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IL DIVIETO DI "DOUBLE JEOPARDY" NELL'ESPERIENZA ITALIANA

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INDICE

Introduzione

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Capitolo I

L'influenza “accusatoria” dei principali sistemi giuridici di Common Law I.1 Premessa 9

I.2 Il modello accusatorio Inglese 12

I.2.1 Il “double jeopardy”e la sua evoluzione 16

I.3 Il sistema statunitense 22

I.3.1 Il valore che il divieto di double jeopardy ha nel sistema Statunitense 26

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Capitolo II

L'appello penale prima e dopo la riforma Pecorella 34

II.1 L'appello nel processo penale italiano 34 II.2 L'appellabilità delle sentenze di proscioglimento 49 II.3 Iter parlamentare della legge Pecorella e il

rinnovatoart 593 c.p.p. 61

Capitolo III

L'Illegittimità costituzionale della Legge Pecorella generatrice di ulteriori problemi in nome della "parità delle parti" 76

III.1 Dubbi e sospetti di non conformità costituzionale 76 III.2 La sentenza n. 26/ 2007 della Corte Costituzionale 82 III.3 La sentenza n. 320 / 2007 della Corte Costituzionale 102

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Capitolo IV

Diritto all'appello del Pubblico Ministero: un problema irrisolto alla luce della giurisprudenza di Strasburgo. La necessità di un intervento legislativo e tentativi di

riforma 109

IV.1Premessa 109

IV.2 Il giusto processo: il punto sulla giurisprudenza di Strasburgo 110

IV.3A undici anni dalla legge Pecorella: la più recente proposta di trasformazione della materia e le istanze della dottrina 117

IV.4Una scelta in controtendenza 132

Conclusioni

141

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Introduzione

Il presente lavoro si propone come obiettivo quello di ripercorrere l'evoluzione che ha caratterizzato il potere d'appello del pubblico ministero nel nostro sistema processuale penale. Interrogandosi sulla plausibilità del doppio grado di giurisdizione rispetto a ciascuna parte processuale, non sembra infatti, che esse abbiano eguale fondamento. Al fine di compiere una ricostruzione sistematica delle più rilevanti riforme in materia, si è resa necessaria innanzitutto un'analisi dei due sistemi di common law, quello inglese e quello statunitense, che rappresentano in senso diametralmente opposto al nostro ordinamento, un sistema accusatorio anche nella fase delle impugnazioni. Poiché, i sistemi sopracitati essendo l'espressione del modello accusatorio puro, riducono ai minimi termini la possibilità per il pubblico ministero, attraverso la previsione del c.d divieto di "double jeopardy", di impugnare una sentenza emessa in primo grado. Nel primo capitolo, si procederà infatti, ad analizzare il

double jeopardy clause, sia nel sistema inglese che in quello

statunitense, evidenziandone i pro e i contra di una previsione, che seppur sulla carta risulta essere garantista nei riguardi dell'imputato,

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presenta comunque margini di cedevolezza quantomeno nella sua accezione più pura. Una siffatta previsione per sorreggersi necessita infatti, di una impalcatura accusatoria di cui il nostro sistema processuale penale italiano, ad una prima riflessione sembra esserne sprovvisto. Previsione a cui comunque il nostro legislatore, seppur con scarso successo si è ispirato nel 2006, con l'introduzione della legge 20 febbraio, n.46, incorrendo in tempi brevi, però, come vedremo alle declaratorie di illegittimità della Corte Costituzionale, che hanno di fatto sancito un ritorno allo status quo ante. Una legge di riforma del sistema delle impugnazioni auspicata da tempo, sia da parte della dottrina che della giurisprudenza a seguito della necessità di uniformare il sistema delle impugnazioni, di matrice inquisitoria ai dettami del modello accusatorio introdotto con la modifica dell'art 111 cost.. Ed è stata proprio la scelta di riformare in senso accusatorio solo il primo grado di giudizio, essendo mancata una disciplina di adeguamento in tal senso dei gradi successivi, ad aver creato i maggiori problemi. La combinazione dei due modelli accusatorio e inquisitorio ha dato vita nel nostro ordinamento ad un modello che potremmo definire misto: accusatorio in primo grado e inquisitorio in appello. Proprio tale incongruenza che fa scaturire la possibilità tutta italiana, che un

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soggetto prosciolto in primo grado venga condannato per la prima volta in appello, sulla base della mera rivalutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado a seguito dell'impugnazione da parte della pubblica accusa. Tale problematica ha dunque ispirato tale trattazione al fine di meglio comprendere, innanzitutto se l'appello del pubblico ministero abbia o meno un riconoscimento in Costituzione, per poi analizzare le criticità che da sempre lo contraddistinguono, per quanto attiene alla generale appellabilità delle sentenze di proscioglimento che spinse il legislatore nel 2006 a disporne la riforma. In particolare la presente trattazione cercherà di analizzare compiutamente il fulcro dell'intero intervento normativo, ossia la regola dell'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento partendo dalle numerose motivazioni poste a fondamento dal legislatore stesso e le altrettante ragioni, che hanno spinto a pochi mesi dall'entrata in vigore della presente legge alla declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale per violazione dell'art 111 comma 2 Cost., che garantisce la parità delle parti. Lo stesso principio quello della "parità delle parti", che nei modelli accusatori puri come quello inglese e statunitense, non consente al pubblico ministero di impugnare le sentenze che assolvono l'imputato nel giudizio ordinario. Principio cardine della giustizia

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penale dei paesi di Common law, il divieto del double jeopardy, nel nostro paese non sembrerebbe ad una prima lettura trovare attuazione. A seguito dunque, dell'intervento della Corte Costituzionale, ci chiediamo inoltre come, il nostro sistema delle impugnazioni potrà essere collocato a livello europeo, e se risulta essere conforme ai dettami del giusto processo. Ad oggi è interessante notare altresì, ed è su questo che si è concentrata l'ultima parte del presente lavoro, che a fronte del disegno di legge n. 2067, che comunque risente a distanza di dieci anni, della declaratoria di incostituzionalità dell'art 593 c.p.p come modificato dalla legge Pecorella e che cerca di dar seguito ad una riforma organica del sistema delle impugnazione; vi è invece un decreto legge al Senato che attende di essere convertito in legge recante: "disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale", che risulta invece totalmente in controtendenza. A prescindere dal fatto che tale materia sia oggetto di un'altro tipo di procedimento, tale decreto legge come avremo modo di osservare, si pone in posizione diametralmente opposta rispetto alla scelte fatte dallo stesso legislatore per quanto concerne il processo penale. Poiché se per quanto concerne il processo penale,

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viene ribadita l'impossibilità di abolire l'istituto dell'appello seppur prevedendo alcune restrizioni ed introducendo come assolutamente necessaria la rinnovazione probatoria in secondo grado, nel decreto legge in oggetto non solo viene negata la possibilità di ricorrere in appello ma vengono meno altresì le garanzie tipiche del giusto processo quali il contraddittorio e la pubblica udienza. A fronte dunque, di un atteggiamento così diverso da parte del legislatore non resta che domandarsi: quanto la Corte Costituzionale abbia influenzato e influenzi un legislatore che sembra invece, quando libero di farlo discostarsi completamente da tale impostazione; e se in futuro, il legislatore tenterà di ripercorrere la strada, bruscamente interrotta dal Giudice delle leggi, verso l'abolizione quantomeno dell'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di assoluzione.

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Capitolo I

L'influenza "accusatoria" dei principali sistemi giuridici

di Common law

SOMMARIO: § I.1 Premessa. § I.2 Il modello accusatorio Inglese. § I.2.1 Il "double jeopardy" e la sua evoluzione. § I.3 Il sistema statunitense. § I.3.1 Il

valore che il divieto di double jeopardy ha nel sistema statunitense.

