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le sfide dell’immigrazione per l’Italia e per l’Europa Marc Arno Hartwig 1 *

Il problema della gestione del flusso migratorio che oggi investe l’Eu- ropa è strettamente collegato alla più grande questione relativa all’iden- tità dell’Unione Europea. L’interrogativo su quale sia l’Europa che oggi vogliamo non ha trovato ancora una chiara risposta. Se da un lato resi- stono le spinte che sostengono un’integrazione sempre maggiore e che si rifanno alla tradizione del federalismo europeo, dall’altro vanno conside- rate le tendenze che ridimensionano l’idea d’Europa, riducendola a quella di mercato unico. In questo contesto, caratterizzato dall’ incertezza delle intenzioni politiche dei Governi europei e dalla latente insoddisfazione dei loro cittadini verso i risultati dell’integrazione europea, la gestione della migrazione rappresenta una sfida cruciale per il futuro dell’Unione. Il tema di come affrontare l’ingente flusso di migranti che da or- mai diversi anni giunge in Europa è estremamente complesso e suscita nell’opinione pubblica sentimenti forti e contrastanti, che oscillano tra la sensazione di insostenibilità dei flussi e gli slanci solidaristici, fautori di un’accoglienza senza limiti.

Per condurre un’analisi attenta e coscienziosa della politica dell’Unio- ne europea sulla migrazione è necessario partire dal superamento della logica emergenziale che identifica la migrazione di oggi, in Europa, come una crisi. Al contrario, la riflessione deve prendere le mosse dalla consi- derazione che la migrazione è un fenomeno umano che esiste da milioni e milioni di anni. L’Italia ha, dal canto suo, una lunga storia di emigra- zione. Dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta, erano gli italiani ad abbandonare il loro Paese, desiderosi di lasciarsi alle spalle povertà e devastazione. Solo a partire degli anni Ottanta, il numero degli italiani che tornavano in Patria ha superato quello degli emigranti.

* Team leader del Migration Support Team Italia presso la Rappresentanza in Italia della

Commissione europea.

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La politica dell’Unione europea sulla migrazione è alquanto recente. Essa si è sviluppata soprattutto a seguito del notevole incremento del flusso migratorio proveniente dal Nord Africa verificatosi a partire dal 2015 e che ha colpito in particolare l’Italia e la Grecia. Le cause di questo incremento vanno ricercate in profondità. Il World Food Programme aveva segnalato che, alla fine del 2014, sussistevano seri problemi di approv- vigionamento delle risorse alimentari nei campi profughi in Giordania, in Libano e in Africa. L’allarme lanciato dall’Agenzia delle Nazioni Unite non aveva però sortito alcun effetto e nessun provvedimento era stato adottato dalla comunità internazionale. Di conseguenza, migliaia di mi- granti si sono messi in moto. Quanto detto, vale ancora oggi, con partico- lare riferimento alla situazione in Etiopia.

Un altro fattore decisivo è il cambiamento climatico. Sebbene alcu- ni non la ritengano una priorità, una maggiore attenzione all’ambien- te in cui viviamo è fondamentale e ciò risulterà chiaro man mano che la desertificazione porterà via altre aree coltivabili, che le popolazioni dovranno abbandonare, o quando intere zone costiere verranno erose dal mare.

Dopo il gravissimo naufragio consumatosi nel mese di aprile 2015 a largo dell’isola di Lampedusa, frontiera Sud dell’Europa, che ha provo- cato più di 800 vittime, i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’UE, riuniti in un Consiglio europeo straordinario, hanno varato la cosiddetta Agenda europea sulla migrazione. Gli obbiettivi erano quelli di fermare le stragi in mare salvando le vite dei migranti, di attuare mi- sure per arginare l’immigrazione irregolare e di giungere all’adozione di un sistema comune di asilo.

La creazione di un sistema comune d’asilo aveva preso l’avvio nel lon- tano 1990, con la conclusione dell’Accordo di Dublino. In quel periodo, il mondo era diverso e il flusso migratorio proveniva soprattutto dai Paesi dell’Est.

