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A undici anni dalla legge Pecorella: la più recente proposta d

I. 3 1 Il valore che il divieto di double jeopardy ha nel

IV.3 A undici anni dalla legge Pecorella: la più recente proposta d

Da almeno un secolo a questa parte, la dottrina ha sempre cercato soluzioni che permettessero, alle fasi del processo successive al primo grado, di rispondere coerentemente ai dettami dell'idea stessa di giusto processo. Tale dottrina ha dovuto, però, fare i conti, con una tendenziale staticità, discendente dalla consuetudine di privilegiare, da parte del legislatore ma più in generale degli

110 C. FIORIO, Profili sovranazionali e costituzionali della facoltà di impugnare, in AA. VV., La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”,Torino, 2006, p. 118 e seg.

operatori giuridici, l'aspetto tradizionale dell'appello piuttosto che il suo profilo funzionale. Con cadenza regolare dunque, il dibattito sui gradi di giudizio successivi al primo, con particolare attenzione per l'appello torna costantemente. L'incoerenza di un sistema dunque, più volte criticato dalla dottrina, divenne sempre più evidente, come già evidenziato nei capitoli precedenti111, con la modifica dell'art 111

cost., “detta giusto processo”. Incoerenza, il cui culmine viene raggiunto con la legittimazione ad appellare in caso di proscioglimento in primo grado da parte dell'accusa. Fu infatti, la legge Pecorella a cercare di arginare questo indiscutibile punto di rottura con il sistema di natura accusatoria, previsione, però, dichiarata come ampiamente illustrato nel capitolo precedente, incostituzionale da parte della Consulta. Indicativo risulta il fatto che, fu proprio la stessa Corte Costituzionale, nel 1994 con la sentenza n. 98 ad aprire le porte, all'idea di introdurre nel sistema processuale penale una rimodulazione del potere di appello del pubblico ministero rispetto al corrispondente potere dell'imputato. Tant'è che la stessa Corte Costituzionale nella sentenza sopracitata ebbe a sottolineare come : “il principio della "parità delle armi" tra accusa e imputato, si modula non solo e tanto sull'identità delle

rispettive posizioni, quanto sul raccordo con l'esigenza di non comprimere poteri e facoltà dell'imputato riconducibili al precetto dell'art. 24 Cost.”112. Costituisce dunque un singolare paradosso

il fatto che la stessa Corte abbia in un primo momento sollecitato il legislatore ad una rivisitazione del potere di appello del pubblico ministero non ritenendo tale diritto assistito dalle medesime garanzie di quelle assicurate all'imputato, per poi dichiarare incostituzionale una legge, che seppur con delle riserve poneva fine alla così detta “Doppia difforme”, tutelando proprio l'art 24 cost.. Caduto lo scudo offerto dalla legge Pecorella, attraverso la non appellabilità delle sentenze di proscioglimento, non resta che volgere lo sguardo alle novità in esame al senato e più in generale alle proposte di riforma da parte di quella dottrina che non ha mai smesso di invocare una riforma in tal senso. A seguito dunque, dell'invito da parte del Giudice delle leggi ad una riforma dell'appello penale di più ampio respiro, di tipo dunque sistematico e non, come è avvenuto con la legge Pecorella, una serie di “potature settoriali”113, nel 2014 è

stata presentata alla Camera dei deputati una proposta organica di trasformazione delle impugnazioni. Tale disegno di legge, è stato

112 Sentenza Corte Costituzionale n.98 1994, www.cortecostituzionale.it

113 In tal senso si esprime H. BELLUTA, Prospettive di riforma dell'appello penale, in

AA. VV., Impugnazioni penali: assestamenti di sistema e prospettive di riforma, Torino,