§ I.1 Premessa

I paesi di Common law rappresentano per il nostro ordinamento sul piano dei principi accusatori, dei modelli a cui ispirarsi lo sono in particolare Inghilterra e Stati Uniti d'America. Il legislatore Italiano, a partire dalla fine degli anni 80' del secolo scorso ha cercato di allineare il sistema processuale penale italiano ai dettami del modello accusatorio lasciando, però, al contempo inalterati i mezzi di impugnazioni così come voluti e previsti dal codice del 30'. Ed è proprio su questo punto che da sempre si radicano le maggiori perplessità e necessità di una riforma. Uno degli aspetti più controversi e criticati del sistema processuale penale italiano è la possibilità, in capo alla pubblica accusa di poter impugnare una sentenza di proscioglimento con lo scopo e dunque la possibilità di addivenire ad una sentenza di condanna in appello,

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con conseguente grave pregiudizio per l'imputato. Questa previsione sembrerebbe contrastare, con il principio riconosciuto a livello internazionale del ne bis in idem, tale locuzione latina, nella sua traduzione letteraria sta a significare che: “Non si giudichi due volte sullo stesso”. Il principio del ne bis in idem, riflettendosi nel brocardo latino secondo cui: "nemo debet bis vexari pro una et eadem causa" cristallizza in sé una garanzia a tutela dei diritti umani fondamentali, la quale risulta essere ineludibile presidio delle fondamenta stesse dei sistemi di giustizia penale contemporanei1.Il principio in questione è

recepito dal nostro ordinamento all'art 649 c.p.p., esso costituisce un diritto fondamentale a tutela dell'imputato, universalmente riconosciuto e accolto dalle maggiori democrazie.

Principio inoltre riconosciuto e sancito in numerose convenzioni internazionali, fra cui quella delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, nonché quella sui diritti fondamentali dell'Unione Europea. Il principio del ne bis in idem ha un peso e una portata differente nei paesi di Common Law rispetto ai paesi di Civil Law in particolare in Italia. Infatti, l'ordinamento italiano considera tale principio come la conseguenza tipica della res iudicata: "e quand'è che una sentenza è passata in giudicato in Italia?", lo diventa allo scadere dei mezzi di

1 P. PASSAGLIA, Il principio del ne bis in idem, servizio studi area di diritto comparato della Corte Costituzionale, 2016, www.cortecostituzionale.it

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impugnazione (impedire la rinnovazione del giudizio una volta esauriti i mezzi di impugnazione). Tutto ciò si discosta completamente dall'idea che i paesi di Common law hanno del principio del ne bis in idem, quegli stessi ordinamenti di matrice accusatoria che il nostro legislatore a più riprese cerca di emulare. Nonostante infatti, i tentativi di riforma in senso accusatorio, su cui avremmo modo di soffermarci in seguito, il nostro ordinamento penale rimane pur sempre caratterizzato da istituti che difficilmente trovano speculare trattazione in altri ordinamenti, di chiara matrice accusatoria facendo residuare dunque, profili a carattere inquisitorio. Sembra appropriato prima di procedere alla trattazione di quanto fatto e di quanto ancora il nostro legislatore potrà fare in tema di appello, soffermarsi su ciò che è previsto dai più significativi impianti processuali accusatori del panorama mondiale, in materia di diritto di appello e più compiutamente per ciò che concerne il pubblico ministero e a cui il nostro legislatore inevitabilmente cerca di ispirarsi.

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§ I.2 Il modello accusatorio inglese

L'Inghilterra rappresenta il modello accusatorio cosiddetto “puro” scevro da retaggi di tipo inquisitorio, tipici invece del modello Italiano2. Prima di tutto va precisato che, l'assenza di una costituzione

codificata rende difficile indicare una determinata fonte o anche una serie di fonti, che possano essere pacificamente ritenute di rango costituzionale. Trattandosi di un sistema di Common Law, nonostante la proliferazione che il diritto politico (statue law) ha conosciuto nel XX secolo, le pronunce giurisprudenziali (case law) continuano a mantenere una posizione di non poco rilievo, soprattutto in alcuni settori dell'ordinamento, tra cui il diritto penale. La difficoltà dunque, di costruire un discorso completo, a causa della parcellizzazione della disciplina stessa; in particolare per ciò che riguarda gli elementi fondamentali del sistema delle impugnazioni nell'ordinamento processuale inglese3, non ha impedito di poterne evidenziare in ogni

caso alcuni punti cardine. Diversamente da quanto accade per il pubblico ministero italiano, in Inghilterra il “prosecutor” è lasciato al di fuori della fase investigativa, che rimane invece di esclusiva

2 A. CONFALONIERI, Profili comparatistici del diritto all'appello, in AA. VV., Il nuovo

regime delle impugnazioni tra Corte Costituzionale e Sezioni Unite, Padova 2007, p. 364

e seg.

3 Afferma R. GAMBINI, Il sistema delle impugnazioni penali in Inghilterra, in M. BARGIS e F. CAPRIOLI ( a cura di ), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, Torino, 2007, p. 429.

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competenza della polizia. Negli ordinamenti di Common Law il prosecutor, che svolge le funzioni di pubblico ministero nel processo penale, è tipicamente un avvocato. In Inghilterra, il prosecutor fa capo al director of public prosecution di nomina governativa, il quale a sua volta dipende dall'attorney

general, di nomina regia. Il prosecutor dunque, una volta che ha

ricevuto la documentazione circa l'attività svolta dalla polizia sceglie liberamente di iniziare l'azione penale. Siamo difronte allora, ad un'attivabilità, come possibilità solo potenziale da parte del prosecutor che si riversa altresì nel caso di controlli sulle decisioni di primo grado. Tutto ciò a riprova del fatto che l'appello in Inghilterra, ma più in generale nei modelli accusatori puri, non va considerato elemento imprescindibile dell'iter processuale. Va altresì detto che l'ordinamento inglese, è rispettoso del canone di parità delle parti nel processo penale ed anche del principio di speditezza processuale, che condizionano e governano il sistema stesso. Ciò che ne scaturisce dall'applicazione di questi principi è che, nell'ordinamento processuale penale inglese vige il principio dell'intangibilità del giudicato assolutorio di primo grado. Avviene infatti che, rispetto al verdetto di not guilty si ha il cosiddetto divieto di double jeopardy, il nostro ne bis in idem,

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previsto e sancito come già preannunciato, a livello sovranazionale dall'art 4 del protocollo addizionale n.7 CEDU e dall'art 14 comma 7 del Patto Internazionale per i diritti civili e politici4.

Mentre nei paesi c.d. di Civil Law il suddetto divieto, come accennato in apertura, consiste nell'esigenza di impedire la rinnovazione del giudizio, una volta esauriti i mezzi di impugnazione a disposizione sia della difesa che dell'accusa; negli ordinamenti di Common Law, lo stesso risultato viene raggiunto con il divieto di double jeopardy, ossia la limitazione della facoltà d'impugnazione da parte dell'accusa contro la pronuncia di proscioglimento a favore dell'imputato. Si può pacificamente affermare che, il diritto anglosassone interpreta il principio del ne bis

in idem contenuto nell'art 4 del prot. n. 7 della CEDU, come

un divieto generale di appello, con eccezioni molto limitate, alla possibilità da parte dell'accusa di poter agire in danno dell'imputato che ha già evidentemente subito un processo di primo grado. Ciò sta a significare in altre parole che, con le sentenze assolutorie emesse in primo grado si chiude definitivamente il processo. Appurato dunque, che il potere di impugnare risulta essere a tenore di quanto affermato nel Magistrates' Court Act del 1980, prerogativa

4 Prevede il diritto a non essere giudicato o punito due volte dalla giurisdizione dello stesso stato per il medesimo fatto, già giudicato a seguito di una pronuncia definitiva.

