SOMMARIO: 3.1: Le caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano – 3.2: La finanza delle piccole e microimprese italiane – 3.3: Implicazioni dei problemi di asimmetria informativa sui modelli tradizionali di finanza – 3.4: Il rapporto con la banca – 3.5: Le difficoltà di accesso al credito bancario e i problemi legati ai crediti verso la pubblica amministrazione
Dopo aver illustrato all’interno dei primi due capitoli lo sviluppo della disciplina previdenziale, con l’obiettivo di considerarne le principali implicazioni sul singolo lavoratore evidenziando il ruolo chiave che vanno ad assumere oggi più che mai la previdenza complementare e la figura del TFR, l’attenzione viene qui spostata all’impresa e alle sue necessità finanziarie.
Il lavoro si pone, infatti, l’obiettivo ultimo di analizzare l’incidenza sull’equilibrio finanziario delle imprese dell’eventuale destinazione obbligatoria del TFR dei dipendenti verso la previdenza complementare, dando allo stesso tempo anche la possibilità di aprire nuove forme di finanziamento per le imprese; in questo senso l’adesione a forme di previdenza complementare, sempre più necessaria per i lavoratori, sarebbe garantita attraverso l’ipotesi di un obbligo di destinazione del TFR ai fondi pensione che rappresenterebbe la soluzione messa in atto dal legislatore al fine di far decollare definitivamente lo sviluppo della previdenza complementare stessa e immettere nuova liquidità nel sistema.
A proposito di TFR, il secondo capitolo è stato proprio concluso indicando l’ipotesi normativa di vincolo dei lavoratori in merito alla scelta di destinare il TFR a fondi pensione come probabile scelta futura del legislatore per riequilibrare il sistema previdenziale di ogni singolo cittadino assicurando quell’adeguatezza previdenziale disposta dal secondo comma dell’art. 38 Cost. tutt’ora priva di garanzie. La scelta sembra ricadere proprio su questo strumento perché, per le sue caratteristiche che lo connotano come un impiego a basso rendimento per il lavoratore, dal legislatore è sempre stato visto come il più adatto a costruire quel solido secondo pilastro
indispensabile a garantire dei trattamenti pensionistici adeguati per non incidere troppo sul tenore di vita al momento della pensione.
Diviene perciò importante considerare se, oltre a tutelare i lavoratori, la tendenza alla sempre più universale smobilitazione del TFR verso forme pensionistiche complementari, grazie ai benefici fiscali previsti, permetta di tutelare anche gli equilibri dell’impresa generando inoltre un nuovo canale di finanziamento in un periodo storico caratterizzato da scarsa fiducia all’interno del mercato finanziario, fattore che ha innescato un’importante stretta sul credito. Tutto dipende dal peso del TFR all’interno delle dinamiche finanziarie dell’impresa in quanto, se non mina la solidità dell’impresa stessa, potrà essere liberamente vincolato dal legislatore sia per rendere maggiormente solide le pensioni, sia per generare nuovo credito. È, infatti, dall’indagine “Banche e pmi: un rapporto in evoluzione”, rapporto sul 2012 di Banca Finanza, che emerge come “l’accesso al credito bancario resta la difficoltà numero 1
per le imprese, che accordano maggiore fiducia agli istituti locali pur appoggiandosi su almeno due banche e cambiando il referente in agenzia” 75. Nel caso in cui rivesta un
ruolo fondamentale nell’autofinanziamento dell’impresa dovrà essere valutata l’importanza dei benefici fiscali previsti a favore dell’impresa nel caso di smobilizzo dello stock di TFR da parte dei suoi dipendenti.
Per realizzare un’analisi di questo tipo è quindi necessario focalizzare l’attenzione sulle piccole e microimprese in quanto a quelle che contano più di 49 dipendenti è già stata tolta la possibilità di usufruire di questo capitale; infatti, come è già stato indicato nei precedenti capitoli, dopo la riforma del 2007, hanno l’obbligo di far confluire lo stock di TFR ad un fondo di tesoreria istituito presso l’INPS. In particolare il riferimento, in modo da chiarire fin da subito la nomenclatura utilizzata, secondo la definizione che ha adottato l’Unione Europea con la legge 124 del 200376, è a quelle
imprese con meno di dieci addetti e 2 milioni di euro di fatturato che vengono chiamate microimprese, e a quelle con un numero di addetti compreso tra 11 e 49 e un fatturato superiore ai 2 milioni di euro ma inferiore ai 10, che saranno identificate come piccole imprese. L’oggetto dell’analisi sono le piccole e microimprese anche
75 Banca finanza, Banche e PMI: un rapporto in evoluzione, Indagine sul 2012 presentata nel corso del convegno “Finanziare la ripresa, Banche & Imprese tra spread e territorio”.
