Un’altra tappa importante della ricezione critica di SF, questa volta tutta italiana, è l’intepretazione che quest’opera riceve a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 per mano di due storici della filosofia legati in qualche modo alla cosiddetta «Scuola di Milano». Con questa espressione ci si riferisce generalmente a una certa tradizione di ricerca, impegnata su un fronte storico-interpretativo più che su posizioni schiettamente teoriche, che si è sviluppata intorno a studiosi di primo piano attivi particolarmente, per lunghi periodi della loro carriera accademica, presso il dipartimento di filosofia della Statale di Milano – e, prima ancora della sua fondazione, presso l’Accademia scientifico-letteraria. Quale capostipite di questa composita tradizione viene normalmente riconosciuto Antonio Banfi, tra i primi studiosi italiani di Husserl. Il legame con la fenomenologia, insieme a un certo razionalismo di ispirazione socialista e, più tardi, all’interesse per lo studio di Kant e le
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varie forme di neokantismo, rappresentano alcuni dei tratti che accomunano, in gradi e combinazioni differenti, i più importanti esponenti della «Scuola»: da Paci a Geymonat, da Preti a Dal Pra.
In effetti, se si vuole individuare una cifra comune che consenta di circoscrivere legittimamente questa tradizione di ricerca, è utile riferirsi al tipico metodo storiografico del confrontare, e talvolta combinare insieme, correnti di pensiero tra loro assai differenti – marxismo e fenomenologia, neokantismo ed empirismo logico, e così via. Un’operazione di questo tipo si svolge in effetti anche negli articoli di Salvatore Veca e Leo Lugarini dedicati alla prima fase del pensiero di Cassirer, quella che ha appunto SF come nucleo fondamentale. Entrambi sono in qualche modo figli della «Scuola di Milano» – il primo ha studiato con Paci e Geymonat, il secondo con Dal Pra – e salta all’occhio, nei loro interventi, un certo stile di scrittura e un preciso taglio metodologico che ne rivela l’originaria formazione filosofica presso l’ateneo milanese. In particolare costoro si impegnano nel tentativo di mettere in luce il legame di Cassirer, e specialmente delle sue ricerche di filosofia della matematica, con la nozione husserliana di logica pura. L’articolo di Veca si concentra sul secondo capitolo di SF, ma prima di dedicarvisi interamente chiarisce alcuni aspetti di carattere più generale: al fine di poter avviare le sue ricerche sul concetto di numero, Cassirer deve fare i conti con la definizione kantiana di funzione e le sue ambiguità. Nella sua interpretazione funzionalista dell’Analitica trascendentale, infatti, la dottrina delle categorie si presenta inevitabilmente come una «morfologia del conoscere»114, e d’altro canto la stessa teoria del concetto come funzione non è altro che uno sviluppo dell’idea kantiana delle categorie come forme pure dell’oggettualità. Ma Veca, come già anche Lindgren, vede chiaramente che «il tema del concetto come funzione in Cassirer presenta una analogia di fondo con
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S. Veca, Il concetto di numero nella filosofia di Ernst Cassirer, in Il Pensiero, XIII, 1968, p. 80.
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alcune posizioni di Frege»115, e tuttavia neanche lui si spinge sino al passo decisivo di distinguere le due nozioni di funzione coinvolte e, conseguentemente, le due diverse teorie che vi si fondano.
Secondo Veca, Cassirer descrive il modus cognoscendi della matematica in termini di costruzione di concetti, e la formazione dei concetti matematici viene spiegata come unificazione della molteplicità mediante un principio seriale. Così, il suo riferimento privilegiato è Dedekind e il momento ideale dell’ordinalità assume un ruolo cruciale nelle considerazioni sulla natura del numero. Esso tuttavia non esaurisce l’intero significato conoscitivo dei concetti numerali: la complementarità logica di forma ordinale e cardinale dell’aritmetica si traduce per Cassirer nell’esigenza di affiancare la totalità sistematica all’ordine come «condizioni di possibilità dell’oggetto matematico»116
. Questa idea delle funzioni pure del pensiero, che permangono anche nell’emergenza di nuove entità – quando si passa, ad esempio, dai numeri razionali agli irrazionali o ai transfiniti –, è per Veca un chiaro indizio dell’affinità della posizione di Cassirer con le Ricerche logiche di Husserl, e in particolare con la seconda, nella quale viene condotta una critica serrata alle teorie dell’astrazione in chiave antipsicologista117
.
Sugli stessi aspetti insiste anche Lugarini, che presenta la tesi fondamentale di SF in questi termini: «risulta matrice del concetto, non solo matematico ma di qualsivoglia tipo e grado, non la mera enucleazione di aspetti comuni a più cose, bensì la invarianza della relazione onde si genera, come un intero, l’unitario ordine contestuale di un molteplice», e ne conclude che «il termine funzione, preso in un’accezione che ne generalizza l’originario significato matematico, (…) nomina questa invariante relazione generatrice»118. In verità, come abbiamo visto, questa nozione di funzione come «invariante relazione
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Ivi, p. 83.
116 Ivi, p. 99. 117
D’altro canto, Veca ha buon gioco nel far notare che lo stesso Cassirer si riferisce esplicitamente alla seconda delle Ricerche logiche sul finire del primo capitolo di SF.
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L. Lugarini, Funzione ed esperienza nel primo Cassirer, in Il Pensiero, XVI, 1971, p. 40.
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generatrice» ha una chiara matrice kantiana, nettamente distinta dall’accezione matematica.
Prendendo poi in esame, più in generale, il problema di una teoria dell’esperienza che il Nostro eredita dai suoi maestri di Marburgo, Lugarini ci presenta un Cassirer husserliano che storicamente non è mai esistito. Il tentativo di tradurre alcune delle espressioni meno chiare di SF nel linguaggio della fenomenologia è destinato a scontrarsi con lo sfondo concreto sul quale si svolgevano le ricerche cassireriane: il progetto marburghese di riforma della logica trascendentale, intesa come teoria generale dell’esperienza, in direzione di una sua estensione agli ambiti del cosmo spirituale dell’uomo non ancora esplorati da Kant. Che nell’orientamento fondamentale di questa missione possa registrarsi una convergenza essenziale con lo spirito della fenomenologia è difficile da negare; ma tanto non basta, naturalmente, per fare di Cassirer un fenomenologo.