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SCATTA IL RIMBORSO DELL’IRAP IN FAVORE DEL PICCOLO PROFESSIONISTA CHE HA LO STUDIO IN AFFITTO

Nel documento Associazione Nazionale Donne Geometra (pagine 95-98)

Corte di Cassazione, Sezione II, Sentenza n. 8880 del 18 aprile 2011

In tema di compravendita, la facile riconoscibilità dei vizi che esclude la garanzia ex art. 1491 c.c. presuppone che essi siano tali al momento della conclusione del contratto, per cui la citata norma non opera quando la consegna della merce è successiva alla stipula del contratto. In caso di vizi apparenti della cosa venduta, il termine di otto giorni per la denuncia decorre dal giorno di ricevimento del bene, mentre per gli altri vizi, ovvero per quelli non rilevabili attraverso un rapido e sommario esame della cosa, tale termine decorre dal momento della scoperta, che ricorre allorché il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva dell'esistenza del vizio.

SCATTA IL RIMBORSO DELL’IRAP IN FAVORE DEL PICCOLO PROFESSIONISTA CHE HA LO STUDIO IN AFFITTO

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Corte di Cassazione, Sentenze n.10721 e n.10295 del 10 maggio 2011

Con le sentenze in esame, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’amministrazione finanziaria che aveva rifiutato il rimborso dell’Irap a due medici convenzionati che, oltre a non possedere un’autonoma organizzazione, avevano affittato lo studio. Come sempre avviene dalla sentenza 3680/07 la sezione tributaria del Palazzaccio ha aggiunto pochissimo al principio enunciato sull’Irap centinaia di volte e che va a coprire un evidente vuoto legislativo. Ma spesso in queste circostanze, la casistica può dare una grossa mano al professionista. Sapere dunque, che anche la mancata proprietà dello studio aiuta il piccolo ad ottenere il rimborso diventa importante. La prima parte delle due motivazioni è quasi una fotocopia: «a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, coma 1, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, - si legge in sentenza - l'esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all'art. 49, comma primo, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall'applicazione dell’imposta soltanto qualora sí tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della

“autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse. Gli impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerunque

Associazione Nazionale “Donne Geometra www.donnegeometra.it accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui;

costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell'assenza delle condizioni anzidette». Ma le pronunce non sono così banali.

Hanno un interessante comune denominatore. In entrambe i casi il professionista lavorava in uno studio in affitto, con mezzi contenuti. Insomma un elemento in più per chiedere il rimborso.

IL FISCO BATTE IL SEGRETO BANCARIO PURE SENZA “PERMESSO” GIUDIZIARIO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Corte di Cassazione, Sentenza n. 10573 del 13 maggio 2011

La Corte di legittimità, con la sentenza in esame, ha nuovamente affrontato la rilevante questione del valore da attribuire alle risultanze delle indagini bancarie in assenza della relativa autorizzazione, applicando – nel rigettare l’opposizione del contribuente – una serie di principi di diritto consuntivati nell’espressione che nessun segreto può essere opposto a un accertamento tributario, anche se la verifica è sui conti del collaboratore dell’imprenditore.

In particolare, la Cassazione rileva al riguardo che, secondo il proprio percorso interpretativo, la mancanza dell’autorizzazione, prevista ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio – valido nel procedimento penale – dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico(Cassazione, sentenze 7279/2009 e 4987/2003).

Inoltre, la stessa prassi giurisprudenziale ha chiarito che l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancata produzione o riproduzione testuale dell’autorizzazione non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cassazione, sentenze 857/2010, 17746/2006 e 28695/2005). Peraltro, il contribuente è incorso in un grossolano equivoco difensivo, atteso che nella specie non occorreva l’autorizzazione (articoli 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973 e/o 51, comma 2, n. 1), del Dpr 633/1972) necessaria per le indagini finanziarie poste in essere dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di finanza, bensì soltanto quella – prevista dai richiamati articoli 33, comma 3, del Dpr 600/1973 e/o 63, comma 1, del Dpr 633/1972 – del procuratore della Repubblica per la trasmissione agli uffici finanziari della documentazione acquisita nell’ambito di un processo penale. Tanto più che nel caso trattato non necessitava neppure quest’ultima per la sopravvenuta depenalizzazione della violazione, che rendeva insussistenti le superiori esigenze di riservatezza e carente di ogni potere l’autorità

Associazione Nazionale “Donne Geometra www.donnegeometra.it giudiziaria. Né tale mancanza ha procurato un “concreto pregiudizio al contribuente” (Cassazione, sentenze 18836/2006, 14023/2007 e 16874/2009).