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del solo condannato, il quale può ricorrere per motivi sia inerenti al merito della decisione, sia per contestare la pena inflittagli. Va altresì detto che nel corso del tempo, una qualche apertura nei confronti del potere di appello dell'accusa vi è stata. In particolare, il paragrafo 36 del Criminal Justice Act del 1972 prevede la possibilità in capo all'accusa, in caso di assoluzione dell'imputato in primo grado di ricorrere alla Corte di Appello, qualora ravveda l'ipotesi che il verdict sia contra legem e dunque risulti necessaria una interpretazione in punto di diritto. Ad onor del vero va chiarito che, questa possibilità non incide sulla inoppugnabilità dei provvedimenti assolutori, poiché la decisione così ottenuta dalla Court of Appeal ha come unico scopo, in virtù della funzione nomofilattica da quest'ultima esercitata, quello di formare un orientamento giurisprudenziale per i casi futuri5.

Una volta che al prosecutor è stata data la possibilità, di convincere la corte sulla colpevolezza dell'imputato e non ci sia riuscito, a questo punto gli viene preclusa la possibilità di impugnare la decisione. Possibilità di impugnare che viene invece prevista, agli art 35- 36 del

Criminal Justice Act del 1988, al Procuratore Generale (Attorney General) contro le sentenze di condanna emesse a seguito di rito 5 A. CONFALONIERI, op. cit., p. 364 e seg.

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ordinario, per contestare la pena irrogata, qualora ritenga che questa sia troppo mite rispetto al reato contestato all'imputato. Nell'eventualità che la Corte accolga l'appello, seppur prevedendo delle condizioni di ammissibilità ben precise e sempre più stringenti per il ricorso, la sentenza di primo grado viene annullata per essere riformata in pejus.

§ I.2.1 Il "double jeopardy" e la sua evoluzione

Si ha notizie del divieto di double jeopardy fin dalla conquista normanna nel 1066: era prevista infatti una norma che impediva di instaurare un processo a carico di chiunque fosse già stato prosciolto o condannato in sede giudiziale per lo stesso reato. Nel caso di un precedente proscioglimento, l'imputato poteva avvalersi di un plea di autrefois acquit ; nel caso di una dichiarazione di colpevolezza, il plea era di autrefois convict. La preclusione nei confronti di un secondo processo era funzionale a tutelare il suddito, altrimenti potenzialmente assoggettabile più volte a processo, ma anche per garantire l'equità e la corretta

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amministrazione della giustizia. Blackstone scriveva che : “il plea dell'autrefois acquit, ovvero un proscioglimento precedente, è fondato su questa massima universale del Common Law, per cui di nessun uomo deve essere messa in pericolo la vita o l'incolumità più di una volta per lo stesso reato”6. Il punto di svolta dell'esperienza

inglese sul double jeopardy è dato dal Criminal Justice act del 2003, che accogliendo le critiche di chi sosteneva un eccessiva rigidità del principio stesso ha di fatto aperto la possibilità al prosecutor di richiedere una revisione delle decisioni di proscioglimento per determinati reati e per determinate circostanze eccezionali. Prima del 2003, come precedentemente esposto, qualche tentativo seppur limitato di prevedere eccezioni al principio di double

jeopardy vi era stato, se non altro per ciò che riguardava la sfera del

condannato. Altra garanzia tipica dell'ordinamento inglese, riguarda le norme contro il c.d “abuse of process” anch'essa garanzia volta ad evitare possibili abusi da parte del prosecutor nei confronti dell'imputato, ad esempio: il giudice in questo caso può interrompere il processo qualora ritenga che l'accusa abbia deliberatamente e ingiustificatamente provocato delle "lungaggini" processuali per penalizzare la difesa. Per quanto dunque nell'ordinamento inglese

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la tutela dell'imputato e il suo diritto a non essere giudicato più di una volta e la conseguente inappellabilità da parte dell'accusa siano previsti e tutelati, le critiche e le perplessità comunque non sono mancate. Nel corso degli anni questo principio è stato via via messo in discussione, soprattutto perché considerato eccessivamente garantista, quasi come se avesse generato una sorta di immunità a tutela dell'imputato, con ovvio pregiudizio per le istanze dell'accusa ma anche della vittima. Le critiche al divieto di double jeopardy hanno finito per tradursi in una riforma di quest'ultimo; riforma che è stata resa necessaria in primis dall'avvento delle nuove tecnologie capaci di ottenere materiale probatorio anche a distanza di molto tempo dalla commissione del reato, e in secondo luogo dallo scandalo e dalle tensioni susseguitesi a causa di un omicidio avvenuto nel 1993 del giovane Stephen Laurence7.

Omicidio, che come affermato dal Guardian "ha cambiato la Gran Bretagna", dove vi furono irregolarità sia dal punto di vista delle indagini, che dell'azione intrapresa dalla procura tali da fa ripensare alla tenuta stessa del divieto in esame. La questione fu talmente controversa, che venne istituita una

7 Si tratta dell'omicidio di un giovane studente di origini giamaicane di 18 anni assassinato da un gruppo di giovani ragazzi in Inghilterra nel 1993. La negligenza della polizia portò ad un nulla di fatto delle indagini, uno dei cinque ragazzi fu prosciolto ma si dovette aspettare il 2002 e il 2010 per la condanna di tutti e cinque i sospettati.

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commissione d'inchiesta da parte del governo per far luce sulla vicenda, il cosiddetto rapporto MacPherson8. Da questo rapporto si

evince che: “anche se dovessero emergere prove nuove ed affidabili contro qualsiasi imputato prosciolto, questi non potrebbe essere processato di nuovo anche se le nuove prove dovessero essere schiaccianti”9. La Commissione ha aggiunto: “suggeriamo solo che,

forse, al giorno d'oggi, questa protezione assoluta potrebbe portare ad ingiustizie. Sono certamente essenziali salvaguardie complete ed opportune, ma un nuovo processo a seguito di un proscioglimento rimarrebbe comunque un evento eccezionale [...]"10.

Si comprendono dunque le criticità che possono caratterizzare un processo siffatto, al punto da portare la Low Commission, l'organo incaricato di esaminare il diritto vigente e proporre delle modifiche laddove è opportuno, ad analizzare il tema del divieto di double

jeopardy nell'assetto Inglese e le relative giustificazioni che

lo sorreggono. La Low Commission ha stabilito che, senza dubbio vi sono delle giustificazioni più che valide al mantenimento del divieto di double jeopardy, ma che risultava altresì necessario prevedere

8 P.PASSAGLIA, op. cit., p. 4.

9 The Macpherson report: summary, theguardian, 24 febbraio 1999,

www.theguardian.com

10 W. MACPHERSON, The Stephen Lawrence Inquiry: report of an inquiry by Sir

William Macpherson of Cluny, febbraio 1999, consultabile on line alla pagina

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eccezioni più ampie rispetto a quelle vigenti. La Commissione fece proprie le raccomandazioni provenienti sia dal rapporto Macpherson, con riguardo alla necessità di abrogare la tutela contro il double

jeopardy, almeno per i reati più gravi come l'omicidio, e sia quelle

provenienti dalle relazioni pubblicate nel 1999 e nel 2001 sul Double

Jeopardy and Prosecution Appeals. Le raccomandazioni provenienti

da entrambe le Commissioni confluirono infine nel Criminal Act del 200311, in particolare all'art 10, nel quale si prevede che per

determinati reati considerati gravissimi e di rilevante allarme sociale, come per esempio: l'omicidio, l'omicidio involontario, il sequestro di persona e la violenza sessuale, vi sia la possibilità di instaurare un secondo grado di giudizio dopo il proscioglimento. Per dare seguito, però, al giudizio di revisione della sentenza di assoluzione, vi sono una serie di condizioni che si rendono necessarie, tra cui la richiesta di autorizzazione da parte del Director

of Public Prosecutions. Si tratta di una tendenza interessante

sia perché sovverte 800 anni di tradizione giuridica anglosassone, sia soprattutto, in considerazione della gravità dei reati coinvolti dalla riforma. In particolare si prevede che, come motivo scatenante debba emergere l'interesse superiore della giustizia ad intervenire, ciò lo si

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deduce dal fatto che non tutti i reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo, rientrano nella tabella n. 5 dell'Act12, ne fanno parte

infatti solo quelli da cui scaturiscono ripercussioni gravi per la società. Ad una prima riflessione risulta evidente l'inadeguatezza, seppur posta a presidio dell'imputato, della previsione del divieto di

double jeopardy quantomeno nella sua versione più “pura”.