Oggi, la pressione migratoria maggiore giunge dall’Africa ed è la situa- zione al di là di questa frontiera che più rende ovvia l’esigenza di aprire canali d’ingresso legali. È chiaro che la mancanza di vie legali è il motivo che spinge un migrante ad affidarsi alle reti di trafficanti che, lucrando sulla sua disperazione, lo imbarcano su di un naviglio di fortuna alla volta di un viaggio lungo e pericoloso. Il migrante non ha scelta, non può presentarsi presso l’Ambasciata o il Consolato di uno Stato membro dell’Unione presente nel suo Paese d’origine e ottenere un visto. Che sia necessario fare di più su una politica migratoria legale è, come direbbero

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gli inglesi, “l’elephant in the room” del discorso europeo sull’immigrazione. Altrettanto fondamentale è la cooperazione con i Paesi d’origine e i Paesi di transito per una migliore gestione ab origine dei flussi migratori. L’Unione europea si vanta di essere il più grande donatore di aiuti allo sviluppo. Tuttavia, nessuna garanzia è stata richiesta circa la destinazio- ne e l’utilizzo dei finanziamenti Ue.

Dal 2015 ad oggi la situazione è mutata. Innanzitutto, la Commissione europea ha esteso il suo raggio d’azione sul campo attraverso l’invio di funzionari direttamente nei Paesi maggiormente toccati dal flusso mi- gratorio, cioè Italia e Grecia, al fine di avere un quadro chiaro e non fil- trato della crisi in corso e di elaborare degli interventi concreti e mirati a sostengo dei due Paesi.

In secondo luogo, Frontex, l’Agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere esterne è stata riformata. A partire dall’ottobre 2016, ha assun- to il nome di Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e ha ricevuto un mandato rafforzato per eseguire i rimpatri dei migranti che non hanno più titolo a rimanere in Europa.

Nuovi sviluppi sono intervenuti anche per l’Italia. Nell’aprile del 2017 sono state approvate la Legge 46 e la Legge 47, le cosiddette Legge Minni- ti e Legge Zampa. La prima ha prodotto uno snellimento dei procedimen- ti di richiesta di protezione internazionale e ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano la nozione di “hot spot”. La seconda ha dettato delle norme puntuali sul trattamento dei minori non accompa- gnati, in particolare sulle procedure per l’accertamento dell’età.

Lo scorso luglio, la Commissione europea ha presentato un nuovo Pia- no d’azione per l’Italia. La premessa all’implementazione di detto Piano non può non essere che, sebbene gli sbarchi siano sensibilmente diminu- iti anche a seguito delle politiche attuate dal Ministro degli Interni Min- niti, risulterebbe senz’altro affrettato dichiarare che si tratti di un trend consolidato e irreversibile. Una cautela speciale andrebbe poi utilizzata rispetto alla situazione in Libia, dove il processo di pacificazione e rico- struzione non potrà realizzarsi nel giro di pochi mesi.

La situazione attuale, soprattutto nella parte orientale del Mediterra- neo, è caratterizzata dagli interventi di salvataggio in mare, le cosiddette attività di search and rescue. Fino al mese di luglio, la maggior parte delle partenze avveniva dalla costa libica, in numero minore dalle coste della Tunisia e dell’Algeria e da quelle greche e turche. Gli arrivi dalla Libia giungono in Sicilia e in parte in Calabria, quelli dalla Tunisia nelle isole e quelli dall’Algeria per lo più in Sardegna. Il flusso migratorio via mare

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proveniente dalla Turchia sbarca essenzialmente in Calabria e in Puglia. Può essere utile fornire qualche dato: da gennaio ad ottobre 2017 sono giunti ben 111.240 migranti. Comparando tale cifra con quello dell’an- no precedente si registra una diminuzione del 28% circa degli arrivi. In netta riduzione sono le partenze dalla Libia. Un dato che può sembrare sorprendente è quello che evidenzia come nel mese di agosto dello stesso anno, per la prima volta, il numero delle domande di asilo presentate in Italia ha superato il numero degli arrivi. Con una semplificazione forse eccessiva, si potrebbe affermare che ogni migrante che arriva in Italia fa richiesta di accesso alla protezione internazionale.

Quanto ai rimpatri di coloro che invece non hanno diritto ad ottenere alcun tipo di protezione, solo 4.866 migranti economici sono stati rimpa- triati dall’inizio del 2017. Si deve concludere che il sistema dei rimpatri in vigore nell’Unione non funziona, così come i Trattati che l’Italia ha stipulato con Tunisia, Egitto, Marocco e Nigeria. La conclusione di simili accordi con gli altri Paesi subsahariani e il Bangladesh non sembra essere invece una via praticabile.

