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Una scelta in controtendenza

I. 3 1 Il valore che il divieto di double jeopardy ha nel

IV.4 Una scelta in controtendenza

Alla luce di quanto emerso, nel corso dell'intera trattazione risulta distonico o quantomeno in controtendenza il nuovo decreto legge 17 febbraio 2017, n.13 che reca: “Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale”,

entrato in vigore il 18 febbraio del 2017134 e ad oggi si trova all'esame

delle commissioni del Senato per la conversione in legge. Ovviamente siamo difronte ad una materia quale quella relativa all'immigrazione, che esula dall'oggetto del presente lavoro, ma non per questo meno interessante e indicativa.

Il testo in questione è intervenuto cambiando la procedura di riconoscimento di rifugiato politico, a seguito di una situazione che potremmo definire di emergenza, divenuta ormai insostenibile. A fronte infatti, del sempre più crescente numero di impugnazioni del diniego amministrativo dello status di rifugiato, che in soli dieci mesi, da gennaio ad ottobre 2016, hanno dato luogo a quasi trentotto mila nuovi procedimenti davanti ai tribunali, il governo ha così reagito. Il decreto legge, conosciuto anche come “pacchetto Minniti”, dal nome dell'attuale Ministro dell'interno, introduce importanti novità in tema di immigrazione, ma per ciò che qui maggiormente interessa, due essenzialmente sono le novità più controverse che caratterizzano il procedimento. La prima è che, il procedimento è trattato in camera di consiglio tendenzialmente non partecipato, vale a dire con contraddittorio di regola scritto e dunque la fissazione d'un udienza è solo eventuale, con evidente pregiudizio per

il principio della pubblicità del giudizio, dalla tendenziale esclusione del contatto diretto tra il ricorrente e il giudice con ulteriore menomazione del diritto di difesa riconosciuto al richiedente asilo135.

La seconda novità -che sembra presentare le maggiori criticità e contraddittorietà- è l'eliminazione tout court di un grado di giudizio: il decreto infatti non sarà appellabile ma solo suscettibile di ricorso in Cassazione136. Tale previsione che si aggiunge alla quasi assenza di

contraddittorio, che diviene dunque solo virtuale, si pone in aperto contrasto con quanto sostenuto e portato avanti seppur in altro contesto dallo stesso legislatore italiano, nel d.d.l n. 2067 in esame al Senato, che vede come irrinunciabile il secondo grado nel merito, con ulteriore rafforzamento del principio del contraddittorio prevedendo la rinnovazione probatoria in appello. Nel decreto legge in oggetto, per velocizzare i tempi, per il riconoscimento del diritto di asilo, si opta per quello che da nessun'altra parte del sistema processuale si prevede e cioè si toglie un grado di giudizio, l'appello, per chi ha visto la propria istanza rigettata in primo grado. Nel comunicato alla Presidenza il 17 febbraio 2017, presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri

135 A. COSENTINO, L'Anm della Cassazione sul D.L. n.13/2017, in materia di

protezione internazionale e di contrasto dell'immigrazione illegale, in Questione Giustizia, 18/03/2017

136 Cfr. G. NEGRI, Status rifugiati senza appello, il sole 24 ore, 20 febbraio 2017, www.ilsole24ore.com.

Gentiloni di concerto con i ministri di Giustizia e dell'interno, viene specificato che l'abolizione di un grado di giudizio, quale l'appello non risulta in contrasto con l'art 6 della CEDU, essendo pienamente compatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea. Non risulterebbe in contrasto con il “modello internazionale” di giusto processo rappresentato dagli art 5 e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: neppure il venir meno della garanzia dell'udienza orale, garanzia che invece secondo l'interpretazione della Corte Edu risulta essere ineludibile per i soli processi penali. Per quanto attiene invece, all'inappellabilità dell'ordinanza e dunque all'abolizione di un secondo grado di giudizio, la Corte di giustizia europea ha avuto modo di chiarire con la sent. c-69/10, causa Samba Diouf, che il diritto ad un ricorso effettivo, non dà diritto ad un certo numero di gradi di giudizio. Si specifica inoltre nel comunicato di accompagnamento al decreto di conversione del ddl S. 2705, che le norme europee relative a tale materia, obbligano gli Stati membri ad assicurare un ricorso effettivo “quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado” non facendo dunque nessun riferimento al giudizio di secondo grado137.