perché, innanzitutto, sono la tipologia societaria più diffusa nel tessuto imprenditoriale italiano, inoltre, sono le società che più di tutte hanno difficoltà ad ottenere prestiti dato che tendono ad essere più opache agli occhi degli istituti bancari potendo disporre, ad esempio, di obblighi contabili semplificati, riscontrano un “forte inasprimento delle condizioni di indebitamento”77 e difficilmente possono
permettersi altri canali alternativi di accesso al credito diversamente dalle imprese più importanti che riescono a finanziarsi anche emettendo obbligazioni sul mercato. Prima di passare all’analisi specifica sul peso del TFR come fonte di autofinanziamento per queste imprese e di comprendere se è possibile liberare questi capitali affidandogli un duplice ruolo strategico, è indispensabile soffermarsi sulle caratteristiche delle piccole e microimprese così da capire in che modo attuano le proprie scelte finanziarie e analizzare nel dettaglio la gravità della stretta creditizia a cui vengono sottoposte. Solo attraverso un’indagine preliminare così orientata sarà possibile cogliere appieno le conclusioni che saranno evidenziate dall’indagine successiva. È per questi motivi che il presente capitolo, innanzitutto va ad esaminare le caratteristiche del sistema imprenditoriale andando ad identificare le peculiarità delle piccole e microimprese italiane, si sofferma poi sull’analisi delle fonti finanziarie e sulle strategie secondo le quali vengono prese le decisioni finanziarie da quest’ultime utilizzando le ipotesi previste dalle principali teorie di finanza d’impresa, mentre un’ultima parte viene dedicata allo studio del rapporto banca-‐ impresa con l’obiettivo di evidenziare, utilizzando i dati più recenti disponibili, gli strumenti di finanziamento più utilizzati e le difficoltà legate all’accesso al credito.
3.1: Le caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano
La piccola e microimpresa, storicamente l’elemento forte del sistema imprenditoriale italiano, capace di stimolare gran parte delle sue attività nell’esportazione del rinomato “made in Italy”, sta risentendo negli ultimi anni d’importanti problemi di competitività. Tre importanti fattori di cambiamento delle condizioni di competizione sono intervenuti a minare le certezze che fino a poco tempo fa avevano permesso alle
77 Banca d’Italia, Supplemento al bollettino statistico, Indagine sulle imprese industriali e di servizi. 2011, Pag. 20.
nostre imprese di ritagliarsi importanti spazi di mercato: “la globalizzazione, ovvero
l’integrazione mondiale dei mercati reali e finanziari, il processo di integrazione europea culminato con l’introduzione della moneta unica e il cambiamento del paradigma tecnologico portato dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, hanno determinato un forte e repentino aumento della pressione concorrenziale”78.
Il sistema produttivo sta incontrando notevoli difficoltà ad adattarsi al nuovo contesto competitivo globale perché la necessità di reagire con dinamismo alle difficoltà diversificando i mercati, cercando di innovare i prodotti e puntando ad un riposizionamento all’interno delle filiere produttive si scontra con un’importante difficoltà nel reperire capitali79; per comprendere pienamente l’importanza del
finanziamento e del TFR nelle piccole e microimprese che compongono il tessuto industriale italiano, non si può però prescindere da una breve analisi delle principali caratteristiche che ne fanno un fenomeno peculiare del nostro paese.
3.1.1: Le peculiarità
Gli ultimi dati raccolti dall’Istat nel “rapporto annuale 2013”80, evidenziano come il
sistema produttivo italiano sia caratterizzato da imprese di ridottissime dimensioni; infatti, ad oggi oltre il 95% delle imprese attive ha meno di dieci addetti e addirittura più del 50% ne impiega uno solo. Le imprese fino a dieci addetti sono più di 4 milioni mentre si attestano a circa 200.000 quelle che danno lavoro a un numero di persone comprese tra 11 e 49.
