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Scienza giuridica e diritto europeo Enzo Cannizzaro

1. Introduzione

Il titolo di questo intervento, “Scienza giuridica e diritto europeo”, può essere inteso in due sensi. Anzitutto, nel senso che esso intende con- tribuire a determinare l’esistenza di una scienza giuridica del diritto eu- ropeo. Per usare una metafora ormai comune, l’Unione europea è consi- derata sovente un’Europa del diritto, nel senso che, forse, in nessun altro ordinamento contemporaneo il diritto conta così tanto nella vita delle istituzioni quanto nell’ambito dell’Unione Europea.

Conviene peraltro aggiungere, con una notazione vagamente contrad- dittoria rispetto al tenore generale di questo intervento, che il rilievo del diritto nell’ordinamento europeo appare, oggi, ridotto rispetto al pas- sato. Ciò, in particolare, perché le crisi che stanno colpendo l’Europa, e che ne stanno trasformando in profondità i connotati, tendono talvolta a prospettare soluzioni che oltrepassano quelle che emergerebbero da una serena valutazione dello stato dell’ordinamento giuridico europeo. Que- sto significa non soltanto violare la forma del diritto, ma anche violare gli equilibri di interessi e valori faticosamente sviluppati nel corso degli ultimi decenni e, quindi, alterare gli equilibri sostanziali di quel mondo giuridico.

L’oggetto di questo intervento, tuttavia, non è dato dalle recenti vi- cende che vedono una graduale attenuazione del ruolo del diritto nell’or- dine politico e istituzionale dell’Unione. Al contrario. Come ho appena indicato, il titolo dell’intervento può infatti essere letto in due direzioni, diverse e fors’anche antitetiche: da un lato, l’analisi del contributo della scienza giuridica allo sviluppo del diritto europeo; d’altro lato, il contri- buto del diritto europeo allo sviluppo della scienza giuridica. Ed è proprio quest’ultimo aspetto al quale intendo dedicare le pagine che seguono.

* Università ‘Sapienza’ di Roma

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Assumerò come punto di partenza della mia analisi una constatazione banale. L’impatto, l’influsso e lo sviluppo che ha prodotto il diritto euro- peo sulle categorie della scienza giuridica sono spesso ed erroneamente minimizzati. Se si volesse cercare di distribuire l’impatto del diritto eu- ropeo nella scienza giuridica nelle due grandi branche della teoria della norma, e di quella dell’ordinamento giuridico, si rileverebbe che il dirit- to europeo ha dato ad entrambe un contributo molto rilevante, a volte sconvolgendo le categorie giuridiche del nostro tempo, a volte aggiun- gendo qualcosa a queste teorie giuridiche.

2. Diritto europeo e ordinamento europeo

Conviene svolgere questa asserzione, in primo luogo, per quanto at- tiene alle caratteristiche strutturali e funzionali dell’ordinamento giu- ridico europeo. Fin dalla genesi dell’ordinamento europeo, i giuristi si sono posti alla ricerca di una dottrina dell’ordinamento che consentisse di darne ragione. È constatazione ricorrente fra i giuristi dell’epoca, in- fatti, che le dinamiche del nuovo ordinamento giuridico non avrebbe po- tuto trovar posto nelle consolidate categorie concettuali del tempo: né in quelle relative all’ordinamento internazionale, né in quelle relative agli ordinamenti statali.

Per il diritto internazionale, infatti, lo Stato in quanto ordinamento giuridico nasce in via di fatto, dalla semplice affermazione, attraverso strumenti sovente coercitivi, dell’insorgere di una autorità sociale che riesce ad imporsi, con carattere di supremazia, su di una determinata comunità territoriale. Sono evidenti le difficoltà concettuali di inquadra- re l’ordinamento europeo in tale sistema concettuale. L’ordinamento eu- ropeo nasce, invece, attraverso il diritto, ovvero attraverso un processo di trasferimento di competenze a favore di un nuovo ente, e di corri- spondente amputazione di talune prerogative sovrane degli Stati mem- bri, guidato da dinamiche di tipo giuridico. Per dimostrare tale assunto, occorrerebbe soffermarsi sul processo di trasformazione, a tratti miste- rioso, dei trattati istitutivi in uno strumento di carattere costituzionale e autopoietico; da fonti del diritto internazionale a fonti costituzionali di un nuovo ordinamento giuridico. Il tema è noto in ogni sua articolazione e non fa conto soffermarsi su di esso.

