• Non ci sono risultati.

Sessant’anni dai Trattati di Roma. Introduzione ai lavori

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sessant’anni dai Trattati di Roma. Introduzione ai lavori"

Copied!
86
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)
(4)

SUDEUROPA

Quadrimestrale di civiltà e cultura europea

Seconda serie – Anno di fondazione 1978 | ISSN 2532-0297 | n. 3 settembre/dicembre 2017

Centro di documentazione europea

Istituto Superiore Europeo di Studi Politici

Rete dei CDE della Commissione europea

3

NUMERO MONOGRAFICO

M'ILLUMINO D'EUROPA

(5)

Direttore responsabile

Daniele M. CANANZI

Comitato scientifico

Daniele M. CANANZI (Un. Sapienza, ISESP), Raffaele CANANZI (ISESP), Felice COSTABILE (Un. Mediterranea), Gabriella COTTA (Un. Sapienza), Giovanni D’AMICO (Un. Mediterra-nea), Nico D’ASCOLA (Un. MediterraMediterra-nea), Faustino DE GREGORIO (Un. MediterraMediterra-nea), Luigi DI SANTO (Un. Cassino), Massimiliano FERRARA (Un Mediterranea, CRIOS-Bocconi), Fabio FRANCESCHI (Un. Sapienza), Attilio GORASSINI (Un. Mediterranea), Marina MANCINI (Un. Mediterranea), Francesco MANGANARO (Un. Mediterranea), Marco MASCIA (Un. Padova), Francesco MERCADANTE (Un. Sapienza), † Antonio PAPISCA (Un. Padova, ISESP), Giuseppe PIZZONIA (Un. Mediterranea), Antonio PUNZI (Un. Luiss di Roma), Carmela SALAZAR (Un. Mediterranea), Giuseppe TROPEA (Un. Mediterranea), Giuseppe VERDIRAME (ISESP).

Comitato redazionale

Debora BELLOCCO (Un. Mediterranea), Pietro DE PERINI (Un. Padova), Andrea MASTRO-PIETRO (Un. Mediterranea), Roberto MAVILIA (ICRIOS-Un. Bocconi), Maria Giovanna ME-DURI (Un. Mediterranea), Serena MINNELLA (Un. Mediterranea), Patrizia MORELLO (Un. Mediterranea), Claudia PIVIDORI (Un. Padova), Irene SIGISMONDI (Un. Sapienza), Ettore SQUILLACE (Un. Mediterranea), Gianluca TRACUZZI (Un. Lum), Angelo FERRARO VIGLIA-NISI (Un. Mediterranea).

Direzione, redazione e amministrazione di SUDEUROPA sono presso l’ISESP – Istituto su-periore europeo di studi politici, proprietario della testata, Via Torrione, 101/F – 89127 Reggio Calabria; email cde@isesp.eu, sito internet www.isesp.eu

La casa editrice Laruffa cura l’edizione, la stampa e la distribuzione.

Registrato presso il Tribunale di Reggio Calabria, n. 7 del 10/11/2016 ISSN 2532-0297

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

La rivista è pubblicata dal Centro di documentazione europea dell’ISESP e fa parte delle pubblicazioni della rete CDE della Commissione europea.

SUDEUROPA viene realizzata anche con il contributo scientifico di

Osservatorio Politiche Pubbliche per le Autonomie

Centro di Ateneo per i Diritti umani

CRIOS. Center for Research Innovation Organization and Strategy

via dei Tre Mulini, 14 89124 Reggio Calabria

tel.: 0965.814954 www.laruffaeditore.it segreteria@laruffaeditore.it

(6)

5

SOMMARIO

7 NOTIZIE DEL CONVEGNO SALUTI

11 R. Cananzi, Presidente dell’ISESP

13 F. ManganaRo, Direttore del DiGiEc – Università Mediterranea

15 n. iRto, Presidente del Consiglio Regionale della Calabria

17 INTRODUZIONE GENERALE

19 D.M. Cananzi, Sessant’anni dai e dei Trattati di Roma.

Introduzione ai lavori

35 RELAZIONI

37 V. CannizzaRo, Scienza giuridica e diritto europeo

49 P.V. Dastoli, L’Unione fra integrazione federale e disintegrazione:

il caso Brexit

59 M.A. HaRtwig, Nella stessa barca: le sfide dell'immigrazione

per l'Italia e per l'Europa

67 M. ManCini, L’Unione europea e la sfida del terrorismo internazionale

79 INDICE GENERALE 2017 M'ILLUMINO D'EUROPA

(7)
(8)

7

NOTIZIE

DEL CONVEGNO

Nell’ambito del Progetto 2017 della rete italiana dei Centri di docu-mentazione europea della Commissione europea dal titolo «60 anni di Unione Europea: sfide e prospettive per l’Europa di oggi e di domani», il Cde dell’ISESP ha organizzato il Convegno volto a discutere l’eredità dei sessant’anni dai Trattati di Roma ma anche le prospettive future dell’idea di Unione europea che proviene dai Trattati di Roma.

Il 25 ottobre 2017 nell’aula consiliare del Comune di Reggio Calabria un folto pubblico ha avuto la possibilità di ascoltare gli interventi dei re-latori che hanno approfondito alcune delle principali tematiche che ani-mano il dibattito attuale, dal contributo del diritto dell’Unione europea alla scienza giuridica, alle conseguenze della Brexit, dall’immigrazione al terrorismo.

Il Convegno, organizzato col contributo della Rappresentanza italia-na della Commissione europea, ha avuto il patrocinio del Consiglio re-gionale della Calabria e del DiGiEc dell’Università Mediterranea nonché la partecipazione del Movimento federalista europeo e dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria.

Il presente volume ne raccoglie gli atti presentando i testi dei saluti istituzionali e le relazioni predisposte dagli autori per la pubblicazione.

(9)
(10)
(11)
(12)

11

Raffaele Cananzi

Presidente dell’ISESP

È per me un piacere ed un onore essere qui oggi e portare i saluti dell’ISESP che presiedo, aprendo questo Convegno che l’Istituto europeo, col suo Centro di documentazione europea, organizza insieme al Dipar-timento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università Mediterranea in occasione delle ricorrenze per i sessant’anni dai Trattati di Roma che dell’Europa, come oggi si presenta, sono stati uno dei primi passi edifi-cativi.

Nel momento in cui le critiche non mancano verso l’ambizioso proget-to dell’Unione e ancora di più verso la sua realizzazione, ritrovarci con relatori illustri a discutere di Europa è certamente significativo e impor-tante. Sarà anche questa odierna l’occasione per esaminare gli scenari futuri oltre che il passato, per verificare alcune scelte e prospettarne di nuove.

Con questo spirito ringrazio i relatori che hanno accettato il nostro invito, i quali avranno la possibilità di chiarire da par loro cosa significhi oggi continuare a parlare di Europa, di Europa unita e di Unione europea.

Prima di concludere questi brevissimi indirizzi di saluto, però, per-mettetemi di sottolineare con vivo piacere – e così di ringraziare – il folto pubblico che è presente in questa bella sala oggi. Un numero che dimo-stra quanto sia sentita la tematica Europea e comunque quanto evidente-mente si voglia partecipare ai momenti in cui di Europa si discute.

L’Istituto europeo, con i suoi quasi cinquanta anni di attività, ha il piacere ed è anche particolarmente lieto di poter continuare a svolgere quella attività di ricerca e di divulgazione dell’integrazione europea che nel territorio è così importante che si radichi sempre meglio. Oggi faccia-mo un ulteriore passo avanti in questa direzione.

(13)
(14)

13

Francesco Manganaro

Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia Università Mediterranea

Anche io svolgerò un brevissimo saluto.

Sono molto contento di vedere tanti nostri studenti, i nostri dottoran-di, oltre a tanti colleghi, a professionisti che partecipano a questo Con-vegno.

Sessant’anni dei Trattati costituiscono una occasione, felice e impor-tante. Devo dire che la riflessione sull’Europa nel nostro Dipartimento è stata una costante, e ringrazio i colleghi Cananzi e Mancini, in particola-re che se ne sono fatti promotori.

Chi crede veramente all’Europa e chi ha a cuore lo sviluppo dell’Euro-pa e chi è cresciuto con l’idea di una Eurodell’Euro-pa unita, oggi deve capire come declinare diversamente i valori che dietro a questa parola rimangono cu-stoditi. Fermi i principi, però, i problemi che attualmente si pongono alla nuova Europa richiedono una riflessione, approfondita, matura, onesta. Ed è per questo che occasioni di questo genere che coinvolgono presti-giosi relatori che esaminano questi argomenti da diversi punti di vista e con personale contributo speculativo e riflessivo, sono necessari.

Apprestandoci ad ascoltare le relazioni di oggi e più in generale me-ditando l’idea di Europa, non possiamo non tener conto delle reazioni scomposte dei populismi contro l’immigrazione, non possiamo non tene-re conto di un’Europa che tende a frantumarsi in tante piccole comunità locali.

