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L’Unione europea fra integrazione federale e disintegrazione: il caso Brexit

Pier Virgilio Dastoli 1*

Dalle urne del referendum britannico del 23 giugno 2016 è emerso un nuovo segnale del processo di disgregazione nell’Unione e dell’Unione europea. Questo processo è in atto da quasi un decennio e le sue cause sono legate all’incapacità dei governi e delle istituzioni europee di ela- borare, adottare e applicare soluzioni a problemi di dimensioni transna- zionali.

Essi possono essere riassunti:

- nella crisi delle società multiculturali e delle politiche di inclusione, - nel divario fra chi ha rendite e redditi elevati e chi subisce le conse-

guenze dell’alto livello di disoccupazione e della devastazione del modello sociale europeo,

- nella sempre più estesa criminalità organizzata,

- nel flagello del terrorismo cui si accompagna la mancanza del diritto alla sicurezza dei cittadini,

- nell’incertezza del diritto e dei diritti delle persone a cominciare dall’uguaglianza e dalla solidarietà,

- nell’incapacità dell’Unione di svolgere il ruolo di attore internazio- nale nel mondo,

- nel deficit della democrazia sovranazionale europea che risiede in un sistema che non è in grado di garantire beni comuni essenziali per i suoi cittadini.

L’intera Unione è stata colpita dalla crisi per l’interdipendenza ormai irreversibile fra le economie europee cosicché gli Stati periferici – come

* Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo- Università per Stranieri

‘Dante Alighieri’

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la Grecia - hanno subito le conseguenze della mancanza di efficaci poli- tiche di coesione sociale e territoriale e di politiche di austerità a senso unico e senza gradualismo ma negli Stati centrali la crescita si è blocca- ta, i sistemi produttivi hanno perso competitività e le garanzie sociali si sono affievolite.

La crisi ha colpito in particolare i Paesi che hanno deciso di condivide- re i vincoli dell’integrazione monetaria rinunciando a inquadrarli in una vera Unione politica.

Negli Stati periferici e in quelli centrali si è allargata la distanza fra le classi dirigenti e le opinioni pubbliche creando le condizioni per la nascita di movimenti che fondano il loro consenso sulla paura (o, per es- sere più precisi, la paura dell’altro e cioè la xenofobia che è un fenomeno diverso dal razzismo) mentre è mancata una forte mobilitazione europea per imporre all’Unione un cambiamento di rotta in senso democratico e federale ed i partiti politici non hanno svolto il ruolo – che è stato asse- gnato loro dal Trattato – di formare la coscienza politica europea.

In questa situazione il fatto che il Regno Unito sia ai margini dell’inte- grazione comunitaria avendo rifiutato la libera circolazione delle perso- ne e l’accordo di Schengen, la Carta dei Diritti, la cittadinanza europea, la moneta unica e l’obiettivo di un’Unione sempre più stretta non ci con- sente di minimizzare gli effetti di una decisione che rende più instabile il sistema europeo.

Quel che più è grave appare la crescita dei movimenti euroscettici in quasi tutti i paesi europei con poche eccezioni laddove – come in Porto- gallo – il governo è riuscito a coniugare riforme strutturali e sviluppo.

Se le istituzioni comuni e i governi non definiranno e adotteranno una soluzione per garantire la realizzazione degli obiettivi dell’Unione l’in- stabilità potrebbe provocare la paralisi del sistema europeo e pericolosi effetti emulativi come già appare dalla convocazione del referendum un- gherese del 2 ottobre 2016 sull’immigrazione.

Lo stato di crisi non giustifica l’uscita dall’Unione ma richiede invece un cambiamento di rotta verso più Europa politica, democratica e sociale.

Nel Regno Unito - dove si è sviluppata fra le due guerre mondiali la cultura del federalismo europeo cui si è ispirato il Manifesto di Vento- tene - è nato l’euroscetticismo che ha attraversato la Manica e che si è trasformato in movimenti euro-ostili - per ora minoritari - la cui presa sulle opinioni pubbliche è stata aiutata da sciagurate campagne di leader nazionali contro le colpe della “burocrazia di Bruxelles, arrogante e lon- tana dai cittadini”.

