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Funzione e simbolo. Uno studio su Ernst Cassirer

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE____________________________ p. 3

PARTE I – Teoria del concetto come funzione_____ p. 9

PARTE II – Sulla nozione di simbolo_____________ p. 41

CONCLUSIONI______________________________ p. 72

APPENDICE_________________________________ p. 76

BIBLIOGRAFIA______________________________ p. 94

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AVVERTENZA: per la frequenza con cui ricorrono nel testo, ho abbreviato con le sigle SF e PsF, rispettivamente, i titoli di

Substanzbegriff und Funktionsbegriff e di Philosophie der symbolischen Formen.

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Il lavoro che mi appresto a introdurre è uno studio di carattere esegetico sulla filosofia di Ernst Cassirer. Il tentativo di chiarificazione concettuale delle nozioni che stanno alla base delle sue dottrine è sollecitato dalla necessità di individuare i principali impegni teorici assunti nelle opere sistematiche. Cassirer viene generalmente presentato come un raffinato storico delle idee, dai vastissimi interessi culturali, che nella fase più matura del suo pensiero sarebbe approdato a una «filosofia della cultura» come ultimo stadio di elaborazione dell’originaria impostazione neokantiana. L’immagine che ne deriva è certamente quella dell’erudito, uno degli ultimi intellettuali della vecchia Europa capace di spaziare con competenza dalla matematica alla fisica, dall’arte alla filologia, ma anche quella del fiero razionalista repubblicano, strenuo difensore degli ideali di Weimar all’alba della catastrofe nazista.

La mole dei suoi scritti e la fitta trama degli interessi eterogenei che vi stanno alla base scoraggiano senz’altro il tentativo di ricercare un’interpretazione complessiva e coerente del suo pensiero. Un'altra fonte di frustrazione è poi la difficile collocazione storica di un pensatore che si ritrova a difendere posizioni nettamente minoritarie a fronte del sorgere e del consolidarsi di nuove correnti di pensiero. Il neokantismo è infatti un fenomeno tanto composito quanto ben circoscritto nello spazio e nel tempo: il cosiddetto «ritorno a Kant», dopo una breve fase embrionale seguita alla crisi dell’idealismo classico, si concentra intorno a due centri propulsori – Marburgo da una parte, Heidelberg e Friburgo dall’altra. Ancora nei primi anni del ‘900, esso costituisce nelle sue varie forme una voce importante nel panorama della filosofia tedesca, in grado di dialogare proficuamente con le scienze e con le arti, ma comincia ben presto a esaurire la sua forza originaria. Il neokantismo, con la sua pedante volontà di riproporre stili e dottrine del filosofo di Könisberg,

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soccombe infine di fronte alla creatività nuova e originale di scuole di pensiero appena nate come l’empirismo logico e la fenomenologia. Cassirer, a mio modo di vedere, rimane sino alla fine un neokantiano. E mentre le scuole avversarie daranno vita a lunghe tradizioni di ricerca tanto sul continente europeo quanto nei paesi anglosassoni, egli resterà, negli ultimi decenni della sua vita, filosoficamente un solitario. Albert Einstein legge volentieri il suo scritto sulla teoria della relatività e gli storici dell’arte di Amburgo, raccolti intorno alla figura di Aby Warburg, lo accolgono entusiasti nel loro cenacolo intellettuale; ma i suoi colleghi filosofi non lo degnano di molte attenzioni, giacché egli rappresenta in qualche modo l’ultimo epigono di una vecchia tradizione alla quale non sembra restare molto altro da dire. I più influenti (e diversi) pensatori del primo ‘900, da Russell a Schlick, da Husserl a Heidegger, ritengono sì necessario fare i conti con Kant, ma su nuove basi. Insomma, detto altrimenti: non tanto Kant, quanto piuttosto il neokantismo (e Cassirer con esso) si rivela a un certo punto inattuale.

Questo stato di cose ha prodotto due effetti, entrambi dovuti all’impressione che nelle opere del nostro Autore non ci fosse granché di rilevante sul piano teorico: in primo luogo, nessuno ha raccolto l’eredità filosofica di Cassirer, eccezion fatta per Susanne Langer (e in parte, come vedremo, per Nelson Goodman); in secondo luogo, la letteratura critica si è concentrata quasi esclusivamente sul Cassirer storico e interprete di Kant o al più, con un certo grado di vaghezza, sul Cassirer «filosofo della cultura». Quest’ultima via, intrapresa con successo negli ultimi decenni, mira a legittimare una raffigurazione del nostro Autore che lo tratteggia come studioso impegnato tanto sul piano storico quanto su quello teorico, e che anzi della ricostruzione storiografica fa il proprio metodo di indagine speculativa. Un filosofo, insomma, che offre suggestioni e spunti originali in un continuo confronto con gli antichi e coi moderni e che, preso commiato da Kant, si lancia a capofitto nei più disparati ambiti della cultura e del sapere umano per ricavarne principi generali.

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In verità, però, la pretesa di individuare, nella filosofia delle forme simboliche, il tentativo di fondare un nuovo programma di ricerca, emancipato ormai dalle posizioni giovanili e lanciato verso orizzonti inesplorati, è quantomai fuorviante. Al contrario, l’interpretazione del pensiero e delle opere di Cassirer che intendo qui presentare e difendere consiste nella tesi generale secondo cui gli autentici impegni teorici del nostro Autore, talvolta fraintesi dalla critica, si inseriscono sempre all’interno di una cornice generale di inequivocabile ispirazione kantiana. È questa, a mio parere, l’unica via che consente di separare il Cassirer storico ed esegeta dal Cassirer filosofo – pure, in re, così strettamente intricati – e di individuare così i contorni ideali delle sue teorie.

In fondo, «filosofia della cultura» è un’espressione che ostenta originalità per denotare nient’altro che una delle molte declinazioni possibili della filosofia trascendentale. Mi sembra pertanto che l’opera di Cassirer debba essere studiata come l’ultimo (e forse il più interessante) capitolo del neokantismo, e su questo sfondo mi propongo di chiarire le nozioni fondamentali che stanno alla base della sua prospettiva teorica. Per agevolare il lavoro, è utile suddividere in due fasi la biografia intellettuale di Cassirer: la prima ha al centro Substanzbegriff und

Funktionsbegriff (1910), la seconda i tre volumi della Philosophie der symbolischen Formen (1923-29). Le due nozioni che giocano il ruolo di

protagonista sono dunque, rispettivamente, la funzione e il simbolo. Ad esse viene riservato un trattamento assai eterogeneo negli scritti di Cassirer, e mancano quasi del tutto veri e propri tentativi definitori. Tuttavia, proprio su queste due nozioni vengono edificati i corrispondenti edifici teorici: la teoria funzionalistica del concetto (nella prima fase) e la teoria delle forme simboliche (nella seconda).