Infine, neanche il meccanismo di relocation ha prodotto i risultati spe- rati. Il ricollocamento era stato ideato dalla Commissione europea con lo scopo di attuare una sospensione temporanea del meccanismo Dublino. La posizione geografica al centro del Mediterraneo di Italia, Grecia e Spa- gna aveva fatto sì che l’intero peso del flusso migratorio gravasse su que- sti Stati, ma il sistema in base al quale il primo Stato membro dell’Unione europea dove un migrante mette piede diventasse automaticamente re- sponsabile per la procedura di asilo non era più condiviso. Da qui, è sorta dunque l’esigenza di una maggiore solidarietà tra gli Stati membri dell’U- nione e di un meccanismo di distribuzione equa delle richieste di accesso alla protezione internazionale. Tuttavia, le decisioni sul ricollocamento, che miravano a dare un po’ di sollievo a Italia e Grecia attraverso il tra- sferimento di parte delle richieste ad altri Stati Ue, si sono rivelate falli- mentari. Le ragioni sono diverse. In primo luogo, questi provvedimenti sono stati partoriti troppo frettolosamente e in base all’illusione che una procedura amministrativa a carattere sovranazionale potesse iniziare e concludersi nell’arco di due mesi. Soprattutto, poi, l’assenza di una vo- lontà politica comune dei Governi europei si è rivelata fatale. Fin dall’i- nizio della discussione sul loro contenuto, alcuni Stati membri avevano infatti dichiarato la loro ferma indisponibilità ad accogliere i migranti; altri, poco lealmente, avevano posto vincoli di carattere personale sui migranti che avrebbero accettato, attuando una sorta di triste selezione.

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La conseguenza di tutto ciò, è che ad oggi si contano quasi duecen- to mila persone nel sistema di accoglienza italiano. Qui, al contrario di quanto avveniva in precedenza, quando la percentuale dei migranti iden- tificati si aggirava intorno al 50%, a partire dal 2015, il tasso di registrazio- ne è notevolmente aumentato fino a coprire la quasi totalità degli arrivi. Diverse polemiche sono emerse sugli organi di stampa circa le moda- lità dell’identificazione. Questa viene eseguita attraverso l’acquisizione delle impronte digitali del migrante, unico mezzo attuabile dato che il 95-97% dei migranti che sbarcano in Italia giungono sprovvisti di docu- menti. Taluni hanno etichettato la procedura come eccessivamente co- ercitiva, lamentato un uso spropositato della forza. Le critiche sembrano però ingiustificate. Le impronte vengono acquisite attraverso degli scan- ner sui quali il migrante trattiene la mano per pochissimi secondi e l’uso della forza fisica non è né contemplato, né necessario.

Attraversando il Mediterraneo, il migrante varca una delle frontiere esterne dell’Unione europea. L’impatto sulle politiche di sicurezza euro- pee è inevitabile e non può essere sottovalutato. Se gli Stati membri vo- gliono tenere in piedi il sistema Schengen e l’abolizione delle frontiere interne devono garantire l’identificazione di chi entra sul loro territorio. Del resto, il controllo su chi attraversa le proprie frontiere è una funzione legittima di ogni Stato, una prerogativa legata alla sovranità territoriale.

I grafici relativi agli arrivi in Europa a partire dal 1991, evidenziano il pic- co del 2016. Se si osservano invece i dati sulla capienza effettiva del sistema di accoglienza italiano, le cifre sono aumentate notevolmente già dal 2013. I numeri dimostrano come l’Italia, in conseguenza all’applicazione del Rego- lamento Dublino III e alla puntuale identificazione dei migranti, non sia più un Paese di transito ma sia divenuto un Paese di destinazione.

Alla luce di ciò, sebbene vada sicuramente salutato con favore, il Pia- no di integrazione nazionale presentato dal Ministro dell’Interno Minniti sembra utopistico. Che l’accoglienza sia una questione complessa è chia- ro. Il modello italiano SPRAR, il Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e i Rifugiati, è solidale e inclusivo, un motivo di vanto per il Bel Pa- ese. Tuttavia, in concreto, questo sistema, che si basa su un’accoglienza volontaria da parte delle amministrazioni locali, comprende appena ven- totto mila unità su un totale di duecento mila. Il resto confluisce nei CAS, i Centri di Accoglienza Straordinaria, che al contrario si caratterizzano per una scarsa sorveglianza e un livello di servizi nettamente inferiore. Non si dimentichi poi, che l’intero sistema di accoglienza ha un costo assai gravoso e in continuo incremento.

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I miti sul tema della migrazione in Europa sono molteplici. Dopo aver chiarito che l’Italia non è più un Paese di transito e aver confermato che il sistema di accoglienza italiano è saturo, ne resta ancora qualcuno da sfatare. Il primo è quello secondo il quale tutti i migranti che giungono in Italia scappano dalla guerra. Non è così, molti migranti sono spinti uni- camente da ragioni economiche; e se è vero che migrare altro non è che cercare una vita migliore altrove, è altrettanto vero che coloro che non corrono il pericolo di essere perseguitati non possono restare in Europa.