presentato dal Ministero dell'economia e delle finanze il 23 dicembre 2014, per poi essere assegnato alla commissione giustizia della Camera il 13 gennaio 2015, come ddl 2798, ed approvato dalla Camera il 23 settembre del 2015, attualmente si trova in trattazione al Senato della Repubblica. In generale il provvedimento in esame si pone numerosi obiettivi, sia per quanto riguarda la procedura penale sia per ciò che concerne l'ordinamento penitenziario. Ciò premesso, va detto che tale riforma era da tempo auspicata e prende le mosse proprio da proposte elaborate in materia sia prima che dopo la legge Pecorella. Peraltro l'idea di fondo che anima il disegno di legge, è la medesima già preannunciata in apertura della presente trattazione, ovvero l'inammissibilità di una proposta abrogatrice dell'istituto dell'appello, ma anzi la necessità di una sua conservazione. In virtù dell'attuale inadeguatezza di alcune tipologie di giudizi di primo grado in materia di garanzie e rispetto del contraddittorio, tali da rendere tutt'oggi fondamentale la presenza dell'appello come secondo esame nel merito. Ciò premesso, ad ispirare in particolar modo il provvedimento in questione è stata la Commissione ministeriale di studio per la riforma del codice di procedura penale, istituita all'indomani dell'entrata in vigore della

legge Pecorella e presieduta dal professor Giuseppe Riccio114.

Ad essere prese in considerazione per la stesura del disegno di legge in esame sono state inoltre, la Carta di Napoli115 e la Commissione di

studio Canzio116, gran parte delle proposte ivi contenute hanno finito

con il confluire nel d.d.l C.N. 2798 e S.N. 2067. Per quanto concerne il presente lavoro, parrebbe opportuno limitarsi ad esaminare nel dettaglio le proposte in tema di impugnazione, in particolare per quanto riguarda il potere di appello del pubblico ministero. Al fine di apportare queste riforme relative all'appello in generale, finanche all'appello da parte del pubblico ministero sono state elaborate procedure di natura “mista”, sia norme sia direttive di delega: che apporteranno nel primo caso modifiche immediate, mentre nel secondo caso necessiteranno di attuazione successiva117.

Per quanto attiene alle direttive, queste sono contenute all'art 25 comma 1 del d.d.l 2798 e all'art 24 si stabilisce che: “il governo è delegato ad adottare, nel termine di un anno dall'entrata in vigore

114 Relazione per la Commissione Riccio – Per la riforma del codice di procedura

penale (27 luglio 2006)

115 Tale documento è stato elaborato a Napoli il 18 maggio del 2012, dall'Associazione tra gli studiosi del processo penale, con lo scopo precipuo di elaborare una riforma che risolvesse il problema della mole di ricorsi di cui è oberata la Corte di Cassazione.

116 La relazione Canzio, poi confluita per larga misura nel d.d.l., è il frutto di una commissione di studio istituita con decreto il 10 giugno 2013 presso l'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia. Istituita al fine di elaborare una proposta in tema di processo penale, dunque una proposta che spazia dalle misure cautelari fino alle procedure impugnatorie.

117 Al riguardo, M. BARGIS, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di

della presente legge, decreti legislativi per la riforma della disciplina del processo penale e dell'ordinamento penitenziario, secondo i principi e criteri direttivi previsti dal presente titolo”. Soffermandoci su ciò che interessa la presente trattazione, l'art 25 comma 1 del d.d.l detta sei direttive riguardanti l'appello, che vanno dalla lettera e alla lettera l.. Le prime tre concernono la legittimazione ad appellare del pubblico ministero (lettera e ed f) e dell'imputato (lettera g), in chiave restrittiva rispetto a quanto previsto dopo le declaratorie di incostituzionalità della Consulta nei confronti della legge Pecorella. Poi vi è la lettera h relativa all'appello come mezzo di impugnazione a critica vincolata, la lettera i prescrive “la titolarità dell'appello incidentale in capo all'imputato e limiti di proponibilità” ed infine la lettera l che prevede la camera di consiglio partecipata per dichiarare l'inammissibilità dell'appello118. Va precisato che delle

sei direttive elencate, tre di cui lettera g (parzialmente), lettera h ed l, con il passaggio al Senato sono state abrogate119.