Leggendo SF si ha l’impressione che il suo oggetto principale sia ora il concetto-funzione, ora la funzione concettuale. In effetti, a ben guardare, l’impiego della parola Funktion in quest’opera è tutt’altro che univoco, e si presenta in almeno due accezioni distinte: l’una ha a che fare col concetto «biologico» di funzione, che occorre in espressioni come «la

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funzione respiratoria della pelle», l’altra con quello strettamente

matematico, che occorre in espressioni come «la variazione del prezzo in

funzione della domanda». A queste due accezioni corrispondono due tesi

nettamente distinte: a) alla base della formazione dei concetti vi sono delle precise funzioni intellettuali; b) il concetto è una funzione proposizionale. Sulla tesi a si basa quella che ho chiamato «versione debole (metaforica)» della teoria funzionalistica, sulla tesi b quella che ho chiamato «versione forte (letterale)». Dunque se il concetto- funzione

f(x) non è altro che il Begriff di Frege o la propositional function di

Russell, la funzione concettuale – la funzione del concetto di causa, la funzione della nozione di tempo, ecc… – è invece la Funktion kantianamente intesa (Critica della ragion pura, B93), in quanto condizione di possibilità degli oggetti della matematica e della fisica. Il passaggio dalla prima alla seconda fase è il risultato dell’estensione del metodo trascendentale dalla scienza esatta a tutti gli altri modi di costituzione del mondo. Per far ciò, occorre sbarazzarsi delle anguste idee tradizionali di ragione o intelletto e sostituirle con la nozione ben più estesa di simbolo: a) i concetti si basano su funzioni intellettuali, viene ora sostituita da a’) i concetti si basano su funzioni simboliche. Su questa nuova tesi viene edificata la teoria delle forme simboliche, della quale ho tentato di presentare l’articolazione generale. In via preliminare, però, è stato necessario chiarire l’uso che Cassirer fa della parola «simbolo»: in

PsF questa espressione non corrisponde alla nozione tecnica invalsa negli

studi attuali di semiotica, ma andrebbe piuttosto sostituita in quasi tutte le sue occorrenze con «funzione simbolica», nell’accezione di matrice kantiana cui abbiamo brevemente accennato.

Questo lavoro di chiarificazione concettuale mi ha consentito dunque di mostrare la natura schiettamente trascendentale del metodo e della prospettiva di Cassirer, sino alle ultimissime espressioni del suo pensiero. Questo risultato dovrebbe costituire non soltanto la base per un’interpretazione dettagliata delle sue opere (all’interno degli schemi teorici che ho tracciato in questo scritto) e per un’adeguata collocazione

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storica del suo pensiero, ma anche lo stimolo per una riflessione sulla attualità filosofica del metodo o – si potrebbe forse dire – dell’atteggiamento trascendentale. A me pare che, proprio inteso come prospettiva generalissima sui problemi fondamentali di ogni forma del sapere, esso possa accompagnare le più disparate concezioni dell’uomo e del mondo. A ben guardare, non è in fondo altro che una posizione di equilibrio tra i due poli estremi del dogmatismo e dello scetticismo: rappresenta cioè l’esigenza di sottoporre ogni cosa al vaglio della critica, al fine di procurare una fondazione solida e rigorosa a ciascuno degli innumerevoli modi in cui diamo forma al mondo. Specie nella versione di Cassirer, la filosofia trascendentale è meta-riflessione1, esercizio del pensiero sulla conformazione appassionante e suggestiva delle scienze e delle arti, del linguaggio e del diritto, del mito e della storia. Essa si può allora forse presentare icasticamente con il motto di Jago – «io non sono che un critico» – rovesciato per ironia in ricerca socratica della verità.

1

Devo questo spunto al Prof. Renato Pettoello, che vi ha spesso fatto riferimento durante i suoi corsi su Kant all’Università degli Studi di Milano.

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PARTE I

TEORIA DEL CONCETTO COME

FUNZIONE

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Orientarsi nella letteratura critica dedicata alla teoria cassireriana del concetto è tutt’altro che semplice, principalmente perché non si ha a che fare con una vera e propria tradizione interpretativa né tanto meno con un programma di ricerca condiviso e fecondo. Bisogna pertanto scovare e porre a confronto recensioni, articoli e testi monografici scritti da studiosi spesso assai distanti tra loro per tempo, spazio e formazione intellettuale. È insomma un lavoro ingrato e talvolta frustrante, ma ciononostante utile nella misura in cui mette a nudo un preciso limite esegetico che accomuna sostanzialmente tutti gli interpreti di Cassirer: la mancata ricerca di una definizione rigorosa (o della possibilità di una siffatta definizione) della nozione cassireriana di funzione. Detto altrimenti: nessuno dubita della centralità del concetto-funzione in SF, e mi pare unanimemente condivisa l’idea che l’impegno teorico principale di quest’opera sia la tesi della natura funzionalistica del concetto (qualunque cosa ciò voglia dire, per il momento); nondimeno la nozione di funzione, che per la sua centralità è proprio quanto andrebbe spiegato, viene generalmente presupposta come non problematica. Ma è proprio questa la questione interpretativa fondamentale che SF pone al lettore: cosa intende esattamente Cassirer per funzione? E ancora: l’Autore impiega questa nozione come univocamente determinata oppure ne fa un uso ambiguo e oscillante? Soltanto dopo aver sciolto questi nodi l’interprete potrà comprendere a fondo la proposta teorica di SF e interrogarsi sulla sua legittimità. Assolvere questo compito è quanto mi propongo di fare nelle pagine che seguono.

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I

Si potrebbe affermare, parafrasando Aristotele, che funzione si dice in molti modi. Nel linguaggio ordinario si usa la stessa parola in espressioni come «la funzione respiratoria della pelle» e «la variazione del prezzo in

funzione della domanda», benché vi siano implicati di fatto due concetti

nettamente distinti. Per semplicità definirò il primo biologico, il secondo matematico.

Il concetto matematico di Funktion compare per la prima volta, come è noto, in un manoscritto di Leibniz del 1673. Eulero, quasi un secolo più tardi, ne darà una celebre definizione: «Una funzione (Function) di una grandezza numerica variabile è un’espressione analitica composta in un modo qualunque dalla grandezza variabile e da autentici numeri o grandezze numeriche costanti» 2 . Questa accezione puramente combinatoria del concetto di funzione si affianca, con la nascita della matematica moderna, a una nozione assai più antica, la quale affonda le sue radici nello ἔργον platonico e, attraverso la dottrina biologica di Aristotele, verrà largamente impiegata negli studi di medicina e di fisiologia: l’idea teleologica di funzione come complesso di certe operazioni volte alla realizzazione di un fine, contenuta già peraltro nella sua radice etimologica – il latino fungor, che in lingua italiana si traduce grosso modo con «adempiere».

A ben guardare, è proprio in questa seconda accezione che Kant impiega il termine Funktion in apertura dell’Analitica trascendentale: «Tutte le intuizioni, in quanto sensibili, riposano su affezioni; i concetti, quindi, su funzioni (Funktionen). Per funzione intendo l’unità dell’operazione che ordina diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune»3. L’intelletto, afferma Kant con una bella metafora, è quell’organismo di cui i concetti sono gli organi

2 Euler, Introductio in analysin infinitorum, I,1,4. Traduzione mia dal tedesco: «Eine

Function einer veränderlichen Zahlgrösse ist ein analytischer Ausdruck, der auf irgend eine Weise aus der veränderlichen Zahlgrösse und aus eigentlichen Zahlen oder aus constanten Zahlgrössen zusammengesetzt ist».

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fondamentali; ma ciascun organo ha una sua specifica funzione, e pertanto se ne conclude, restando nella metafora, che i concetti riposano su funzioni. Ciò che preme sottolineare a Kant, in questo contesto, è l’origine trascendentale delle categorie, di cui si appresta a presentare la tavola completa: i «concetti puri» dell’intelletto non si ricavano per astrazione dal materiale empirico dell’intuizione, ma corrispondono piuttosto alle funzioni generalissime del giudicare. Mutatis mutandis, è questa la medesima critica alla teoria classica dell’astrazione che ritroviamo nel primo capitolo di SF:

l’analisi della teoria dell’astrazione riconduce a un problema più profondo. Il «confronto» dei contenuti, di cui qui si tratta, è anzitutto soltanto un’espressione vaga ed equivoca che nasconde le difficoltà della questione. Sono in verità funzioni categoriali [categoriale

Funktionen] molto diverse quelle che qui sono riunite

sotto una semplice denominazione comune. E il compito specifico, che spetta alla teoria logica rispetto a un determinato concetto, consiste appunto nel presentare queste funzioni nella loro peculiarità e nello svilupparne i fondamentali elementi formali. La teoria dell’astrazione mette in ombra questo compito, confondendo le forme categoriali, sulle quali si fonda ogni determinatezza del contenuto della percezione, con parti di questo contenuto medesimo.4

Considerata l’affinità evidente tra la due posizioni, nonché l’ovvio carattere neokantiano della prospettiva filosofica di Cassirer, si potrebbe essere indotti a concludere, invero alquanto frettolosamente, che in definitiva la teoria cassireriana del concetto si riduca a una sorta di versione aggiornata del kantismo, magari riveduta e corretta con un po’ di Leibniz.