Dal punto di vista dei settori economici, la stragrande maggioranza delle piccole e microimprese, soprattutto di quelle con meno di dieci addetti, si concentra nel settore dei servizi, in particolare nelle attività immobiliari, d’informatica, di ricerca e di altre attività professionali e nel commercio al dettaglio. Oltre che numericamente, le piccole e microimprese costituiscono l’ossatura del sistema produttivo nazionale
78 Banca D’Italia, Il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi, in Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers n. 193, Luglio 2013.
79 Franco D., Indagine conoscitiva sulle caratteristiche e sullo sviluppo del sistema industriale, delle imprese pubbliche e del settore energetico, 26 settembre 2012, Pag. 9 e ss.
80 Istat, Rapporto annuale 2013. La situazione del paese, Box “censimento dell’industria e dei servizi: la rilevazione diretta sulle imprese”, Pag. 66.
anche per quanto riguarda il loro contributo in termini di occupazione impiegando oltre l’80% dei lavoratori. Analoga è anche l’importanza in termini di contribuzione al PIL, in quanto, oltre il 70% del valore aggiunto è prodotto proprio da queste realtà. L’Istat sottolinea inoltre come la piccola dimensione sia la caratteristica peculiare dell’imprenditorialità italiana in quanto, come indicato dalla figura 3.1, se il peso in
termini di occupazione per le imprese con meno di 10 addetti a livello europeo non raggiunge neanche il 30%, in Italia questa percentuale supera il 45% divenendo al contempo quel fattore chiave che permette di garantire vantaggi in termini di flessibilità e capacità di reagire ai cambiamenti del mercato. La struttura imprenditoriale italiana è poi completata da poche grandi imprese la cui dimensione rimane comunque modesta se confrontata con quella degli altri paesi europei.
Figura 3.1: Numero di imprese e numero complessivo di addetti per classi dimensionali.
Fonte: Istat, 2009.
È qui importante considerare come ciò che riflette da vicino sia il profilo strategico che la performance, sia soprattutto l’assetto proprietario e gestionale che va ad incidere in maniera importante sulle possibilità di sviluppo e di crescita dell’impresa stessa; i risultati della rilevazione diretta sulle imprese effettuata nell’ambito del 9° Censimento dell’industria e dei servizi del 2012, mostrano, infatti, come “nel sistema
produttivo italiano prevalgano modelli di governance relativamente semplificata, caratterizzati da un’elevata concentrazione delle quote di proprietà, da un controllo a prevalente carattere familiare e una gestione aziendale accentrata” 81. Inoltre, le
piccole e microimprese si caratterizzano anche per avere un basso grado di contendibilità, ossia una scarsa “possibilità che l’impresa venga espropriata se gestita
con risultati poco apprezzabili da parte del management”82.
Ne deriva che, nonostante il controllo da parte di una famiglia sia un fattore tradizionale sia nel contesto italiano che in quello europeo in generale, diffuso in modo pressoché uniforme in tutti i settori produttivi e che coinvolge 7 imprese su 10, questo tipo di organizzazione continua ad essere preferita soprattutto dalle aziende con le dimensioni più modeste; infatti, come emerge dal rapporto Istat e dalla figura 3.2, “sono controllate da una persona fisica o da una famiglia quasi i tre quarti delle
microimprese, oltre il 60% delle piccole e solo il 31% delle grandi”. Con l’avanzare della
dimensione, la forte concentrazione della proprietà sembra diminuire, soprattutto per lasciare spazio a nuovi investitori che aiutino nell’apporto del capitale necessario a sostenere la crescita della società.
Figura 3.2: Imprese familiari e non familiari, per classi di addetti e macrosettore.
Fonte: Istat. Censimento dell’industria e dei servizi 2012.
Se a livello europeo le differenze non sono elevate, ciò che invece differenzia le imprese familiari italiane è soprattutto il fenomeno della bassa propensione a
82 Franco D., Indagine conoscitiva sulle caratteristiche e sullo sviluppo del sistema industriale, delle imprese pubbliche e del settore energetico, 26 settembre 2012, Pag. 43.