Per quanto riguarda le direttive circa la legittimazione ad appellare del pubblico ministero, dopo la battuta d'arresto inferta alla legge Pecorella e alla conseguente regola dell'inappellabilità dalla

118 M. BARGIS, op., cit, p. 11.

119 Le direttive sopracitate riguardano: lettera g) la legittimazione dell'imputato in senso restrittivo rispetto ad oggi, la lettera h) costruisce l'appello come mezzo di impugnazione a critica vincolata, mentre la lettera l) anch'essa abrogata prevedeva la camera di consiglio partecipata per dichiarare l'inammissibilità dell'appello.

Consulta, il legislatore ha cercato comunque di elaborare delle proposte in linea con l'obiettivo di realizzare una riduzione controllata dell'area dell'appello. La direttiva e), in particolare ha ad oggetto la legittimazione del pubblico ministero, infatti come già precedentemente illustrato nella prima parte del presente lavoro120,

la disciplina relativa all'impugnazione del pubblico ministero è contenuta all'art 570 c.p.p., che prevede: una generale appellabilità, ripartita tra il Procuratore della Repubblica presso il tribunale e il Procuratore generale presso la corte d'appello, sulla base del principio di impersonalità dell'ufficio del pubblico ministero121.

Nell'impossibilità d'una “soppressione” del potere di appello del pubblico ministero, si é optato per una sua rivisitazione che quantomeno cerchi di valorizzarne il ruolo. La direttiva in oggetto dunque, propone una scelta condivisa e auspica in dottrina122, cioè

l'esigenza di sopprimere la legittimazione ad appellare del procuratore generale presso la corte d'appello. Prevedendo che: “Il procuratore generale presso la Corte d'appello

120 Cfr. p. 27.

121 Alla norma in esame sottende sia il principio di impersonalità del pubblico ministero che della non valorizzazione di un determinato soggetto fisico nell'esercizio dell'azione penale, impersonalità che trova suo fondamento nella legittimazione dell'ufficio nella sua interezza, stante l'unicità e la comunanza dell'interesse ad impugnare.

122 In questo senso, G. SPANGHER, Poche e confuse idee per una riforma dell'appello,

in AA. VV., Il nuovo regime di impugnazioni tra C.C e Sez. Unite, Padova, 2007,:

<<Resterebbe comunque da definire la legittimazione degli uffici del pubblico ministero

possa appellare soltanto nei casi di avocazione e di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado”. Tale scelta si fonda sull'esigenza di impedire la doppia impugnazione, da parte del procuratore generale, che non ha partecipato, né alla fase delle indagini preliminari né durante il procedimento di primo grado rimanendo dunque estraneo alla vicenda processuale. Lasciando limitata la possibilità di appello al procuratore generale al solo caso di acquiescenza globale degli uffici della procura della Repubblica presso il giudice di primo grado, evitando in tal modo paventati rischi di negligenza o, addirittura di “insabbiamento”123. Il principio di impersonalità del pubblico

ministero cede il posto alla volontà del legislatore di privilegiare la sola legittimazione del pubblico ministero di primo grado (salvo l'acquiescenza), il quale avendo lui stesso esercitato l'azione penale ed istruito il processo, ha più di tutti coscienza e conoscenza di ciò che è avvenuto in prime cure. Per guanto attiene alla direttiva relativa alla legittimazione del pubblico ministero ad appellare avverso le sentenze di condanna, si prevede: “la legittimazione del pubblico

ministero ad appellare avverso la sentenza di condanna solo quando abbia modificato il titolo del reato o abbia escluso la sussistenza di 123 AA. VV., H. BELLUTA, Linee guida per una riforma dell'appello, op. cit., p.285.

una circostanza aggravante ad effetto speciale o che stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.

A ben vedere, l'appellabilità delle pronunce di condanna viene decisamente circoscritta ai casi sopracitati, tale previsione riguarderebbe sia il caso di condanne dibattimentali sia per le condanne emesse a seguito di giudizio abbreviato. Tale previsione che avvicina notevolmente il rito abbreviato rispetto al rito dibattimentale determina dubbi di legittimità. Come si può ben notare, ed arriviamo al punto cruciale, tra le direttive della delega riferite alla legittimazione ad appellare del pubblico ministero non ne compare nessuna relativa all'appellabilità da parte sua delle sentenze di proscioglimento. Ciò significa che a distanza di undici anni, il legislatore non ha voluto mettere in discussione il dictum della Corte Costituzionale che, come sappiamo ha travolto l'art 593 c.p.p., nella parte in cui prevedeva l'inappellabilità del pubblico ministero contro tali sentenze. Per arginare ciò che scaturisce dalla legittimazione ad appellare dell'organo dell'accusa con riguardo alla sentenze di proscioglimento sono state introdotte all'interno del disegno di legge due previsioni che potremmo definire “compensatrici”124.