Eppure tutto ciò non sembra ancora sufficiente. Naturalmente non si vuole negare che l’accezione biologica di funzione giochi un ruolo

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E. Cassirer, Sostanza e funzione, trad. it. di E. Arnaud, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 26.

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fondamentale, e spesso preponderante, in SF. Anzi, si mostrerà con chiarezza che molte posizioni discutibili assunte da Cassirer in quest’opera sono legate essenzialmente all’adozione di questo concetto, che egli deriva – come mi sembra ormai evidente – da Kant. Ma vi è un altro concetto-funzione a dividersi la scena con il primo, con cui troppo spesso si confonde – e cioè quello strettamente matematico, f(x), senza il quale non sarebbe possibile parlare di una teoria funzionalistica del concetto in senso proprio e non semplicemente metaforico.

SF è interamente percorsa da questa ambivalenza – ma si dovrebbe

forse dire ambiguità – della parola Funktion, e sembra pertanto ragionevole presentare quella che si può a buon diritto definire anche «teoria del concetto come funzione» come la sovrapposizione (più o meno consapevole) di assunti teorici differenti. In SF convivono cioè due versioni indipendenti della medesima teoria, rispettivamente fondate su due tesi nettamente distinte: a) alla base della formazione dei concetti (matematici e fisici, in questo caso) vi sono delle precise funzioni intellettuali; b) il concetto è una funzione – si presenta cioè, a un’attenta analisi, nella forma f(x). Alla tesi a corrisponde quella che chiamerò da ora in avanti «versione debole (metaforica)» della teoria funzionalistica, alla tesi b quella che chiamerò «versione forte (letterale)».

II

Mostrare la presenza della tesi a in SF è piuttosto semplice e pertanto comincerò da qui, chiarendo punto per punto cosa precisamente debba intendersi per «versione debole della teoria». Si potrebbe dire, in prima battuta, ch’essa corrisponde tutto sommato a quella che nell’opera viene definita «allgemeine Invariantentheorie der Erfahrung». È importante notare fin da subito che Cassirer non ritiene affatto che SF ne sia lo svolgimento completo ed esaustivo: egli presenta piuttosto questa sua opera come un mero lavoro di preparazione allo sviluppo coerente di una teoria generale degli invarianti dell’esperienza. Invarianten è

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precisamente il termine che, da un certo punto del testo in poi, viene impiegato come sinonimo di quelle Funktionen che abbiamo incontrato nel passo citato dell’Analitica trascendentale.

Gli invarianti ultimi sono «quegli universali elementi formali che rimangono costanti nel mutare dei particolari contenuti materiali d’esperienza» 5

, e scoprirli è il compito specifico della filosofia trascendentale. Poco più avanti si legge che essi sono anche gli elementi comuni «di tutte le possibili forme dell’esperienza scientifica, cioè quei fattori che nel passaggio da una teoria all’altra si mantengono costanti»6

. Sembra dunque naturale concludere che tali funzioni generalissime dell’attività conoscitiva debbano essere pensate come invarianti tanto rispetto ai contenuti materiali della percezione, quanto rispetto alle singole teorie scientifiche. Si tratterebbe, in altre parole, di una nuova tavola delle categorie, adatta a un contesto storico in cui la geometria euclidea e la meccanica newtoniana non sono più gli unici paradigmi di scientificità. Sennonché, di fronte al tentativo di costruzione di un nuovo sistema dei principi, ancor più generale di quello kantiano, Cassirer ammonisce subito lo zelante: «questa meta non può essere completamente raggiunta in alcun grado di sviluppo del sapere [ma] continua a sussistere come esigenza»7.

La questione si fa quantomeno problematica: se gli invarianti ultimi si mantengono costanti «nel passaggio da una teoria all’altra» dovrebbe essere possibile, in linea di principio, darne un resoconto sistematico e definitivo. Eppure una delle caratteristiche peculiari del neokantismo marburghese, pienamente accolta da Cassirer, consiste nel tentativo di rompere l’asfissiante simmetria con la quale Kant aveva costruito le proprie tavole, rendendo dinamiche le categorie – ovvero, in qualche misura, storicizzandole. Questa prospettiva si fa evidente nell’allusione al «grado di sviluppo del sapere», chiamato in causa proprio mentre si confessa l’impossibilità di pervenire a un risultato definitivo nella ricerca

5 Ivi, p. 356. 6 Ivi, p. 357. 7 Ibidem.

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trascendentale. Ma allora come intendere l’invarianza delle funzioni conoscitive rispetto alle singole teorie scientifiche?

Mi pare che la prima domanda da porsi, se si vuole venire a capo del problema, sia questa: gli invarianti ultimi sono principi teorici o metateorici? Ovvero, appartengono alla singola teoria in quanto tale o sono piuttosto presupposti generalissimi che in qualche modo precedono le teorie scientifiche e le rendono possibili? In SF la risposta non è sempre chiara, e tuttavia assumere gli invarianti ultimi come principi metateorici mi pare l’unico modo coerente di presentare la «versione debole» della teoria funzionalistica del concetto. Partendo da questa base, si può allora spiegare in che senso essi non mutino col mutare delle teorie scientifiche e sia cionondimeno impossibile individuarli ed elencarli una volta per tutte: semplicemente perché, pur essendo invarianti rispetto alle teorie, non lo sono rispetto a se stessi. Certe funzioni generalissime – direbbe Cassirer, se l’interpretazione è corretta – possono essere rimpiazzate da altre o mutare sensibilmente nel corso del tempo.

In effetti però, leggendo le opere di Cassirer, si ha la sensazione che, secondo l’Autore, un simile «ricambio generazionale» degli invarianti ultimi comporti di fatto un mutamento radicale nel modo di intendere la realtà8: nella scienza matematica della natura le funzioni generalissime dell’istituire nessi causali e del disporre nello spazio e nel tempo restano invarianti rispetto alle singole teorie (ad esempio, tanto nella meccanica newtoniana quanto nella teoria della relatività), ma assumono un aspetto ben diverso – o addirittura scompaiono del tutto – se si considerano altri modi di ordinare i fenomeni naturali, come la mitologia eziologica o l’alchimia. Insomma, la questione rimane aperta. Per il momento dobbiamo accontentarci di concludere che il nostro Autore si sforza, in tutta la prima parte di SF, di individuare gli invarianti ultimi dell’esperienza scientifica, che in linea di principio sono sempre gli stessi, ma ritiene impossibile darne un resoconto completo ed esaustivo.

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Usando il lessico cassireriano, tale mutamento sarebbe il passaggio da una forma simbolica a un’altra.

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III

La ricerca degli invarianti ultimi comincia dalla matematica, con una trattazione separata di aritmetica e geometria, e si spinge poi sino ad abbracciare la fisica e la chimica. Occorre precisare fin da subito che la direzione che guida questo percorso è orientata in ogni sua tappa dall’idea fondamentale che «la questione circa il significato e la funzione del concetto trova la sua definitiva e compiuta formulazione solo nella considerazione dei concetti riguardanti la natura»9. In questa posizione vi è certamente traccia di un altro tratto caratteristico del neokantismo di Marburgo, ovvero il «pregiudizio fisicalistico»10 che spinge talvolta Cassirer a subordinare la matematica alla fisica, quasi come se quest’ultima fosse un inveramento della prima. Ma non è affatto vero, come si è talvolta sostenuto, che questo retaggio marburghese, peraltro quasi mai così netto, comporti il rifiuto della «logistica» da parte del nostro Autore. Su questo punto bisognerà tornare in seguito.