Da questo punto di vista, l’idea che l’Europa così come l’abbiamo ma-turata e come la vogliamo e come sicuramente vogliamo che ancora sia, ha bisogno di un pensiero diverso; di modalità nuove di affrontare questi problemi. Ed è mia convinzione che il Convegno di oggi costituisce uno dei momenti davvero formativi e costruttivi in questa direzione.

Ringrazio perciò il pubblico, i relatori, e quanti hanno reso possibile tutto questo e auguro a tutti un buon lavoro.

(15)
(16)

15

Nicola Irto

Presidente del Consiglio regionale della Calabria

Rivolgo il mio saluto e quello del Consiglio regionale della Calabria al Centro di documentazione europea dell’Istituto superiore europeo di studi politici, ai relatori e a tutti i partecipanti a questo convegno dall’e-levato valore scientifico.

Il titolo della vostra iniziativa richiama immediatamente alla memoria la celebre “Mattina” di Ungaretti. Spesso, dentro di noi, l’idea dell’Europa unita ha rappresentato in effetti l’alba di una nuova speranza, l’orizzon-te di pace che, dal Manifesto di Ventol’orizzon-tene a Maastricht, passando per i Trattati di Roma, ci ha condotti alla realizzazione del sogno dei nostri avi e dei nostri genitori.

Apprezzo particolarmente lo spirito di questo confronto: non tanto una celebrazione del passato, quanto una riflessione sull’avvenire. Una scelta, questa, in linea con il convegno che nei mesi scorsi abbiamo orga-nizzato in Consiglio regionale, nell’ambito delle iniziative ufficiali per i 60 anni dei Trattati di Roma.

Nel rinnovarvi il mio saluto, vi ringrazio del cortese invito e vi auguro buon lavoro.

(17)
(18)

INTRODUZIONE

GENERALE

(19)
(20)

19

Sessant’anni dai e dei Trattati di Roma

Introduzione ai lavori

Daniele M. Cananzi*

1. Sessant’anni dai Trattati: i tre stadi nella costruzione dell’Unione

«L’Europa è stata per secoli un’idea, una speranza di pace e compren-sione. Oggi questa speranza si è avverata. L’unificazione europea ci ha permesso di raggiungere pace e benessere. (…) Oggi viviamo assieme come mai è stato possibile in passato. Noi cittadini dell’Unione europea siamo, per nostra felicità, uniti»1.

Sono queste le parole con le quali si apre la Dichiarazione in occasione dei cinquant’anni dai Trattati di Roma; parole che oltre la giusta retorica di un atto ufficiale, ci chiedono di fermarci un momento e riflettere su quello che è oggi lo spirito: oggi che celebriamo i sessant’anni dalla firma dei Trattati, oggi che la situazione è evidentemente molto differente da quella di dieci anni fa e che è molto differente (in positivo e in negativo) rispetto a quella che ha portato ai Trattati e che li ha visti nascere.

Quando come CDE abbiamo deciso di partecipare al progetto di rete che quest’anno è dedicato alla ricorrenza dei sessant’anni dai Trattati, ho subito avuto ben in mente che non si sarebbe dovuto trattare di una semplice ce-lebrazione; non perché i Trattati non meritino celebrazioni, anzi; ma perché questa, e in questo preciso momento della storia dell’Unione, può essere, in modo che ritengo più fruttuoso, l’occasione di riflessione sull’idea, sulla re-altà, sulle linee di sviluppo dell’Unione: pensare non tanto al passato quanto al futuro di questa Unione che coi Trattati appunto vede sorgere le sue strut-ture prodromiche. Un futuro tutt’altro che ben definito ma, permettetemi di aggiungere anche, un’idea tutt’altro che spenta e superata. Ecco perché

l’ot-* Università Sapienza di Roma – ISESP, Responsabile accademico del CDE

1 Dichiarazione in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei trattati di Roma,

(21)

20

tica nell’organizzazione del Convegno è stata quella di vedere i sessant’anni

dei Trattati e dai Trattati. In questa direzione mi muoverò molto brevemente

in questa introduzione al tema2.

Rimane infatti l’esergo della dichiarazione del 2007: “l’Europa è stata per secoli un’idea”, un’idea che ha visto proprio coi Trattati del ‘57 un primo momento di concretizzazione con uno sforzo profondo e imma-ne da parte dei singoli Stati che praticando una politica autenticamente politica, ovvero di ampio respiro, capace di immaginare e progettare il futuro di intere generazioni a seguire, hanno scelto di collaborare rico-noscendosi comunità prima, e di unirsi poi, con un processo di integra-zione sempre più stretto.

Facciamo un passo ancora più indietro.

Il famoso discorso di Churchill a Zurigo è in questo particolarmente significativo. Lo statista, decisivo per la sconfitta della Germania nella se-conda guerra mondiale, in quell’occasione ribadisce che si deve impedire al nemico sconfitto di riarmarsi. Il politico accorto e intelligente aggiunge, capace dunque di volgere lo sguardo al futuro e di non mantenerlo al passato e al suo presente, «non può esserci un rilancio dell’Europa senza una Germania spiritualmente forte»3.

Perché mi appare particolarmente significativo oggi?

Perché in quelle parole si respira un’idea politica alta e bella: si respira un progetto politico. Quello che Churchill annuncia e auspica sono gli

Stati Uniti d’Europa, come si inizierà a chiamarli dopo il discorso del 1946

a Zurigo, preceduto in questo, ma con alcune differenze sulle quali dirò a breve, dal Manifesto di Ventotene (che risale al 1941). E per tracciare il suo scenario Churchill spiega che non c’è Europa senza una Francia forte, senza un asse franco-tedesco.

Non stupisce l’assenza di protagonismo del vincitore ed una – molto inglese – lucida analisi fatta anche, e soprattutto potrei aggiungere senza imbarazzo, nell’interesse del proprio paese.

E non è un caso infatti che quella di Churchill è una particolare idea di Stati Uniti d’Europa che molto in realtà si differenzia rispetto a quella di Ven-totene. Questa di Churchill è una comunità interstatale nella quale direzione

2 Per una sintetica presentazione del percorso di realizzazione del progetto europeo

rinvio a P. Fois, Gli sviluppi del processo di integrazione europea dal trattato di Roma ad oggi. Il

ruolo degli Stati membri, in “Studi sull’integrazione europea”, 2017, n. 2, p. 249 ss; C.

Zan-ghì, Istituzioni di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2005; più ampiamente, AA. VV., Storia

dell’integrazione europea, 2 voll., Roma, 1997.

(22)

21

si mantiene un forte dialogo tra Stati che mettono insieme le forze e le azioni ma rimangono indipendenti e sovrani. È chiaro che parla il primo ministro di un Impero, che parla il comandante dell’esercito vincitore della guerra, il capo del governo dello Stato che ha resistito e vinto il conflitto mondiale.

C’è poi un’altra ragione per ritenere oggi significativo il discorso del ‘46: siamo nel post-Brexit (meglio nel periodo di distacco, lento e pro-gressivo, per come si annuncia, della Gran Bretagna dall’Unione). E la Gran Bretagna è il primo paese che abbandona proprio il progetto del quale Churchill si era fatto promotore e divulgatore (insieme a quanti sono considerati i padri dell’Unione europea, naturalmente); un progetto che, nei termini del Discorso del 1946, è stato molto portato avanti anche fisiologicamente adeguandosi al mutare delle condizioni4.

La domanda è quasi spontanea: cosa è cambiato in termini così radi-cali da portare alla Brexit? Cosa della realizzazione del progetto non ha funzionato?

Per avere uno spaccato immediato del mutamento di orizzonte, pos-siamo fare un passo avanti, dopo averne fatti due indietro, alla Dichia-razione del 2007 e al Discorso del 1946. Possiamo arrivare all’oggi e al

Discorso sullo stato dell’Unione del 2015 e del 2016 nei quali il presidente

della Commissione Juncker si è fatto portavoce del senso di delusione e scoramento nel quale fino a qualche mese addietro l’Unione sembra-va essere sprofondata con un tasso di euro-criticismo in forte espansio-ne: osservando nel 2015 che «c’è poca Europa in questa Europa; c’è poca Unione in questa Unione»5, nel 2016 che «la nostra Unione europea sta

vivendo, almeno in parte, una crisi esistenziale»6.

Ho così richiamato tre momenti che mi sembrano anche rappresenta-tivi di tre cicli nell’evoluzione dell’esperienza e dell’avventura europea che potrebbero essere rappresentati con una curva ascendente e poi di-scendente e ai quali, per chiarezza espositiva e con semplificazione estre-ma, ho inteso dare tre volti: 1) Churchill o, il progetto; 2) la Dichiarazione dei cinquant’anni o, l’esaltazione del compimento; 3) Juncker o, la crisi esistenziale.

4 La Brexit fa venire alla luce il permanere del differente approccio dello Stato di mare

rispetto a quelli di terra. Sulla nota distinzione tra terra e mare, C. Schmitt, Terra e

mare, Milano 2006.