Peraltro un gran numero di sistemi di impugnazione degli stati membri tra cui Francia, Spagna e Regno Unito riservano invece l'esame in fatto e in diritto esclusivamente al primo grado d'impugnazione. Viene esplicitato altresì che la stessa Corte europea ha ribadito che le garanzie tutelate all'art 6 della CEDU, non debbano trovare attuazione in ogni circostanza ma che anzi possano incontrare restrizioni in caso di procedure per il riconoscimento dell'asilo e del soggiorno dello straniero138. Nonostante le premesse e

le rassicurazioni sopracitate, siffatto decreto, ha immediatamente suscitato perplessità e malcontenti diffusi sia da parte dei mas media, che hanno definito tali previsioni anti-progressiste e certamente non democratiche139, sia dall'associazione nazionale magistrati.

Il cosiddetto piano immigrazione presentato dal ministro Marco Minniti è stato infatti duramente criticato dall'Associazione nazionale magistrati, la quale ha espresso “fermo e allarmato dissenso”. In particolare l'Anm critica la parte relativa all'implementazione e l'accelerazione appunto delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale. Dunque tale decreto legge provoca l'effetto di una

138 CO.D.U., grande camera, sentenza 5-10-2012, causa n. 39652/98, case of Maaiova vs. France, in www.coe.int.

139 In proposito, P. GONNELLA, Il pacchetto Minniti calpesta i diritti, Il Manifesto, 12 febbraio 2017.

esclusione del contatto diretto tra il ricorrente e il giudice, rendendo residuale la comparizione delle parti, destando inevitabili dubbi di legittimità dovuti essenzialmente al mancato rispetto del principio di pubblicità delle sentenze statuito a livello costituzionale e sovranazionale all'art 6 della CEDU. Ancor più irragionevole risulta senza dubbio la non reclamabilità alla Corte d'appello del decreto decisorio del tribunale: in questo modo si “tolgono diritti”140.

L'Associazione nazionale magistrati inoltre, afferma che

<<nonostante vi sia una situazione limite caratterizzata da flussi di

richiedenti protezione internazionale mai visti, e nonostante l'appello stesso non trovi a differenza del ricorso in Cassazione formale copertura costituzionale, tale scelta di eliminare del tutto la garanzia dell'appello non sembra condivisibile>>.

Una scelta pacificamente disarmonica e ai limiti della ragionevolezza che non trova certamente fondamento nel nostro ordinamento, caratterizzato, invece, per la stragrande maggioranza delle controversie sia esse civili che penali dalla previsione di un secondo grado di giudizio nel merito. Le medesime perplessità sono state avanzate dal Presidente della Cassazione Giovanni Canzio che in un “botta e risposta” con il ministro della giustizia Andrea Orlando,

140 L'ANM., critica il piano Minniti. “Dubbi di legittimità, si tolgono diritti”, in

Comunicato della Sezione Cassazione dell'Associazione nazionale Magistrati, 14 febbraio 2016.

durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha espresso tutto il suo disappunto. Egli ha affermato che : “Per chi ha una concezione moderna del processo la partita si gioca tutta intorno al tema del contraddittorio che significa riconoscimento della dignità dei partecipanti che deve essere leale aperto e rigoroso ma che pone su un piano di parità le parti...” se così è, il decreto legge in questione sopprime tali garanzie141. Come accaduto per l'Associazione

nazionali magistrati, anche per il Presidente della Cassazione le perplessità più grandi riguardano la cancellazione di un grado di giudizio, l'appello. Ebbene, tali perplessità non possono che trovare accoglimento ove si consideri quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.26/2007 e quanto quest'ultima abbia di fatto condizionato le scelte del legislatore in materia di impugnazioni penali con il d.d.l S. 2067. Non si comprende infatti il perché il legislatore, a seguito del monito della Consulta, scelga nella stessa legislatura di rispettarlo per quanto riguarda il d.d.l in esame al Senato, mentre nel decreto legge in materia di immigrazione stravolge completamente tale garanzia quale quella di un secondo giudizio nel merito che ha lo scopo di accertare un diritto fondamentale. Se risultava ai limiti della ragionevolezza per la Corte

Costituzionale la previsione di cui all'art 593 comma 2 della legge Pecorella, al punto da giustificarne la declaratoria di incostituzionalità, sull'assunto che tale previsione contrastava con l'art 111 della Costituzione; non può che risultare altrettanto irragionevole la previsione in esame, laddove si consideri che alla base di tali procedure si ha un diritto fondamentale142.