Soffermarsi sul secondo capitolo, nel quale Cassirer mette a tema l’aritmetica, è particolarmente utile ai nostri fini, giacché in esso risaltano certi limiti dell’opera che, per contrasto, ne chiariscono meglio la posizione teorica. In queste pagine l’Autore si confronta con alcuni dei più importanti risultati delle ricerche sui fondamenti della matematica condotte lungo i decenni appena trascorsi da Cantor, Dedekind e Frege. Il suo interesse verso le differenti teorie del numero, fiorite nell’alveo di quel variegato programma di ricerca che va generalmente sotto il nome di «aritmetizzazione dell’analisi», è d’altro canto testimoniato da tutti gli altri scritti in cui si occupa di matematica: dall’articolo del 1907 Kant

und die moderne Mathematik al terzo volume della Philosophie der

9 Ivi, p. 156. 10

Così lo definisce M. Ferrari in Il giovane Cassirer e la scuola di Marburgo, Franco Angeli Editore, Milano 1988.

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symbolischen Formen (1929), sino al quarto dell’Erkenntnisproblem

pubblicato postumo nel 1957.

Ciò che accomuna questa molteplicità di pronunciamenti sul medesimo argomento, distribuiti lungo l’intero arco della sua biografia intellettuale, è il tema dell’ordine. Si può affermare senz’altro che Cassirer individua nella funzione generalissima dell’ordinare in serie l’invariante ultimo dell’aritmetica. Ma non è sempre chiara, nel corso della riflessione cassireriana, la distinzione tra il piano metateorico, al quale legittimamente appartengono gli invarianti ultimi, e quello teorico delle singole definizioni di numero; proprio questa oscillazione spinge il nostro Autore a parteggiare per la teoria di Dedekind con argomenti che si rivelano, come vedremo, tutto sommato assai deboli11. L’idea centrale di Cassirer è che «il vero tipo fondamentale di tutti gli oggetti di cui l’aritmetica deve occuparsi»12

è il numero ordinale, inteso come termine qualsiasi di una progressione ideale generata da una relazione che gode di certe proprietà. Ora, non è difficile comprendere la fascinazione che gli scritti di Dedekind dovettero esercitare su Cassirer, e si può ragionevolmente supporre che proprio da queste letture si sia generata la sua predilezione per l’ordinalità del sistema numerico, a scapito della cardinalità.

In Was sind und was sollen die Zahlen? (1888), Dedekind presenta l’insieme infinito N dei numeri naturali come una successione ordinata, generata da una rappresentazione (Abbildung) f che soddisfa determinate condizioni. Alcuni anni prima, in Stetigkeit und irrationale Zahlen (1872), aveva esposto la sua teoria degli irrazionali, che rispondeva al problema della fondazione rigorosa dei numeri reali. Qui si ha a che fare con l’insieme ordinato Q dei numeri razionali che ha, tra le sue caratteristiche rilevanti, la proprietà di sezionabilità; essa spiega in che modo Q può essere diviso in due sottoinsiemi infiniti 𝐴1 e 𝐴2 per ciascun

11

Sulla mancata distinzione dei due piani, quello teorico e quello metateorico (trascendentale), insiste giustamente L. Bellotti in Note in margine a Kant und die moderne Mathematik di Ernst Cassirer, Studi Kantiani, 1998, vol. II, pp. 121-34.

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membro a ∈ Q. Tra i casi possibili vi è quello in cui 𝐴1 non ha un termine massimo e 𝐴2 non ha un termine minimo, cioè in cui non esiste un numero razionale che produca questa sezione: si è così creato un numero irrazionale, completamente definito dalla sezione stessa. Ora, commenta Cassirer, «in questa forma di deduzione il nuovo numero non è inventato in modo arbitrario (…) ma appare come l’espressione di un complesso di relazioni già prima dedotte con rigore concettuale. Esso rappresenta fin da principio una determinata relazione logica e può essere di nuovo risolto in essa»13. Ma a cosa si sta alludendo in questo passaggio? Dov’è, precisamente, questa determinata relazione logica nella teoria di Dedekind?

Prima di rispondere a questa domanda, giova considerare anche le conclusioni cui Cassirer giunge al termine della sua riflessione sulla teoria cantoriana dei numeri transfiniti. Ciò che qui interessa davvero al nostro Autore non è tanto l’idea di equivalenza tra insiemi o quella di cardinalità, ma piuttosto il momento in cui «accanto ai cardinali transfiniti, che si limitano semplicemente ad esprimere la potenza di insiemi infiniti, si pone il sistema dei corrispondenti numeri ordinali»14, e a ciascun insieme infinito si attribuisce un determinato tipo d’ordine, che lo stesso Cantor definisce come un nuovo «principio generatore». Proprio qui, secondo Cassirer, si mostra l’autentica funzione logica che sta alla base della formazione dei concetti matematici: i singoli termini della serie numerica possono dedursi solo in quanto viene «colta come identica nel suo contenuto concettuale una medesima relazione generatrice e mantenuta invariata in tutto il mutare dell’applicazione particolare»15. Appare dunque evidente che questa funzione generalissima viene identificata di volta in volta da Cassirer ora con la Abbildung o con la sezionabilità di Dedekind, ora col tipo d’ordine di Cantor, ma proprio qui sta il limite più grave di queste pagine: l’invariante ultimo, quell’ordinare in serie riconosciuto come funzione generalissima

13 Ivi, p. 82. 14 Ivi, p. 88. 15 Ivi, p. 91.

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dell’aritmetica dalla riflessione trascendentale, e dunque metateorica, viene ricercato illegittimamente all’interno delle singole teorie, confondendo i piani e rendendo la lettura oltremodo faticosa.

La medesima confusione dei piani sta alla base della polemica con Frege. Cassirer, pur riconoscendo altrove ai Grundlagen un ruolo centrale nella ricerca di una «deduzione rigorosamente logica del concetto di numero»16, non riesce ad accettare la definizione fregeana di numero come classe di classi. Egli accusa sostanzialmente Frege di ricadere nella teoria classica dell’astrazione, in quanto nella sua prospettiva il numero emergerebbe semplicemente come una nota caratteristica che può essere astratta dalla pluralità data delle classi mediante il loro mero confronto17. Ma se questo capo di imputazione fosse davvero giustificato, esso dovrebbe coinvolgere al tempo stesso anche le teorie di Cantor e Dedekind: sia l’uno che l’altro si servono infatti sistematicamente della nozione di insieme; la definizione fregeana di numero cardinale coincide nella sostanza con quella di Cantor; quando deve isolare nella classe dei cardinali la sottoclasse dei naturali, Frege si serve di una teoria generale delle successioni che produce risultati analoghi a quelli cui era approdato Dedekind. Per di più, Cassirer trascura completamente il fatto che Frege giunge alla propria definizione di numero naturale mediante una sistemazione rigorosa della definizione per astrazione e l’individuazione di una precisa relazione tra classi. Se dunque il problema della teoria fregeana fosse soltanto il ricorso a

concetti-classe, l’accusa di Cassirer dovrebbe essere valida allo stesso

modo anche per Dedekind e Cantor. Ma la posta in gioco, a ben guardare, è un’altra. In effetti, se c’è una differenza sostanziale tra la definizione dedekindiana e quella di Frege, essa va ricercata nella diversa concezione del ruolo dei numeri naturali. Come scrivono Mangione e Bozzi nella

Storia della logica,

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E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, vol. IV, tomo primo, trad. it. di E. Arnaud, Einaudi, Torino 1978, p. 96.