Sembra invece essere più in linea con un ottica di bilanciamento dei vari interessi in gioco nel processo, la previsione contenuta all'art 10 del Criminal Justice Act del 2003, anche in virtù di quanto statuito a livello europeo dalla Cedu. Prima di procedere con la trattazione dell'istituto dell'appello per ciò che concerne il nostro ordinamento e i relativi tentativi più o meno condivisibili di riforma in senso accusatorio del suddetto istituto, sembra opportuno soffermarsi sull'ordinamento giudiziario statunitense. In particolare focalizzando l'attenzione sul valore, che la stabilità delle sentenze assolutorie ha nel sistema statunitense, e del conseguente potere assai limitato in capo al pubblico ministero di poterle appellare. Gli Stati Uniti peraltro sono il maggior termine di paragone a cui il legislatore italiano fa riferimento, tendendo ad acquisirne alcuni canoni tipicamente accusatori, come per esempio il principio “al di là

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di ogni ragionevole dubbio”. Risulta altresì interessante osservare, come rispetto alla clamorosa virata del sistema inglese, nei confronti della tradizione anglosassone in tema di privilege against double

jeopardy, l'ordinamento statunitense ne sia invece rimasto fedele.

§ I.3 Il sistema statunitense

La tradizione di impronta accusatoria statunitense, trae origine dalla madre patria Inghilterra, ma dovette aspettare il 1792 perché quegli stessi principi, già diffusi e riconosciuti a livello dei singoli stati trovassero piena attuazione anche a livello federale, attraverso l'emanazione dei Bill of Rights. I primi dieci emendamenti della Costituzione Americana vengono sinteticamente chiamati “Bill of Rights”, e furono ratificati dagli Stati in occasione della prima seduta del Congresso, in risposta alle esternazioni di preoccupazione per la garanzia delle libertà individuali manifestatesi nel dibattito sorto dopo l’adozione della Costituzione. In particolare venne riconosciuto nell'ordinamento giuridico statunitense, l'istituto del giusto processo attraverso la stesura del V

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emendamento del Bill of Rights. Il testo sopracitato così recita: “ No person shall be held to answer for a capital, or otherwise infamous crime, unless on a presentment or indictment of a grand jury, except in cases arising in the land or naval forces, or in the militia, when in actual service in time of war or public danger nor shall any person be subject for the same offense to be twice put in jeopardy of life or limb; nor shall be compelled in any criminal case to be a witness against himself, nor be deprived of life, liberty or property, without due process of law; nor shall private property be taken for public use, without just compensation”13.

Il suddetto emendamento racchiude tre caratteristiche emblematiche dell'ordinamento giuridico americano, ma ai fini della presente trattazione è indicativo evidenziarne solo uno, quello relativo al double jeopardy clause. Il principio del “ne bis in idem”, o appunto del “Double Jeopardy” rintracciabili nelle parole originali: “nor shall any person be subject for the same offense to be twice put in jeopardy of life or limb...” afferma che sia proibito per un cittadino essere giudicato dall'accusa di un reato, a seguito di un giusto processo regolarmente conclusosi, oltre a prevedere naturalmente altre tutele processuali. La prima cosa dunque, che contraddistingue

13 Costituzione degli Stati Uniti d'America, V emendamento,

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gli Stati Uniti dagli altri paesi di Common Low come l'Inghilterra è che, la garanzia di non essere “put in jeopardy” è sancito a livello Costituzionale e non attraverso le Statute Law14.

Come già è stato osservato per l'Inghilterra, il divieto di double

jeopardy rappresenta un caposaldo ancora più forte nella procedura

penale statunitense. Raccogliendo idealmente l'eredità di quegli istituti tipici della tradizione inglese, per mezzo dei quali, all'imputato era consentito eccepire di essere già stato condannato, assolto per il medesimo reato; il quinto emendamento della Costituzione statunitense afferma che nessun individuo possa trovarsi esposto una seconda volta al pericolo di vita o di lesioni all'integrità fisica in ragione della commissione del medesimo reato. Si tratta di “Una disposizione lapidaria quasi asfittica, tanto semplice, quanto criptica ove si tenti di passare dal piano delle affermazioni di principio a quello della quotidiana amministrazione della giustizia”15.

La Corte Suprema ha stabilito che, il double jeopardy clause a discapito degli orientamenti contrastanti, scaturiti dalla diversa interpretazione delle parole “life or limb” contenute nel V emendamento, debba essere azionato in ogni processo penale instauratosi avente ad oggetto qualsiasi tipo di reato, anche il più

14 V. MERONI, Il valore della stabilita delle decisioni assolutorie nel sistema

statunitense, archivio penale, 2016, p. 9 e seg., www.archiviopenale.it

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bagatellare persino i reati puniti con la sola pena pecuniaria. Negli ultimi anni i tribunali e i giuristi considerano la protezione contro la possibilità della doppia incriminazione per lo stesso reato come un vero e proprio diritto fondamentale. La Suprema Corte degli Stati Uniti di America nella sentenza Benton vs Marylend statuì infatti che, la natura fondamentale della garanzia contro il double

jeopardy potrà difficilmente essere messa in dubbio, al punto da

definirla: “fundamental to the American scheme of justice”16.

Risulta a questo punto evidente che, il valore dell'intangibilità delle statuizioni assolutorie è particolarmente forte nel sistema statunitense. La possibilità come avviene in Italia, che un procedimento si svolga in più gradi di giudizio è completamente esclusa dalla cultura giuridica statunitense, ma più in generale esula dalla cultura giuridica dei paesi di Common law. Le premesse, da cui scaturisce il divieto di double jeopardy si basano sull'idea che, allo stato non possa e non debba essere permesso di utilizzare il proprio potere e le proprie risorse, al fine di attuare ripetuti tentativi di condanna nei confronti di un individuo procurandogli in questo modo, non solo una ingente spendita di denaro ma anche e soprattutto una lesione alla propria dignità e

16 DAVID S. RUDSTEIN, A brief history of the fifth amendment guarantee against

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reputazione. Nell'ordinamento statunitense, non esiste quindi nessuna possibilità di devolvere la cognizione nel merito ad altro giudice che non sia quello davanti al quale si è instaurato il giudizio di primo grado. Diversamente permettere l'instabilità di una sentenza di assoluzione legittimerebbe l'ipotesi in cui, più giurie in successione possano prima o poi arrivare a decretare la colpevolezza dell'imputato e vorrebbe dire violare automaticamente un diritto costituzionalmente riconosciuto.