ricorrere a figure manageriali di provenienza esterna alla famiglia. Secondo l’indagine conoscitiva del 2012, “le imprese familiari in cui tutto il management è espressione
della famiglia proprietaria sono due terzi in Italia, contro un terzo in Spagna, circa un quarto in Franca i in Germania e soltanto il 10% nel Regno Unito” 83. Inoltre, nelle
imprese minori emerge una sovrapposizione tra proprietà e gestione dell’impresa, infatti, solo una minoranza delle piccole imprese è guidata da dirigenti non proprietari. Legato a questo aspetto occorre considerare anche ciò che emerge da alcuni studi dell’Istat che indicano come “le imprese famigliari denotino una maggiore
avversione al rischio a causa della coincidenza tra il patrimonio della famiglia e quello dell’impresa che andrebbe a creare effetti negativi in merito alle possibilità di crescita, di stimolare nuovi investimenti, di permettere una maggiore internazionalizzazione, e a cascata anche sulle capacità di innovare”. È infatti facile comprendere come, se da un
lato il modello familiare presenta importanti punti di forza garantendo che la funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività di business sia nelle mani della famiglia stessa, che si verifichi una forte identificazione della mission aziendale e che sia facilitato il governo delle variabili elementari, dall’altro, come indicato da Caselli nei suoi studi riguardo il comportamento delle piccole imprese, “crea una completa
sovrapposizione fra le vicende della famiglia e le vicende dell’impresa e limita la competenza nella gestione delle variabili estranee alla dimensione produttiva e commerciale”84.
Le imprese di piccole dimensioni, se da un lato posseggono importanti benefici sul mercato, infatti si caratterizzano soprattutto per un’elevata flessibilità che nel passato ha permesso di recepire in modo repentino le variazioni delle condizioni di mercato garantendo in ogni momento la comprensione anticipata dei trend di mercato, dall’altro portano con se importanti svantaggi strutturali, distinguendosi anche per avere livelli modesti di competitività, per soffrire di una cronica sottocapitalizzazione e di una forte specializzazione in settori in cui il tasso di sviluppo è relativamente modesto; la maggioranza delle attività, infatti, viene svolta in settori
83 Franco D., Indagine conoscitiva sulle caratteristiche e sullo sviluppo del sistema industriale, delle imprese pubbliche e del settore energetico, 26 settembre 2012, Pag. 17.
84 Caselli S., PMI e sistema finanziario. Comportamento delle imprese e strategia delle banche, Egea edizioni, Milano, 2003, Pag. 7.
tecnologicamente maturi in cui è limitato il peso della ricerca.
Gli elementi emersi sono rilevanti anche considerando la relazione positiva che lega la dimensione dell’impresa alla capacità di innovare, legame evidenziato anche da analisi dell’attività informale di ricerca e sviluppo condotta all’interno delle piccole e medie imprese italiane da Hall, Lotti e Mairesse85. Se da un lato la dimensione
agevola, infatti, la flessibilità, dall’altro riduce le possibilità di sostenere gli elevati costi fissi legati alle attività di ricerca e sviluppo, alla base dell’innovazione; ciò che ne risente è la produttività e la capacità di competere in un contesto internazionale in cui è stato dimostrato come tutti coloro che hanno saputo ristrutturarsi con successo lo abbiano fatto investendo in attività a monte e a valle della produzione. Dall’analisi si evince che “il valore aggiunto del bene venduto, tende a generarsi sempre meno
nell’attività di produzione in senso stretto e sempre più in quelle che precedono, accompagnano e seguono la produzione, per molti versi assimilabili a servizi”86.
Dall’indagine 2012 di Bankitalia sulle piccole e microimprese, emerge che si caratterizzano anche “per avere livelli piuttosto bassi di reddittività netta che limitano
la capacità di finanziare gli investimenti con le risorse interne e determinano un maggiore ricorso al debito”87; per questo motivo le piccole e microimprese italiane si
trovano ora in un momento storico chiave; in questo contesto, avendo una dimensione molto ridotta, finanziare lo sviluppo cercando di non appesantire la struttura finanziaria caricandola di troppi debiti è una scelta oggi più che mai obbligata; per questo motivo la capacità di raccolta di capitali diviene ora più che mai un fattore decisivo per garantire una nuova competitività a tutto il sistema economico italiano.
3.1.2: Indebitamento e struttura finanziaria
Le piccole e microimprese italiane si caratterizzano per essere cronicamente sottocapitalizzate e molto esposte al debito bancario. Il finanziamento ad opera di
85 Hall B., Lotti F., Mairesse J., Innovation and productivity in SMEs: empirical evidence for Italy, in Small Business Economics, Springer, vol. 33(1), 2009.
86 Franco D., Indagine conoscitiva sulle caratteristiche e sullo sviluppo del sistema industriale, delle imprese pubbliche e del settore energetico, 26 settembre 2012, Pag. 15.