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La crescita di questi movimenti non è la causa ma l’effetto della crisi dell’Unione europea. Le azioni più efficaci per contrastare e annullare questi effetti risiedono:

- nella realizzazione di politiche comuni per l’immigrazione (che com- prendano in particolare il controllo europeo alle frontiere esterne, la creazione di un’Agenzia Europea d’Asilo, la revisione del regola- mento di Dublino-3, l’apertura di vie d’accesso legali e umanitarie contemporaneamente ad una vera politica di cooperazione allo svi- luppo), nel completamento e nella riforma dell’UEM, in un cambia- mento di rotta nella politica economica e finanziaria europea met- tendo fine alle unilaterali politiche di austerità e avviando forme di debito pubblico europeo che non si faccia carico dei debiti pubblici nazionali, in un bilancio UE per assicurare beni pubblici europei, negli investimenti per lo sviluppo sostenibile, nell’attuazione dell’o- biettivo della piena occupazione, in una politica estera, della sicu- rezza e della difesa realmente comune, nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata attraverso una Procura ed una agenzia federali,

- nella riapertura del “cantiere europeo” per una profonda e ambizio- sa riforma del sistema europeo.

Il risultato del referendum ha aperto nel Regno Unito scenari anco- ra imprevedibili per quanto riguarda le questioni irlandese e scozzese, i conflitti all’interno dei Labour e de Conservatori, l’uscita di scena dei leader pro-leave e le richieste di chi chiede di ripetere il referendum.

In questo quadro il dato che emerge dall’analisi del voto, secondo cui molti giovani britannici riterrebbero che il loro futuro stia nell’Unione europea, è molto significativo. È un dato che non riguarda solo il Regno Unito ma l’intera Unione europea e che deve suonare come un appello al sentimento di responsabilità dei rappresentanti dei cittadini nei Pae- si membri e nelle istituzioni europee in vista delle elezioni europee del maggio 2019.

È un dato che ha confortato la decisione del Movimento europeo di rivolgere la propria azione in via prioritaria verso il mondo della scuola e dell’Università con iniziative come il “Processo all’Europa”.

Il “processo” ha lo scopo di stimolare - attraverso la formazione - e di identificare la volontà delle giovani generazioni per una Comunità so- lidale e democratica evitando che essi scivolino nell’antipolitica com’è

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apparso dalla bassa partecipazione dei giovani europei alle elezioni eu- ropee del 2014 e ora dalla ancor più bassa partecipazione dei giovani bri- tannici al referendum del 23 giugno.

Il Movimento europeo è convinto che debbano essere intraprese tre azioni parallele.

La prima concerne l’uscita del Regno Unito.

L’Unione europea deve agire nel rispetto dei suoi valori (dignità uma- na, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto, diritti umani ivi compresi quelli delle minoranze) com’è scritto nell’articolo 2 del Trat- tato di Lisbona e della realizzazione dei suoi obiettivi con particolare ri- ferimento alla libera circolazione delle persone, alla piena occupazione, al progresso e al dialogo sociale, alla lotta contro l’esclusione sociale e le discriminazioni nonché del ruolo della Corte di Giustizia nella protezione dei diritti fondamentali iscritti nella Carta dell’UE.

Le istituzioni europee devono prendere le misure necessarie, coscienti che Stati - come il Regno Unito - membri per più di quaranta anni del- la Comunità e poi dell’Unione non possano essere considerati come “un paese terzo”, che devono essere garantiti i diritti acquisiti dei cittadini di quegli Stati e di cittadini europei che risiedono in quegli Stati e che il diritto di recesso di uno Stato membro riapre la questione del governo dell’Europa a integrazione differenziata fra chi accetta tutte le conse- guenze della sovranità condivisa - ivi compresa la finalità di un’unione sempre più stretta - e chi ha dichiarato di non volere o potere accettare queste conseguenze e questa finalità.

Il Movimento europeo ritiene che nella riforma dei Trattati per rea- lizzare una Comunità federale, per sua natura irreversibile, l’articolo 50 debba essere soppresso.

La seconda azione, indispensabile e urgente per offrire delle risposte a quel che chiedono i cittadini e che non può essere garantito dagli Stati nazionali, riguarda ciò che può e deve essere fatto a breve termine.

Il Movimento europeo è convinto che il bilancio UE debba contribuire a garantire in primo luogo la piena occupazione, la coesione sociale e territoriale e lo sviluppo sostenibile.