§ I.3.1 Il valore che il divieto di double jeopardy ha

nel sistema statunitense

Il divieto del double Jeopardy, nei confronti della pubblica accusa opera sia quando impugna una sentenza di assoluzione, sia quando impugna una sentenza di condanna. Dimostrando dunque che, il double jeopardy clause fa nascere in capo all'imputato, il diritto a non subire un secondo giudizio nel merito per il medesimo reato, al condannato il diritto a vedersi consolidata il prima possibile la propria posizione giuridica e il diritto ad essere processati dal giudice dinanzi al quale è stato correttamente dato avvio al processo17.

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Tutte queste guarentigie sono giustificate e considerate indispensabili proprio in virtù del ruolo che la pubblica accusa riveste nell'ordinamento giuridico a stelle e strisce. Infatti, la carica di procuratore a differenza di quanto accade nel nostro ordinamento ha natura elettiva, e tale nomina si basa essenzialmente sul consenso popolare e sulla percentuale di vittorie conseguite nel corso della propria carriera. Siamo dunque difronte non ad un magistrato ma ad un avvocato. Risulta, altresì necessario limitare il potere dell'accusa, proprio in virtù del fatto che, quest'ultima rappresenta senza dubbio gli interessi della comunità ad accertare la verità processuale, ma rappresenta e persegue soprattutto i suoi di interessi, al fine di mantenere la propria posizione. Al punto da sembrare persino improprio, l'accostamento tra il nostro pubblico ministero e il prosecutor statunitense, si tenga presente infatti, che il prosecutor non è esattamente la pubblica accusa, talvolta è qualcosa di più. Il prosecutor di fatto detiene il monopolio dell'azione penale e ha un'influenza notevole sulla trial court, può infatti il suo ruolo essere determinante ai fini della quantificazione di pena, può inoltre disporre dell'accusa modificandola in caso di “guilty plea” del reo, o concordare persino con il giudice la misura della pena. Ovviamente, come accade nell'ordinamento Inglese anche in quello

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statunitense, il divieto di double jeopardy conosce delle eccezioni. Anzitutto va chiarito che, il divieto in esame scatta in determinati momenti dell'iter processuale: se dunque il processo si arresta all'arringa di apertura o a seguito di mozioni pre-dibattimentali, l'imputato non godrà di tale protezione in quanto ancora non soggetto a quelle conseguenze sia psichiche che economiche già precedentemente illustrate, a cui il processo sottopone e per le quali scatta la garanzia. Per quanto riguarda invece le eccezioni in senso stretto, gli Stati Uniti d'America come sappiamo si caratterizzano per essere uno stato federale, e in quanto tale lo stesso ordinamento giudiziario ne subisce le conseguenze. La prima conseguenza che ne deriva è la possibilità che, ogni cittadino statunitense ha di essere contemporaneamente soggetto, sia alla giurisdizione dello stato di appartenenza, che alla giurisdizione di quello federale. In particolare, per ciò che attiene il divieto di double jeopardy potrà accadere che: una stessa fattispecie criminosa violi contemporaneamente sia l'ordinamento statuale, che quello federale, a questo punto entrambi gli stati avranno la potestà di perseguire processualmente l'imputato per il medesimo crimine. Dunque potrà verificarsi l'ipotesi che, ad esempio il medesimo soggetto venga prosciolto a livello statale ma condannato a livello

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federale e viceversa. Tale eccezione al divieto di double jeopardy, nella prassi è stata arginata tramite le azioni di cooperazione che si instaurano tra autorità federali e statuali. Inoltre è stata prevista la cosiddetta “Petit Polyce18: la possibilità che la corte federale ha di

rinunciare ad attuare la propria pretesa punitiva, qualora si dimostri che un interesse federale sia stato tutelato. La garanzia del double jeopardy clause, non si ha neppure, nel caso in cui ad un processo penale segua una successiva causa civile per il medesimo reato. In questo caso, l'imputato potrà essere punito indipendentemente dall'esito del giudizio penale. Come accaduto, in un noto caso giurisprudenziale a O. J. Simpson19,

assolto dall'accusa di omicidio e condannato mesi dopo, da un'altra giuria a risarcire le famiglie dalla vittima che non ha ucciso. Un'ulteriore eccezione è prevista qualora il processo, invece di procedere sino alla sua fisiologica conclusione, si interrompa bruscamente e prematuramente a causa dei cosiddetti “mistrials”20. 18 V. MERONI, op. cit., p. 16.

19 Il caso O. J. Simpson: Il 13 giugno del 1994 vennero rinvenuti due corpi assassinati

brutalmente, appartenenti uno alla ex moglie dell'attore e star del football americano Orental James Simpson, e dell'amico Ronald Goldman. Il rinvenimento in seguito di indumenti insanguinati ed una profonda ferita alla mano, fecero della star il principale sospettato del delitto. Da indiziato divenne imputato, e a seguito di forti tensioni mediatiche decise di rinunciare al grand jury e dunque al proprio diritto costituzionale per essere infine prosciolto dal tribunale in composizione monocratica. Nonostante sia stato legalmente giudicato non colpevole, l'opinione diffusa nella collettività era esattamente l'opposto, tant'è che il caso risultò particolarmente controverso perché in sede civile venne ritenuto colpevole, O. J: Simpson dovette infatti risarcire le vittime che lo citarono per “Wrongful death”.

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Come espressamente statuito in una nota sentenza, Salvator v. State

of Florida del 1978, il giudice ha il potere di dichiarare, con

la dovuta cautela e solamente nel caso di assoluta necessità, l'esistenza di un “mistrials” e conseguentemente di licenziare la giuria21. Dunque nell'ordinamento statunitense, nonostante

le eccezioni sopracitate vige una generalizzata inappellabilità nel merito delle sentenze emesse in primo grado, dovuta tanto alla garanzia contenuta al V emendamento, quanto alla struttura stessa del sistema processuale di chiara matrice accusatoria. Poiché come afferma Cordero: “la giuria è l'organo di una cognizione mista radicata nelle viscere comunitarie quando abbia parlato non restano più punti controvertibili”22. Seppur, gli Stati Uniti di America

rispecchino appieno la tradizione processuale di impronta accusatoria, a cui lo stesso legislatore italiano tende cercando di acquisirne le caratteristiche, tutto ciò non è scevro da critiche e perplessità. Come abbiamo potuto osservare per l'ordinamento inglese, anche in quello statunitense, il divieto di double jeopardy subisce non solo eccezioni alla sua applicazioni, ma dubbi circa

processo e ne determinano dunque la conclusione. Sono ipotesi di particolare gravità per esempio, qualora vi sia stata una scorretta selezione della giuria, in quanto quest'ultima è incapace di prendere una decisione, oppure quando il difensore dell'imputato agisce fraudolentemente o per ipotesi straordinarie come la morte o la malattia di un giurato o dell'attorney.

21 Salvatore v. State of Florida, 366 So. 2d 745 [Fla. 1978], on line www.law.justia.com 22 CORDERO, In Un'arma contro due, in Riv. Dir. Proc., 2006, p. 807 e seg.