Il decreto in esame dunque finisce per attribuire tutta la responsabilità al giudice di primo grado, il quale se erroneamente non concede il diritto all'asilo, il richiedente non potendo più proporre appello, potrà incorrere in pericoli quali violenza fisica, tortura, finanche la morte. A questo punto non resta che convenire con quanto recentemente affermato e cioè che: “il principio costituzionale del giusto processo non può valere differentemente per i cittadini italiani e per gli stranieri richiedenti protezione...”143. Assistiamo dunque ad un comportamento del

legislatore che potremmo definire schizofrenico e contraddittorio: laddove mentre nel processo penale si prevede un appellabilità generalizzata con l'introduzione, però, dell'istituto della rinnovazione

142 Il diritto d'asilo è garantito in Italia dall'art 10 della Cost., che recita : “ Lo straniero

al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

143 Cfr. Cosa prevede la proposta di riforma del diritto d'asilo in Italia, Internazionale agosto 2016, www.internazionale.it

probatoria per non contrastare con i principi del giusto processo sanciti all'art 111 cost.; nel caso di richiesta di protezione internazionale invece, non solo non viene previsto l'appello ma viene meno lo stesso contraddittorio in primo grado, contravvenendo così sia ai principi di cui all'art 111 della cost., sia allo stesso art 10 della cost., che lo stesso decreto intende tutelare.

La previsione da parte dell'articolo 6 del decreto di un unico grado di merito caratterizzato da un'udienza solo eventuale e da una cognizione di tipo cartolare come abbiamo visto, rappresenta senza dubbio “il maggior vulnus ai principi del contraddittorio e della pubblicità del processo”144. Non resta dunque che attendere la ormai

prossima ma forse eventuale conversione in legge del presente decreto, le cui norme ad oggi non sono ancora operative. Appare dunque evidente come difficilmente tali disposizioni previste dal decreto legge n. 13 possano essere caratterizzate dai requisiti di straordinarietà, necessità ed urgenza che la stessa Costituzione richiede ai fini dell'emanazione del decreto-legge. Se da un lato quindi è plausibile se non auspicabile, qualora dovesse divenire operativo tale decreto, un intervento della Corte Costituzionale, al fine di dichiararne incostituzionale proprio quelle

144 V. GAETA, La riforma della protezione internazionale: una prima lettura, Questione

disposizioni fin qui evidenziate; potrebbe altresì darsi il caso che la declaratoria di incostituzionalità riguardi proprio la evidente mancanza di presupposti di necessità e urgenza145.

145 M. NOCI, Meno garanzie per la domanda di asilo politico, in Il Sole 24 ore, 20/03/2017: “ Sui confini della decretazione d'urgenza, in linea generale la Corte

Costituzionale con la sentenza 171/2007 ha già sancito l'incostituzionalità di un decreto legge per evidente mancanza dei presupposti di necessità e urgenza”.

Conclusioni

La trattazione fino a questo momento svolta consente di operare una serie di considerazioni sull'appellabilità soggettiva del pubblico ministero, ma più in generale dell'istituto dell'appello, dopo aver ripercorso le tappe principali dell'iter delle riforme che hanno interessato negli ultimi undici anni il processo penale. Certamente un percorso non facile iniziato ad onor del vero all'indomani dell'entrata in vigore del codice del 1988: a causa della difficile tollerabilità di un sistema caratterizzato in primo grado dai principi del “giusto processo”, ed un sistema delle impugnazioni invece rimasto sostanzialmente quello del codice del 1930 sugli schemi del modello processuale inquisitorio. La confusione e la poca chiarezza di una simile strutturazione del processo penale hanno chiamato all'attenzione di una vasta platea di operatori giuridici e studiosi, cioè la strana posizione dell'imputato prosciolto in primo grado, che rischia la condanna in appello sulla base dei motivi proposti dalla pubblica accusa e senza la successiva possibilità di difendersi nel merito ma ha solo la possibilità di ricorso in Cassazione. Da tale incongruenza, come abbiamo potuto osservare, si sono sollevati dubbi circa la tenuta del potere di appello del pubblico

