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Scopo e senso

Nel documento LA FILOSOFIA NELL'ARTE (pagine 56-60)

Essenziale per un'opera d'arte è avere sì un senso, ma non uno scopo. Essa esiste non per un'utilità tecnica, né per un vantaggio economico o un ammaestramento e miglioramento didattico- pedagogico, bensì per essere una forma che rivela. Non «mira» a nulla, ma «significa»; non «vuole» nulla, ma «è». Naturalmente l'opera concreta serve pure, assai spesso, ad alcuni scopi. Per esempio, gli edifici esistono affinché gli uomini vi possano abitare o vi si compiano atti della vita pubblica o cerimonie religiose. Al culto o alle relazioni sociali sono collegate composizioni poetiche. I monumenti devono ricordare il passato -originariamente garantire la sopravvivenza dei morti- e così via fino alle varie forme dell'arte applicata che appunto travalicano dappertutto in mestieri proficui. Ciò è assolutamente evidente. Tuttavia un edificio soddisfa le esigenze pratiche del bisogno di abitarvi anche se non è bello e un monumento ricorda il principe estinto anche se non possiede le qualità artistiche. Si potrebbe però replicare che fra le esigenze dell'abitazione rientra anche quella sensazione di essere avvolti e compenetrati che promana solo da spazi ben disposti e da strutture complessivamente coerenti come, allo stesso modo, il morto deve essere onorato, esaltato, celebrato dal monumento, ma ciò accade solo se l'opera è bella. Con tali esigenze pertanto ci si troverebbe già nell'ambito dell'arte vera e propria e sarebbe dimostrata la sua finalità. In verità si tratta quindi di punti di contatto simile a quelli che si riscontrano anche altrove, per esempio nella scienza. La scienza è una conoscenza conseguita secondo un metodo, in quanto

tale, non ha scopi al di fuori di se stessa. Essa è ricercata solo per la verità. Certamente ci si avvale anche di essa per raggiungere qualcosa col suo aiuto: tutta la tecnica poggia sulla conoscenza applicata. Ciònonostante: appena si comprende che cosa sia la verità, si capisce che essa ha il suo senso essenziale solo in se stessa. Analogo è il discorso per l'arte. Nell'opera concreta i punti di vista secondo cui essa è formata possono ricollegarsi alle più diverse intenzioni di utilità pratica: una pura e precisa riflessione mostrerà sempre che con questo non è venuta meno la fondamentale elevatezza di senso dell'opera d'arte. In ultima analisi essa è creata per essere e per rivelare. Ancor più importante è allora chiedersi che cosa significhi l'opera d'arte in quanto tale per l'uomo. Abbiamo già visto come l'artista guardando e formando l'oggetto ne faccia apparire con purezza l'essenza. Nella medesima apparizione egli rende manifesta anche la propria essenza e quindi l'essenza umana in generale. E tale duplice apparizione avviene in modo tale che i due aspetti siano non solo concomitanti, ma anzi fusi l'uno nell'altro: nello sguardo, nell'apprezzamento e nel sentire dell'uomo che sperimenta l'oggetto, questo acquista una nuova pienezza di senso; viceversa, a contatto con l'oggetto, l'uomo giunge alla coscienza e allo sviluppo di se stesso. Tuttavia, mentre accade ciò, risuona nell'opera d'arte la totalità dell'esistenza e quel prodotto parziale, causale diventa simbolo del tutto. Giacché allora il processo di formazione si compie in una materia reale in colori, pietre, suoni, lingua, il suo risultato diventa un'opera obiettiva, destinata a durare. Chi non è artisticamente creativo, comprendendola, può partecipare al processo da cui è sorta. In tal modo l'artista «nato per vedere,