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la sua tenuta applicativa in determinati contesti, che seppur limite trovano riscontro nella realtà facendo sorgere dubbi, circa la giustezza di un principio sì fatto, in vista di una possibile assimilazione nel nostro ordinamento. Vi sono circostanze in cui, il divieto di double jeopardy da essere garanzia a favore dell'imputato diviene una vera e propria impunità che genera perplessità, non solo in dottrina ma anche e soprattutto malcontento nella comunità. La dottrina, al riguardo ha cercato di trovare un rimedio a tale distonia, estendendo l'eccezione prevista in caso di mistrials al divieto di double jeopardy, anche all'ipotesi in cui si è in presenza di una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di minacce, ricatti o intimidazioni. Sull'assunto che non si possa neppure ritenere integrato il presupposto che fa scattare il divieto di cui al V emendamento, in virtù del fatto che l'imputato in una tale circostanza non avrebbe sofferto i pericoli derivanti dall'essere sottoposto ad un procedimento penale23. Per ragioni di completezza va altresì

specificato che è tendenzialmente vietata, non solo la possibilità in capo all'accusa di appellare una sentenza di proscioglimento, ma anche l'equivalente potere dell'imputato di appellare una sentenza, che lo vede soccombente in primo grado con grave ed evidente

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pregiudizio per la difesa. In un ordinamento come il nostro, difficilmente potrebbe trovare collocazione una previsione di tale portata, che mal si concilia con un'idea radicata e condivisa dai più, secondo cui l'idea stessa di giustizia risiederebbe nel fatto che qualsiasi sentenza definitiva è il risultato di un iter processuale su tre livelli, che ne garantiscono la maggior genuinità e veridicità processuale. Certo è che, se dal punto di vista dell'impossibilità quasi totale di double jeopardy gli Stati Uniti risultano persino meno garantisti dell'Italia, dal punto di vista invece della possibilità, tutta italiana di ribaltare una sentenza assolutoria in appello, il nostro ordinamento risulta in rotta di collisione con l'intero sistema accusatorio. Sistema accusatorio a cui l'Italia deve necessariamente propendere, in virtù dello stesso art 111 cost., riguardante il giusto processo; per farlo il legislatore italiano deve volgere lo sguardo a quegli ordinamenti di antica e ormai consolidata tradizione accusatoria quali Inghilterra e Stati Uniti. Tenendo ben presente però le enormi differenze che caratterizzano e contraddistinguono i due sistemi, di Civil Law e di Common law, prima di eventualmente acquisirne alcuni canoni. Perchè come affermato dall'ex Presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo : “gran parte del disastro del processo penale Italiano, deriva dall'idea

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sbagliata che alcuni studiosi si sono fatti del sistema anglosassone e più segnatamente di quello statunitense”24. Il legislatore in realtà ha

cercato di emulare il divieto di double jeopardy, tanto che la cosiddetta legge Pecorella, su cui ci soffermeremo nei capitoli seguenti, nel prevedere l'inappellabilità da parte del pubblico ministero delle sentenze di assoluzione, venne definita “il quinto emendamento all'italiana”. Questa sorta di parziale quinto emendamento, ha cercato di imporre il sistema accusatorio in grado d'appello, “cercando di evitare l'inconveniente di una condanna dell'imputato in appello basata sulla sola rilettura dei verbali di prova assunti in primo grado e con l'unica risorsa del ricorso in cassazione”25. Prima di procedere, con la trattazione dell''iter tortuoso

intrapreso dalla sopracitata legge Pecorella a cui seguì poco dopo la declaratoria di incostituzionalità da parte della Consulta parrebbe opportuno fare un breve excursus sull'istituto dell'appello ante riforma.

24 P. DAVIGO, Sistema giudiziario italiano e statunitense, Forlì, 2012, www.ilfattoquotidiano.it

25 AA. VV., Il nuovo regime delle impugnazioni tra Corte Costituzionale e Sezioni Unite,

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CAPITOLO II

L'appello prima e dopo la riforma Pecorella

SOMMARIO: § II.1 L'appello nel processo penale. § II.2 L'appellabilità delle sentenze di proscioglimento. § II.3 Iter parlamentare della legge 20 febbraio 2006,

n.46 e il nuovo art. 593 c.p.p.

L'Importanza nel nostro ordinamento dell'istituto dell'appello è tale che anche a seguito della legge delega dell'1987 rimase pressoché invariato. Evidenziando la mancanza di volontà politica di operare scelte al fine di rivedere il tradizionale sistema delle impugnazioni, tenendo presente che la stessa Costituzione non contempla esplicitamente l'appello. Tale assunto avrebbe dovuto quanto meno suggerire l'introduzione di strumenti di disincentivazione dell'appello.

§ II.1 L'appello nel processo penale

Il sistema delle impugnazioni viene considerato pacificamente, uno degli indici del grado di civiltà di un Paese. Pur non avendo nel nostro ordinamento una norma definitoria che delimiti e sancisca

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il concetto di impugnazione, lo si può tuttavia definire come "quel rimedio esperibile da una parte al fine di promuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume errato mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il provvedimento medesimo"26. Le impugnazioni, dunque

rientrano nel genus dei rimedi giuridici, in particolare nella species dei rimedi processuali, attraverso cui una parte, promuovendo il controllo dell'autorità giudiziaria, persegue la modifica o la rimozione di un provvedimento giudiziario che ritiene ingiusto a prescindere dalla sua natura, in quanto difforme dal diritto oggettivo. Il libro IX del codice di procedura penale, nel quale viene trattato l'intero tema delle impugnazioni espressamente menziona, secondo una costruzione di tipo verticale i tre gradi di giurisdizione, due di merito ed uno di legittimità. Si parla dunque di : ricorso in appello, ricorso in Cassazione, revisione, ricorso straordinario in Cassazione e la rescissione del giudicato. Sempre nel libro IX si annoverano peraltro alcune disposizioni generali che si estendono, salvo peculiarità dei singoli rimedi, a tutti i mezzi di impugnazione. Tali principi possono essere così sinteticamente enunciati: tassatività delle impugnazioni, necessità dell'interesse ad impugnare carattere

26 P. TONINI, Le impugnazioni, in P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2014, p.901

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personale del diritto all'impugnazione, divieto di reformatio in peius, conversione del mezzo di impugnazione. Tra questi, ai fini della presente trattazione riveste importanza decisiva il concetto di legittimazione soggettiva e il principio di tassatività. Il principio di tassatività previsto all'art 568 c.p.p., rubricato “regole generali” stabilisce che è la legge a stabilire quando una parte possa impugnare specificando altresì al terzo comma che, in mancanza di espressa previsione di legge l'azione d'impugnativa spetti ad ognuna delle parti processuali. Secondo requisito fondamentale è l'interesse ad impugnare della parte, come riportato dall'art. 568 comma 4 c.p.p., rappresenta in linea generale la possibilità per chi impugna, di eliminare un provvedimento pregiudizievole e ottenere uno più favorevole di quello emesso in primo grado. Ai fini dell'ammissibilità di qualsiasi impugnazione, l'interesse deve essere concreto e attuale. I soggetti titolari di questo interesse e quindi legittimati a proporre impugnazione sono: il pubblico ministero e l'imputato per mezzo del suo difensore. L'impugnazione della parte pubblica ex art 570 c.p.p., può essere promossa sia dal pubblico ministero presso il giudice di primo grado, sia dal procuratore generale presso la corte d'appello o da un suo rappresentante. La disciplina sulle impugnazioni menziona tra i soggetti legittimati, anche le cosiddette "parti eventuali": parte

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civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata e infine il querelante. Il sistema delle impugnazioni risalente ai codici preunitari, e di chiara matrice inquisitoria, però, mal si concilia con l'imponente impianto ideologico sottostante alla riforma del 1988, la quale lasciò pressoché invariata la normativa riferita al sistema delle impugnazioni limitandosi a razionalizzare quanto già previsto dal codice Rocco. Infatti, l'impostazione “autoritaria” del sistema processuale del 1930, non era certamente favorevole alla possibilità che le parti (l'imputato), con una loro iniziativa (attraverso l'appellabilità delle sentenze) potessero “mettere nel nulla” una decisione di un giudice27. A bilanciare la situazione che vedeva

il legislatore nell'impossibilità di escludere il controllo di secondo grado, fu introdotto l'appello incidentale del pubblico ministero, con chiaro intento sanzionatorio. A seguito poi di ripetuti interventi della Corte costituzionale trovava sempre più spazio il potere di impugnazione dell'imputato, in altre parole la disparità di trattamento tra accusa e difesa veniva a mitigarsi seppur non superata completamente. Il nuovo codice, dal canto suo come anticipato si limitò a recepire la normativa previgente quasi fosse : “Un legato testamentario”28; svelando così da subito l'incongruenza tra il nuovo

27 A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, in AA. VV., La nuova disciplina delle impugnazioni, Torino, 2006, p. 2 e seg.