La prima riguarda l'introduzione nell'art 603 c.p.p., del comma 4 bis, che riproponendo quanto elaborato già dalla Commissione Canzio125,

si prefigge l'obiettivo di evitare che un imputato prosciolto in primo grado, venga condannato in appello sulla base di una mera rilettura cartolare del materiale probatorio precedentemente assunto in primo grado. Il nostro legislatore infatti tenta con tale previsione di allinearsi con quanto affermato dalla Corte Europea in varie occasioni126: e cioè che quando il giudice in appello rovescia un

proscioglimento lo può fare, ma deve provvedere alla rinnovazione dell'istruttoria orale. Con il passaggio al Senato il testo dell'art 18 ha subito due ritocchi, uno modificativo e l'altro abrogativo. Prima di tali ritocchi si prevedeva che: nel caso di «appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alle valutazioni di attendibilità della prova dichiarativa, il giudice, quando non ritiene manifestamente infondata l’impugnazione, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale». La Commissione giustizia della Camera ha sostituito le parole «alle valutazioni di attendibilità» con le parole «alla valutazione» e ha soppresso l’inciso «quando non ritiene

125 Relazione conclusiva della Commissione Canzio in tema di processo penale, 30 novembre 2013.

126 V., ad esempio, Corte eur., 4 giugno 2013, Hanu c. Romania, cit.; Corte eur., 9 aprile 2013, Flueras c. Romania; Corte eur., 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; Corte eur., 26 giugno 2012, Găitanăru c. Romania; Corte eur., 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia.

manifestamente infondata l’impugnazione»127.

Se dunque l'ipotesi di abolire l'appello delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero al momento non sembra concretizzarsi, l'introduzione invece della previsione di cui all'art 18 del presente d.d.l non impedirebbe certamente il verificarsi del cosiddetto overturning, ma ne determinerebbe se non altro un'armonizzazione con le garanzie del giusto processo previste all'art 6 CEDU, allineandosi dunque alle sollecitazione della Corte Europea. La seconda previsione “compensatrice” è racchiusa nella direttiva di delega alla lettera i, che prevede l'appello incidentale per il solo imputato. Ciò che si evince dalla relazione di accompagnamento al d.d.l 2798 è la volontà di intendere la norma nel senso di riconoscere al solo imputato la proponibilità dell'appello incidentale128: “Sempre nella prospettiva della riduzione

dell’appellabilità senza sacrificio per le ragioni della difesa, si prescrive che l’appello incidentale sia rimesso soltanto all’imputato e quindi acquisti una spiccata funzione difensiva e sia limitato nella sua estensione, in particolare ai casi in cui non abbia legittimazione all’appello principale”. Ad oggi infatti accade che: a differenza del

127 M. BARGIS, I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del d.d.l

n.2798 approvato dalla Camera dei Deputati, Diritto penale contemporaneo,

www.penalecontemporaneo.com , p. 6.

128 Relazione al d.d.l. C N. 2798, in Atti parlamentari, Camera dei deputati, XVII legislatura, Disegni di legge e Relazioni, p. 9.

pubblico ministero, il quale può impugnare una sentenza di proscioglimento in via principale, da cui può eventualmente scaturire una sentenza di condanna nei confronti dell'imputato in seconde cure, a quest'ultimo è invece precluso il medesimo potere per mancanza di interesse, con ulteriore pregiudizio per il proprio diritto di difesa, ecco allora la previsione dell'appello incidentale per i solo imputato. Dunque la direttiva in questione già auspica dalla dottrina129 e contenuta nella Commissione Riccio del 2006, svincola

per l'imputato la legittimazione all'appello incidentale da quella dell'appello principale riducendo dunque le ipotesi di appello in via

incidentale all'unica espressamente prevista.