Usando gli strumenti finanziari di cui l’Unione europea può disporre - ivi compreso quello dei prestiti e mutui e nuove risorse proprie che at- tingano anche agli ampi margini di elusione fiscale esistenti in Europa - è

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possibile chiudere il negoziato fra PE e Consiglio per il periodo finanzia- rio 2021-2025 adottando decisioni che consentano:

- una politica per l’occupazione e per gli investimenti al di là dei mar- gini limitati del “Piano Juncker”, privilegiando le energie rinnovabi- li e alternative, le nuove tecnologie e gli investimenti sociali di lunga durata, potenziando l’Area Europea della Ricerca e avviando piani di riqualificazione delle forze del lavoro con programmi di formazione continua e di sviluppo continuo delle professioni che tengano conto degli effetti dell’agenda digitale e dell’industria 4.0;

- politiche comuni di controllo delle frontiere esterne, di asilo e dei gestione di flussi migratori per l’accoglienza e per l’inclusione in- sieme ad un piano di investimenti per l’Africa nel quadro della coo- perazione con i Paesi in via di sviluppo al fine di dare piena applica- zione agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile sottoscritti da tutti i Paesi dell’UE alle Nazioni Unite il 25 settembre 2015;

- una politica industriale coerente con gli impegni presi al termine della COP 21 in materia di contrasto ai cambiamenti climatici nel quadro del partenariato pubblico/privato;

- l’avvio di un finanziamento europeo nella politica di sicurezza e difesa – come strumento di peace keeping e peace building – in cui la messa in comune può produrre economie di scala e maggiore efficienza;

- l’attuazione di un meccanismo europeo di assicurazione contro la disoccupazione – in particolare giovanile – e di lotta alla povertà anche attraverso elementi europei per un reddito minimo di citta- dinanza al fine di combattere la grave deprivazione materiale che colpisce oggi oltre sessanta milioni di europei.

Il Movimento Europeo è convinto che il dialogo fra Parlamento Eu- ropeo e parlamenti nazionali sul tema delle prospettive finanziarie pluriennali debba essere un’occasione importante nello sviluppo della democrazia europea secondo il doppio principio “no taxation without representation” e “no representation without taxation”.

Ciò esige una proposta per un bilancio che garantisca i tre obiettivi della stabilizzazione, della redistribuzione e dell’allocazione senza cui non si potrà realizzare il completamento dell’UEM.

Ciò esige che le raccomandazioni del Gruppo di lavoro presieduto da Mario Monti sulle nuove risorse proprie siano un elemento essenziale a conclusione di questo negoziato del negoziato 2021-2025.

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Il risultato del referendum britannico del 23 giugno 2016 rafforza la necessità e l’urgenza della riforma dell’Unione europea. La terza azione riguarda dunque questa riforma, resa indispensabile e urgente per la cri- si gravissima del progetto di integrazione, per rendere il sistema europeo all’altezza delle sfide del mondo contemporaneo, per colmare il deficit di democrazia e per governare - nell’interesse generale dei suoi cittadi- ni - una Comunità sempre più integrata secondo il modello federale fra i Paesi e i cittadini che lo vorranno.

La riforma dell’Unione è la sola possibilità per impedire o governare eventuali volontà di recesso che approfondirebbero la frammentazione nell’Unione e dell’Unione.

Il voto britannico del 23 giugno 2016 ha suonato come la campana di quest’Unione incapace di rispondere ai bisogni dei suoi cittadini e ignara dei valori dello stato di diritto, suona la campana per l’arroganza e l’inef- ficacia del metodo intergovernativo ma anche per i difetti del metodo comunitario.

Ancora una volta la strada della riforma è quella indicata da Altiero Spinelli: una Comunità di valori fondata sul modello federale, solidale e democratica.

Come dimostrano le proposte fin qui avanzate, molto può essere fatto senza intervenire con modifiche dei Trattati vigenti.

Una riforma vera e profonda del sistema europeo è tuttavia ineludibi- le per passare dal metodo comunitario al metodo federale definendo gli elementi essenziali di un’Europa unita, democratica e solidale, le modali- tà e l’agenda per realizzarla.