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codice improntato ad un sistema processuale di tipo accusatorio, e gli strumenti atti ad impugnare una decisione pensati e creati invece per un sistema di tipo inquisitorio - garantista. Di conseguenza, il radicale mutamento di prospettiva dovuto alla riforma del 1988 portò senza dubbio, il nostro sistema processuale ad allontanarsi dal modello di tipo inquisitorio lasciando aperto, però, il problema dell'innesto nel nuovo sistema di tipo accusatorio della disciplina sulle impugnazioni. Evidenziando quindi un handicap strutturale, un gap tra primo e secondo grado di giudizio; poiché partendo da un giudizio di merito in primo grado, conseguente all'assunzione di prove effettuata nel rispetto del principio di oralità e del contraddittorio come voluto da un modello di tipo accusatorio, si giunge ad un secondo giudizio di merito, che funziona come una sorta di meccanismo di controllo delle decisioni emesse all'esito di un giudizio di primo grado, che però si basa su atti del processo e prove già formate29. La scelta del legislatore, di lasciare invariato

l'appello consolidando e stratificando in questo modo, un doppio grado di giurisdizione nel merito sia nei confronti dell'imputato che del pubblico ministero, non solo non troverebbe copertura costituzionale, ma non sarebbe neppure previsto a livello

riforma, Giappichelli editore, Torino, 2007, p. 245

29 G. DELLA MONICA, L'appello (volume IV), in AA. VV., Procedura penale teoria e

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internazionale e comunitario. Lo dimostra il fatto che, il protocollo n.7 della Convenzione Europea, all'art 2, così dichiara :

Diritto a un doppio grado di giudizio in materia penale

1.Ogni persona dichiarata colpevole da un tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore. L’esercizio di tale diritto, ivi compresi i motivi per cui esso può essere esercitato, è disciplinato dalla legge.

2.Tale diritto può essere oggetto di eccezioni per reati minori, quali

sono definiti dalla legge, o quando l’interessato è stato giudicato in prima istanza da un tribunale della giurisdizione più elevata o è stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento. Come si evince da una prima lettura

il doppio grado di giurisdizione in materia penale, è garantito esplicitamente al solo condannato, tra le eccezioni viene poi menzionato l'ipotesi in cui l'imputato (come si ricava dal II comma) “è stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento” ma non basterebbe comunque a giustificare l'ammissibilità tout court di un appello del pubblico ministero. Altrettanto fa il Patto internazionale sui diritti civili e politici, che all'art 14 comma 5 p.i.d.c.p. statuisce: “Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l'accertamento della sua

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colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge”. Il principio contenuto nelle disposizioni richiamate si aggancia ad una prospettiva di tipo soggettivo, insomma una garanzia azionabile non d'ufficio ma attraverso quella parte che è stata dichiarata colpevole o ha riportato una condanna30. Se questo dunque é il panorama normativo su cui si

affaccia il nostro sistema, è evidente che quantomeno la previsione dell'appellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero ponesse non pochi problemi. Secondo autorevole dottrina ci troviamo difronte ad un processo accusatorio di difficile inquadramento, tanto da definirlo come: “processo accusatorio all'italiana”, accusatorio in primo grado ed inquisitorio in appello31. Nonostante quanto detto poc'anzi e

nonostante non sia chiaro se vi sia o meno una norma costituzionale, che garantisca il cosiddetto "doppio grado di giudizio", questo mezzo di impugnazione non è mai stato messo in discussione. Emblematica al riguardo l'opinione di un illustre giurista come Mortara, il quale descrive con estrema chiarezza, un radicamento storico/culturale italiano di generale sfiducia dei cittadini nei

30 G. GARUTI E G. DEAN, I nuovi ambiti soggettivi della facoltà di impugnare, in AA. VV., La nuova disciplina delle impugnazioni, Torino, 2006, p. 131 e seg.

31 AA. VV., Il nuovo regime delle impugnazioni tra Corte Costituzionale e Sezioni Unite,

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confronti della magistratura e più in generale dell'istituzione giudiziaria. L' appello dal punto di vista di Mortara32 oltre a

rispondere all'istintivo bisogno dell'uomo di avere un mezzo con cui lamentarsi, delle ingiustizie subite, è altresì necessario in virtù delle fallibilità e fragilità umana. Mortara pertanto enuncia il perché o almeno uno dei possibili motivi per cui l'appello non è stato eliminato con l'avvento del nuovo codice anzi risulta persino utopica l'idea stessa di rimuoverlo. Egli infatti afferma che: al giudizio di seconda istanza, per potervi rinunciare, è necessario che l'ordinamento perfezioni gli istituti processuali a tal punto da ritenere l'appello irragionevole, dunque superfluo. Ed é proprio questo sentimento di sfiducia della collettività nei confronti della magistratura, che porta a configurare il principio del doppio grado di giurisdizione di merito come un profilo direttamente emergente dalla Costituzione. In particolare ricollegandoci all'art 2 cost, inteso come clausola aperta in grado di recepire tutte le nuove libertà e garanzie tali da essere elevati a diritti inviolabili, e quindi rientranti nella disposizione in questione. Tra questi diritti inviolabili sicuramente vi rientra il diritto alla sentenza giusta: tra i vari significati attribuiti al concetto di sentenza giusta, senza dubbio vi è quello di sentenza

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scevra da errori, corrispondente al vero, cioè immune da errori nella ricostruzione del fatto. Tutto ciò per dire che non vi può essere sentenza giusta se non vi è un meccanismo atto a rimuovere l'errore nella ricostruzione del fatto e nell'applicazione del diritto. Lo stesso si dica per quanto riguarda il versante del diritto di difesa anch'esso principio sancito a livello costituzionale ex art 24 cost., di portata amplissima tale da ricomprendervi anche la possibilità di censurare possibili errori giudiziari. E poiché l'errore giudiziario si annida prevalentemente nella ricostruzione del fatto, non parrebbe essere sufficiente il solo controllo di legittimità della Corte di Cassazione, ma risulterebbe altresì necessario un secondo controllo nel merito33. Ciò premesso, le critiche indirizzate al giudizio di

appello risultano indiscutibili laddove venga riformata una sentenza di proscioglimento sulla base della sola rivalutazione degli atti (il cosiddetto overturning), come del resto le critiche mosse all'utilizzo indiscriminato del potere di appello da parte del pubblico ministero disancorato da qualsiasi riferimento normativo che lo regolarizzi. Ma vediamo adesso più da vicino l'appello: così come voluto dal legislatore, si trova disciplinato nel codice di procedura penale agli art 593-605 c.p.p.. Si tratta di un mezzo di impugnazione

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di tipo ordinario mediante il quale, le parti che vi abbiano interesse e ritengano viziata per motivi di fatto o di diritto, la decisione del giudice di primo grado chiedono, con riferimento ad uno o più capi e punti del provvedimento, una decisione del giudice di secondo grado, detto appunto giudice di appello34. L'appello inoltre si caratterizza per

la sua struttura ibrida, perché pur riconnettendosi al modello di gravame, si caratterizza come parzialmente devolutivo, cioè al giudice di appello è attribuita la cognizione dei soli motivi proposti dalla parte appellante, con l'ulteriore limite del divieto di reformatio

in pejus (art 597 comma3 c.p.p). Va altresì detto che l'appello è uno

stadio eventuale non costituzionalmente indefettibile, ed intermedio del processo, giacché non tutte le sentenze sono appellabili, mentre le decisioni emesse a seguito del giudizio di appello sono sempre ricorribili per Cassazione35. Risulta opportuno chiarire che il giudizio

di appello è stato configurato dal legislatore non come nuovo giudizio, ma come uno strumento di controllo della decisione impugnata. Di fatto l'appello ha come referente valoriale il (fondamentale) diritto alla rimozione dell'errore giudiziario esistente in una determinata decisione: diritto al controllo che deve trovare attuazione nel doppio versante della tutela dell'individuo e dei