5 J.-C. Juncker, Stato dell’Unione 2015, p. 5, citato dalla pubblicazione ufficiale della

Com-missione europea.

6 J.-C. Juncker, Stato dell’Unione 2016, p. 6, citato dalla pubblicazione ufficiale della

(23)

22

2. Sovranità e post-statualità europea

Passatemi naturalmente l’estrema semplificazione, il grafico della curva che ho delineato, per altro, non traccia una parabola così netta né i tre volti sono esclusivi e i più significativi. La storia dell’Unione è una progressiva integrazione che è fatta da passi in avanti, a volte notevolis-simi, e da battute d’arresto, in certi casi anche molto brusche.

Non pretendo di dare infatti una irresistibile mappa crono-concettuale. Ma a questo schema mi rifaccio, molto brevemente, per poter formulare alcune considerazioni che possono dunque aprire il dibattito ad una filo-sofia europea futura e futuribile7, spiegando la struttura del convegno, dei

suoi temi, e dei relatori che sin da ora ringrazio per la presenza oggi. Churchill, lo ricordavo, parla alla fine del secondo conflitto mondiale, propone gli Stati Uniti d’Europa, ovvero un ordinamento internazionale interstatale radicato sul modello dello Stato di diritto e mi sembra inte-ressante da sottolineare che, come interstatuale, non intende prescinde-re dalla centralità degli Stati.

Come – facendo alta politica – non pensare che la regione europea dopo il conflitto mondiale doveva fare unità, superare dunque le divisio-ni che ne hanno segnato la storia? Per fare questo, come non pensare ad un corpo che trova in alcuni paesi la forza trainante? Francia, Germania, Inghilterra tra i primi. E come non osservare l’alto livello di questa poli-tica che in realtà mette insieme ‘alla pari’ vincitori e vinti?

Un’organizzazione capace, sull’esempio del Commonwealth britanni-co, di sostenere l’organizzazione mondiale e garantire pace, sicurezza e libertà. Per far questo, come dice Churchill, una “struttura”, un “rag-gruppamento europeo” potrà ben mediare tra i singoli Stati, potrà garan-tire una distribuzione di forze e all’interno di essa i singoli Stati saranno ridotti nella loro capacità egemonica, e gli Stati più piccoli potranno con-tare come i grandi.

Il modello non è quello tipico del federalismo, quello che ha portato alla federazione degli Stati Uniti d’America8, ma un organismo

intergo-vernativo che conferma la struttura classica del potere sovrano, se vo-gliamo. Il Leviatano, nella migliore delle ipotesi, illuminato e fattivo che organizza e decide.

7 Articolate le argomentazioni circa una filosofia per e dell’Europa di M. Cacciari,

Geo-filosofia dell’Europa, Milano, 1994; R. Esposito, Da fuori, Torino, 2016.

8 La letteratura comparatista è immane rinvio solo ad A. Spinelli, Il modello costituzionale

americano e i tentativi di unità in Europa, in La nascita degli Stati Uniti d’America, a cura di L.

(24)

23

Di qui tutta la differenza con quell’idea, più organica e articolata, ma soprattutto più avanzata e innovativa che viene fuori dal Manifesto di Ventotene nel quale si pensa ad un ordinamento federale, analogo pro-prio agli Stati uniti d’America. Un «ordinamento unitario nel campo in-ternazionale»9 viene ipotizzato come l’unico modo e l’unico mezzo per

perseguire la risoluzione delle questioni sociali e politiche. Anche per-ché «la volontà assoluta degli Stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo “spazio vitale” territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno»10. Una “rivoluzione socialista” –

come si legge –, nei contenuti e nelle forme che vede nel federarsi degli Stati la creazione di uno spazio politico-economico-giuridico di libertà, sicurezza e pace.

Il progetto di Ventotene è evidentemente più ambizioso rispetto all’i-potesi internazionalista; è Manifesto redatto nell’isolamento della misu-ra restrittiva del confino, e prima ancomisu-ra del carcere, da chi pensa – con tutto l’entusiasmo e l’ottimismo del caso – il mondo che sarebbe dovuto venire con la riconquistata libertà, evidentemente tanto personale quan-to sociale. Un progetquan-to, è bene precisarlo, che rimane ancoraquan-to all’idea di Stato ma che centralizza i popoli e si caratterizza per una unificazione politica. Federale qui significa che gli Stati svolgono un importante fun-zione ma che ci sono organi e istituzioni di governo e di rappresentanza di diretta emanazione popolare, che l’unità politica esprime una unità organica e strutturale nella quale gli stati partecipano, ma in via secon-daria. Tutto interno al modello statuale perché qui si intende produrre uno Stato più grande (federale, appunto) e muoversi a livello di gerarchia di dimensioni, oltre che di fonti.

Lo spirito del progetto, il suo carattere emozionalmente ideale e rivo-luzionario, l’energia, sono bene espressi nelle battute conclusive: «Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti in-gombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tut-to quello che si era immaginatut-to, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie fra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale

9 Manifesto di Ventotene e Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea: per rilanciare

l’Europa federale, a cura di Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, Pavia, 2014, p. 25.

(25)

24

crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i mo-vimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi per raggiungerlo»11.

La storia ci dice che non si è andati in questa direzione. Le due opzioni – che con Cannizzaro posso dire12 – “internazionalistica” e “federalistica”

hanno infatti condotto a un sistema misto. La Comunità europea, poi l’U-nione, sono andate costruendosi non seguendo il modello federale ‘alla Ventotene’, che ha visto nell’opera di perseguire il risultato in Altiero Spinelli il più acceso e pressante protagonista, ma promuovendo una in-tegrazione a base economica e giuridica; confermando l’idea di Churchill per un accordo tra Stati da tecnicamente compiersi mediante la forma giuridico-internazionalista del Trattato13. A prevalere non è l’idea della

rivoluzione socialista ma il modello liberale che trova due luoghi di teo-rizzazione economica: la Scuola di Friburgo e quella di Chicago14.

E questo a me appare un elemento interessantissimo soprattutto dal punto di vista dell’analisi dei sistemi giuridici: a prevalere è la propensio-ne funzionalistica, come si dice, per l’integraziopropensio-ne progressiva di econo-mie, idee, popoli che vanno a comporre l’arcipelago europeo.15

Il “modello sovrano”, quello che si incarna nello Stato moderno, soprat-tutto come Stato di diritto moderno, è un modello che sostanzialmente si ricostruisce a partire dalla piramide verticistica che conduce e che ricon-duce tutto al sovrano, visto anche schmittianamente come detentore dello stato d’eccezione16; sovrano perché detentore di un potere e di una

sovrani-tà autarchica e autopoietica17. Nella declinazione continentale, è il modello

dell’amministrazione centrale, il modello étatiste francese18. L’Europa che nel

11 Ivi, p. 50.

12 E. Cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, Torino, 2017, p. 283 ss.

13 Rimane fondamentale il contributo del 2000 nel quale con precisione si delineano i

modelli con chiarezza di E. Cannizzaro, Democrazia e sovranità nei rapporti fra Stati

mem-bri e Unione europea, in “Il Diritto dell’Unione europea”, 2000, p. 241 ss.

14 Cfr. F. Felice, L’economia sociale di mercato, Soveria Mannelli, 2008; A. Somma, Economia

sociale di mercato, Roma, 2011.

15 Cfr. M. Cacciari, L’arcipelago, Milano, 1997; impiega l’immagine della costellazione in

modo significativo, J. Habermas, La costellazione postnazionale, Milano, 1999.

16 C. Schmitt, Le categorie del politico, Bologna, 1972.

17 A questa sovranità tendente all’assolutismo, anche tacciata di “ipocrisia”, si è

sosti-tuita una “sovranità condivisa”, sulla quale le critiche non sono mancate; cfr. S.D. Kra-sner, Sovereignty: Organized Hypocrisy, Princeton, 1999; E. Cannizzaro, Il diritto

dell’inte-grazione europea, cit., p. 12 ss.

(26)

25

1957 si costruisce come Comunità decide di non prescindere da questo mo-dello sovrano dei singoli Stati19. L’opzione di unione politica federale non a

caso è scartata definitivamente nel 1954 col e dopo il fallimento della Co-munità Europea di Difesa (CED). In questo caso si sarebbe partiti, infatti, da un’unità territoriale, difeso e dunque identificato dalla sua difesa che è difesa del popolo, quel ‘popolo europeo’ che, a sua volta, si sarebbe individuato at-traverso il territorio e grazie a dei confini.

