• Non ci sono risultati.

Lo scenario attuale Peculiarità del modello Italiano: le imprese Nonostante il sistema produttivo italiano abbia sofferto della crisi globale

Nel documento Finanza e Territorio (pagine 67-72)

Grafico 12. Indebitamento delle imprese 1999q1-2013q

1. Lo scenario attuale Peculiarità del modello Italiano: le imprese Nonostante il sistema produttivo italiano abbia sofferto della crisi globale

dell’ultimo quinquennio – in termini di riduzione del valore aggiunto, dell’occupazione e della produttività delle imprese – già nel decennio precedente la crescita aveva risentito di una serie di nodi strutturali irrisolti.

Le difficoltà dell’economia italiana ad adeguarsi ai grandi cambiamenti dell’economia mondiale e della tecnologia, infatti, si erano già manifestate con segnali di attenzione tutt’altro che deboli. La produttività del paese era cresciuta meno che in passato e più lentamente, anche in confronto alle altre economie europee. La partecipazione delle aziende italiane alle filiere produttive globali rimaneva prevalentemente marginale, generando una riduzione progressiva di quote di mercato nel commercio internazionale. Lo sviluppo dimensionale delle imprese e la loro propensione a innovare erano insoddisfacenti, sia a causa di condizionamenti esterni, quali l’inefficacia delle pubbliche amministrazioni e la farraginosità del quadro normativo e regolamentare, sia di peculiari assetti interni alle aziende, quali una modesta capitalizzazione e modelli di gestione poco efficienti.

Le debolezze del modello di capitalismo italiano sono, dunque, ben antecedenti alla crisi.

Nonostante ciò, il sistema industriale italiano mantiene un peso assolutamente significativo, anche in una valutazione comparativa con i principali Paesi europei. Nel 2013 l’industria italiana produce circa 256 mld di euro di Valore Aggiunto – solo dal manifatturiero 216,5 mld di euro – occupando 4,6 milioni di lavoratori. L’Italia è il secondo paese in Europa, dopo la Germania, con il maggior peso industriale e, considerando il numero di occupati, l’Italia ha l’industria con la maggiore incidenza del fattore lavoro.

In Italia, però, il numero delle imprese attive di piccola o piccolissima dimensione è particolarmente elevato rispetto alla media europea1 e le

prospettive di crescita dimensionale rimangono purtroppo modeste. Il tessuto industriale è incentrato su poche grandi imprese e su molte medio-piccole, cui possono essere attribuiti circa i due terzi del PIL e dell’occupazione nazionale. Il numero delle imprese con un unico dipendente è, nel 2012, di 2,65 mln pari a circa il 60% del totale delle imprese attive ed è soprattutto il centro sud ad avere un’elevata incidenza della micro-impresa.

1 Ad esempio, secondo Banca d’Italia, il numero medio di dipendenti delle imprese italiane

Il modello è inoltre consolidato nel tempo: gli incrementi dimensionali netti – al netto cioè delle imprese che rimpiccioliscono – sono tradizionalmente pochi. Basti pensare che, tra il 1988 e il 2007, i passaggi, dalla dimensione 1-50 addetti alla dimensione 51-250 addetti, sono stati nell’ordine di qualche decina l’anno. La parte maggioritaria del nostro tessuto produttivo, dunque, raramente è riuscita a compiere il salto dello sviluppo dimensionale e, nella maggioranza dei casi, è rimasta confinata in una dimensione limitata, che non consente di affrontare il processo d’innovazione e d’internazionalizzazione imposto dal nuovo scenario competitivo mondiale, anche a causa della peculiare struttura finanziaria delle imprese.

La struttura finanziaria delle PMI italiane è, infatti, squilibrata verso il capitale di debito e presenta, spesso, una leva finanziaria2 non compatibile con le

necessità derivanti dal finanziamento dello sviluppo e dell’innovazione. Inoltre,

2 I risultati di un’analisi econometrica dei dati di bilancio di circa 900.000 società di capitale

indebitate dell’area dell’euro confermano che, nel periodo 2005-2010, la leva finanziaria delle aziende italiane è rimasta stabilmente più alta che negli altri Paesi anche tenendo conto di diverse caratteristiche di impresa (redditività, immobilizzazioni tecniche, liquidità, crescita del fatturato, età, dimensione e settore produttivo). Alla fine del periodo considerato la differenza era pari a 11 punti percentuali; il divario si riduce al crescere delle dimensioni di impresa, divenendo nullo per le società con oltre 300 milioni di attivo. In conformità a tali risultati e dei dati dei conti finanziari si può stimare che per allineare il leverage delle società italiane a quello delle imprese dell’area dell’euro, a parità di risorse complessive, sarebbe necessario sostituire con patrimonio un ammontare di debiti finanziari prossimo a 200 miliardi. Cfr. BANCA D’ITALIA, Relazione Annuale, 30 maggio 2014, Roma.

nonostante la crisi abbia comportato un ridimensionamento delle erogazioni, il peso del debito bancario è strutturalmente molto elevato. Il debito bancario rappresenta ancora oggi poco meno del 70% dell’indebitamento complessivo delle imprese e complessivamente si attesta intorno all’80% del PIL3.

Le imprese italiane hanno un’endemica difficoltà di accesso al mercato dei capitali. La borsa azionaria italiana è poco sviluppata, anche rispetto ad altri sistemi finanziari nei quali è pur importante il ruolo delle banche. Il valore di mercato complessivo delle società non finanziarie quotate è oggi inferiore al 20% del PIL e quindi ben inferiore al 75% della Francia e al 45% della Germania. Delle società non finanziarie italiane sono quotate solo 230 imprese, contro le 700 di Francia e Germania, anche se l’impresa mediana capitalizzava nel 2012 circa 90 mln di euro e quindi il doppio rispetto a Francia e Germania. Il basso numero di aziende quotate, inoltre, limita lo sviluppo di strumenti e servizi finanziari quali obbligazioni e prestiti sindacati, che sono entrambi formule poco utilizzate dalle imprese non quotate.

Le società italiane quotate in borsa ricorrono invece ai prestiti obbligazionari in misura analoga alle aziende quotate estere poiché, una volta sostenuti i costi fissi di quotazione, l’accesso al mercato dei capitali anche per le aziende italiane diviene agevole. Il ricorso ai prestiti obbligazionari rimane comunque limitato, con un’incidenza che non raggiunge l’8% dei debiti finanziari delle imprese. Sono poche le aziende italiane che emettono obbligazioni sul mercato dei capitali – in media 10 all’anno nell’ultimo decennio – con un ritardo rilevante nei confronti degli altri Paesi. Inoltre, dei 35 mld di euro emessi nel 2012, solo 320 mln fanno capo ad aziende medio piccole. Secondo l’Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, l’Italia sconta un ritardo su tutti i segmenti del mercato del capitale di rischio.

Eppure sia le banche sia le imprese potrebbero trarre consistenti benefici da uno sviluppo di questo mercato. Le imprese, nelle quali sarebbero tra l’altro immesse competenze manageriali di più alto livello, sarebbero più capitalizzate e, conseguentemente, riceverebbero un più elevato merito creditizio. Inoltre si creerebbero le condizioni per le banche per sostituire attività d’intermediazione classica con erogazione di servizi alle imprese.

2. Lo scenario attuale. Peculiarità del modello Italiano: il sistema

Nel documento Finanza e Territorio (pagine 67-72)