Meno note sono altre caratteristiche dell’ordinamento europeo che ne hanno fatto un ordinamento difficilmente inquadrabile nelle consoli- date categorie giuridiche contemporanee. L’ordinamento europeo appa-

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re, infatti un ordinamento per sua natura funzionale. Esso nasce con uno scopo sociale preciso: la realizzazione di una Unione sempre più stretta, la “ever closer Union”. Questa formula non esplicita il punto fino al qua- le l’integrazione europea possa arrivare; né essa indica quale sia l’esito finale del percorso. Si tratta, evidentemente, dell’applicazione al mon- do del diritto di una categoria propria del calcolo infinitesimale, e cioè l’approssimazione al limite. Evidentemente, tale indicazione, contenuta nei Trattati istitutivi dell’Unione, non crea posizioni soggettive vere e proprie; essa ha un valore essenzialmente interpretativo, impegnando tutte le Istituzioni dell’Unione ad operare per il raggiungimento di un obiettivo. Ebbene, proprio questa frase, nascosta tra le pieghe dei tratta- ti, ha costituito l’oggetto di un accordo intergovernativo, racchiuso nelle conclusioni del Consiglio europeo del gennaio 2016, allorché in Consiglio europeo, la massima istituzione dell’Unione, titolare dell’indirizzo poli- tico del sistema della integrazione europea, ritenne opportuno stipulare nel proprio seno una sorta di accordo informale, la cui natura giuridica rimane ambigua, volto a prevenire il recesso britannico orientando, in senso negativo, il risultato del referendum convocato in quello Stato. In questo progetto, la modifica della clausola dell’ “ever closer Union” ha as-

sunto un ruolo decisivo. Il Consiglio europeo ha stabilito, infatti, che tale

clausola non avrebbe potuto essere utilizzata a fini interpretativi. Se tale modifica avesse assunto valore giuridico, essa avrebbe quindi avuto un impatto simbolico molto pronunciato: si sarebbe, in tal modo, identifica- to il punto finale del processo di integrazione. Si sarebbe altresì determi- nato la fine del carattere funzionale dell’ordinamento dell’Unione.

Il risultato positivo del referendum britannico, che ha stabilito un ob- bligo di recesso da parte del Regno Unito ha peraltro impedito a tale mo- difica di entrare in vigore. Essa, è agevole constatare, avrebbe eliminato l’unico effetto possibile della clausola dell’ever closer Union. Al di là della scarsa coerenza logica di impedire ad una clausola normativa la produ- zione dell’unico effetto che essa può produrre, è dubbio che la alterazio- ne del carattere funzionale dell’Unione, una delle sue caratteristiche fon- damentali, fosse un prezzo equo da pagare al fine di impedire il recesso britannico.

3. Altri caratteri fondamentali dell’ordinamento europeo

La Corte di giustizia ha pronunciato nel 1963 la sentenza Van Gend &

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europeo. Si tratta, come desumibile testualmente dalla pronuncia, di un ordinamento particolare, nel quale i soggetti non sono solo gli Stati, ma anche i loro cittadini. Da ciò deriva la natura di ordinamento misto, il quale ingloba cioè gli Stati persona e i loro ordinamenti interni, inclusi gli individui che ne costituiscono i soggetti numericamente principali. La sentenza Van Gend & Loos è considerata la pronuncia progenitrice del concetto di ordinamento misto: un ordinamento formato da rapporti giuridici che intercorrono fra uno Stato e i suoi cittadini, governati dal diritto europeo. Proprio questo carattere, di ordinamento misto, consen- te ad un individuo di invocare un diritto esterno al fine di determinare proprie posizioni soggettive nei confronti del proprio Stato.