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per Dedekind essi sono essenzialmente una notazione per indicare iterazioni o comunque definire una struttura ordinale, il loro ruolo è di garantire la possibilità di ordinamento di insiemi di oggetti. Per Frege invece i naturali sono essenzialmente cardinali, che indicano la quantità di elementi di una collezione finita: la definizione è sostanzialmente quella di Cantor, posta in veste logicamente ineccepibile (…)18

In ultima analisi, la polemica con Frege si spiega dunque soltanto con un pregiudizio di Cassirer nei confronti della cardinalità in quanto tale che, come tutti i pregiudizi, si dimostra infine ingiustificato. Naturalmente sarebbe scorretto accusare Cassirer di fraintendere deliberatamente i risultati degli autori con cui si confronta. L’uso di terminologie e procedimenti differenti nei lavori di Cantor, Dedekind e Frege aveva in fondo condotto essi stessi a polemizzare tra di loro – talvolta anche aspramente – mostrando così di non avere piena contezza della sostanziale convergenza di intenti ed esiti. Non deve pertanto stupire che un osservatore esterno, per quanto scrupoloso, come Cassirer si sia lasciato abbagliare da analogie puramente estrinseche – si potrebbe quasi dire verbali – tra la sua idea di funzione e la teoria dedekindiana degli irrazionali.

IV

Volendo riassumere quanto si è fino ad ora sostenuto, si potrebbe dire che la versione debole della teoria del concetto come funzione consiste nella tesi che i concetti si basano su certi principi metateorici chiamati da Cassirer «invarianti ultimi»; la distinzione tra il piano trascendentale, in cui si collocano queste funzioni generalissime dell’«intelletto», e quello formale delle singole teorie non è sempre presente in modo nitido al

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21

nostro Autore, che pertanto assume talvolta posizioni non sufficientemente giustificate. Ad ogni modo, il risultato principale cui s’intende pervenire in SF riguarda l’unità dell’esperienza scientifica e il suo carattere universale e necessario: «se consideriamo il complesso della conoscenza empirica in un istante qualsiasi del tempo, lo possiamo rappresentare nella forma di una funzione riproducente la relazione caratteristica in virtù della quale noi pensiamo i singoli termini ordinati nella loro dipendenza reciproca»19.

Dal punto di vista della tesi a, appare evidente che il termine funzione in questo passaggio deve essere interpretato in senso metaforico, a indicare semplicemente l’unità operativa dei singoli invarianti ultimi che stanno alla base della formazione dei concetti scientifici. Ma lo stesso Cassirer sembra subito smentirci, quando afferma a chiare lettere che in tal modo «parlando in termini generali, noi otteniamo una certa forma F (A, B, C, D, …)»20. Ecco emergere tutt’a un tratto, e a volto scoperto, la

nozione matematica di funzione, e la principale difficoltà esegetica di SF – non guasta ripeterlo ancora – consiste nella non univocità dell’uso del termine Funktion. In questo brano cruciale dell’opera se ne ha un esempio lampante: laddove si tratta semplicemente di rendere conto della sistematicità organica della conoscenza scientifica, e da un punto di vista affatto generale, si introduce tuttavia una nozione strettamente tecnica che non sembra poter avere altro ruolo, a un livello così astratto della riflessione, che quello di impostare una mera similitudine. Si potrebbe dunque parafrase il brano così: come la funzione matematica determina un nesso invariante valido tra elementi variabili, così certe strutture costanti della conoscenza scientifica (gli invarianti ultimi, ovvero le

funzioni nell’accezione «biologica») determinano nessi universali e

necessari tra gli oggetti dell’esperienza. È questo, in ultima analisi, tutto quanto Cassirer voglia sostenere con la tesi a, il cui ruolo fondamentale in SF mi pare ormai di aver illustrato a sufficienza.

19

E. Cassirer, Sostanza e funzione, trad. it., p. 354.

20

(22)

22

Ma con ciò non si sarebbe ancora dato conto di un altro motivo conduttore che percorre l’opera e ne costituisce l’elemento di originalità rispetto alla prospettiva neokantiana di cui è imbevuta: l’idea che i concetti fondamentali della fisica e della chimica non sono concetti di

sostanza, cioè mere astrazioni che riproducono entità sostanziali cui

ineriscono certe proprietà, ma concetti di relazione, ovvero termini generali che esprimono mediante simboli connessioni universalmente valide tra i fenomeni naturali. Qui la differenza tra la tesi a e la tesi b non si coglie in maniera davvero perspicua, proprio per la circostanza che in questa distinzione tipicamente cassireriana tra Substanzbegriff e

Funktionsbegriff le due versioni della teoria si incontrano e si mescolano

tra loro. Ma, se si osserva con attenzione, si nota che in quest’idea del concetto-relazione è proprio la tesi b a emergere più chiaramente: qui Cassirer afferma esplicitamente che le leggi della fisica non seguono lo schema soggetto-predicato, ma quello funzione-argomento; ovvero, più in generale, che l’analisi logica tradizionale non è adeguata a render conto della forma logica degli enunciati della matematica e della scienza esatta della natura.

Così, il brano cruciale che abbiamo prima interpretato soltanto alla luce di a, dal punto di vista delle tesi a e b insieme avrebbe quest’altro aspetto: se le leggi della fisica si presentano nella forma funzione-argomento (tesi b, nozione matematica di funzione), e l’unità gerarchica del complesso della conoscenza scientifica è garantita dalle funzioni generalissime che stanno alla base della formazione dei concetti (tesi a, nozione biologica di funzione), allora l’intera scienza matematica della natura si potrebbe esprimere mediante simboli nella forma f(x), in qualsiasi momento del suo sviluppo storico. Ma mette conto di riportare per intero la conclusione del brano che stiamo considerando:

Due campi di fenomeni A e B vengono inizialmente raccolti ciascuno in una particolare legge (…) queste leggi vengono poi a loro volta collegate fra loro in una nuova relazione 𝑋1(𝑦1, 𝑦2), finché alla fine perveniamo

(23)

23

a una relazione generalissima che assegna ad ogni singolo fattore un posto determinato e univoco rispetto all’altro. La forma fondamentale F si scinde per il pensiero in un sistema di determinazioni indipendenti il quale simbolicamente potrebbe rappresentarsi, per esempio, con un’espressione F [𝑋1(𝑦1,𝑦2), 𝑋2(𝑦3, 𝑦4),

𝑋3 …]. Se poi si trova che qualche osservazione perfettamente accertata non corrisponde alle determinazioni prevedibili e calcolabili, questa formula abbisogna di una correzione (…) la conservazione di una «forma» generale dell’esperienza nel suo complesso è qui [tuttavia] senz’altro evidente.21

V

Si è vista dunque emergere appieno la tesi b in uno dei passaggi più delicati e importanti di SF. Essa era in realtà alla base della concezione cassireriana della matematica e della fisica almeno fin dall’articolo del 1907 Kant und die moderne Mathematik. Dopo aver visto in che modo essa si intreccia con la tesi a nel nucleo centrale dell’opera, occorre adesso rintracciarne l’origine e il peso specifico che assume nel pensiero di Cassirer. Si tratta insomma di presentare a grandi linee quella che abbiamo definito «versione forte» della teoria del concetto come funzione.

C’è prima di tutto una ragione, per così dire, filologica nel ricercare la presenza della tesi b in SF. Proprio a questa tesi, ovvero alla nozione strettamente matematica di funzione, è legato il termine Funktionsbegriff nella sua prima occorrenza all’interno dell’intera produzione di Cassirer: «La logica rimane legata al punto di vista della sostanza e perciò alla forma originaria del giudizio di predicazione, mentre il pensiero scientifico vivente punta più chiaramente al concetto-funzione

21

(24)

24

(Funktionsbegriff) come al suo autentico nucleo sistematico»22. La «Logik» di cui qui si parla è la sillogistica, la tradizionale logica di matrice aristotelica; essa, afferma Cassirer, non è più in grado di misurarsi col pensiero scientifico contemporaneo, il quale mira al concetto di funzione come al proprio autentico nucleo sistematico. Questa è la posizione che già conosciamo; ma occorre ancora chiedersi: qual è il concetto di funzione del quale qui si parla? Cassirer risponde in nota: per informazioni sulla «più generale significato del concetto-funzione (Funktionsbegriff)», andate a leggere il paragrafo 254 dei

Principles of Mathematics di Bertrand Russell. Ecco la fonte principale

del Funktionsbegriff nella sua accezione matematica, e dunque della tesi

b.