87 Banca d’Italia, Le microimprese in Italia: una prima analisi delle condizioni economiche e finanziarie, in Questioni di economia e finanza, 2013, Pag. 7.
terzi rappresenta infatti più di tre quarti del capitale, fattore che causa una grave scarsità nell’autonomia finanziaria e un’elevata dipendenza dagli istituti di credito e dall’andamento del mercato; inoltre, la principale fonte di finanziamento è la banca mentre è molto ridotta la possibilità di reperire sul mercato in modo autonomo i capitali necessari.
Queste sono le principali tipicità che contraddistinguono la piccola imprenditoria italiana il cui livello d’indebitamento, rappresentato dall’indice leverage e misurato dal rapporto dei debiti finanziari sulla somma degli stessi con il patrimonio netto, come viene indicato dall’indagine bankitalia 2012, “è stabilmente superiore a quelle
delle imprese maggiori”. il livello di indebitamento nel 2010 era pari al 63%, più alto
di circa il 10% rispetto a quello delle imprese più grandi.
Come riportato dalla suddetta indagine e rappresentato dalla figura 3.3, la
composizione dell’indebitamento è molto eterogenea tra le diverse classi dimensionali.
Figura 3.3: Composizione dell’indebitamento finanziario al 2010. Valori percentuali.
Fonte: Banca d’Italia. Le microimprese in Italia: una prima analisi delle condizioni economiche e finanziarie.
Mentre le grandi imprese hanno una struttura finanziaria diversa dalle altre, risultato dell’accesso al mercato obbligazionario e dall’utilizzo, come fonte di finanziamento, di
società controllate o collegate, la dipendenza dal credito bancario è molto evidente nelle piccole e medie imprese. Per quest’ultime, circa l’80% dei debiti finanziari provengono dal credito bancario mentre per le microimprese il peso dell’indebitamento bancario si riduce in maniera importante attestandosi attorno al 65%. La differenza dipende in larga misura dal fatto che c’è un’elevata quota di microimprese, circa il 40%, che non accede al debito bancario. Le ragioni non sono chiare, c’è chi ipotizza che il mancato accesso sia causato dalle difficoltà nell’ottenere finanziamenti esterni oppure da minori esigenze finanziarie da parte di aziende che non investono o che hanno una reddittività elevata. Una peculiarità che contraddistingue le microimprese è, invece, il ricorso al debito a lungo termine nei confronti dei soci o degli azionisti “che rappresenta circa il 15% dei debiti finanziari e
poco meno della metà del debito non bancario”. Ciò deriva in larga parte dai vantaggi
fiscali concessi ai soci che hanno la possibilità di dedurre gli interessi sui capitali conferiti all’impresa.
L’esposizione verso le banche, soprattutto nelle microimprese, è orientata al breve periodo per una percentuale che tocca quasi il 70% dei finanziamenti; il rapporto denota una relazione inversa con la dimensione, infatti, tende a diminuire all’aumentare della grandezza dell’impresa rimanendo comunque su livelli importanti, oltre il 50% anche nelle grandi imprese.
Come riportato da Di Majo et al, “il finanziamento degli investimenti nelle piccole e
microimprese continua, dunque, a basarsi in misura pressoché totale sulle risorse generate internamente e sui prestiti bancari prevalentemente a breve termine” 88 il che
genera importanti difficoltà a rintracciare risorse finanziarie a costi sostenibili e fa emergere fin da adesso il ruolo chiave del TFR all’interno dell’equilibrio finanziario di queste imprese.
Si può dire che oggi il problema del credito è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo maggiormente avvertiti dalle piccole imprese, le cui cause sono identificabili soprattutto nella scarsa cultura imprenditoriale degli intermediari finanziari che si mostrano scarsamente lungimiranti nelle decisioni di concessione di prestiti e, inoltre, in molti casi, valutano l’affidabilità dell’azienda in funzione delle garanzie che
88 Di Majo A., Pazienda M.G., Triberti B., Le scelte di finanziamento delle imprese minori: teorie e analisi del caso italiano, DISEFIN, Università di Genova, Working Paper 7/2005.
offre in termini di solidità patrimoniale; nella debolezza del sistema finanziario locale; nella scarsa capacità di generare un flusso di capitali utilizzabile come autofinanziamento conseguenza della riduzione dei margini operativi e dell’aumento della pressione fiscale.
La debolezza del mercato del capitale di rischio, poco diffuso in Italia soprattutto se confrontato con le altre realtà internazionali, è invece da ricercarsi nel fenomeno già