L’ordinamento europeo è singolarmente sprovvisto di strumenti coerci- tivi attraverso i quali mandare ad effetto le proprie proposizioni normative. Esso si configura quindi come un ordinamento pressoché esclusivamente normativo. Tale definizione può essere compresa attraverso il raffronto con un altro tipo di ordinamento, affermatosi nella prassi secolare della vita del- lo Stato, cioè l’ordinamento coercitivo. Lo Stato è usualmente definito come l’ente che ha il monopolio legale dell’uso della forza. Di converso, l’Unione non ha alcun monopolio legale dell’uso della forza, anzi non dispone di alcu- no strumento coercitivo che implichi l’uso della forza fisica. Qualora questo sia necessario per mandare ad effetto le proprie regole, l’ordinamento eu- ropeo deve fondarsi sull’uso della forza da parte degli Stati Membri. In altri termini, la garanzia che le norme europee siano portate ad esecuzione, se necessario, attraverso strumenti coercitivi, è data esclusivamente da mec- canismi di tipo giuridico, vale a dire dall’obbligo degli Stati membri di por- re il proprio apparato coercitivo al servizio dell’Unione europea attraverso norme giuridiche. L’UE rappresenta, dunque, un esempio molto interessante di ordinamento puramente normativo, dotato bensì di un apparato istitu- zionale e di un apparato delle fonti, mentre è del tutto assente l’apparato che caratterizza l’essenza dello Stato, cioè l’apparato coercitivo, l’uso della forza. È, quindi, estremamente interessante la straordinaria effettività di un ordinamento, quello europeo, che non dispone di strumenti coercitivi per mandare ad effetto le proprie regole, soprattutto alla luce delle dottrine che tendono a identificare il diritto con lo Stato e, quindi, con la capacità di im- porre l'osservanza delle norme giuridiche attraverso la funzione coercitiva.

Il carattere puramente normativo dell'ordinamento europeo risulta, peraltro, non del tutto coerente con il principio dell’autonomia dell’or- dinamento dell’Unione, strenuamente affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Dal principio dell'autonomia dell’ordinamento, la

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Corte di giustizia ha tratto una serie di conseguenze di non poco momen- to anche per una sua corretta qualificazione giuridica.

La Corte di Giustizia concepisce l’ordinamento europeo come ordina- mento autonomo, rigorosamente chiuso verso l’esterno. Verosimilmente proprio la debolezza dei tratti strutturali dell'ordinamento europeo, ha con- dotto la Corte di giustizia a ricostruirlo secondo i canoni classici della dottri- na normativista, vale a dire come un ordinamento autonomo e originario, che non necessità di forme di eterointegrazione in quanto possiede tutte le caratteristiche necessarie per svolgere le proprie funzioni ordinamentali. Tale concezione non è una mera astrazione teorica. Proprio l’idea di Unione europea come un ordinamento chiuso all’esterno è stata alla base del parere 1/2013, con il quale la Corte di Giustizia ha, di fatto, negato l’esistenza delle condizioni per poter accedere alla Convenzione europea dei diritti dell’uo- mo. È paradossale che, ai sensi dei trattati istitutivi, l’adesione alla Conven- zione europea costituisca, per gli Stati candidati, un requisito per l’adesione all’Unione e che, di conseguenza, tutti gli Stati membri siano oggi parte della Convenzione, pur essendo davvero ordinamenti chiusi, e senza che alcuno fra essi abbia mai invocato l’esigenza di autonomia dell’ordinamento interno per opporvisi, mentre l’Unione ritenga che la propria adesione scalfirebbe l’autonomia ordinamentale

Queste considerazioni possono far emergere un ulteriore paradosso dell’ordinamento dell’Unione, fondato sulla dissociazione concettuale tra l’affermazione della propria chiusura verso l’esterno, quali esso fosse un superstato, e, di converso, la sua apertura, inclusività, verso l’interno, in modo da potersi imporre nei confronti degli ordinamenti degli Stati determinando posizioni soggettive in capo ai rispettivi cittadini.

Questo paradosso sembra evidenziare, quindi, l’incompiutezza della concezione teorica della Corte di giustizia, la quale non ha ancora elabo- rato le categorie giuridiche necessarie per arrivare all’idea di un ordina- mento aperto verso gli influssi che provengono dal mondo esterno, quali, ad esempio, i valori del mondo giuridico internazionale.