Prima di proseguire lungo questo sentiero conviene però fare una breve sosta e presentare in poche righe il contesto in cui nasce il saggio del 1907 e le riflessioni generali che ne orientano la stesura. I primissimi anni del secolo avevano visto il fiorire di nuovi studi sul pensiero di Leibniz, tornato in auge specialmente per l’importanza che la logica formale riveste nel suo sistema filosofico. Nell’anno 1900 viene pubblicato lo studio di Russell, il quale si trovava a quel tempo in una fase delicata del suo percorso intellettuale, tra il superamento della fase idealistica e la conoscenza con Giuseppe Peano; nel testo vibra infatti la polemica con Bradley intorno allo statuto logico (e ontologico) delle relazioni. Il 1901 è la volta di Couturat, che presenta la ars leibniziana come una sorta di algebra che anticipa la moderna logica delle relazioni. Entrambi, Russell e Couturat, individuano il limite del progetto di Leibniz nel monopolio della forma soggetto-predicato, tipico d’altro canto di tutta la logica tradizionale. Il Leibniz' System in seinen

wissenschaftlichen Grundlagen (1902) di Cassirer sposta invece la

22 E. Cassirer, Kant und die moderne Mathematik, in Kant Studien, 1907, XII, p. 7.

Traduzione mia dall’originale: «Die Logik bleibt an den Gesichtpunkt der Substanz und

somit an die Grundform des Urteils der Prädikation gebunden, während das lebendige wissenschaftliche Denken immer deutlicher auf den Funktionsbegriff als seinen eigentlichen systematischen Mittelpunkt hinzielt».

(25)

25

questione su tutt’altro versante: da buon neokantiano, il nostro Autore non è interessato alla dottrina delle forme in quanto tale, ma piuttosto al suo «rapporto con la fondazione della fisica e il problema della realtà»23. Si tratta, insomma, di una «kantianizzazione» di Leibniz, come scriverà di lì a poco Russell, accusando Cassirer di ignorare completamente gli sviluppi che avevano riguardato gli studi logici nei decenni appena trascorsi. E il rimprovero deve aver colpito nel segno, se appena tre anni dopo Cassirer scriverà a Natorp di aver interrotto temporaneamente la stesura dell’Erkenntnisproblem per poter studiare con calma la «logistica»24, preparando in tal modo il materiale necessario al saggio dell’anno successivo, Kant und die moderne Mathematik. È proprio qui che confluiscono i suoi studi sulla logica formale contemporanea e le ricerche intorno ai fondamenti della matematica, ed è probabilmente a questo assiduo lavoro di aggiornamento che Cassirer allude nella

Prefazione a SF quando scrive: «Il primo impulso verso le ricerche

contenute in questo volume è nato in me dagli studi di filosofia della matematica»25.

Qual è dunque il contenuto di questo saggio, tanto importante nella formazione intellettuale del giovane Cassirer? In esso si trovano già anticipati i temi e le riflessioni che verranno poi riproposte e sviluppate nel secondo capitolo di SF, del quale ci siamo occupati a lungo. Bisogna adesso soffermarsi piuttosto sulle pagine iniziali del saggio, nelle quali viene evidenziato l’enorme contributo recato dai Principles di Russell alla logica formale e alla studio rigoroso dei concetti fondamentali della matematica. In quest’opera Cassirer scorge il primo tentativo di presentare «l’ambito complessivo della matematica moderna secondo un piano rigoroso»26; per realizzare un simile progetto, Russell ha dovuto

23

Così scrive a Paul Natorp il 9 settembre 1901, commentando il libro di Couturat. Traduzione mia dal tedesco: «Zusammenhang mit der inhaltlichen Grundlegung der

Physik und des Realitätsproblems».

24 È la lettera del 3 giugno 1906. 25

E. Cassirer, Sostanza e funzione, trad. it. cit., p. 3.

26

E. Cassirer, Kant und die moderne Mathematik, p. 4. Traduzione mia dal tedesco: «das Gesamtgebiet der modernen Mathematik nach einem strengen Plane».

(26)

26

dotarsi di un linguaggio simbolico maneggevole e, soprattutto, di un nuovo calcolo logico, emancipato dalla tradizionale nozione di predicazione.

Il calcolo logico fondato da Boole e sviluppato poi da Schröder, osserva Cassirer, si può osservare da due differenti punti di vista, a seconda che si considerino gli elementi che compaiono nelle formule come Begriffe o come Urteile. Qui Cassirer allude rispettivamente al calcolo delle classi e al calcolo proposizionale. Infatti – continua – nel primo caso la relazione logica fondamentale è tra due contenuti α e β, di cui l’uno viene sussunto sotto l’altro pensato come concetto-classe (Gattungsbegriff); «vom Standpunkt des Umfangs» (dal punto di vista estensionale, si direbbe oggi), la classe di α è pensata come contenuta nella classe di β, mentre «vom Standpunkt des Inhalts» (dal punto di vista intensionale) ciò che conta sono le note caratteristiche dei concetti coinvolti. Nel secondo caso, invece, si assume che α sia «eingeschlossen» in β, e che la verità del giudizio α garantisca quella di β27

.

Ma vi è un terzo tipo di calcolo logico, che per l’analisi della matematica è di valore ben più significativo e generale: si tratta del calcolo delle relazioni, e Russell per primo si è assunto l’onere di studiare i diversi tipi di relazione e interpretarli in simboli. Qui Cassirer ha in mente il secondo capitolo dei Principles, e in particolare i paragrafi dal 27 al 30. Proprio in questa sezione si stabilisce che «la logica delle relazioni ha un’influenza sulla matematica più immediata di quella delle classi o delle proposizioni, e solo per suo mezzo è possibile un’espressione teoricamente corretta e adeguata delle verità

27

In questo passaggio il linguaggio di Cassirer non è particolarmente perspicuo, ma è evidente che si sta parlando della nozione di implicazione materiale. Einschliessen ha qui il significato di «includere», e in effetti Cassirer scrive in simboli α < β, dove compare (in una veste grafica, per la verità, leggermente modificata) il segno introdotto da Peirce per la relazione di inclusione, la cui tavola di verità è quella del condizionale: «una proposizione della forma x < y è vera se x = F o y = V. Una proposizione della forma non-(x < y) è vera se x = V e y = F». Così si spiega anche in che senso la verità di α garantisce quella di β: in un enunciato in forma condizionale, l’antecedente è condizione sufficiente del conseguente.

(27)

27

matematiche»28 e, più avanti, che «d’ora in poi lo sviluppo della materia è tecnico: si considereranno tipi speciali di relazioni e ne risulteranno branche particolari della matematica»29. Per Russell, osserva Cassirer, la matematica non è altro che una speciale applicazione della logica delle relazioni; ma il concetto di relazione «ritorna dal canto suo al più fondamentale concetto di funzionalità (geht seinerseits auf den

fundamentaleren Gedanken der Funktionalität zurück)». È a questo

punto che Cassirer rimanda al paragrafo 254 dei Principles per il significato generale di Funktionsbegriff, e pertanto è da qui che ritorniamo al punto di partenza. Cos’è questo concetto-funzione che il nostro Autore prende in prestito da Russell? Ovvero, detto altrimenti, in cosa consiste precisamente la teoria del concetto come funzione che Cassirer condivide con i fondatori della logica contemporanea?