In tal modo, svincolati da qualsiasi altro ostacolo, rivivono gli ordinari poteri di accertamento che consentono all’Amministrazione finanziaria (nell’ambito descritto dagli articoli 39 del Dpr 600/1973 e 54 e 55 del Dpr 633/1972) di poter ricostruire la posizione reddituale del contribuente sulla base di tutti gli elementi che, a qualsiasi titolo e a prescindere dalla fonte di provenienza, siano stati legittimamente acquisiti all’istruttoria.

Conti intestati a terzi

In tale contesto, non può neppure costituire impedimento la lamentela del contribuente circa l’utilizzazione dei riscontri su conti intestati a soggetti terzi, in quanto, ai fini fiscali, sono valide le ispezioni sul conto di un collaboratore dell’imprenditore, nonostante la revoca dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Infatti, sia la prassi amministrativa (circolare 32/2006) sia la giurisprudenza consolidata tollerano ispezioni sui conti dei familiari del contribuente, anche in mancanza di un’espressa previsione normativa, per cui risulta ormai fuor di dubbio l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi”, ossia di soggetti non direttamente interessati dall’attività di controllo, ma sui quali il soggetto passivo d’imposta possa operare.

In particolare, è stato deciso che, a norma dell’articolo 32, comma 1, n. 7), del Dpr 600/1973, gli uffici finanziari, previa autorizzazione della direzione regionale delle Entrate, possono acquisire dagli istituti di credito non solo copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente (con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi) e ulteriori dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, bensì anche analoghe indicazioni relative a ogni altro soggetto. Questo quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente è l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati a tale diverso soggetto (Cassazione, sentenze 8683/2002, 374/2009, 21454/2009 e 5913/2010).

E’ stato poi affermato (Cassazione, sentenze 8507/2010 e 16062/2010) che l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.

In sostanza, nell’ambito degli accertamenti finanziari, la presunzione del denaro affluito nei conti rimane fondata se non viene adeguatamente giustificata mediante la “prova di estraneità” (Cassazione, sentenze 27032/2007 e 5913/2011).

Il pregio della sentenza 10573/2011 consiste, quindi, nel fatto che la Corte, ampliando la casistica, fa un altro passo avanti ammettendo l’ispezione anche sui conti dei collaboratori.

Né, ha aggiunto, la tutela del segreto bancario può ostacolare l’accertamento di illeciti tributari. Un’affermazione in linea con la posizione assunta dalla Corte

Associazione Nazionale “Donne Geometra www.donnegeometra.it costituzionale (sentenza 51/1992), secondo cui la tutela del segreto bancario non può spingersi fino a costituire ostacolo o intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come l’accertamento degli illeciti tributari, costituenti ipotesi di particolare gravità in quanto rappresentano violazione di un dovere inderogabile di solidarietà. La Consulta, con la richiamata sentenza, ha precisato che il paradigma di garanzia proprio dei diritti di libertà personale è inapplicabile al segreto bancario, non essendo alla base di quest’ultimo valori della persona umana da tutelare, ma più semplicemente istituzioni economiche e interessi patrimoniali.

Infine, nelle stesse motivazioni, il Collegio di legittimità ha ricordato che, sia nel diritto interno sia nel sistema comunitario (articolo 17 direttiva 77/388/Cee), il contribuente non può detrarsi l’Iva assolta su operazioni elusive, in quanto volte a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale e autonoma ragione economica giustificatrice delle operazioni economiche che, perciò, risultano eseguite in forma solo apparentemente corretta (Cassazione 10352/2006).

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