Invece, l’Unione europea, è partita dalla concretezza e materiale esigen-za di scambio e di incontro; nell’idea, per nulla banale, che l’esigenesigen-za dello scambio sia sempre l’inizio dell’incontro. Si è dunque partiti dall’economia robustamente sostenuta dal diritto: non dico novità se ripeto che il diritto europeo è frutto soprattutto dell’opera giurisprudenziale costitutiva della Corte di giustizia capace di incidere non più ma quanto ai Trattati e che ha costituito una spinta unificatrice20. Basti ricordare come a più riprese e da

tempi ormai risalenti la Corte riconosce il valore costituzionale dei Tratta-ti osservando come l’atto fondaTratta-tivo del fenomeno di integrazione regionale «va al di là di un accordo che si limita (…) a creare obblighi reciproci tra Stati contraenti” (si osserva nella notissima sentenza del 1963), avendo invece co-stituito “una comunità di diritto” che esercita “poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzione degli Stati» (si legge nel parere del 1991)21.

E mi sembra di poter affermare – ma trattasi di opinione personale che attende smentita – che impostata in questo modo, dell’Unione –

isti-19 In tema di natura giuridica dell’Unione europea la letteratura è sterminata e questo

costituisce anche uno dei punti teoreticamente e praticamente più delicati e affasci-nanti del diritto dell’Unione che è un diritto dell’integrazione europea; rinvio solo alla trattazione di E. Cannizzaro, Il pluralismo dell’ordinamento giuridico europeo e la questione

della sovranità, in “Quaderni fiorentini”, 2002, t. 1, p. 245 ss. osservando come oggi il

ter-mine che entra nel dibattito sia disintegration, ne dà segnale C. Jorges, A Disintegration of

Europe Studies?, in “European Papers”, 2016, p. 8 ss.

20 Sul punto cfr. N. Parisi, Considerazioni sulla natura giuridica dell’Unione europea alla luce

dei rapporti tra Stati membri e fra questi e l’organizzazione, in L’Unione Europea in cerca di identità. Problemi e prospettiva dopo il fallimento della “Costituzione”, a cura di U. Draetta,

A. Santini, Milano, 2008, p. 1 ss.

21 Corte di giustizia, 5 febbraio 1963, causa 26/62 Van Gend & Loos, in “Raccolta della

giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee”, p. 3 ss.; Parere della Corte di Giustizia, 14 dicembre 1991 n.1/91, in “Raccolta”, p. I-6017 ss.; Sentenza della Corte di Giustizia del 15 luglio 1964, causa 6/64 Costa/Enel, in “Raccolta”, p. 1129 ss.; Sentenza della Corte di Giustizia del 23 aprile 1986, causa 294/83,

(27)

26

tuzionalmente costruita sul modello internazionalistico ‘alla Churchill’ – realisticamente non ci si poteva aspettare troppo di più, almeno fino alla crisi finanziaria che negli ultimi anni ci ha colpito con vigore ecce-zionale. L’Unione ha tentato di portare al massimo le politiche di merca-to unico, di moneta unica, di libero scambio e circolazione nell’alveo di alcuni principi fondamentali e valori affermati, da un lato, con la forma del Trattato e, dall’altro lato, per via giurisprudenziale. E non è certo un caso questo doppio impulso.

In fondo il sistema Europeo è una forma ibrida tra unione politica e organismo intergovernativo, non essendo l’una ma eccedendo anche l’al-tro. Un sistema edificato attraverso spinte e contro-spinte che di volta in volta hanno portato l’Unione più da uno o più dall’altro polo, senza però riuscire mai a stabilizzare l’idea, ‘alla Churchill’, di Stati che unicamente collaborano (una unione di Stati), o ‘alla Spinelli’, di una vera e propria federazione (unione politica)22. Modello ibrido riassumibile nella formula

‘gli Stati sono l’Europa ma l’Europa non è solo gli Stati’23.

Per certi versi – al netto delle critiche di quanti avrebbero voluto di più nella direzione dell’unione politica – il modello ibrido ha funzionato e, funzionando, ha evidenziato tutti i limiti che sono propri di questo tipo di unione tra Stati e sui quali le osservazioni critiche non sono mancate.

Funzionato, naturalmente, rispetto anche alla situazione e soprattut-to se rileggiamo la ssoprattut-toria dal punsoprattut-to di vista politico: a partire dalla ri-costruzione post-bellica per passare alla guerra fredda e alla caduta del muro di Berlino e arrivare alla crisi finanziaria, economica e identitaria che negli ultimi anni ha sconvolto le cose nuovamente. La CEE col merca-to unico ha agevolamerca-to certamente gli anni del boom economico non solo italiano; la politica della moneta unica ha garantito che dopo la riunifi-cazione della Germania i singoli Paesi non rimanessero tagliati fuori da un Moloch troppo forte e robusto. Solo per fare due esempi. E, guardate, anche queste sono politiche e strategie politiche.

22 Emblematica su questo è la divergenza tra la Corte europea e le giurisdizioni

naziona-li; mentre, come ricordato, la Corte europea ha operato una costituzionalizzazione ten-denzialmente unificatrice (cfr. anche la sentenza Simmenthal del 1978), le Corti nazionali hanno spesso tenuto a sottolineare la distinzione e la differenza; ricordiamo la Corte costituzionale tedesca nel Maastrichtsurteil del 12 ottobre 2013; una linea confermata anche dal Conseil costitutionnel francese e dalla stessa Corte costituzionale italiana con una serie di sentenze pronunciate tra il 1964 e il 1984 (cfr. sentenza Costa n. 14 del 1964 fino a sentenza n. 170 del 1984).

(28)

27

Dal punto di vista della sistematica giuridica, poi, quella europea è una costruzione nuova che non registra precedenti importanti. Trattasi di una Unione che avviene non come di consueto attraverso gli elementi classici: territorio, popolo sovranità ma secondo un asse del tutto privile-giato tra diritto ed economia e nel quale l’elemento politico è abbastanza ridotto ma come ho appena detto non assente, implicito più che espli-cito. Una struttura giuridica dunque che sembra fare eccezione rispetto sia all’ideal-tipo statuale sia alla consueta organizzazione internazionale.

Un approccio che parte dal diritto e dalle sue regole – cosa di più po-trebbero volere i giuristi? – per organizzare la circolazione di beni e per-sone e per avviare un processo che dall’economico avrebbe dovuto e do-vrebbe portare all’unità politica, considerata così non quale solido punto di partenza (‘alla Ventotene’) quale meta da perseguire con un itinerario lungo ed elaborato che, evidentemente è ancora lontano dal raggiungi-mento.

Su queste basi si giustifica l’entusiasmo del cinquantennale, il mo-mento di esaltazione per un compimo-mento.

Un entusiasmo, come sappiamo smorzato e cancellato, solo dieci anni dopo, dalla “crisi esistenziale”, frutto proprio dei limiti del modello ibri-do, la quale prepotentemente chiede di tornare a interrogarsi sul proget-to, e chiede misure anche radicali. La curva ascendente che dalla prima fase, quella post-bellica, conduce all’euro-entusiasmo della Dichiarazio-ne del 2007 già da tempo è iniziata a decrescere in modo preoccupante. Al suo acme erano gli anni nei quali si pensava diffusamente di avere raggiunto alcuni punti ormai conquistati una volta e per sempre, per l’U-nione europea, per valori condivisi, per le sinergie consolidate.

Anche qui e per questi casi, la storia si è incaricata di smentire l’ot-timismo da opera compiuta. Come ormai si dice, i diritti, quelli sociali, politici, economico-lavorativi, hanno un costo24 che non sempre si può e

si vuole sostenere; proprio quel costo che la crisi dii questi ultimi anni ha reso troppo caro. L’Unione è stata unita fin tanto che non si sono profilati problematiche esterne e interne che ne hanno fortemente minato la for-za e la robustezfor-za, mettendone alla prova la resistenfor-za; il popolo europeo si pensava acquisito senza se e senza ma all’impresa dell’europeismo e invece si scopre preoccupato (se non in alcuni casi terrorizzato) tanto da rinchiudersi in sovranismi confusi dal portato a tratti xenofobo e co-munque fortemente carico di sospetto per l’altro. L’alterità rispettosa del

(29)

28

nesso IO/TU25, torna a restituire i pronomi AMICO/NEMICO26.

Della curva decrescente sono sintomo proprio i populismi, il sovrani-smo, come dicevo, e quei fenomeni che negli ultimi tempi hanno invaso le discussioni e i dibattiti, partendo – e non è un caso - dal basso e dal quel popolo che si è sentito forse troppo escluso dai grandi centri di potere, avvertiti troppo lontani e poco attenti alle reali esigenze dei governati. Ma anche da una eccessiva burocratizzazione e giuridificazione del piano politico. Anche dal punto strettamente giuridico, mi sembra si sia smar-rita quell’alta lezione che vuole rintracciare i luoghi del diritto non negli studi degli esperti e nelle biblioteche degli studiosi ma nelle strade, nei mercati, in tutti quei luoghi dove il diritto è reso e si rende vivo, umano e vissuto27. Con la conseguente incapacità, spesso di far risultare

l’effettivi-tà europea nei momenti di crisi e nei problemi anche interni28.