4. Le caratteristiche strutturali delle norme giuridiche europee e alcune delle loro conseguenze

Il contributo del diritto europeo alla teoria della norma giuridica ap- pare ammirevole. La norma giuridica nel diritto europeo ha caratteri molto diversi da quelli propri delle norme giuridiche interne. Innanzitut- to è una norma trans-ordinamentale, concetto estraneo, per natura, agli

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ordinamenti statali. Ciò vuol dire che la norma europea svolge e realiz- za il proprio contenuto normativo in un ordinamento giuridico diverso da quello in cui è prodotto: la norma giuridica europea viene prodotta nell’ordinamento giuridico europeo, ma dispiega i suoi effetti soprattut- to negli ordinamenti statali.

Questo ha delle conseguenze importanti al fine di valutare in che modo effettivamente si svolga il contenuto normativo. Ad esempio, è noto che uno dei modi di realizzazione del processo di integrazione europea è dato dalla direttiva. La direttiva è una norma strutturalmente incompleta, in quanto deve avvalersi di un altro ordinamento per realizzare le proprie posizioni soggettive, cioè l’ordinamento statale. Pur avendo tale caratte- ristica strutturale, la direttiva è un esempio di norma che può produrre posizioni soggettive nei confronti degli individui, pur limitatamente alle posizioni soggettive di vantaggio. Tale circostanza fornisce un ulteriore e quanto mai chiaro esempio della natura funzionale dell’ordinamento che ha come funzione, come scopo sociale, quello dell’integrazione.

La direttiva, poi, non solo intende produrre, esclusivamente o preva- lentemente, posizioni di vantaggio, ma è anche una norma unidirezio- nale, che crea posizioni solo a favore del cittadino, e non a favore dello Stato.

Nell’ambito di una discussione sulle norme giuridiche europee e sui loro caratteri, può suggerirsi un’ulteriore distinzione. Si è già detto come la norma europea svolga i propri effetti essenzialmente sul piano norma- tivo. Ciò in quanto il diritto europeo non dispone, sempre in via generale, di un apparato procedurale, amministrativo e coercitivo che ne assicuri l’effettività. Di conseguenza, al fine di realizzare appieno i propri obietti- vi, la norma europea abbisogna dell’assistenza dell’apparato statale. Tale circostanza ha condotto la Corte di giustizia, in una giurisprudenza ric- ca, complessa e non priva di fascino, a considerare l’intero ordinamento statale come ordinamento servente rispetto alle norme europee. Questo vuol dire che quelle norme statali che non assistano adeguatamente l’at- tuazione delle norme europee o, addirittura, che possano costituire an- che indirettamente un ostacolo all’effettività dell’ordinamento europeo, entrano in conflitto con l’ordinamento europeo. Si tratta, evidentemen- te, di un conflitto indiretto, che non esisterebbe qualora si assumesse una nozione classica di conflitto, come quello che insorge fra due norme le quali, rispettivamente, obblighino a tenere o a non tenere una certa condotta.

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in conflitto con una norma, secondo la classica nozione di conflitto, so- stanziale dell’Unione europea. In tale situazione, invero, non si determi- na un conflitto aristotelico, del tipo: “A/non A”; tuttavia, la giurispru- denza della Corte di giustizia considera come la normativa processuale nazionale viene in conflitto con norme sostanziali europee, qualora essa ostacoli il raggiungimento dei loro obiettivi. La conseguenza del conflitto è, generalmente, l’insorgenza di un dovere a carico del giudice nazionale di disapplicare la normativa processuale nazionale.

Il contributo del diritto europeo non si ferma quindi alla teoria della norma, ma anche alla teoria dei conflitti tra norme. Esempio quanto mai emblematico di tale conflitto è quello che ha contrapposto la Corte costi- tuzionale alla Corte di giustizia dell’Unione europea relativo alla norma- tiva italiana sulla prescrizione. Questa, pur ricadendo, in via di principio, nell’ambito delle competenze degli Stati, ben può condizionare, l’effetti- vità di nome di diritto europeo, in particolare di quelle che impongono agli Stati di sanzionare comportamenti contrari alla normativa sostan- ziale europea.