chiamato a contemplare» ha compiuto qualcosa che riguarda non solo lui personalmente, bensì l'uomo in generale. Ciò si conserva dunque nell'opera e può essere compreso, sperimentato, rivissuto da altri. In virtù di tutto ciò l'opera d'arte ha un carattere diverso rispetto a qualsiasi altra cosa, per quanto grande, utile o preziosa possa essere. Essa non esiste da sé, ma è fatta dall'uomo, non appartiene, dunque al «primo» mondo che è dato in partenza, cioè alla natura, bensì al «secondo» che risulta dall'incontro dell'uomo con la natura. Tuttavia fra i prodotti di questo secondo mondo, la cui creazione è appunto compito dell'uomo, essa ha una posizione particolare: benché condizionata e limitata in mille modi, possiede una tale compiutezza e totalità che la abilita a essere simbolo dell'esistenza in generale, simbolo del tutto. Ogni autentica opera d'arte, anche la più piccola, è come un mondo: uno spazio ben disposto e ricolmo di significati in cui si può entrare guardando, ascoltando, muovendosi. Questo spazio è costruito diversamente da quello della realtà immediata. Non è solo più giusto, più bello, più profondo, più vivo di quello dell'esistenza quotidiana, bensì ha una qualità tutta propria: in esso le cose e l'uomo sono aperti. Nello spazio dell'esistenza quotidiana le cose e l'uomo sottostanno a legami e veli ciò che se ne può percepire esprime, ma anche nasconde la loro essenza.

Ogni relazione, trapassando una distanza e una estraneità, si svolge fra una chiusura e l'altra. L’atto dell'artista che guarda e rappresenta l'essenza ha portato questa a più piena espressione. L'interno è ora anche «esterno», è appare e può essere osservato, viceversa l'esterno è ora anche «interno», viene percepito e vissuto e può essere assunto

nella propria esperienza. Grazie a questo processo appunto, l'unità ha esercitato la sua potenza, la totalità è diventata presente e percepibile. Ora la separazione è superata. Nello spazio dell'opera d'arte le cose sono ciascuna frammista all'altra e l'uomo è vicino a esse in un modo che non si verifica nel mondo immediato. Così lo spettatore, entrando in questo mondo e riproducendolo in sé, può vivere anch'egli nella totalità. Ciò che si richiede perciò nella comprensione dell'opera d'arte non è un semplice vedere o ascoltare, come per gli oggetti che altrimenti ci circondano, e nemmeno un godere e compiacersi, come in una qualsiasi circostanza. L'opera d'arte apre piuttosto uno spazio in cui l'uomo può entrare, in cui può respirare, muoversi e trattare con le cose e gli uomini, fattisi aperti. A questo in verità egli deve tendere e con ciò si manifesta, in un punto particolare, quel compito che per noi oggi è tanto urgente quanto nessun altro, quello della contemplazione. Siamo diventati attivisti e ne siamo orgogliosi; in verità abbiamo disimparato a metterci in silenzio, a raccoglierci, ad aprirci, a guardare e ad assumere in noi le essenzialità. Per questo, nonostante ogni discorso sull'arte, ben pochi hanno un autentico rapporto con essa. La maggior parte sente sì qualcosa di bello; conosce spesso stili e tecniche; talvolta ricerca anche soltanto quanto ci può essere di materialmente interessante o di attraente ai sensi. L'autentico rapporto con l'opera d'arte non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Esso consiste nel mettersi in silenzio, raccogliersi, entrare, guardare con sensi desti e anima aperta, spiare, rivivere. Allora si dischiude il mondo dell'opera d'arte. Nel suo spazio lo spettatore sperimenta però anche il fatto che con lui qualcosa accade. Egli accede a

un'altra condizione. Quella chiusura che avvolgeva la sua essenza si allenta -più o meno-, secondo la profondità con cui penetra nella rispettiva opera d'arte, secondo l'intensità della sua comprensione, secondo l'intimità della sua relazione con essa. Egli si manifesta più chiaramente a se stesso non mediante una riflessione teoretica, bensì in una chiarificazione immediata. La gravità del proprio esistere inconsapevolmente vissuto si allevia. Egli si convince più profondamente della possibilità di diventare egli stesso autentico, puro, colmo di significato e coerente nei suoi aspetti.

Nel documento LA FILOSOFIA NELL'ARTE (pagine 56-60)