Il sistema europeo, i suoi meccanismi e le sue liturgie mostrano, or- mai, svariate incongruenze. Non poche dipendono dalla sua impostazio- ne originaria, mai veramente superata dalle numerose, successive modi- fiche dei Trattati, che induce gli europei a dubitare della piena legittimità democratica dell’UE. Altre sono diventate evidenti, negli ultimi anni, per effetto della devastante sequenza di crisi: finanziaria, economica, sociale e politica.

Incalzato dalle emergenze e nell’intento di affrontare la situazione e risolvere la crisi, il Consiglio Europeo ha progressivamente avocato a sé la maggior parte dei poteri decisionali, andando ben al di là dei compiti che gli sono attribuiti dai Trattati, ma senza essere capace di dare le ri- sposte necessarie alle sfide attuali. In quest’UE che non ci soddisfa, si è così affermata una distribuzione dei poteri, in buona sostanza, diversa da quanto ci dice la lettera dei Trattati e, comunque, inadeguata.

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Il metodo abituale, con la priorità agli accordi fra i governi, non ap- pare più consono ai tempi attuali e ancor meno a quelli futuri. Del pari, non risponde agli obiettivi di una riforma trasparente e partecipativa il metodo della Convenzione, convocata a prescindere da un vero dibattito europeo e vincolata dall’obbligo di sottoporre il risultato delle sue de- liberazioni a una conferenza intergovernativa e alla ratifica in tutti gli Stati membri.

Non è sufficiente definire gli elementi di un progetto di riforma del sistema europeo.

È indispensabile procedere in maniera trasparente e democratica in- novando il metodo per consentire ai paesi e ai popoli che hanno demo- craticamente accettato di condividere parti importanti delle loro sovra- nità di completare il cammino verso un modello federale.

Per definire il futuro dell’UE, occorrerà innanzitutto un dibattito arti- colato che coinvolga le cittadine e i cittadini, i movimenti di opinione, i corpi intermedi a livello europeo e i partner economici e sociali, i partiti politici e che stimoli i governi degli Stati, ciascun Parlamento nazionale, le assemblee legislative regionali e il PE, con un dialogo fra delegazioni parlamentari.

Bisogna avere un’ampia discussione e non sfuggire al contraddittorio con gli euro-critici. Va rigorosamente garantita la migliore e capillare informazione, tanto sul metodo quanto sui contenuti.

A valle, deve esserci un lavoro di tipo costituzionale, lavoro su cui va garantita la massima trasparenza e pubblicità.

È praticamente impossibile che ci si arrivi emendando parti degli at- tuali trattati perché ciò sarebbe difficilmente comprensibile per le opi- nioni pubbliche e richiederebbe un accordo unanime dei governi di tutti i paesi membri dell’Unione europea e le ratifiche – parlamentari o refe- rendarie – in tutti gli Stati.

In più una procedura siffatta coinvolgerebbe paesi che non hanno fat- to la scelta di rendere interdipendenti le loro economie, di unificare la politica monetaria e di accettare regole comuni negando inoltre il loro consenso a principi essenziali relativi alla cittadinanza, ai diritti, alla mo- bilità e alla solidarietà.

Per queste essenziali ragioni la via migliore è quella di avviare una fase costituente di un’Europa unita, solidale e democratica eleggendo a suffragio universale e diretto nella primavera 2019, contestualmente all’elezione del PE, un “Congresso” con il mandato di redigere la Legge Fondamentale della futura Comunità Federale.

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Tale Congresso dovrebbe essere integrato da una delegazione di rap- presentanti del PE scelti in modo tale da garantire un equilibrio geogra- fico e di genere (assemblea ad hoc). In tal modo la Convenzione prevista dall’art. 48 del Trattato di Lisbona diventerebbe un organismo legittima- to dal voto dei cittadini rispettando il principio scritto in tutte le costitu- zioni europee secondo cui “la sovranità appartiene al popolo”.

Spetta ai governi dell’area dell’Euro e di quelli che si sono impegnati a farne parte di decidere di comune accordo - adottando una dichiarazione (“Patto Federale”) che potrebbe avere lo stesso valore storico di quella di Messina del giugno 1955 ma che sarebbe tuttavia fondato sull’esigenza irrinunciabile di gettare le basi di una comunità democratica con metodo democratico – sulla convocazione di questo Congresso.