L’allargamento della nozione di conflitto adottata dalla Corte di giu- stizia non è stato dettato da ragioni teoriche. Esso, al contrario, risponde ad una esigenza eminentemente pratica: quella di rafforzare l’effettività della normativa europea, in carenza di strumenti coerciviti stabiliti dai Trattati istitutivi. In senso opposto, tuttavia, la Corte di giustizia ha an- che utilizzato strumenti per indebolirne la “normatività”. Questo feno- meno può essere spiegato con un riferimento ad un caso specifico: il caso Abdullahi. Un individuo, dopo aver varcato il confine europeo, giungen- do in Grecia, era poi transitato in un altro Stato non facente parte dell’U- nione, per poi varcare nuovamente il confine europeo entrando in Un- gheria. A quel punto, si poneva un problema di determinare quale fosse lo Stato di primo ingresso in Europa, cioè quello che aveva competenza a trattare la domanda di asilo; nel caso di specie la signora Abdullahi, dopo essere entrata nell’Unione attraverso il confine di uno Stato membro, vi era uscita per un breve tempo, per poi rientrarvi attraverso il confine di un diverso Stato membro.

Di qui, si pone una questione tecnicamente interessante: quale è, in tal caso, lo Stato di primo ingresso? L’attraversamento di uno Stato terzo spezza l’unitarietà di un viaggio teso a fare ingresso nell’Unione? E vi è una durata massima di assenza dal territorio dell’Unione oltre la quale tale unitarietà debba essere spezzata?

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presente scritto, se ne pone un’altra. I due Stati candidati ad assumere la qua- lifica di Stato di primo ingresso, vale a dire la Grecia e la Ungheria avevano stabilito di comune accordo che tale qualifica spettasse ad uno di essi, e che, di conseguenza, in tale Stato la signora Abdullahi avrebbe dovuto rivolgere la domanda di asilo. La signora Abdullahi propose ricorso di fronte ai tribu- nali nazionali, sostenendo che l’accordo fra i due Stati non fosse conforme al diritto europeo. Il tribunale nazionale propose quindi alla Corte di giustizia l’interessante questione circa la natura delle norme europee che disciplinano la nozione di Stato di primo ingresso, contenute in un regolamento europeo, vale a dire un atto avente portata generale e dotato di diretta applicabilità. La Corte si è pronunciata con una sentenza di grande interesse teorico (sentenza della Corte, Grande Sezione, del 10 dicembre 2013, Shamso Abdullahi contro Bun-

desasylamt, Causa C-394/12), indicando che le norme sulla competenza dello

Stato di primo ingresso a trattare la domanda d’asilo sono norme che non in- tendono creare effetti giuridici a favore degli individui. Tale accertamento ha avuto conseguenze negative per la signora Abdullahi, la quale non ha potuto richiamarsi ad esse al fine di contestare la competenza di uno Stato ad esami- nare la sua domanda di asilo, stabilita attraverso un accordo intergovernativo fra i due Stati interessati. Esso ha avuto altresì conseguenze negative dal punto di vista della teoria della norma giuridica europea, rovesciando il processo lo- gico seguito dalla precedente giurisprudenza in tema di efficacia di una norma giuridica. Si è visto che uno dei grandi contributi alla scienza della teoria del diritto, è la concezione secondo cui talune norme europee, quelle prodotte da direttive, sono unidirezionali, nel senso che stabiliscono posizioni soggettive, esclusivamente a favore degli individui nei confronti degli Stati. Nella pronun- cia della Corte di giustizia sul caso Abdullahi, invece, si sarebbe di fronte a una diversa concezione di una norma che intende produrre effetti non per gli indi- vidui, bensì esclusivamente per gli stati.

Volendo qualificarla teoricamente, al di là dell’intento politico al- quanto evidente, si può indicare come tale costruzione conferisca alla norma un basso grado di normatività. Si tratta, cioè, di una norma che non intende spiegare tutti gli effetti giuridici che essa potenzialmente potrebbe produrre.

Né è, peraltro, la prima volta che la Corte limita gli effetti potenziali di una norma europea. L’idea che alcune norme non creino i diritti a favo- re degli individui, pur avendone le potenzialità, poiché sono destinate a operare solo nella sfera interstatuale, è stata già sviluppata in giurispru- denza, anche se in settori molto limitati. Per esempio, nel settore della responsabilità extracontrattuale dell’UE, che riguarda un profilo molto

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tecnico, tale concezione ha costituito lo strumento per proteggere l’U- nione dalle azioni di risarcimento che i cittadini potrebbero intentare, ritenendosi danneggiati da un comportamento delle sue Istituzioni. La giurisprudenza della Corte è ispirata ad una concezione particolarmen-