Non ritengo, personalmente, che populismo e sovranismo siano le cause ma gli effetti della crisi esistenziale che pure è reale, oggettiva, non obliabile. Tanto è vero che già indizi di un certo disagio avevano por-tato al fallimento del Tratpor-tato che adotta una Costituzione, sottoscritto dagli Stati, bocciato dai cittadini più che nei contenuti, forse, che nel metodo.

In fondo era un modo di calare dall’altro, con decisione tra Stati e co-stituzionalizzare lo status quo, ovvero rifuggire una vera e propria costi-tuzionalizzazione muovendosi sempre nell’ottica internazionalistica e lasciando procedere de facto e per via giurisprudenziale la sistematizza-zione dei principi senza un maggior coinvolgimento e qualche modifica più ambiziosa all’impianto dell’Unione.

Il punto, che nel 2007 porta al fallimento della Costituzione europea era già esplicitamente manifesto si andava delineando e descrivendo da più parti29, è proprio la crisi del modello statuale, sia per come è stato 25 Tematizzato sul piano filosofico da M. Buber, Ich und Du, Stuttgard, 1999.

26 Nel lessico proprio di C. Schmitt, Ex Captivitate salus, Milano, 1987, p. 104 ss.

27 Dal punto di vista scientifico è l’impostazione di Santi Romano, tanto cara a Paolo

Grossi, e di quell’esperienza giuridica sulla quale ha scritto pagine insuperate Giuseppe Capograssi.

28 La cronaca di questi giorni registra la contrapposizione in chiave indipendentista

del-la Catalogna nei confronti deldel-la Spagna e una condotta sostanzialmente astensiva e solo di appoggio formale al governo spagnolo da parte delle istituzioni europee. Un indice di quanto forse siamo molto lontani dal pensare che proprio l’Unione sia il luogo nel quale questi conflitti possono trovare ambientazione per essere affrontati e risolti.

29 Rimangono di interesse S. Battini, Amministrazione senza Stato, Milano, 2003; M. Gnes,

La scelta del diritto, Milano, 2004; G. De Minico, Regole. Comando e consenso, Torino, 2004.

Sviluppa il modello evolutivo della giuridicità M.G. Ferrarese, Diritto sconfinato, Ro-ma-Bari, 2015; Il diritto al presente, Bologna, 2002.

(30)

29

edificato e si è manifestato tra otto e novecento, sia per quello che ha rappresentato dopo. Bastino le antesignane preziose considerazioni sulla crisi dello Stato moderno che Santi Romano30 avanza per avere una certa

chiarezza che è teorica oltre che pratica e tutta la più recente produzio-ne di Sabino Cassese31 che evidenzia una giuridicità che globalizza le sue

strutture sempre meno avendo bisogno di un riferimento territoriale o istituzionale unitario32.

3. Sessant’anni dei Trattati: per discutere del futuro

Bisogna così tornare al progetto: rivederlo, modificarlo, riproporlo. Servirebbe forse una nuova conferenza di Messina, per il suo rilancio.

Io ritengo che la ‘crisi esistenziale’ porta a ‘domande esistenziali’ e il discorso passa dai sessant’anni dai Trattati ai sessant’anni dei Trattati; l’analisi si fa dunque de iure condendum.

Qui sarò ancora più breve e quasi descrittivo, in fondo, delle ragioni che giustificano le relazioni che seguiranno e l’intera struttura che que-sto convegno ha voluto dare al tema.

Come fare a ripensare il progetto?

Vorrei a tal proposito instillare un dubbio. Che non si tratti semplice-mente di ripartire dalla secca e netta posizione dei due modelli dei primi anni ’40: il modello ‘alla Churchill’ o ‘alla Spinelli’. E questo sotto due profili distinti.

In linea generale, come approccio alla storia; condivido in questo quanto osserva Paolo Grossi quando ritiene che «la linea storica va interpretata non come un forziere di modelli da trapiantare nell’oggi e a cui ispirare l’azione dell’oggi» ma quale portatrice di «momenti dialettici da porre in contatto e collegamento con il patrimonio di cui siamo portatori»33.

30 S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, 1969 sul quale cfr. in particolare S.

Cassese, Lo Stato “stupenda creazione del diritto” e “vero principio di vita” nei primi anni della

Rivista di diritto pubblico (1909-1911), in “Quaderni fiorentini per una storia del pensiero

giuridico moderno”, 1987, p. 501 ss.

31 Mi riferisco in particolare a S. Cassese, Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati?,

Bologna, 2016; Lo Stato e il suo diritto, Bologna, 2013; Il diritto globale. Diritto e democrazia

dopo lo Stato, Torino, 2009; Lo Stato introvabile, Roma, 1998; Oltre lo Stato, Roma-Bari, 2006; La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2004.

32 Con la consueta intelligenza N. Irti, Norma e luoghi, Roma-Bari, 2001 ha presentato

alcuni aspetti centrali e problematici.

33 P. Grossi, Unità giuridica europea: un medioevo prossimo futuro?, in “Quaderni fiorentini”,

(31)

30

In particolare, poi, (e questa è la seconda ragione del dubbio che in-tendo proporre) il modello statuale, come accennavo, è entrato in crisi e, seppur non è destinato certo a sparire, molto è in atto per il suo adatta-mento rispetto all’attuale globalizzazione dei sistemi giuridici di regola-mentazione, decisione e controllo. In poche parole dall’internazionaliz-zazione, nella quale il ruolo centrale e i protagonisti quasi unici erano gli Stati, si è passati alla trasnazionalizzazione34, per la quale i protagonisti

sono vari e di diverso genere e vanno a comporre una “global governan-ce” e una “global polity”: oltre agli Stati ci sono anche Comitati, regioni, società private, singoli individui, multinazionali, autorità indipendenti, ecc.35

Non dovrà anche l’Unione europea fare quanto sta facendo lo Stato na-zionale? Ovvero, nelle parole di Cassese: «autoricostru[irsi] per adattare le proprie strutture e funzioni a nuovi ambienti, in modo da superare le proprie debolezze»? E se è così, non dovrà tenere in considerazione che l’ordine internazionale non è più, come nell’epoca moderna, quell’«or-dinamento singolarmente acefalo»36, ma un ordinamento strutturato in

rete37, polifocale e multilivello?

Questo non significa strozzare la meta dell’unione politica e del fede-ralismo ma, eventualmente ricalibrare le strutture non sul modello ide-al-tipico statuale.

La “crisi esistenziale” di oggi – mi sembra – non si affronta e non si su-pera se non con un salto in avanti, con un ripensamento anche profondo dell’Unione. Ma per comprendere le possibilità e le condizioni di un tale salto è necessario intendere le opzioni possibili.

Anche volendo mantenere l’alternativa di fondo tra modello “alla Churchill” e “alla Spinelli”, bisogna calarli nell’attualità e mi sembra che l’ipotesi federalista non possa pensare di costruire un grande Stato che ricomprenda piccoli Stati. Se posso avanzare un’idea, direi che a

pesa-34 Cfr. A. Papisca, M. Mascia, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei

diritti umani, Padova, 2004, p. 115 ss.

35 Fornisce un quadro esauriente sul versante del diritto internazionale E. Cannizzaro,

Diritto internazionale, Torino, 2016, p. 4 ss. Rinvio all’analisi, ed alla bibliografia ivi

indi-cata, di S. Cassese, La crisi dello Stato, cit., p. 5 ss.; il nuovo ruolo che rimane agli Stati è discusso in particolare in Territori e potere, cit., p. 39 ss. Il rinvio è anche alla riflessione di A. Papisca, M. Mascia, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei diritti

umani, cit., p. 9 ss.

36 E. Cannizzaro, Diritto internazionale, cit., p. 3.

37 Rimane importante il saggio di F. Ost-M. Van De Kerchove, De la pyramide au réseau?

(32)

31

re non in questa Unione, in questa dei primi sessant’anni, non è stato unicamente un deficit di istituzioni e regole quanto la contemporanea presenza di azioni poste su logica statuale e politiche che avrebbero un maggior orizzonte europeo. Anche se sono perfettamente consapevole, e in questo d’accordo con quanto ripete da tempo Dastoli, che le politiche necessitano di forme istituzionali adeguate a farle perseguire38. Del resto,

ripeto, Dopo il Leviatano, per ricordare l’importante libro di Marramao39,

c’è da pensare forse di recuperare il tratto caratteristico della morfolo-gia europea che pone al centro il connubio tra razionale e religioso, spa-zio e tempo, tradispa-zione e innovaspa-zione nel modo che viene bene espres-so da Helmut Schmidt, ex ministro delle finanze tedesco, “l’Europa vive di crisi”40. Vive di crisi e si costruisce attraverso la loro soluzione, come

sosteneva anche Jean Monnet41, portando il discorso verso la domanda

esistenziale per eccellenza: quella sulla sua identità.

Come accennavo, non si tratta solo di scegliere un modello o una im-postazione ordinamentale come non credo che si tratti di riproporre l’al-ternativa che ha segnato il dibattito europeo degli ultimi anni: un posi-zionamento alla Habermas o alla Grimm42.