VI

Se si volesse dare subito la risposta, basterebbe dire che il concetto-funzione della tesi b è precisamente la nozione russelliana di concetto-funzione

proposizionale. Questo non è evidentemente un racconto poliziesco, e

pertanto svelare ab initio l’identità del colpevole non rappresenta di per sé un difetto strutturale. Anzi, aiuta a comprendere meglio la direzione del discorso, specie se, a supporto di quanto affermato, si sottopone al giudizio del lettore la documentazione del caso. Ma qui sorge un primo problema: non c’è luogo in SF nel quale ci si riferisca esplicitamente alla nozione di funzione proposizionale. Ciò non toglie, tuttavia, che vi si faccia un gran parlare dell’inadeguatezza della logica tradizionale con la sua forma soggetto-predicato e della necessità di una nuova teoria del concetto. In SF è costantemente presente l’idea che un’espressione come

28

B. Russell, I principi della matematica, trad. it. di E. Carone e M. Destro, Newton Compton, Roma 2012, p. 44.

29

(28)

28

«x è pari» deve essere analizzata nella forma funzione-argomento – è, cioè, una funzione proposizionale – e si è visto che la fonte di questa assunzione (che noi abbiamo chiamato tesi b) è proprio Russell: ma allora perché si ha la forte sensazione, avallata peraltro dalla lettera del testo, di una sostanziale incomunicabilità tra i due autori? Mi pare che la difficoltà vada risolta in questi termini: mentre Russell vede già nella nozione di funzione proposizionale l’emergere di problemi semantici legati alla futura filosofia del linguaggio, a Cassirer interessa invece la più generale questione epistemologica della formazione dei concetti nella scienza naturale; in altre parole, in SF la tesi b – per quanto importante – compare sempre subordinata alla tesi a, e rischia talvolta di esserne risucchiata.

Perché la problematica trascendentale della giustificazione del factum della fisica cominci a passare in secondo piano, lasciando spazio alla questione del significato come tale, bisogna attendere la fase più matura del pensiero di Cassirer, e precisamente il terzo volume della Philosophie

der symbolischen Formen. Nel 1928, poco prima della sua pubblicazione,

Cassirer replica sulle Kant-Studien a un articolo molto critico di G. Heymans dedicato alla sua «Reform der Begriffslehre», precisando che egli non intende più dedurre dalla forma particolare del concetto matematico e fisico la forma generale del «Begriff überhaupt», giacché gli appare ormai chiaro che la dottrina del concetto si può edificare soltanto sulla base di una sistematica dottrina del significato 30 . Naturalmente questa «Bedeutungslehre» è da intendersi in un senso tutto cassireriano, e tuttavia rimane l’annuncio di un rilevante mutamento di prospettiva. Non a caso, proprio nella terzo volume della Philosophie Cassirer discute per la prima volta la dottrina fregeana del concetto e, nelle stesse pagine, presenta esplicitamente la nozione russelliana di funzione proposizionale.

In Frege, anche se ciò non vale per tutta la sua produzione, il rapporto fra matematica e logica «non viene colto dal lato del concetto di classe,

30

(29)

29

bensì dal lato del concetto di funzione, e il concetto stesso nella sua essenza viene inteso e definito come funzione»31. Allo stesso modo fa anche Russell, che introduce il calcolo delle relazioni come indipendente rispetto al calcolo delle classi e riconosce la relazione come «l’elemento essenziale e fondamentale dei concetti matematici e del concetto in genere»32. Anche quando deve ricorrere alla nozione di classe, egli distingue opportunamente tra il punto di vista estensionale e quello intensionale, accordando al secondo un ruolo prioritario. Ma è qui doveroso fare una precisazione: per Russell la definizione estensionale e quella intensionale di classe sono sostanzialmente equivalenti; se c’è una differenza, questa è meramente psicologica - «dal punto di vista logico la determinazione compiuta mediante l’estensione appare ugualmente applicabile alle classi infinite; sennonché, se noi la volessimo tentare, la morte porrebbe un termine a questo nostro lodevole zelo prima che il nostro scopo fosse stato raggiunto»33. Cassirer non condivide questa posizione di Russell, e ritiene che alla definizione «intensionale» di una classe spetti la priorità logica (e non meramente psicologica) su quella estensionale: «è infatti evidente che prima di cominciare a raccogliere gli elementi di una classe e di esprimerli estensivamente mediante un’enumerazione, si deve decidere quali elementi vanno considerati appartenenti alla classe, e a tale questione non si può dare risposta, se non sulla base del concetto della classe inteso nel senso della “comprensione”»34

.

Senza voler entrare nel merito della polemica, ciò che qui ci interessa è piuttosto il terreno di convergenza: accordata una qualche priorità al punto di vista intensionale, si fa evidente che «ciò che la classe racchiude in se stessa, secondo la teoria qui sviluppata, è la circostanza che i termini riuniti in essa vanno pensati come variabili di una determinata

31 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, vol. III, tomo secondo, trad. it. di E.

Arnaud, La Nuova Italia, Firenze 1966, p. 19.

32 Ibidem. 33

Cfr. Principles of Mathematics, § 71.

34

Ivi, p. 21. Si noti che qui Cassirer tratta la nozione di intensionalità in maniera piuttosto confusa.

(30)

30

funzione proposizionale (propositional function): quest’ultima perciò, e non il semplice pensiero dell’insieme come pura espressione collettiva, risulta essere il nucleo del concetto»35. Ecco tradotta in termini russelliani, e col ricorso esplicito alla nozione di funzione proposizionale, la tesi b: se il nucleo del concetto si rivela nient’altro che «un modello per dei giudizi» (così Cassirer definisce la funzione proposizionale), allora il concetto stesso deve essere analizzato nella forma f(x). Naturalmente si può essere tentati di scorgere in questa scoperta di Russell una conferma della tesi kantiana che «i concetti riposano su funzioni», e ci sono buone ragioni per ritenere che Cassirer lo faccia: ma, come si è ripetuto ormai troppe volte, la tesi a deve essere accuratamente distinta dalla tesi b, specie là dove lo stesso Cassirer le mescola insieme. Altrimenti, confondendo le due nozioni di funzione, gli invarianti ultimi cessano di essere principi metateorici per identificarsi con le leggi e i concetti delle singole teorie; in tal modo, la ricerca trascendentale perderebbe in un sol colpo ogni ragion d’essere e, di conseguenza, la proposta teorica di Cassirer non sarebbe più di interesse alcuno.

VII

Si può a questo punto esporre brevemente le versione forte della teoria del concetto come funzione per analogia con le posizioni di Frege e Russell, dal momento che essa non trova una formulazione adeguatamente sviluppata nelle opere di Cassirer. Seguendo la sua stessa indicazione in Kant und die moderne Mathematik, sembra opportuno iniziare proprio dal paragrafo 254 dei Principles of Mathematics. Qui si legge, come d’altronde Cassirer cita quasi alla lettera, che «nella sua forma più generale, la funzionalità non differisce dalla relazione»36, e, poco più avanti, che «le funzioni proposizionali sono più fondamentali

35

Ivi, pp. 21-2. Il testo andrebbe emendato sostituendo «argomenti» a «variabili».

36

(31)

31

delle altre funzioni, o anche delle relazioni. Per molti scopi, conviene identificare la funzione con la relazione (…) e così si farà nel seguito; il lettore dovrebbe tuttavia ricordare che il concetto di funzionalità è più fondamentale di quello di relazione»37.