ministero e dunque la possibilità di abolire tale potere per quanto concerne le sentenze di proscioglimento. Dubbi che hanno trovato estrinsecazione nella legge Pecorella, attraverso l'introduzione di una sorta di divieto double jeopardy “all'italiana”, che come abbiamo avuto modo di affrontare nel primo capitolo, prende spunto da quanto previsto in Inghilterra ed in particolare negli Stati Uniti. Nonostante la bocciatura da parte della consulta e l'aver accantonato per il momento l'idea dell'abolizione tout court del potere di appellare le sentenze di proscioglimento in capo all'accusa permane la necessità di riformare il giudizio di appello al fine di renderlo pienamente conforme ai principi del “giusto processo”. Nella presente trattazione è stato fatto poi, il punto sulla giurisprudenza di Strasburgo con particolare attenzione all'interpretazione data alla CEDU al principio di “parità delle parti”, su cui la stessa Corte Costituzionale ha poggiato le sentenze di incostituzionalità sopracitate. Principio che a tenore di quanto stabilito a livello europeo non precluderebbe la possibilità di una modulazione del potere di appello del pubblico ministero, il quale secondo quanto emerso in varie pronunce non troverebbe copertura tra le garanzie sancite a livello europeo, residuando per il solo imputato il diritto ad un secondo grado di giudizio.

Una volta chiarita la posizione della Corte di Strasburgo, in materia, è stato gioco forza considerare come, le proposte di riforma successive alla legge Pecorella, confluite poi nel d.d.l attualmente all'esame del Senato, hanno comunque preferito non contraddire quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 26 del 2006. Dimostrando, che la scelta di eliminare il potere di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento appariva e appare tutt'oggi una scelta prematura per quella che è la storia del nostro Paese e la tradizione del nostro ordinamento. Con questa riforma, al di là del fatto di non aver contraddetto la Corte Costituzionale con riferimento all'appellabilità delle sentenze di proscioglimento in capo al pubblico ministero, il legislatore ha cercato, però, di compensare introducendo nell'art 603 c.p.p., il comma 4 bis riguardante la rinnovazione probatoria in appello, e la previsione sull'appello incidentale per il solo imputato. Senza dubbio le novità proposte dal disegno di legge n.2798 poi confluite nel d.d.l S.N. 2067, rappresentano un primo segnale importante verso quella tanto anelata riforma radicale della disciplina delle impugnazioni. A confondere ulteriormente il panorama legislativo però è subentrato un decreto legge anch'esso in esame al Senato, in materia di immigrazione. Tale decreto legge introduce

delle importanti novità, che seppur riguardanti un'altra materia, di fatto contraddice quanto affermato e portato avanti in sede penale. In particolare si prevede l'eliminazione di un grado di giudizio con un procedimento che si chiude in primo grado, trattato in camera di consiglio. Le perplessità sollevate sono molte, sembra infatti che la principale priorità del legislatore, tanto nel d.d.l 2067 quanto nel decreto legge 17 febbraio n.13 sia “l'economicità” cercando di semplificare il più possibile le procedure, abbreviando i tempi processuali a discapito della tutela dei diritti delle parti in causa. L'atteggiamento schizofrenico da parte del legislatore certamente non aiuta ad individuare la strada giusta da percorrere. Senza dubbio i tentativi fatti fino ad oggi dal legislatore, seppur individuabili come passi positivi rispetto al passato non bastano, però, a donare coerenza e concretezza al sistema penale. Residua dunque un sentimento di necessaria rivisitazione sistematica dell'intero impianto processuale, che guardi in particolar modo al sistema delle impugnazioni. Non si esclude neppure la possibilità che in futuro venga ripercorsa la via intrapresa e bruscamente interrotta della legge Pecorella: si ritiene infatti che l'appello del pubblico ministero non abbia alcuna copertura costituzionale, avendo la stessa Consulta escluso che possa essere ricondotto all'alveo dell'art 112

Cost., e che lo stesso principio di parità delle parti sbandierato dalla Corte Costituzionale, non solo non implichi parità delle armi ma neppure varrebbe per sé sola ad impedire l'abolizione del potere di appello del pubblico ministero per quanto concerne le sentenze di proscioglimento. Per tutte queste ragioni, in conclusione si auspica che tale possibilità venga accolta dal legislatore, determinando così una piena aderenza del nostro sistema processuale penale al modello accusatorio.

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