Piuttosto si tratta di uscire da un’ottica emergenziale e pensare un oriz-zonte a breve, medio e lungo termine nel quale avanzare ipotesi e medita-re idee. Una tra le possibili e ricorsivamente emergenti (da ultimo proprio a maggio 2017 nella Dichiarazione dei 2743), mi sembra di voler escludere,

quella delle velocità diversificate che porterebbero a mantenere i difetti del sistema misto e a non riuscire a evadere dallo statualismo44.

38 Il riferimento è, ad esempio, a P.V. Dastoli, 1999: Europa senza frontiere?, Bologna, 1989 o al

volume a quattro mani P.V. Dastoli, R. Santaniello, C’eravamo tanto amati, Milano, 2013.

39 G. Marramao, Dopo il Leviatano. Individuo e comunità nella filosofia politica, Torino, 1995. 40 H. Schmidt, L’Europa vive di crisi?, in Discorsi per l’Europa, a cura di B. Olivi, Roma, 1987, p. 246. 41 J. Monnet, Mémoires, Paris, 1976; tr. it. Cittadino d'Europa. 75 anni di storia moderna,

Mila-no, 1978, p. 488.

42 Rinvio al noto dibattito e in particolare a J. Habermas, La costellazione postnazionale,

cit.; D. Grimm, Il futuro della costituzione, in Il futuro della costituzione, a cura di G. Zagre-belsky, P.P. Portinaro, J. Luther, Torino, 1996, p. 129 ss.

43 Cfr. Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento, Roma

27 marzo 2017, dove si legge: “Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in pas-sato, in linea con i Trattati e lasciando la porta aperta a coloro che decidano associarsi successivamente”.

44 Una posizione, non diffusissima ma presente nel dibattito attuale, che mi sembra di

(33)

32

Siamo forse, almeno così io ritengo, al momento di pensare fuori dall’ottica precedente e, permettetemi senza che questo instilli il minimo sospetto campanilistico o meridionalistico, magari di guardare a Sud, al Mediterraneo e al sud Europa. Questo comporta assumere il realismo po-litico di Churchill, l’ampia visione di Spinelli (componendoli e certo non contrapponendoli) e affiancare all’asse Parigi-(Londra)-Berlino magari un asse Madrid-Roma-Atene. Dove affiancare non è sostituire (sarebbe irreale e sciocco solo ipotizzarlo) e dove Londra è da intendere tra paren-tesi, almeno fino a quando le trattative non avranno definito la posizione del paese che comunque (anche nell’ipotesi di hard Brexit) influenzerà, e forse anche maggiormente, le politiche della regione europea.

Su questo potrei dire a lungo, ma mi sembra di avere anche troppo abusato del compito di introduttore e ora mi devo ridimensionare in quello di moderatore che non è una diminutio ma la possibilità di farmi attento e desideroso ascoltatore.

Anche perché proprio le successive relazioni saranno in grado di ap-profondire le dinamiche future per i sessant’anni dei Trattati e dell’U-nione in genere, proponendo – dicevo iniziando – non l’enfasi della mera celebrazione ma la riflessione costruttiva che non si nasconde i problemi e le questioni, anche le più spinose; solo per individuare le due che sa-ranno trattate: la migrazione, della quale ci parlerà Marc Hartwig, che sul campo è impegnato come Commissione europea, e la guerra, della quale tratterà la prof.ssa Marina Mancini. Migrazione e guerra che non si possono leggere se non avendo fatto prima i conti con il contributo della scienza giuridica all’Unione europea, sul quale parlerà il prof. Enzo Cannizzaro, e sul dopo-Brexit, che sarà oggetto di riflessione del prof. Pier Virgilio Dastoli.

Bibliografia

Aa.Vv, Storia dell’integrazione europea, 2 voll., Roma, 1997. S. Battini, Amministrazione senza Stato, Milano, 2003. M. Buber, Ich und Du, Stuttgard, 1999.

M. Cacciari, Geo-filosofia dell’Europa, Milano, 1994. M. Cacciari, L’arcipelago, Milano, 1997.

E. Cannizzaro, Democrazia e sovranità nei rapporti fra Stati membri e Unione europea, in “Il Diritto dell’Unione europea”, 2000.

E. Cannizzaro, Il pluralismo dell’ordinamento giuridico europeo e la questione della sovranità, in “Quaderni fiorentini”, 2002, t. 1.

(34)

33

E. Cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, Torino, 2017.

S. Cassese, Lo Stato “stupenda creazione del diritto” e “vero principio di vita” nei primi anni della Rivista di

diritto pubblico (1909-1911), in “Quaderni fiorentini per una storia del pensiero giuridico moderno”,

1987.

S. Cassese, Lo Stato introvabile, Roma, 1998.

S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2004. S. Cassese, Oltre lo Stato, Roma-Bari, 2006.

S. Cassese, Il diritto globale. Diritto e democrazia dopo lo Stato, Torino, 2009. S. Cassese, Lo Stato e il suo diritto, Bologna, 2013.

S. Cassese , Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati?, Bologna, 2016.

W. Churchill, Discorso di Zurigo 1946, CDE ISESP, Serie Documentazione europea, n. 3. P.V. Dastoli, 1999: Europa senza frontiere?, Bologna, 1989.

P.V. Dastoli, R. Santaniello, C’eravamo tanto amati, Milano, 2013. B. De Giovanni, L’ambigua potenza dell’Europa, Napoli, 2002. G. De Minico, Regole. Comando e consenso, Torino, 2004. R. Esposito, Da fuori, Torino, 2016.

F. Felice, L’economia sociale di mercato, Soveria Mannelli, 2008. M. G. Ferrarese, Il diritto al presente, Bologna, 2002.

M. G. Ferrarese, Diritto sconfinato, Roma-Bari, 2015.

P. Fois, Gli sviluppi del processo di integrazione europea dal trattato di Roma ad oggi. Il ruolo degli Stati

membri, in “Studi sull’integrazione europea”, 2017, n. 2.

M. Gnes, La scelta del diritto, Milano, 2004.

D. Grimm, Il futuro della costituzione, in Il futuro della costituzione, a cura di G. Zagrebelsky, P.P. Portinaro, J. Luther, Torino, 1996.

P. Grossi, Unità giuridica europea: un medioevo prossimo futuro?, in “Quaderni fiorentini”, 2002. J. Habermas, La costellazione postnazionale, Milano, 1999.

S. Holmes, C. R. Sunstein, Il costo dei diritti, Bologna, 2000. N. Irti, Norma e luoghi, Roma-Bari, 2001.

C. Jorges, A Disintegration of Europe Studies?, in “European Papers”, 2016.

J.-C. Juncker, Stato dell’Unione 2015, p. 5, citato dalla pubblicazione ufficiale della Commissione europea.

J.-C. Juncker, Stato dell’Unione 2016, p. 6, citato dalla pubblicazione ufficiale della Commissione europea.

S.D. Krasner, Sovereignty: Organized Hypocrisy, Princeton, 1999.

G. Marramao, Dopo il Leviatano. Individuo e comunità nella filosofia politica, Torino, 1995.

J. Monnet, Mémoires, Paris, Fayard, 1976; tr. it. Cittadino d'Europa. 75 anni di storia mondiale, Milano, Rusconi, 1978.

F. Ost - M. Van De Kerchove, De la pyramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles, 2002

A. Paspisca, M. Mascia, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei diritti umani, Padova, 2004

N. Parisi, Considerazioni sulla natura giuridica dell’Unione europea alla luce dei rapporti tra Stati membri

e fra questi e l’organizzazione, in L’Unione Europea in cerca di identità. Problemi e prospettiva dopo il fallimento della “Costituzione”, a cura di U. Draetta, A. Santini, Milano, 2008.

(35)

34

H. Schmidt, L’Europa vive di crisi?, in Discorsi per l’Europa, a cura di B. Olivi, Roma, 1987. C. Schmitt, Ex Captivitate salus, Milano, 1987.

C. Schmitt, Le categorie del politico, Bologna, 1972. A. Somma, Economia sociale di mercato, Roma, 2011.

A. Spinelli Il modello costituzionale americano e i tentativi di unità in Europa, in La nascita degli Stati

Uniti d’America, a cura di L. Bolis, Milano, 1957.

C. ZanghÌ, Istituzioni di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2005.

Abstract

I sessant’anni dei Trattati di Roma segnano i tre cicli dell’esistenza e dell’esperienza eu-ropea. Dal 1946 a oggi – dal discorso di Churchill e di Spinellli, alla Dichiarazione dei cin-quant’anni fino alla crisi esistenziale esposta negli ultimi discorsi di Juncker sullo Stato dell’Unione – l’Unione ha sviluppato la sua struttura in senso funzionalistico. L’Unione è una forma ibrida tra unione politica e organismo intergovernativo, che fa eccezione all’ideal-tipo statuale. Dopo gli entusiasmi degli anni 2000, il processo di integrazione è entrato in crisi. Nell’ultima parte del contributo si auspicano, per far ripartire il proget-to europeo, azioni soprattutproget-to politiche, orientate sul breve, medio e lungo periodo, che includano nel processo decisionale anche l’asse Madrid-Roma-Atene affianco a quella franco-tedesca.