34 AA. VV., Compendio di procedura penale, intervento di M. BARGIS, Milano, 2006, p.230 e seg.

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suoi diritti soggettivi o di quelli della collettività e nella corretta attuazione della giurisdizione e della applicazione della legge. La finalizzazione del controllo alla realizzazione degli obiettivi delineati consente di collocare l'appello, nella prospettiva dell'imputato, all'interno della categoria dei diritti fondamentali per la diretta connessione con la giusta sentenza; ma legittima sul piano generale, anche l'impugnazione del pubblico ministero nella prospettiva della corretta applicazione del diritto e delle regole procedurali del giusto processo. Ed è proprio l'interesse ad impugnare del pubblico ministero in riferimento all'appello che ha dato luogo ad una sorta di "ossimoro vivente”36. Benché il pubblico ministero, sia

organo dell'azione penale a tenore dell'art 73 comma 1 ord. Giud. , il quale gli affida il compito di vegliare alla osservanza delle leggi e alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, il legislatore lo ha collocato al pari dell'imputato come parte processuale37.

L'art 570 c.p.p, infatti, riconosce al Procuratore della Repubblica presso il tribunale ed al Procuratore generale presso la Corte d'appello la possibilità di proporre impugnazione nei casi previsti dalla legge, quali che siano state le conclusioni rassegnate in udienza

36 L'espressione è di PISANI, Il pubblico ministero nel nuovo processo penale: Profili

deontologici, in Riv. Dir.proc. 1989, p. 184.

37 F. NUZZO, L'appello nel processo penale, quaderni di Cass. Penale, Giuffrè, Milano, 2008, p. 101 e seg.

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dal rappresentante dell'accusa e che il procuratore generale può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. Il medesimo articolo 570 c.p.p. al terzo comma statuisce che: <<il pubblico ministero che ha presentato le conclusioni

e ne faccia richiesta nell'atto di appello, può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello. La partecipazione è disposta dal procuratore generale presso la corte d'appello qualora lo ritenga opportuno>>.

Alla norma sottende il principio di impersonalità dell'ufficio del pubblico ministero e della conseguente non valorizzazione di un determinato soggetto fisico nell'esercizio dell'azione penale (dato che anche nell'ipotesi di sostegno dell'accusa in secondo grado vi è sempre la necessità di un provvedimento autorizzatorio da parte del procuratore generale) impersonalità che trova fondamento nella legittimazione dell'ufficio nella sua interezza, stante l'unicità e la comunanza dell'interesse ad impugnare.

L'interesse del titolare dell'accusa pubblica infatti, non è valutabile in termini di vantaggio o di svantaggio, poiché deve riferirsi all'esatta applicazione della legge penale38. In particolare, dalle norme

38 CORDERO, Procedura penale, Milano,1985, cit. p.548, richiamato da F. NUZZI, op. cit., p. 101.

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contenute nel codice di procedura penale, nella parte dedicata all'attività del pubblico ministero (libro V titolo V) emerge la volontà di non considerarlo istituzionalmente orientato in danno dell'imputato e appare senza dubbio ammissibile una richiesta che si traduca in un vantaggio per l'imputato stesso, ed è il caso in cui all'interesse egoistico della parte privata si sovrapponga l'obiettiva voluntas legis secondo la valutazione del pubblico ministero39.

Certamente come confermato dalla Corte di Cassazione, il pubblico ministero può impugnare il provvedimento emanato, qualora ritenga la decisione in qualche modo ingiusta, a prescindere dalle conseguenze favorevoli o sfavorevoli per l'imputato. I giudici di legittimità hanno altresì specificato che quando il pubblico ministero decide se impugnare o meno una sentenza, deve innanzitutto interrogare la propria coscienza in relazione al contenuto del provvedimento e determinarsi secondo gli interessi generali della giustizia40. L'organo pubblico esercita la sua funzione per ottenere

un'utilità concreta, non personale, identificata con la pretesa che egli, come parte processuale, deduce in giudizio per mezzo dell'azione; per cui il suo interesse ad impugnare si presenta ogni qualvolta un provvedimento contiene una statuizione che si discosta dalla pretesa

39 DI CHIARA, Interesse del pubblico ministero, cit. p.106. ,richiamato da Giuseppe Riccio, Quaderni di Cassazione penale, giuffrè editore, Milano, 2006, p. 91 e seg.

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suindicata. Proprio riguardo a quest'ultimo aspetto che si sollevano i maggiori dubbi, poiché se su un piano teorico, si ritiene che il pubblico ministero abbia un generale interesse ad impugnare le decisioni ingiuste, sul piano concreto la Cassazione ha stabilito che è necessario che si abbia un interesse concreto ed attuale41.

Da questo punto di vista se la giurisdizione è stata correttamente esercitata sul piano del metodo, il pubblico ministero dovrebbe aver raggiunto il suo scopo, e non come accade, essere legittimato ad impugnare il provvedimento sulla base di un mero dissenso. Risulta chiaro che il pubblico ministero perseguendo l'interesse della collettività possa ritenere opportuno impugnare, per ottenere un controllo della decisione di primo grado con la quale per esempio è stata assolta una persona imputata di gravi reati, ovvero sia stata

irrogata una pena ritenuta incongrua.

Quanto appena detto non può divenire regola generale e non potrebbe di conseguenza legittimare ogni volta l'impugnazione della pubblica accusa. Il pubblico ministero, oltre a perseguire l'interesse tanto della collettività, quanto della funzione punitiva dello Stato ha interesse ad impugnare i provvedimenti anche a tutela sia dell'imputato che della persona offesa, opponendosi a decisioni emesse in violazione del

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principio di legalità o questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento42. "Non esiste, in buona sostanza,

un'interesse in senso assoluto delle parti, alla correttezza giuridica delle decisioni ed all'esatta osservanza delle norme processuali, rendendosi dunque necessario che le parti deducano l'esistenza di un pregiudizio alla loro sfera giuridica come conseguenza diretta del provvedimento impugnato, che può venire meno per effetto dell'esercizio vittorioso del diritto di impugnazione”43.

Sul punto Padovani evidenzia che “se il doppio grado rappresenta una 'garanzia', in qualunque senso si voglia intendere tale termine, rappresenta una garanzia interamente rimessa alle parti e quindi condizionata dal loro angolo visuale, non già una garanzia per così dire 'obiettiva', precostituita dall'ordinamento per assicurare impersonalmente un certo risultato o un certo modo di procedere, in favore di chiunque e a prescindere da chiunque”44.

Prima di affrontare compiutamente le novità introdotte dalla l 20 febbraio 2006 n. 46 e ciò che ne è scaturito in seguito, risulta opportuno soffermarsi su quanto era previsto dal codice in

42 F. NUZZO, L'interesse ad impugnare, op. cit., pag. 34

43 Rassegna della giurisprudenza di legittimità, la giurisprudenza delle sezioni unite Cass. Penale 2005, cit. p. 34

44 T. PADOVANI, Il doppio grado di giurisdizione: appello dell'imputato, appello del

pubblico ministero, principio del contraddittorio, in Cass. Penale , fasc. 12, 2003, p. 4023

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