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La scelta del male per il male Beatrice Ugolin

“Teorie del diritto e della politica”. beakant@inwind.it

La scelta del male per il male

Beatrice Ugolini

Il femminicidio si sviluppa nella maggioranza dei casi all’interno di una relazione sentimentale tra fi- danzati, conviventi, coniugi o ex partner ed è proprio per questo motivo che per riferirsi a questi fenomeni di letteratura si utilizza sempre più spesso l’espressione “intimate partner violence”, che ben evidenzia il tipo di relazione esistente tra la vittima e il suo aggressore.

I dati sono preoccupanti non solo in Italia e come al solito oltre alla punizione occorre riflettere sulla prevenzione e riabilitazione, come prevede la Costituzione (art. 27).

Il punto che vorrei approfondire di questa tematica è quello relativo a tutti le “dinamiche” di carattere psico-sociale attuati in Italia per identificare atteggiamenti, cognizioni e comportamenti di quegli uomini che si rendono conto del discontrollo a cui sono portati da ragioni “cognitive”, affettive e sociali e che chiedono aiuto o accettano di chiederlo ad istituzioni volte ad una sorte di “addestramento” del controllo degli impulsi e al reting cognitivo ed affettivo.

La criminogenesi del fenomeno è complessa, la donna impiega molto tempo anche diversi anni per elaborare la situazione e comprenderne la gravità.

Helping the bad – aiutare i cattivi è un progetto pensabile (e fattibile) se, come prima condizione, il “cattivo” mette a fuoco dentro di sé l’esistenza e il senso del male compiuto, le conseguenze di questo e il fatto di avere avuto una “responsabilità” nel compiere tale male. In altre parole, dal punto di vista psicologico, il reato commesso deve essere almeno in parte percepito come un atto pregiudizievole verso terzi che il soggetto ha liberamente commesso, di cui sente la responsabilità.

In secondo luogo, “l’aiuto” non può essere ingenuamente proposto a chi non lo sente e non lo vuole in modo autentico, non può essere moralisticamente imposto da una ideologia trattamentale a tutti i costi, ma può essere offerto solo a chi lo chiede perché possiede una almeno iniziale consapevolezza di volere cambiare.

Il primo compito di chi vuole “trattare” è valutare se tale disponibilità al cambiamento, alla riflessione autocritica, esiste nel soggetto almeno a livello embrionale.

L’autore del “male” solo quando riconosce il “male”, ovvero la malvagità ed illiceità della propria azione/i, solo in quel momento si pone sulla strada del ravvedimento.

Senza tale riconoscimento, il soggetto persevererà incondizionatamente nel riconoscere il male come modello morale da seguire.

Altresì, se si ipotizza un’associazione tra patologia mentale e reati contro il mondo femminile, allora è possibile pensare anche ad una eventuale predisposizione genetica in persone che hanno commesso reati contro le donne. Come per altre pa- tologie, dove è stata dimostrata una predisposizione genetica nello sviluppo di determinate malattie mentali, come per esempio la schizzofrenia, allora futuri studi su ampi gruppi di soggetti potrebbero dimostrare la predisposizione genetica in casi di femminicidio. La scelta del campione di soggetti è ovviamente determinante in studi in genome wide association (GWA), termine con cui si identifica lo studio comparativo del DNA di soggetti scelti nella popolazione. Le prospettive di riuscita sono sicuramente affascinanti ed applicabili in casi di stalking o reati omicidi ari.

Si ringrazia il dott. Giorgio Portera, genetista, per aver individuato nell’ambito della genetica un ulteriore

Il femminicidio: criminodinamica e criminogenesi

Maria Rosario Cesarano

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Si dice che il folle e l’innamorato si comportino alla stessa maniera.

Non è semplice parlare di follia, ed ancor meno quando questa scaturisce da un sentimento d’amore: quel filo sottile che piano piano si trasforma in una catena in cui si rischia di rimanere intrappolati.

Se in generale una dipendenza è una trappola, la dipendenza dall’amore può portare a relazioni e situ- azioni estremamente pericolose.

Secondo Gabbard (G.O. Gabbard, 1995)

“la dipendenza affettiva è una condizione relazionale negativa caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità

nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico”, malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità. La persona non è in grado di prendere delle decisioni da sola, ha un comportamento sottomesso verso gli altri, ha sempre bisogno di rassicurazioni e non è in grado di funzionare bene senza qualcun altro che si prenda cura di lei.

È una “droga senza l’uso di una sostanza”, o meglio la sostanza diventa proprio l’oggetto d’amore da cui dipende in maniera esclusiva la propria felicità e infelicità.

Sicuramente i sintomi correlati alla dipendenza affettiva sono molteplici e articolati, ma risulta impor- tante cercare un filo conduttore che permetta di capire meglio il problema per poterlo curare e per prevenire eventuali risvolti patologici correlati: dalla violenza fisica e psicologica allo stalking fino ad arrivare agli eventi più drammatici quali l’omicidio per “amore”.

Nel corso della presentazione verranno esposti i risultati di un’indagine qualitativa svolta su un campione di adulti di entrambi i sessi, attraverso l’utilizzo di un “Test diagnostico sulla dipendenza d’amore”.

A conclusione del presente lavoro vedremo quanto possa essere utile, sia come prevenzione che come cura, un percorso psicoterapeutico che aiuti il dipendente affettivo ad uscire dalla spirale della dipendenza.

L’amore malato si può curare e dall’amore malato si può guarire.

Affiliazione

DANILA PESCINA, Psicologa, Criminologa, Psicoterapeuta. Specialista in Psicoterapia Breve ad Ap- proccio Strategico. Esperta in Psicologia delle Dipendenze. Coll. Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, “Sapienza” Università di Roma. Mail: danila.pescina@gmail.com