Tale decisione potrebbe essere preceduta da un atto politico dei par- lamenti di quell’area riuniti in assise interparlamentari come quelle che si svolsero a Roma nel novembre 1990 e assumere la formula giuridica dell’Atto del 20 settembre 1976 che aprì la strada all’elezione a suffragio universale e diretto del PE o da referendum consultivi come quello che si svolse in Italia nel giugno 1989 sull’attribuzione di un mandato costi- tuente al PE.

La decisione dei governi, le assise e i referendum consultivi dovreb- bero essere preparate – in uno spazio pubblico europeo – da convenzioni tematiche di cittadine e cittadini europei com’è stato proposto durante la sua campagna elettorale presidenziale da Emmanuel Macron.

Alla fase costituente seguirà quella deliberativa, dove appare a nostro avviso ineludibile l’intervento della sovranità popolare attraverso un referendum paneuropeo confermativo. Del resto, lo strumento referen- dario è già obbligatorio in molti paesi membri ed è politicamente im- prescindibile in altri con una frammentazione delle procedure di ratifica che dà maggiore spazio alle scelte e ai dibattiti nazionali mettendo in secondo piano le scelte e il dibattito europei.

Nel referendum paneuropeo le cittadine e i cittadini si esprimeranno espressamente sul nuovo assetto federale europeo, sulle sue regole costi- tuenti e fondanti e sul superamento della dimensione degli attuali Stati nazionali. Se la fase preparatoria sarà sufficientemente coinvolgente ed efficace, sarà chiamato a esprimersi un corpo elettorale che, a quel pun- to, risulterà più coscientemente “europeo”.

L’obiettivo, l’esplicito traguardo della prossima riforma non può che essere una federazione europea: non un super-Stato centralizzato, bensì una Comunità federale. Va predisposto un nuovo Trattato delineando un

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vero sistema costituzionale che consenta alla Comunità di agire con effi- cacia e metodo democratico.

La possibile architettura può essere così sintetizzata:

- un livello federale dotato delle necessarie competenze esclusive in tutti i settori in cui l’azione dei singoli Stati risulti inadeguata;

- l’Assemblea parlamentare con pieni poteri legislativi (incluso il po- tere di iniziativa legislativa in caso di carenza del governo) da esercitare congiuntamente a una “Camera degli Stati”;

- forme più avanzate di democrazia partecipativa e di prossimità per rendere la comunità federale una società aperta e garantire un reale coinvolgimento delle cittadine e dei cittadini insieme alle realtà locali e regionali;

- un vero governo europeo, con un numero ristretto di ministri e dota- to di poteri limitati ma reali sia in politica interna che in politica estera, legato a un vincolo democratico e fiduciario all’assemblea;

- il Consiglio dei capi di Stato e di governo vincolato al suo ruolo di istanza che discute e indica gli orientamenti strategici, sede di dibattiti semestrali sulle grandi priorità politiche;

- opportune forme di coinvolgimento dei Parlamenti nazionali e delle assemblee legislative regionali degli Stati federati;

- un bilancio federale con una dimensione coerente rispetto agli obiet- tivi comuni, entrate fondate su tributi europei e politiche per garantire beni pubblici a dimensione europea;

- la Corte di Giustizia cui sia attribuita la competenza di rispondere ai ricorsi specifici in materia di diritti fondamentali e di constatare i rischi di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori dell’UE o di constatazione dell’esistenza di queste violazioni;

- la Banca Centrale Europea come istituzione autonoma (e non indi- pendente) accanto all’esecutivo, al legislativo e al giudiziario, la cui azio- ne sia coordinata con la politica governativa nel rispetto degli obiettivi della Comunità federale e nella ricerca di una crescita sostenibile che punti alla piena occupazione e al progresso sociale;

- una vera e propria cittadinanza europea federale, svincolata dalle cittadinanze nazionali, dotata di un autonomo nucleo di diritti - indivi- duali e collettivi - e rafforzata dall’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e della Libertà fondamentali e alla Carta Sociale di Torino riveduta.

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Bibliografia

Documento di lavoro del Movimento Europeo sul futuro dell’Europa, marzo 2017, www. movimentoeuropeo.it

Libro Bianco della Commissione Europea sul futuro dell’Europa