Questi sono indubbiamente gli elementi della prospettiva di Russell che più interessano a Cassirer: il nesso tra la nozione di relazione e quella di funzione, e la priorità logica di quest’ultima. Ma come sono definiti questi termini nei Principles, e che ruolo rivestono nella prospettiva generale del loro autore? La prima parte dell’opera è interamente dedicata ai cosiddetti «indefinibili della matematica», quelle nozioni fondamentali che per loro natura non ammettono una definizione adeguata, e vanno pertanto assunte come elementari. Esso sono costanti logiche e il metodo per scoprirle è l’analisi della logica simbolica. Ora, nel corso di questa ricerca degli indefinibili, ci si imbatte in una serie di distinzioni particolarmente interessanti: posto che con la parola termine debba intendersi quanto di più generale possa essere pensato, Russell scrive che «è possibile fare la distinzione tra due tipi di termini, ai quali darò rispettivamente il nome di cose e di concetti»38; i primi sono indicati da nomi propri, i secondi da aggettivi o da verbi. Pertanto vi sono due specie di concetti: quelli indicati con aggettivi sono concetti-classe, quelli indicati con verbi sono relazioni. La nozione di relazione risulta tra gli indefinibili, sicché non è facile «conoscere con esattezza che cosa si voglia significare»39 con questa parola, che tuttavia possiede a livello intuitivo una certa perspicuità. Vale comunque la pena di notare che, contrariamente ai concetti-classe, «le relazioni non hanno casi particolari, ma sono esattamente le stesse in tutte le proposizioni in cui si trovano» – e dunque, concludendo, «le classi sono connesse agli aggettivi, mentre le funzioni proposizionali sono connesse ai verbi» 40.

37 Ivi, p. 288. 38 Ivi, p. 66. 39 Ivi, p. 71. 40 Ivi, pp. 74-5.

(32)

32

Non è difficile notare che su questa distinzione russelliana è ricalcata piuttosto fedelmente la contrapposizione proposta da Cassirer tra

Gattungsbegriff e Relationsbegriff. Senza questo sfondo non si potrebbe

spiegare la polemica ricorrente con la logica tradizionale e gli attacchi contro la presunta riducibilità di tutte le proposizioni al solo schema soggetto-predicato 41. Se infatti per il rifiuto della teoria classica dell’astrazione è sufficiente la cornice della problematica kantiana, quest’ultima non basterebbe a spiegare l’appello a una nuova trattazione logica degli enunciati. Eppure, questa esigenza si avverte con chiarezza in tutto lo sviluppo di SF, fin dalle primissime pagine. La via del suo soddisfacimento è indicata a Cassirer, come dimostrano i passaggi prima considerati di Kant und die moderne Mathematik, dal calcolo delle relazioni trattato con sistematicità da Russell. Su queste basi si sviluppa la versione forte della teoria del concetto come funzione: il Begriff è una funzione proposizionale, è un Funktionsbegriff. Talvolta, in Cassirer, sembra che ciò debba significare la totale scomparsa del concetto-genere, come se non vi fossero predicati che esprimono semplicemente delle proprietà (gli aggettivi di Russell); ma bisogna ricordare che l’argomento centrale di SF rimane sempre la matematica, nella sua connessione con la scienza naturale. Pertanto, la tesi b di Cassirer non può che essere la medesima condivisa da Frege e Russell, che in un linguaggio attuale si potrebbe esprimere come segue: posto che i concetti sono predicati, e che i predicati si possono distinguere in proprietà o relazioni, si asserisce che le relazioni sono ciò che davvero conta per l’analisi logica della matematica, e che, in ogni caso, le funzioni sono più fondamentali tanto delle proprietà quanto delle relazioni.

41

Questo tema, centrale in SF, è già chiarissimo nell’articolo di Russell On the notion of

order del 1901. Qui si riconosce la necessità di una nuova teoria delle relazioni, che

prenda atto del lavoro dei matematici contemporanei. È un attacco ormai definitivo contro il monopolio dello schema soggetto-predicato, che riproduce la distinzione metafisica fra sostanza e qualità (l’obbiettivo polemico di Russell è naturalmente Bradley, mentre per Cassirer saranno le differenti forme di empirismo). Per superare questo punto di vista basta assumere che esiste un terzo tipo di entità, accanto alle cose e alle loro proprietà: le relazioni.

(33)

33

In breve, senza voler negare la distinzione tra proprietà e relazioni – nel linguaggio cassireriano si direbbe tra genere e concetti-relazione –, si riconosce che alla base di entrambe sta una nozione ancora più essenziale, che per la sua elementarità rappresenta al meglio la natura del concetto in generale: quella di funzione, e in particolare di funzione proposizionale. In effetti, nella prima appendice ai Principles, Russell scrive che questa sua nozione corrisponde alla parola Begriff impiegata da Frege, il quale definisce la funzione (Funktion) come un’espressione insatura e il concetto (Begriff) come una funzione che assegna a ciascun argomento un determinato valore di verità42. Dunque un concetto è, con le parole di Cassirer, un «modello per dei giudizi». Certo l’espressione è alquanto datata, ma il senso è chiaro: i singoli enunciati sono casi particolari di determinate funzioni proposizionali, che esprimono concetti. E così «x è un uomo» esprime il concetto dell’essere uomo e «√2 = x» esprime il concetto dell’essere radice quadrata di due, sia che si vogliano intendere questi concetti come proprietà o come relazioni. Ancora una volta, è d’uopo confessare che in SF le cose non si presentano quasi mai in maniera così limpida: spesso Cassirer usa

Relationsbegriff come sinonimo di Funktionsbegriff e quasi mai si

impegna in distinzioni sottili e definitorie. Tuttavia, il problema posto dall’Autore su questo versante della questione è molto chiaro e, con un po’ di fatica, si è tentato di chiarirne anche la soluzione, così come è prospettata in SF. Essa coincide nella sostanza con la teoria del concetto di Russell e Frege, alla quale – come mi pare di aver mostrato – direttamente si ispira.

VIII

Dopo aver presentato la tesi a e la tesi b, ovvero le due versioni della teoria funzionalistica del concetto, e mostrato che esse costituiscono

42

(34)

34

l’ossatura di SF, possiamo finalmente trarre un bilancio complessivo sulla proposta teorica di Cassirer in quest’opera. Abbiamo appena visto che la tesi b contiene in effetti una sottotesi 𝑏1: i concetti della matematica (e della fisica) esprimono relazioni e non proprietà. Si potrebbe dire, tracciando uno schema generale, che 𝑏1 è una tesi di filosofia della matematica, b di filosofia del linguaggio e a di filosofia della scienza. Dunque, epurata da ambiguità e oscillazioni, la teoria del concetto come funzione si articola su due piani: sul piano teorico afferma che i concetti della matematica sono Relationsbegriffe e che il concetto in generale è una funzione proposizionale (Funktionsbegriff); sul piano metateorico postula che i concetti delle singole teorie presuppongano certe funzioni generalissime, condizioni di ogni esperienza possibile, che vengono chiamate «invarianti ultimi».

Questo è, secondo la presente interpretazione, il nucleo essenziale di

SF. Nella descritta articolazione dei due piani, e soprattutto nella

continua sovrapposizione cui vanno incontro nel corso dell’opera, si annida a ben guardare una questione irrisolta e altamente problematica, che si svela adesso come il vero e proprio «convitato di pietra» di SF: alludo cioè al problema del rapporto tra logica formale e logica trascendentale, e dello statuto filosofico di quest’ultima. Lo stesso Cassirer mette a tema la questione soltanto in Kant und die moderne

Mathematik: egli prende atto della nascita di una logica formale nuova, il

cui oggetto è il medesimo dell’antica sillogistica ma viene trattato adesso con strumenti ben più potenti e adeguati, e osserva che essa concorda con la logica trascendentale nel riconoscere l’esigenza di una derivazione pura dei principi fondamentali della matematica43. Non v’è dubbio, afferma Cassirer, che la logistica non potrà mai rimuovere o sostituire la logica trascendentale, ma d’altro canto essa offre adesso alla critica della conoscenza spunti fecondi e una guida più sicura di quella che Kant aveva a disposizione44. Dalle considerazioni di Cassirer sulla neonata

43

Cfr. E. Cassirer, Kant und die moderne Mathematik, pp. 31-2.

44

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