Il secondo è quello che accusa di immobilismo l’Europa, colpevole di aver lasciato sola l’Italia. Non è del tutto corretto. La Commissione euro- pea, nel pieno esercizio delle competenze attribuitele dai Trattati, elabo- ra proposte di atti legislativi in merito, il cui destino resta sempre legato alle volontà Governi degli Stati membri. Si pensi alla proposta di riforma dell’attuale sistema Dublino, che attende adesso l’approvazione del Par- lamento e del Consiglio. Le Agenzie europee, poi, hanno portato sul luogo degli sbarchi quasi cinquecento funzionari che quotidianamente sosten- gono le autorità italiane nella gestione del flusso migratorio. Vanno an- che considerati i cospicui finanziamenti stanziati dalla Commissione, che talvolta non vengono utilizzati nel modo migliore.

Un altro nodo della questione migrazione è rappresentato dalla crea- zione degli hot spot, ormai cinque in Italia. A fine settembre 2017, è stata aperta una nuova struttura a Messina. Per la Commissione si tratta a tutti gli effetti di un hot spot, anche se, per qualche resistenza locale, non è stata così denominata. La volontà è quella di creare una sinergia con gli altri hot spot siciliani e quello di Taranto.

Hot spot è un approccio, è un metodo di lavorare. E, contrariamente a

quanto può leggersi sulla stampa, in termini di trasparenza e di rispetto della legalità, gli hot spot in Italia e in Grecia sono probabilmente le strut- ture più sorvegliate. Le Agenzie europee e altri organismi internazionali, come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), vigilano costan- temente sulle loro attività.

Con l’istituzione degli hot spot, l’Unione non intendeva impartire al- cuna lezione sull’accoglienza all’Italia, che ha ricevuto la prima ondata ingente di sbarchi già negli anni Novanta, quando migliaia di persone vi sono giunte dall’Albania. L’intenzione era quella di suggerire delle re- gole standardizzate. In tutti i porti e in tutti gli hot spot italiani, oggi, si seguono le stesse procedure operative, elaborate con il Ministero degli Interni. Tali procedure perseguono tre obbiettivi principali: identificare

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e registrare tutti i migranti in arrivo; informare i migranti in maniera completa e in conformità alle norme i circa i loro diritti; ed effettuare una prima valutazione sullo status del migrante per stabilire se può fare richiesta di protezione internazionale o va, al contrario, inserito nei pro- grammi di rimpatrio.

Resta da chiedersi cosa fare in futuro. Le competenze che i Trattati assegnano all’Unione in materia di immigrazione sono secondarie. La re- sponsabilità ricade in primis sugli Stati membri. In Italia, è fondamentale una puntuale attuazione della Legge Minniti e della Legge Zampa. Quan- to alla situazione in Libia, la profonda crisi politica e umanitaria in corso ormai dal 2011 non potrà risolversi nel giro di poco tempo. Il Governo di unità nazionale di Serraj controlla infatti solo la Capitale Tripoli e non gode di effettività sul territorio. Come emerge anche dalla Comunicazio- ne rilasciata dalla Commissione sullo stato di avanzamento dell’Agenda europea sulla migrazione, c’è ancora molta strada da fare per superare Dublino, aprire canali d’ingresso legali e svuotare la Libia delle migliaia di migranti lì intrappolati in condizioni di vita inumane e degradanti.

Abstract

Il testo sottolinea alcune novità e approfondimenti sul fenomeno dell’immigrazione in Italia e in Europa. In questo conteso la gestione della migrazione rappresenta una sfida cruciale per il futuro dell’Unione. Molto spesso la mancanza di vie legali è il motivo che spinge un migrante ad affidarsi alle reti di trafficanti. Fondamentale è la cooperazione con i Paesi d’origine e i Paesi di transito per una migliore gestione ab origine dei flussi migratori.

Keywords: immigrazione, identità, federalismo europeo, povertà, cambiamento clima- tico, Accordo di Dublino, Commissione europea, protezione internazionale, Mediterra- neo.

Abstract

This work underlines some insights into the phenomenon of immigration in Italy and Europe. In this contest, migration management is a crucial challenge for the future of the European Union. Very often the lack of legal avenues motives a migrant to rely on the networks of traffickers. Cooperation between countries of origin and transit countries is fundamental to face migratory flows.

Keywords: Immigration, identity, European federalism, poverty, climate change, Dublin agreement, European Commission, International Protection, Mediterranean Sea.

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L’Unione Europea e la sfida