Parole chiave: Sessant’anni dei Trattati, discorso di Churchill, Stato dell’Unione, Jun-cker, forma ibrida, progetto europeo, futuro dell’Unione Europea.

Abstract

The Sixty years of the Rome Treaties mark the three cycles of European existence and experience. From 1946 to today – from Churchill and Spinellli’ speeches to the Declaration of the Fifty Years, and to the latest existential crisis exposed in Juncker’s Speeches of the State of the Union – this one has developed its structure in a functional sense. The Union has a hybrid form between political union and intergovernmental organism, an exception to the ideal-type state. After the enthusiasm of the 2000s, the process of integration and of the European project are living a bad crisis and today require rethinking the European project. The last part of the contribution discusses the presuppositions to restart the European project, hoping for actions, especially politic, focused on the short, medium and long term, and which include in the decision-making process also the Madrid-Rome-Athens axis alongside that Franco-German one.

Keywords: Sixty years of Treaties, Churchill and Spinelli speeches, Juncker’s Speech of the State of the Union, hybrid form, European project, European Union future.

(36)
(37)
(38)

37

Scienza giuridica e diritto europeo

Enzo Cannizzaro1

1. Introduzione

Il titolo di questo intervento, “Scienza giuridica e diritto europeo”, può essere inteso in due sensi. Anzitutto, nel senso che esso intende con-tribuire a determinare l’esistenza di una scienza giuridica del diritto eu-ropeo. Per usare una metafora ormai comune, l’Unione europea è consi-derata sovente un’Europa del diritto, nel senso che, forse, in nessun altro ordinamento contemporaneo il diritto conta così tanto nella vita delle istituzioni quanto nell’ambito dell’Unione Europea.

Conviene peraltro aggiungere, con una notazione vagamente contrad-dittoria rispetto al tenore generale di questo intervento, che il rilievo del diritto nell’ordinamento europeo appare, oggi, ridotto rispetto al pas-sato. Ciò, in particolare, perché le crisi che stanno colpendo l’Europa, e che ne stanno trasformando in profondità i connotati, tendono talvolta a prospettare soluzioni che oltrepassano quelle che emergerebbero da una serena valutazione dello stato dell’ordinamento giuridico europeo. Que-sto significa non soltanto violare la forma del diritto, ma anche violare gli equilibri di interessi e valori faticosamente sviluppati nel corso degli ultimi decenni e, quindi, alterare gli equilibri sostanziali di quel mondo giuridico.

L’oggetto di questo intervento, tuttavia, non è dato dalle recenti vi-cende che vedono una graduale attenuazione del ruolo del diritto nell’or-dine politico e istituzionale dell’Unione. Al contrario. Come ho appena indicato, il titolo dell’intervento può infatti essere letto in due direzioni, diverse e fors’anche antitetiche: da un lato, l’analisi del contributo della scienza giuridica allo sviluppo del diritto europeo; d’altro lato, il contri-buto del diritto europeo allo sviluppo della scienza giuridica. Ed è proprio quest’ultimo aspetto al quale intendo dedicare le pagine che seguono.

* Università ‘Sapienza’ di Roma

(39)

38

Assumerò come punto di partenza della mia analisi una constatazione banale. L’impatto, l’influsso e lo sviluppo che ha prodotto il diritto euro-peo sulle categorie della scienza giuridica sono spesso ed erroneamente minimizzati. Se si volesse cercare di distribuire l’impatto del diritto eu-ropeo nella scienza giuridica nelle due grandi branche della teoria della norma, e di quella dell’ordinamento giuridico, si rileverebbe che il dirit-to europeo ha dadirit-to ad entrambe un contribudirit-to moldirit-to rilevante, a volte sconvolgendo le categorie giuridiche del nostro tempo, a volte aggiun-gendo qualcosa a queste teorie giuridiche.

2. Diritto europeo e ordinamento europeo

Conviene svolgere questa asserzione, in primo luogo, per quanto at-tiene alle caratteristiche strutturali e funzionali dell’ordinamento giu-ridico europeo. Fin dalla genesi dell’ordinamento europeo, i giuristi si sono posti alla ricerca di una dottrina dell’ordinamento che consentisse di darne ragione. È constatazione ricorrente fra i giuristi dell’epoca, in-fatti, che le dinamiche del nuovo ordinamento giuridico non avrebbe po-tuto trovar posto nelle consolidate categorie concettuali del tempo: né in quelle relative all’ordinamento internazionale, né in quelle relative agli ordinamenti statali.

Per il diritto internazionale, infatti, lo Stato in quanto ordinamento giuridico nasce in via di fatto, dalla semplice affermazione, attraverso strumenti sovente coercitivi, dell’insorgere di una autorità sociale che riesce ad imporsi, con carattere di supremazia, su di una determinata comunità territoriale. Sono evidenti le difficoltà concettuali di inquadra-re l’ordinamento europeo in tale sistema concettuale. L’ordinamento eu-ropeo nasce, invece, attraverso il diritto, ovvero attraverso un processo di trasferimento di competenze a favore di un nuovo ente, e di corri-spondente amputazione di talune prerogative sovrane degli Stati mem-bri, guidato da dinamiche di tipo giuridico. Per dimostrare tale assunto, occorrerebbe soffermarsi sul processo di trasformazione, a tratti miste-rioso, dei trattati istitutivi in uno strumento di carattere costituzionale e autopoietico; da fonti del diritto internazionale a fonti costituzionali di un nuovo ordinamento giuridico. Il tema è noto in ogni sua articolazione e non fa conto soffermarsi su di esso.

Meno note sono altre caratteristiche dell’ordinamento europeo che ne hanno fatto un ordinamento difficilmente inquadrabile nelle consoli-date categorie giuridiche contemporanee. L’ordinamento europeo

(40)

appa-39

re, infatti un ordinamento per sua natura funzionale. Esso nasce con uno scopo sociale preciso: la realizzazione di una Unione sempre più stretta, la “ever closer Union”. Questa formula non esplicita il punto fino al qua-le l’integrazione europea possa arrivare; né essa indica quaqua-le sia l’esito finale del percorso. Si tratta, evidentemente, dell’applicazione al mon-do del diritto di una categoria propria del calcolo infinitesimale, e cioè l’approssimazione al limite. Evidentemente, tale indicazione, contenuta nei Trattati istitutivi dell’Unione, non crea posizioni soggettive vere e proprie; essa ha un valore essenzialmente interpretativo, impegnando tutte le Istituzioni dell’Unione ad operare per il raggiungimento di un obiettivo. Ebbene, proprio questa frase, nascosta tra le pieghe dei tratta-ti, ha costituito l’oggetto di un accordo intergovernativo, racchiuso nelle conclusioni del Consiglio europeo del gennaio 2016, allorché in Consiglio europeo, la massima istituzione dell’Unione, titolare dell’indirizzo poli-tico del sistema della integrazione europea, ritenne opportuno stipulare nel proprio seno una sorta di accordo informale, la cui natura giuridica rimane ambigua, volto a prevenire il recesso britannico orientando, in senso negativo, il risultato del referendum convocato in quello Stato. In questo progetto, la modifica della clausola dell’ “ever closer Union” ha

as-sunto un ruolo decisivo. Il Consiglio europeo ha stabilito, infatti, che tale

clausola non avrebbe potuto essere utilizzata a fini interpretativi. Se tale modifica avesse assunto valore giuridico, essa avrebbe quindi avuto un impatto simbolico molto pronunciato: si sarebbe, in tal modo, identifica-to il punidentifica-to finale del processo di integrazione. Si sarebbe altresì determi-nato la fine del carattere funzionale dell’ordinamento dell’Unione.

Il risultato positivo del referendum britannico, che ha stabilito un ob-bligo di recesso da parte del Regno Unito ha peraltro impedito a tale mo-difica di entrare in vigore. Essa, è agevole constatare, avrebbe eliminato l’unico effetto possibile della clausola dell’ever closer Union. Al di là della scarsa coerenza logica di impedire ad una clausola normativa la produ-zione dell’unico effetto che essa può produrre, è dubbio che la alterazio-ne del carattere funzionale dell’Unioalterazio-ne, una delle sue caratteristiche fon-damentali, fosse un prezzo equo da pagare al fine di impedire il recesso britannico.

