetta adattata ai gusti del luogo in cui ci si trova in quel momento; come, ad esempio, i “macaroni cheese” che cucinava sua madre in Inghilterra (Wiseman, 2001). Così, secondo Wiseman (2001), la medicina cinese trasmessa agli occidentali prende le sembianze di un piatto asiatico adattato alle loro esigenze e ai loro gusti.

La frase pronunciata da Samy mi ha aiutata a portare alla luce un nodo cruciale che emerge quando si parla di trasmissione cross culturale del sapere, ovvero, la presenza costante di un vuoto, di una distanza da colmare che sta alla base del concetto stesso di trasmettere, inteso come un passare di mano in mano, consegnare, tramandare. Nell’azione stessa del trasmettere, infatti, si percepisce questo salto, amplificato qui dal fatto che si tratta di tramandare un sapere, la medicina cinese, che ha avuto origine nel passato storico, culturale e filosofico del territorio cinese, a studenti provenienti da ogni parte del mondo. Jullien (2014) suggerisce di chiamare questo divario, che di solito è riconosciuto con il nome

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di differenza culturale, “scarto”. Egli critica l’uso del concetto di differenza posto in relazione alla diversità culturale, a favore del termine scarto, in quanto, così facendo, ci si allontana da un confronto con l’identità, che è implicitamente connessa al concetto di differenza. Differenza e identità sono strettamente legate sia da un rapporto semantico, in quanto sono contrari, sia perché “la finalità della differenza è proprio quella di identificare” (Jullien, 2014, p. 38). Secondo Jullien (2014), inoltre, non è possibile parlare di identità culturale, in quanto la cultura non è mai uguale a se stessa, ma è in continuo mutare. Altrimenti si parlerebbe di cultura morta. La differenza inoltre, presuppone un confronto implicito che mira a colmare un vuoto, un identificare le differenze solo per scoprire le mancanze dell’Altro e integrarle. Dal punto di vista metodologico, parlare di differenze sarebbe problematico, in quanto:

Stabilire delle differenze suppone il fatto che io pretenda di installarmi in una posizione dall’alto, o per lo meno di esteriorità, a partire dalla quale io possa «disporre» degli elementi tra il medesimo e l’altro, tra l’identico e il differente, e li possa così comparare. Ora, quale sarebbe questa esteriorità – questa extra-territorialità culturale – di cui potrei beneficiare e da cui potrei allineare le cose davanti a me per confrontarle? Dove mai situarla? Anch’io infatti appartengo a una cultura, ovviamente (Jullien, 2014, p. 26).

Parlare di scarto, secondo Jullien (2014), vuol dire invece separare con una distanza che permette di aprire uno spazio di riflessione, senza presupporre “l’esistenza di un genere comune alle spalle” (Jullien, 2014 p. 27). Scarto è qui inteso come lo descrive Jullien (2014): uno spazio che posso aprire tra due entità in virtù di uno spostamento. Nasce così, non una visione dall’alto, ma una visione reciproca. Concepire tale scarto solamente come un divario, un gap tra differenti tipi di razionalità, sarebbe infatti riduttivo, in quanto, tale vuoto costituisce in qualche modo la condizione sine qua non dell’incontro tra questi due mondi. Durante le lezioni di medicina cinese alle quali ho partecipato, infatti, la consapevolezza di tale distanza era spesso utilizzata come spunto per intraprendere nuove discussioni o utilizzata per dare vita a nuove conoscenze in modo contrastivo. “La distanza ontologica” insomma diventa così “il luogo della comprensione e dell’interpretazione” (Borutti, 1999, p. 166). La trasmissione di sapere avviene proprio dentro a questa distanza, percepibile come un terzo luogo che si è venuto a creare nel triangolo che univa la mia doppia presenza in quanto studentessa e antropologa, gli studenti e le conoscenze mediche che si concretizzavano nella figura dei professori. L’intraducibile ontologico, si è venuto a configurare così come un concetto utile su un duplice piano: quello teorico-metodologico che riguarda l’incontro dell’antropologo con l’Altro, ma anche per meglio spiegare il

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rapporto che intercorre tra il sistema di pensiero sotteso alle teorie della medicina cinese e quello proprio degli studenti internazionali.

Ritornando al ruolo che tale scarto appena descritto riveste nel processo di trasmissione della conoscenza, si può ancora dire che è proprio in virtù di esso che, durante le lezioni, venivano poste in essere alcune delle principali strategie di trasmissione pensate dai professori per facilitare l’apprendimento. Le lezioni rivolte agli studenti internazionali erano, infatti, strutturate in modo tale da colmare questo scarto. Dopo aver constatato, frequentando le attività proposte nelle classi dell’università, che tale discrepanza generava delle questioni molto sentite da studenti e insegnanti, ho portato la mia attenzione sul processo di trasmissione della medicina cinese all’interno delle classi in modo da analizzare in modo critico proprio le strategie con cui gli insegnanti tentavano di colmare tale vuoto e di superare questo gap. Questo tipo di analisi fa emergere come la medicina cinese venga manipolata per essere adattata al contesto nel quale viene trasmessa. Come già descritto, Elisabeth Hsu (1999) ha esplorato le variazioni dei termini chiave della medicina cinese, sostenendo che il modo e il contesto in cui essi vengono trasmessi influiscono sulla loro definizione e sul loro apprendimento. Le modalità con cui vengono trasmessi i termini e le teorie della medicina cinese contribuiscono a dare una nuova forma a questo sapere. Se diamo per assodato il fatto che trasmettere un sapere significa costruire un sapere, la scelta delle modalità con cui vengono trasmesse le conoscenze relative alla medicina cinese si ripercuote di fatto sul corpus di conoscenze stesso, rendendo rilevante l’analisi degli effetti che questa trasmissione cross culturale ha sulle conoscenze relative alla medicina cinese in quanto sapere scientifico.

Nel documento ANNO ACCADEMICO 2019-2020 Dipartimento di (pagine 59-62)