La direttiva n.11 così recita: “Previsione dell'appello incidentale limitatamente all'imputato, nel solo caso di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate con le formule “il fatto non sussiste”, “l'imputato non lo ha commesso”, “il fatto è stato compiuto nell'esercizio di una facoltà legittima..”. Ciò che risulta essere maggiormente indicativo ai fini della presente trattazione è la riduzione invece dell'appello del pubblico ministero, che diviene proponibile solamente in via principale, ponendo fine ai dubbi circa l'efficacia stessa dell'istituto. Istituto quello dell'appello

incidentale posto maggiormente a tutela del pubblico ministero rispetto all'imputato, non avendo su quest'ultimo lo stesso effetto deterrente di quello del pubblico ministero, cosicché il conferimento ad entrambe le parti contrapposte di questa eguale facoltà sembra si sia ridotta ad una brillante fictio. Ecco che l'eliminazione della possibilità in capo al pubblico ministero di appellare incidentalmente, fa in modo che non vi possano essere dubbi sul reale e concreto interesse, dubbi che invece si insinuano nel caso in cui invece si abbia l'appello incidentale. Quanto all'oggetto dell'appello incidentale, sembra che dovrà concernere gli stessi motivi dedotti con

l'appello principale del pubblico ministero.

Inoltre si mantiene la medesima previsione circa la sua perdita di efficacia, l'appello incidentale dunque rimane legato alle sorti dell'appello principale. Tali previsioni che abbiamo definito compensatrici, sono d'altro canto quasi obbligate dopo che il legislatore ha deciso di non adottare la prospettiva di una riforma

strutturale del giudizio di seconde cure130.

Nell'impossibilità dunque di una “soppressione” del potere di appello delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero, dovuto alla declaratoria di incostituzionalità da parte della Consulta

della ormai più volte citata legge Pecorella, c'è chi sostiene 131, che

“la partita” possa e vada comunque riaperta, sull'assunto che le decisioni della Corte Costituzionale poggiano su una discutibile valorizzazione del principio di soccombenza. Principio che come già esplicato nel corso della trattazione, sarebbe strettamente legato al processo civile ove le parti si trovano sullo stesso piano in condizione di assoluta parità, mentre ne rimane del tutto estraneo il processo penale, ove invece le parti sono fisiologicamente asimmetriche. Inoltre privare l'organo della pubblica accusa della facoltà di impugnare una sentenza assolutoria sarebbe incostituzionale solamente laddove risultasse pregiudicata la funzione da lui stesso esercitata, ma così non sembra essere. Poiché se il diritto all'impugnazione dell'accusa, secondo la Consulta, non trova copertura costituzionale nell'art 112 cost.132, il venir meno

di tale potere di appello non intaccherebbe dunque il potere di coltivare l'accusa, ma semmai ne verrebbero alterate le modalità di attuazione. In questo modo però il pubblico ministero cosciente dell'impossibilità di ricorrere in appello sfrutterebbe al massimo il giudizio di primo grado in tutte le sue fasi, comprese dunque le indagini preliminari, determinando un acceleramento dei tempi

131 R. ORLANDI, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela

“progressiva” dei diritti fondamentali, in Riv. It. Dir. E proc. Penale 2014.

processuali, arrivando persino, come sostenuto in dottrina, ad eliminare l'udienza preliminare, riformata nel 1999 proprio per

colmare lacune di tipo investigativo133.

Si può concludere quindi che il progetto riformatore contenuto nei disegni di legge n. 2798 e 2067 nonostante le aspettative non rappresenta sicuramente una grande manovra di riforma strutturale del sistema delle impugnazioni come da anni è auspicato dalla dottrina. Senza dubbio si tratta però, di un tentativo maggiormente positivo rispetto ai precedenti, ma pur sempre un intervento di natura settoriale, disorganico, che lascia pressoché inalterato il dibattito politico – dottrinario, circa l'esigenza di una rivisitazione sistematica del processo con particolare attenzione per la disciplina delle impugnazioni.

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