3. Altri caratteri fondamentali dell’ordinamento europeo

La Corte di giustizia ha pronunciato nel 1963 la sentenza Van Gend &

(41)

40

europeo. Si tratta, come desumibile testualmente dalla pronuncia, di un ordinamento particolare, nel quale i soggetti non sono solo gli Stati, ma anche i loro cittadini. Da ciò deriva la natura di ordinamento misto, il quale ingloba cioè gli Stati persona e i loro ordinamenti interni, inclusi gli individui che ne costituiscono i soggetti numericamente principali. La sentenza Van Gend & Loos è considerata la pronuncia progenitrice del concetto di ordinamento misto: un ordinamento formato da rapporti giuridici che intercorrono fra uno Stato e i suoi cittadini, governati dal diritto europeo. Proprio questo carattere, di ordinamento misto, consen-te ad un individuo di invocare un diritto esconsen-terno al fine di deconsen-terminare proprie posizioni soggettive nei confronti del proprio Stato.

L’ordinamento europeo è singolarmente sprovvisto di strumenti coerci-tivi attraverso i quali mandare ad effetto le proprie proposizioni normative. Esso si configura quindi come un ordinamento pressoché esclusivamente normativo. Tale definizione può essere compresa attraverso il raffronto con un altro tipo di ordinamento, affermatosi nella prassi secolare della vita del-lo Stato, cioè l’ordinamento coercitivo. Lo Stato è usualmente definito come l’ente che ha il monopolio legale dell’uso della forza. Di converso, l’Unione non ha alcun monopolio legale dell’uso della forza, anzi non dispone di alcu-no strumento coercitivo che implichi l’uso della forza fisica. Qualora questo sia necessario per mandare ad effetto le proprie regole, l’ordinamento eu-ropeo deve fondarsi sull’uso della forza da parte degli Stati Membri. In altri termini, la garanzia che le norme europee siano portate ad esecuzione, se necessario, attraverso strumenti coercitivi, è data esclusivamente da mec-canismi di tipo giuridico, vale a dire dall’obbligo degli Stati membri di por-re il proprio apparato coercitivo al servizio dell’Unione europea attraverso norme giuridiche. L’UE rappresenta, dunque, un esempio molto interessante di ordinamento puramente normativo, dotato bensì di un apparato istitu-zionale e di un apparato delle fonti, mentre è del tutto assente l’apparato che caratterizza l’essenza dello Stato, cioè l’apparato coercitivo, l’uso della forza. È, quindi, estremamente interessante la straordinaria effettività di un ordinamento, quello europeo, che non dispone di strumenti coercitivi per mandare ad effetto le proprie regole, soprattutto alla luce delle dottrine che tendono a identificare il diritto con lo Stato e, quindi, con la capacità di im-porre l'osservanza delle norme giuridiche attraverso la funzione coercitiva.

Il carattere puramente normativo dell'ordinamento europeo risulta, peraltro, non del tutto coerente con il principio dell’autonomia dell’or-dinamento dell’Unione, strenuamente affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Dal principio dell'autonomia dell’ordinamento, la

(42)

41

Corte di giustizia ha tratto una serie di conseguenze di non poco momen-to anche per una sua corretta qualificazione giuridica.

La Corte di Giustizia concepisce l’ordinamento europeo come ordina-mento autonomo, rigorosamente chiuso verso l’esterno. Verosimilmente proprio la debolezza dei tratti strutturali dell'ordinamento europeo, ha con-dotto la Corte di giustizia a ricostruirlo secondo i canoni classici della dottri-na normativista, vale a dire come un ordidottri-namento autonomo e origidottri-nario, che non necessità di forme di eterointegrazione in quanto possiede tutte le caratteristiche necessarie per svolgere le proprie funzioni ordinamentali. Tale concezione non è una mera astrazione teorica. Proprio l’idea di Unione europea come un ordinamento chiuso all’esterno è stata alla base del parere 1/2013, con il quale la Corte di Giustizia ha, di fatto, negato l’esistenza delle condizioni per poter accedere alla Convenzione europea dei diritti dell’uo-mo. È paradossale che, ai sensi dei trattati istitutivi, l’adesione alla Conven-zione europea costituisca, per gli Stati candidati, un requisito per l’adesione all’Unione e che, di conseguenza, tutti gli Stati membri siano oggi parte della Convenzione, pur essendo davvero ordinamenti chiusi, e senza che alcuno fra essi abbia mai invocato l’esigenza di autonomia dell’ordinamento interno per opporvisi, mentre l’Unione ritenga che la propria adesione scalfirebbe l’autonomia ordinamentale

Queste considerazioni possono far emergere un ulteriore paradosso dell’ordinamento dell’Unione, fondato sulla dissociazione concettuale tra l’affermazione della propria chiusura verso l’esterno, quali esso fosse un superstato, e, di converso, la sua apertura, inclusività, verso l’interno, in modo da potersi imporre nei confronti degli ordinamenti degli Stati determinando posizioni soggettive in capo ai rispettivi cittadini.

Questo paradosso sembra evidenziare, quindi, l’incompiutezza della concezione teorica della Corte di giustizia, la quale non ha ancora elabo-rato le categorie giuridiche necessarie per arrivare all’idea di un ordina-mento aperto verso gli influssi che provengono dal mondo esterno, quali, ad esempio, i valori del mondo giuridico internazionale.

4. Le caratteristiche strutturali delle norme giuridiche europee e alcune delle loro conseguenze

Il contributo del diritto europeo alla teoria della norma giuridica ap-pare ammirevole. La norma giuridica nel diritto europeo ha caratteri molto diversi da quelli propri delle norme giuridiche interne. Innanzitut-to è una norma trans-ordinamentale, concetInnanzitut-to estraneo, per natura, agli

(43)

42

ordinamenti statali. Ciò vuol dire che la norma europea svolge e realiz-za il proprio contenuto normativo in un ordinamento giuridico diverso da quello in cui è prodotto: la norma giuridica europea viene prodotta nell’ordinamento giuridico europeo, ma dispiega i suoi effetti soprattut-to negli ordinamenti statali.

Questo ha delle conseguenze importanti al fine di valutare in che modo effettivamente si svolga il contenuto normativo. Ad esempio, è noto che uno dei modi di realizzazione del processo di integrazione europea è dato dalla direttiva. La direttiva è una norma strutturalmente incompleta, in quanto deve avvalersi di un altro ordinamento per realizzare le proprie posizioni soggettive, cioè l’ordinamento statale. Pur avendo tale caratte-ristica strutturale, la direttiva è un esempio di norma che può produrre posizioni soggettive nei confronti degli individui, pur limitatamente alle posizioni soggettive di vantaggio. Tale circostanza fornisce un ulteriore e quanto mai chiaro esempio della natura funzionale dell’ordinamento che ha come funzione, come scopo sociale, quello dell’integrazione.

La direttiva, poi, non solo intende produrre, esclusivamente o preva-lentemente, posizioni di vantaggio, ma è anche una norma unidirezio-nale, che crea posizioni solo a favore del cittadino, e non a favore dello Stato.

Nell’ambito di una discussione sulle norme giuridiche europee e sui loro caratteri, può suggerirsi un’ulteriore distinzione. Si è già detto come la norma europea svolga i propri effetti essenzialmente sul piano norma-tivo. Ciò in quanto il diritto europeo non dispone, sempre in via generale, di un apparato procedurale, amministrativo e coercitivo che ne assicuri l’effettività. Di conseguenza, al fine di realizzare appieno i propri obietti-vi, la norma europea abbisogna dell’assistenza dell’apparato statale. Tale circostanza ha condotto la Corte di giustizia, in una giurisprudenza ric-ca, complessa e non priva di fascino, a considerare l’intero ordinamento statale come ordinamento servente rispetto alle norme europee. Questo vuol dire che quelle norme statali che non assistano adeguatamente l’at-tuazione delle norme europee o, addirittura, che possano costituire an-che indirettamente un ostacolo all’effettività dell’ordinamento europeo, entrano in conflitto con l’ordinamento europeo. Si tratta, evidentemen-te, di un conflitto indiretto, che non esisterebbe qualora si assumesse una nozione classica di conflitto, come quello che insorge fra due norme le quali, rispettivamente, obblighino a tenere o a non tenere una certa condotta.

Riferimenti

Documenti correlati

Il punto d’osservazione di Romano risulta pregiudiziale per la Teoria generale del Diritto canonico: la prevalenza teoretica - e fondativa - del pubblico sul privato,

I Suoi dati personali sono raccolti e trattati per le finalità di seguito riportate, con la precisazione della tipologia dei dati trattati e della ragione

Il concetto di ordine pubblico italiano, cui la sentenza straniera deve conformarsi per poter essere delibata consiste nel complesso dei principi cardine

Se sviluppiamo questo pensiero, se ci sforziamo di com- prendere ciò che la scienza dello spirito vuole che si capi- sca, educhiamo automaticamente il nostro pensiero in mo- do

Al Consiglio sono attribuiti tutti i poteri (anche il ricorso alla forza) per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. ► Corte Internazionale di Giustizia:

La conclusione del contratto: trattative e contratto preliminare 842. Il perfezionamento dell’accordo

Prefazione alla VI edizione XIII Prefazione alla V edizione XV Prefazione alla IV edizione XVI Prefazione alla III edizione XVII Prefazione alla II edizione XVIII

A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri